Vita e filosofia di Boezio - Studentville

Vita e filosofia di Boezio

Vita e pensiero del filosofo Boezio.

Introduzione al pensiero Anicio Manlio Severino Boezio nacque a Roma verso il 480 dalla illustre famiglia degli Anicii. Rimasto presto orfano, ad educarlo provvide il tutore Aurelio Simmaco, di cui in seguito sposò la figlia. Nel 493 gli ostrogoti – sotto Teodorico – conquistano l’Italia e si stabiliscono a Ravenna, già  sede imperiale. Teodorico, vissuto come ostaggio per una decina di anni alla corte di Bisanzio, ama circondarsi di membri dell’aristocrazia senatoria, e di questi fa parte anche Boezio, che nel 510 è eletto console e nel 522 nominato magister officiorum, cioò responsabile dell’amministrazione del regno, ma poco dopo è accusato di tramare con la corte di Bisanzio contro il dominio di Teodorico in Italia. Incarcerato a Pavia, Boezio scrive la sua opera più famosa, “La consolazione della filosofia” (De consolatione philosophiae), e verso il 524 è condannato a morte, con una sorte comune a quella di Socrate e di Seneca (come egli stesso ricorda). Nel 526 muore anche Teodorico e l’anno seguente Giustiniano diventa imperatore d’Oriente. Punto di riferimento di Boezio è la cultura greca, più che quella latina: diversamente da Agostino, egli non è vescovo e non avverte il problema pastorale di costruire una cultura cristiana per i fedeli, piuttosto egli percepisce le debolezze della cultura di lingua latina nei territori delle matematiche e della logica: l’apice culturale l’hanno raggiunto i greci, ed ò per questo che ci si deve riallacciare al loro pensiero illuminato e illuminante. I suoi primi lavori sono un’opera Sull’ aritmetica, basato su uno scritto greco di Nicomaco, e una Sulla musica (problema, questo, affrontato dallo stesso Agostino); sono andate perdute, invece, quelle sulla geometria e sull’astronomia: con queste quattro opere Boezio copriva l’intero ambito del quadrivio. Ma il suo intento fu soprattutto quello di tradurre Platone e Aristotele, forse allo scopo di confermare il loro accordo di fondo, secondo un’impostazione propria dei Neoplatonici. Il progetto però rimase incompiuto: a noi sono pervenute le traduzioni delle Categorie, del De interpretatione, dei Topici e delle Confutazioni sofistiche di Aristotele, mentre è andata perduta quella degli Analitici secondi. Boezio fu dunque il più grande traduttore di Aristotele del mondo medievale in Occidente. Egli tradusse, inoltre, l’Isagoge di Porfirio alle Categorie, su cui compose due commentari, uno più elementare e uno più avanzato; scrisse commenti al De interpretatione e alle Categorie di Aristotele e uno ai Topici diCicerone, e compose anche propri trattati di logica: Sulla divisione, Sulle differenze topiche, due scritti Sui sillogismi categorici e uno Sui sillogismi ipotetici. La traduzione di Boezio – che seguono parola per parola l’originale – trasmettono le dottrine logiche degli antichi, sulle quali si baserà  la cultura medioevale sino all’undicesimo secolo. Nei commenti all’Isagoge di Porfirio, Boezio affronta il problema degli universali, che sarà  più ampiamente dibattuto anche nei secoli successivi (sarà  il tema portante dell’età  medievale). In quest’opera Porfirio riportava varie opinioni sulla natura dei generi e delle specie, ma senza assumere una posizione personale. La questione è se i generi e le specie, per esempio “animale” o “uomo”, sussistano indipendentemente dai singoli animali o dai singoli uomini (come credeva Platone) oppure esistano solo in questi (come credeva Aristotele) oppure siano entità  che hanno la loro esistenza soltanto nel pensiero. Boezio, pur riconoscendo che la questione è assai difficile, propende per una soluzione che egli considera propria di Aristotele e differente invece da quella di Platone. Egli afferma che universale è ciò che è comune a molte cose, ma poichò una cosa realmente esistente non può essere comune a molte cose perchò non può suddividersi in pezzi tra esse, gli universali non possono esistere come sostanze autonome. Essi, allora, esistono come pensieri, ma come pensieri che hanno la loro base in oggetti che esistono nella realtà , poichò se così non fosse, gli universali non avrebbero alcun contenuto nò riferimento alla realtà . Come aveva insegnato Aristotele, l’intelletto partendo dagli oggetti sensibili, ne astrae la forma o specie: vedo tanti cavalli in carne ed ossa e, per un’ astrazione operata dal mio intelletto, ne ricavo l’universale di cavallo. Specie (per esempio “uomo”) non è altro che la somiglianza tra più cose (in questo caso: uomini) colte dall’intelletto, mentre genere ( per esempio: “animale” ) è la somiglianza tra più specie. Generi e specie sussistono nelle cose in modo percepibile, ma sono anche pensieri che sussistono in sò. Nel commento alle Categorie, Boezio rintraccia invece la base degli universali (generi e specie), più che nelle somiglianze tra le cose, nelle collezioni di individui simili. Armato di questi strumenti logici, egli interviene, forse a partire dal 520, in controversie teologiche sulla natura di Cristo e sulla Trinità  scrivendo 5 Opuscoli Sacri, tra i quali Sulla Trinità  – sulla linea di Agostino. In essi egli sostiene platonicamente che le specie sono le idee eterne esistenti nella mente di Dio e modelli delle cose; egli distingue inoltre tra eternità , che appartiene esclusivamente a Dio, e perpetuità , che è propria del mondo creato nella sua durata ininterrotta. L’ultimo imponente scritto composto da Boezio è la Consolazione della filosofia, in cinque libri. I personaggi che egli mette in scena sono Boezio stesso e la personificazione della Filosofia che lo visita in cella: il suo modello è il Critone platonico, dove le leggi – con una celebre prosopopea – appaiono in sogno a Socrate nel carcere e colloquiano con lui, inducendolo a non evadere, perchè così facendo commetterebbe ingiustizia non verso i suoi calunniatori, ma verso la poliV alla quale deve ogni cosa. Dopo aver sottolineato la necessità  di disprezzare la sorte, la Filosofia dimostra che solo Dio è il Sommo Bene. Secondo Boezio il bene perfetto, se è possibile, deve esistere nella realtà : ma “non si può concepire nulla migliore di Dio”, dunque Dio esiste. E’ questo un embrione di ragionamento, già  presente in Seneca, che sarà  ripreso e sviluppato da Anselmo nella sua formulazione della “prova ontologica” dell’esistenza di Dio. Gli ultimi due libri dell’opera affrontano il problema del male, risolto alla maniera agostiniana, e quello del rapporto tra prescienza divina e libero arbitrio umano. Secondo Boezio, la conoscenza divina è diversa da quella umana, perchò è fuori dal tempo. Infatti la conoscenza che Dio ha del futuro non corrisponde a quella che ne ha l’uomo, essa è piuttosto avvicinabile a quella che l’uomo ha del presente: ciò che per noi ò futuro, per Dio ò presente. Agli uomini, infatti, il futuro appare incerto, ma ciò non è possibile per Dio; egli dunque conosce pienamente il futuro, ma ciò non significa che la sua conoscenza causi il futuro. Ogni evento è l’effetto di una causa, e Dio, conoscendo le cause, conosce simultaneamente anche i loro effetti, e poichò la volontà  umana fa parte delle cause che danno luogo a eventi, Dio conosce anche quale è la volontà  dei singoli, benchò il fatto che egli la conosca non significhi che egli annulli la libertà  del volere: a tal proposito Tommaso si avvarrà  di un esempio particolarmente significativo; come quando vediamo un vascello e sappiamo già  quale sarà  la sua rotta, ma non per questo possiamo influenzarla, così Dio sa già  come ci comporteremo ma non per questo limita la nostra libertà . Gli interpreti moderni sono stati colpiti dal fatto che nella Consolazione della filosofia manchino riferimenti espliciti al cristianesimo, anche se allusioni al testo biblico non sono assenti, ma va rilevato che in linea di principio non c’è incompatibilità  tra il cristianesimo e le dottrine neoplatoniche, che pervadono il suo scritto. Inoltre, con Boezio la filosofia in lingua latina sembra ripercorrere un itinerario di allontanamento dalla scena politica, che già  Cicerone e Seneca avevano conosciuto. Nel mondo latino la filosofia riconferma così la sua vocazione terapeutica e consolatoria (e quindi pratica) nei momenti drammatici della vita, ma l’eredità  più rilevante di Boezio consiste nella creazione di un vocabolario latino della logica e della riflessione teologica e nell’uso di una tecnica di risoluzione delle questioni che saranno