C'era una volta... a Hollywood, recensione - Studentville
C'era una volta... a Hollywood, recensione

C'era una volta... a Hollywood, recensione

Tutte le grandi storie che racchiudono in sé malinconia, amore e magia, iniziano con un rispettoso “’c’era una volta” come se fosse quell’immediata dichiarazione d’intenti di riportarci indietro nel tempo in un mondo e in un’epoca che non potranno più tornare, se non nella memoria e nei racconti di chi c’era, o avrebbe voluto esserci.  Se poi l’autore di questa narrazione è un genio della macchina da presa e della sceneggiatura che decide di ambientare tale racconto nella scintillante Hollywood della fine anni ’60, in un periodo storico che annunciava grandi cambiamenti sociali e di costume, tutto acquisisce un sapore differente; se poi il genio in questione si chiama Quentin Tarantino, ogni fotogramma diviene il prezioso tassello di una storia e di un’epoca che solo un talento, a tratti maledetto, come il suo poteva trasporre in 161 minuti di pellicola che scorrono senza cognizione del tempo ma che, invece, fanno immergere totalmente lo spettatore in una realtà che non esiste più in maniera vivida e sinestetica.

C’era una volta… a Hollywood” è il nono e nuovo film del regista statunitense dalle lontane origini italiane e farà il suo ingresso ufficiale nelle sale nostrane il prossimo 18 settembre attraverso la distribuzione della Sony Pictures Entertainment. L’ultimo capolavoro di Tarantino è ambientato nella Los Angeles del 1969, periodo in cui tutto sta cambiando e anno in cui la città degli angeli diviene il teatro di uno dei delitti più efferati guidati dalla mente criminale di Charles Manson e della sua setta ai danni di Sharon Tate, moglie di Roman Polansky, che nel film sono interpretati rispettivamente da Margot Robbie e Rafał Zawierucha. Come ci ha già abituato in passato, però, il nostro cineasta ama prendere le mosse dalla Storia per darne una rilettura unica e personale perché se il cinema non può cambiare né il mondo e né i fatti passati può darci, di certo, una visione diversa, rendendoci liberi di scrivere un finale che renda giustizia a chi non l’ha avuta.

E i protagonisti di questa straordinaria narrazione sono loro, l’attore televisivo Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) relegato a interpretare sempre ruoli minori e da “cattivo” e vicino di casa della famiglia Polansky e Cliff Booth (Brad Pitt), la sua storica controfigura, amico, chauffeur e tuttofare che, di contro, vive in una vecchia e sporca roulotte in compagnia della sua fedele cagna. Insieme formano una sorta di coppia di fatto, sono il positivo e il negativo di un’unica immagine, quella dell’attore che non riesce ad andare oltre ai B movie anche se tenta in tutti i modi la scalata nell’olimpo dello star system.

Il tutto, però, ha alla base un profondo senso di rispetto e un grandissimo amore sia per produzioni quali gli spaghetti western, i polizieschi italiani, o artisti quali Bruce Lee, Steve McQueen e Corbucci, tanto cari al regista che spesso li cita nel film  in una sorta di continuo omaggio, sia per il cinema stesso, quello passato nel quale non esisteva la tecnologia a supporto della regia, ma ogni situazione era creata dalla mente e dalla mani delle maestranze e il set diveniva davvero un luogo magico dove, grazie all’arte e alla perizia delle persone, si respirava l’aria di saloon affollati da sudati e polverosi cowboy, pronti a sfidarsi per un nonnulla.

Con la sua ultima creatura Tarantino offre a tutti noi un’esperienza unica, nostalgica, a tratti psichedelica, ma piena di sentimento: il tutto è tradotto dalla magistrale interpretazione di Leonardo DiCaprio che a Rick Dalton dona un’anima inquieta, frustrata, isterica ma anche capace di commuoversi a cui fa eco la caratterizzazione rispettosamente ironica che Brad Pitt ha conferito al suo Cliff, una sorta di candido scimmione il quale non si scompone mai di fronte a nulla ma è l’amico su cui si può sempre contare. Infine, sullo sfondo Margot Robbie con la sua brillante e sempre sorridente Sharon Tate, idealmente e narrativamente lontana da quel brutale massacro del 9 agosto 1969, e che regista e attrice omaggiano inserendo in “C’era una volta … a Hollywood” la scena di un film che la signora Polansky interpretò a fianco di Dean Martin.

Accanto a loro tutto il cast è stellare e, in ruoli secondari ma forti, segnaliamo quello di Al Pacino che interpreta i cinico produttoreMarvin Schwarzs, Damian Lewis che dà il volto a Steve McQueen e il compianto Luke Perry che con questa sua ultima apparizione ci ricorda nostalgicamente una parte di Hollywood e di un tempo che non ci sono più.

 

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