Pavese e la dimensione del mito - Studentville

Pavese e la dimensione del mito

C. Pavese e la dimensione del mito: I dialoghi con Leucò e La luna ed i falò.

L'interesse per l'antropologia e le religioni determina in Pavese una costante ricerca del senso profondo del mito, da quello del mondo classico a quello contemporaneo.  Dallo studio di Fraser (Il ramo d'oro) sul mondo primitivo, alla collaborazione con Ernesto De Martino, troviamo una fequentazione assidua di letture specifiche. Numerose sono le riflessioni attorno a tali tematiche; esse sembrano confondersi con la suggestione profonda per la sua terra delle Langhe, popolata da forze paniche, ataviche, che ricreano una latente, ancestrale, misteriosa e violenta energia, pronta talvolta a sprigionarsi rovinosamente.

L’Altro e l’Altrove sono i veri obiettivi rappresentativi di Pavese, non solo per combattere l’era del realismo consumistico, dove mai l’immaginario è apparso così scarno e vuoto. L’oltranza della poesia è occasione per rompere gli schemi precostituiti acquisendo nuove conoscenze, per smascherare le convenienze della cultura ufficiale. Pavese, quale scandalo per la poesia!
L’andare oltre le chiese, il cattolicesimo anticomunista e il comunismo anticlericale del suo tempo.

Il bianco della luna, il rosso dei falò. Pavese è stato certamente una figura insolita. Oggi avrebbe rifiutato l’omologazione, ormai quasi globale, insinuatasi anche nei più piccoli luoghi, nei paesi che egli amava molto.

I ragazzi, le donne, il mondo non sono mica cambiati. Non portano più il parasole, la domenica vanno al cinema invece che in festa, danno il grano all’ammasso, le ragazze fumano – eppure la vita è la stessa, e non sanno che un giorno si guarderanno in giro e anche per loro sarà tutto passato.

La sua radicalità sta nella sua contraddizione: il cambiamento e la fissità, la città e la campagna, la storia e il mito.

Ogni vita è quella che doveva essere.

Troviamo questo conflitto nei Dialoghi con Leucò e nei suoi romanzi,  dove più si riflette l’elemento simbolico. Lo scrittore ricorda nel suo Diario il contrasto tra la vita reale e ciò che essa sottende; è quello che più affascina l’uomo.

La parola che descrive (echeggia) un rito (azione magica) o un fatto dimenticato o misterioso (evocazione) è la sola arte che m’interessa.

In una lettera a Fernanda Pivano esprime la commozione del respirare a S. Stefano Belbo:

“Sempre, ma più che mai questa volta, ritrovarmi davanti e in mezzo alle mie colline mi sommuove nel profondo.”

Ritroviamo lo scrittore nei piccoli paesi del Monferrato dove scopriamo le sue radici poetiche nel conflitto città/campagna, inteso anche come contrasto tra modernità e tradizione all’interno di comunità spesso destinate al silenzio ed alla scomparsa.

Il processo di simbolizzazione

La stessa macchia di verderame intorno alla spalliera del muro. La stessa pianta di rosmarino sull’angolo della casa. E l’odore, l’odore della casa, della riva, di mele marce, d’erba secca e di rosmarino.- diventa un modo per sottolineare la tragedia di una realtà crudele ed impietosa.

Quante volte, ascoltando i racconti dei vecchi contadini, respiriamo il messaggio poetico, inverato in una festa di paese, nell’ incendio improvviso che distrugge tutti i beni di una famiglia laboriosa o nello scoppio di una violenza assurda tra padre e figlio. La riscoperta della cultura contadina, la ricerca di un’identità in un contesto etno-antropologico, ci permettono di assaporare l’intreccio tra mito e storia.

La poesia è altra cosa, si nutre sì dei suoi miti, ma tende a distruggerli.

Il miracolo dell’infanzia è presto sommerso nella conoscenza del reale e permane soltanto come inconsapevole forma del nostro fantasticare, continuamente disfatta dalla coscienza che ne prendiamo.
Ecco ne La luna e i falò le frasi di Nuto su Cinto, il ragazzo sciancato con la crosta sotto l’occhio: perché deve vivere? Vale la pena?

Infine l’ultimo riscatto, la sacralità del mito che traspare nell’evocazione e nell’altrove della poesia:

Di tutto quanto, della Mora, di quella vita di noialtri, che cosa resta? Per tanti anni mi era bastata una ventata di tiglio la sera, e mi sentivo un altro, mi sentivo davvero io, non sapevo nemmeno bene perché.

La contraddizione più alta è quel confine tra la vita e la morte che ci rende Pavese così moderno e così vivo, la sfida di una creazione che è l’oltre della poesia:

Ma i più forti, i più diabolicamente devoti e consapevoli, fanno ciò che vogliono, sfondano il mito e insieme lo preservano ridotto a chiarezza. È questo il loro modo di collaborare all’unicità del mito.

  • Novecento

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