determinanti per l’età  successiva. De consolatione philosophiae Quando Boezio venne da Teodorico fatto imprigionare e condannato alla pena capitale nel 524, scrisse un’opera in cinque libri, mista di versi e prosa, che ò rimasta pietra miliare della filosofia medievale: De consolatione philophiae. Quest’opera godette di una fortuna strepitosa, non solo in età  medievale (Dante si formò filosoficamente su di essa), ma anche in epoca moderna: quando Shakespeare – in Romeo e Giulietta – proclama “Adversity’s sweet milk, philosophy”, nelle sue parole sentiamo echeggiare la lezione boeziana, della filosofia come viatico e come cura per far fronte alle avversità  che si abbattono imperscrutabilmente su di noi. Riportiamo qui un breve riassunto del De consolatione philosophiae: -LIBRO I: Non appena Boezio riconosce la donna, apparsagli, come la “nutrice” compagna della sua giovinezza, ella cerca subito di allietarlo ricordandogli le ingiustizie che tanti pensatori hanno dovuto subire; poi lo invita a sfogare il proprio dolore affinchè lei possa curarlo e indicargli la giusta via. Boezio, perciò, mette a nudo tutta la sua infelicità  come conseguenza della disastrosa condizione umana in contrasto con l’ordinato equilibrio del cielo. Perciò la Filosofia intravede un vuoto attraverso il quale si ò insinuato nell’animo di Boezio il male del turbamento, in quanto egli si ò dimenticato quale sia il fine delle cose e da quali strumenti il mondo sia retto e, per di più, giudica potenti e fortunati gli uomini malvagi. -LIBRO II: Ha, quindi, inizio l’opera benefica della Filosofia con l’aiuto della Retorica e della Musica. Ella esorta l’infelice a diffidare dei favori della fortuna, perchè, in quanto instabile, non può portare alla realizzazione della felicità : “…in che modo, infatti, con la sua presenza, può rendere felici gli uomini una condizione fortunata la cui assenza non li può rendere felici? ” (I, 5°). Boezio ò perciò concorde che sia più vantaggiosa una sorte avversa, che rende consapevoli, piuttosto che una sorte prospera, che fornisce solo fallaci illusioni. -LIBRO III: La Filosofia annuncia a Boezio che ò giunto il momento di parlare con estrema chiarezza all’animo di lui, che ormai ò ben disposto a ricevere i suoi più importanti precetti: quelli che lo condurranno alla vera felicità , definita come lo stato di perfezione conseguente alla presenza di tutti i beni. La Filosofia si accinge quindi a definire quali siano i caratteri della felicità  umana; ogni uomo vede la felicità  in quella condizione a cui egli aspira al di sopra di tutte le altre (ricchezze, onori, potere, gloria, piaceri del corpo). Tramite un vasto ragionamento, la Filosofia riesce a far capire a Boezio che da nessuna di queste cose deriva la felicità  e che dunque sono soltanto delle immagini illusorie di essa. Ne viene dunque che, se tutto ciò che ò un bene terreno non ò un bene vero, il sommo bene si identificherà  necessariamente con Dio, a cui tutti dovranno aspirare per essere davvero felici. -LIBRO IV: Boezio si pone quindi una logica domanda, che da sempre pone l’essere umano nell’incertezza: da dove viene, dunque, il male che attanaglia il mondo? Con quale criterio ò fatta la ripartizione dei beni, che sembrano andare più verso i malvagi che verso i buoni? La Filosofia lo conduce alla ragione portandolo a riconoscere che i beni dei cattivi non sono veri beni e che le infelicità  dei buoni sono utili per la loro salvezza. -LIBRO V: I due si avviano ad un altro problema; si tratta stavolta della questione sul rapporto tra libero arbitrio e prescienza divina. Nel De consolatione philophiae Boezio cercava nella filosofia una via di consolazione alle proprie disgrazie: in essa, egli immagina di ricevere, durante la prigionia, la visita di una donna che si rivela essere la Filosofia stessa, venuta a consolarlo del suo triste stato e a fornirgliene una spiegazione teleologica. La Filosofia inizia col ricordare a Boezio che ciò che egli sta vivendo lo vive proprio in quanto filosofo: ò, infatti, tipica dei veri discepoli della filosofia la tendenza a dispiacere ai perversi. Ciò ò dimostrato anche dal fatto che situazioni più o meno analoghe sono state vissute da uomini altrettanto illustri e tra questi la