Schiavi del ventre - Studentville

Schiavi del ventre

Queror, litigo, irascor. Etiamnunc optas, quod tibi optavit nutrix tua aut paedagogus aut mater? nondum intellegis,

quantum mali optaverint? O quam inimica nobis sunt vota nostrorum !- eo quidem mimiciora, quo cessere felicius. Iam non

admiror, si omnia nos a prima pueritia mala secuntur: inter execrationes parentum crevimus. Exaudiant dii nostram quoque pro

nobis vocem gratuitam. Quousque poscemus aliquid deos ita quasi nondum ipsi alere nos possimus? quandiu sationibus implebimus

magnarum urbium campos? quamdiu nobis populus metet? quamdiu unius mensae instrumentum multa navigia et quidem non ex uno mari

subvehent? Taurus paucissimorum iugerum pascuo impletur; una silva elephantis pluribus sufficit: homo et terra et mari

pascitur. Qtud ergo? tam insatiabilem nobis natura alvum dedit, cum tam modica corpora dedisset, ut vastissimorum

edacissimorumque animalium aviditatem vinceremus? Minime; quantulum est enim, quod naturae datur? Parvo illa dimittitur: non

fames nobis ventris nostri magno constat, sed ambitio. Hos itaque, ut ait Sallustius, « ventri oboedientes » animalium loco

numeremus, non hominum, quosdam vero ne animalius quidem, sed mortuorum vivit is, qui muitis usui est, vivit is, qui se utitur;

qui vero latitant et torpent, sic in domo sunt, quomodo in conditivo. Horum licet in lìmine ipso nornen marmori incribas:
«

Mortem suam antecesserunt ».

Versione tradotta

Mi lamento (di te), litigo (con te), mi adiro. E

desideri ancora ciò che a te augurò la nutrice, o il pedagogo o la madre? Non capisci ancora quanto male ti hanno augurato? Oh

quanto sono dannosi a noi gli auguri dei nostri (congiunti)! In verità tanto più dannosi, quanto più felicemente si sono

avverati. Ormai non mi meraviglia se ogni male ci perseguita fin dalla prima infanzia: siamo cresciuti tra le maledizioni dei

congiunti. Possano gli dei dare ascolto anche alla nostra voce disinteressata. Sino a quando chiederemo qualche cosa agli dei,

quasi che da noi non riuscissimo ad alimentarci? Sino a quando riempiremo di piantagioni i campi d,elle grandi città? Sino a

quando le masse popolari semineranno per noi? Sino a quando un gran numero di navi, e non da un solo mare, trasporteranno l’

approvvigionamento di una sola mensa? Un toro si sazia del pascolo di pochissimi iugeri (di terreno); una sola selva è

sufficiente per più elefanti: l’uomo cerca il suo alimento per terra e per mare. E che? Ci diede la natura un ventre così

insaziabile, pur avendoci dato un corpo così piccolo, da superare l’avidità delle bestie più grosse e più voraci? Nient’

affatto; quanto poco, invero, è ciò che ci dà alla natura? Di poco essa si soddisfa: non ci costa molto la fame del nostro

ventre, ma l’ambizione (di mangiare molto). Codesti dunque, come dice Sallustio, schiavi del ventre, mettiamoli nel numero

delle bestie, non degli uomini, ed alcuni neanche nel numero delle bestie, .ma in quello dei morti. Vive chi è di utilità a

molti e vive chi sa far uso di sé; ma coloro che vivono nell’oscurità ed intorpidiscono, stanno in casa, così come in un

sepolcro. Nella stessa soglia di questi è concesso incidere sul marmo la seguente epigrafe: « Hanno predetto la loro morte

».

  • Letteratura Latina
  • Versioni di Marco Porcio Catone
  • Seneca

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