Filosofia ricorda Socrate e lo stesso Seneca, due grandi martiri della filosofia. Proprio in virtù di quanto asserito dalla Filosofia, Boezio si chiede come sia possibile che il mondo premi gli ingiusti mentre la Fortuna si accanisca contro un uomo come lui che ha sempre difeso i diritti dei deboli. A questa angosciata domanda, che chiude il libro I, la Filosofia risponde dicendo che Boezio non deve temere, perchè non alla fortuna ò affidato il mondo, ma alla divina ragione. Del resto (e ciò ò l’argomento del II libro), la felicità  non ò da ricercarsi nei beni materiali: questi ultimi, infatti, sono tali che per procurarseli l’uomo deve inevitabilmente ricorrere a soluzioni aberranti, stravolgendo il valore delle cose e finendo, così, per uccidere proprio ciò in cui crede. Infatti, l’uomo che vuole superare gli altri in onori, dovrà  necessariamente disonorarsi umiliandosi servilmente per ottenere gli onori cui aspira; allo stesso modo, chi cerca la ricchezza dovrà  sottrarla a chi la possiede; e ancora, se si vuole una vita all’insegna dei piaceri, si finisce col suscitare ripugnanza. Eppure, la presenza di beni imperfetti implica automaticamente l’idea della perfezione cui i beni imperfetti partecipano. Dante stesso – che nel Convito chiama Boezio suo consolatore e dottore – si ricorderà  di queste riflessioni boeziane sulla caducità  dei beni terreni, quando nel Paradiso (X, 124-129) scriverà  – alludendo a Boezio stesso, che l’ha iniziato alla filosofia -: Per vedere ogni ben dentro vi gode L’anima santa, che ‘l mondo fallace Fa manifesto a chi di lei ben ode. Lo corpo, ond’ella fu cacciata, giace Giuso in Cieldauro; ed essa da martìro E da esiglio venne a questa pace. Ora, i beni materiali di per sè non sono un male – come già  diceva Plotino -, in quanto creati da Dio, ma tali diventano se ci distolgono dai veri beni, quelli di natura spirituale: finchò restiamo all’ infimo livello della materialità , vediamo i beni materiali come i supremi; ma non appena ci innalziamo a quelli spirituali, i beni materiali ci appaiono insignificanti e minuti, proprio come quando – per riprendere l’immagine che userà  Petrarca nella sua ascesa al monte Ventoso – saliamo in cima ad un monte vediamo piccolissimo ciò che sta sotto e che, prima di salire, ci pareva enorme. La Filosofia conclude quindi che la felicità  ò Dio stesso, inteso come sommo bene. Fin qui, i primi tre libri; nel libro IV, però, viene sollevata l’inevitabile obiezione: se il mondo ò governato da Dio e se Dio ò il sommo bene, come mai esiste il male? Si Deus est, unde malum? Così si interroga lo stesso Agostino, e la tematica verrà  lasciata in eredità  ai pensatori successivi, fino ai giorni nostri (ma, del resto, si Deus non est, unde bonum? ). A questa legittima domanda, la Filosofia risponde che ciò che governa tutto ò la Provvidenza, ossia la volontà  divina stessa, la quale però si serve del Fato, cioò la contingenza relativa alle cose mutevoli. Gli uomini, che non conoscono questo stato di cose, non operano la necessaria distinzione tra fato e provvidenza, sì che il verificarsi del male nel mondo appare ad essi incomprensibile, tanto più quando a farne le spese sono i virtuosi (pensiamo a Socrate e a Seneca). Ma una provvidenza che governa il mondo non annulla la libertà  dell’uomo? Boezio utilizza il V libro per dare risposta a questo arduo problema: ciò che governa il mondo ò provvidenza, non previdenza; le azioni passate, presenti e future sono in Dio tutte presenti: “se tu volessi valutare esattamente la previsione con cui egli riconosce tutte le cose, dovresti giustamente ritenere che si tratti non di prescienza di cose proiettate nel futuro, ma di conoscenza di un presente che non viene mai meno. Onde si chiama, non previdenza, ma provvidenza” (De consolatione philosophiae, V). Ciò che rappresenta per l’uomo un evento futuro, in Dio ò sempre presente “… per cui quelli [gli eventi] che dipendono dal libero arbitrio sono presenti nella loro contingenza” (Giovanni Reale). Dio vede sì cosa noi faremo in futuro, ma non per questo la nostra libertà  viene meno, giacchò ciò che per Lui ò presente attuato, per noi ò futuro e, pertanto, possibile, non necessario.

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