Divina Commedia, Canto 32 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 32 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 32 del Purgatorio è un momento cruciale nel viaggio di Dante, segnando la transizione da Virgilio a Beatrice nella purificazione dell'anima.

Il Canto 32 del Purgatorio rappresenta uno dei momenti più significativi del viaggio di Dante attraverso il secondo regno dell’aldilà nella Divina Commedia. Collocato nel Paradiso Terrestre, sulla cima della montagna del Purgatorio, questo canto segna la transizione dalla guida razionale di Virgilio a quella teologica di Beatrice, mentre il poeta fiorentino completa il suo processo di purificazione prima dell’ascesa al Paradiso.

Indice:

Canto 32 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

VersoTesto originaleParafrasi
1-3Tant’eran li occhi miei fissi e attenti / a disbramarsi la decenne sete, / che li altri sensi m’eran tutti spenti.I miei occhi erano così fissi e concentrati nel soddisfare la sete che provavo da dieci anni (il desiderio di rivedere Beatrice), tanto che tutti gli altri sensi erano completamente annullati.
4-6Ed essi quinci e quindi avien parete / di non caler – così lo santo riso / a sé traéli con l’antica rete! -;E da entrambi i lati i miei occhi avevano come una parete che impediva loro di prestare attenzione ad altro – così il santo sorriso di Beatrice li attirava a sé con l’antica rete dell’amore!
7-9quando per forza mi fu vòlto il viso / ver’ la sinistra mia da quelle dee, / perch’io udi’ da loro un “Troppo fiso!”;Quando improvvisamente il mio viso fu voltato con forza verso sinistra da quelle donne (le tre virtù teologali), perché udii da loro un rimprovero: “Guardi troppo intensamente!”.
10-12e la disposizion ch’a veder èe / ne li occhi pur testé dal sol percossi, / sanza la vista alquanto esser mi fée.E la condizione degli occhi che hanno appena fissato il sole mi fece restare per un po’ senza la vista, abbagliato.
13-15Ma poi ch’al poco il viso riformossi / (e dico ‘al poco’ per rispetto al molto / sensibile onde a forza mi rimossi),Ma dopo che la mia vista si riadattò al poco (e dico ‘al poco’ in confronto alla grande luminosità da cui fui costretto a distogliermi),
16-18vidi ‘n sul braccio destro esser rivolto / lo glorïoso essercito, e tornarsi / col sole e con le sette fiamme al volto.Vidi che la gloriosa processione si era rivolta verso destra e tornava indietro avendo di fronte il sole e le sette fiamme (i sette candelabri).
19-21Come sotto li scudi per salvarsi / volgesi schiera, e sé gira col segno, / prima che possa tutta in sé mutarsi;Come un esercito che per proteggersi si volta sotto gli scudi e gira su se stesso seguendo il proprio stendardo, prima di poter cambiare completamente direzione;
22-24quella milizia del celeste regno / che procedeva, tutta trapassonne / pria che piegasse il carro il primo legno.Così quella milizia del regno celeste che procedeva in avanti passò tutta davanti a noi prima che il timone del carro cambiasse direzione.
25-27Indi a le rote si tornar le donne, / e ‘l grifon mosse il benedetto carco / sì, che però nulla penna crollonne.Quindi le donne (le virtù) tornarono vicino alle ruote del carro, e il Grifone mosse il benedetto carico in modo tale che nessuna penna delle sue ali ne fosse scossa.
28-30La bella donna che mi trasse al varco / e Stazio e io seguitavam la rota / che fé l’orbita sua con minore arco.La bella donna che mi aveva fatto attraversare il fiume (Matelda), Stazio e io seguivamo la ruota destra che compiva il suo giro con un arco più piccolo (perché girava all’interno).
31-33Sì passeggiando l’alta selva vòta, / colpa di quella ch’al serpente crese, / temprava i passi un’angelica nota.Così camminando attraverso l’alta selva vuota, a causa della colpa di Eva che credette al serpente, un canto angelico accompagnava i nostri passi.
34-36Forse in tre voli tanto spazio prese / disfrenata saetta, quanto eramo / rimossi, quando Bëatrice scese.Forse una freccia scoccata con forza percorrerebbe in tre lanci tanto spazio quanto ne avevamo percorso noi, quando Beatrice scese dal carro.
37-39Io senti’ mormorare a tutti “Adamo”; / poi cerchiaro una pianta dispogliata / di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo.Udii tutti mormorare il nome “Adamo”; poi si disposero in cerchio attorno a una pianta completamente spoglia di foglie e di ogni altra fronda in ciascun ramo.
40-42La coma sua, che tanto si dilata / più quanto più è sù, fora da l’Indi / ne’ boschi lor per altezza ammirata.La sua chioma, che si allarga tanto più quanto più sale in alto, sarebbe ammirata per l’altezza persino dagli Indiani nei loro boschi.
43-45“Beato se’, grifon, che non discindi / col becco d’esto legno dolce al gusto, / poscia che mal si torce il ventre quindi”.“Beato sei tu, Grifone, che non spezzi con il becco questo legno dal frutto dolce al gusto, poiché da esso il ventre si torce nel male” (chi ne mangia si corrompe).
46-48Così dintorno a l’albero robusto / gridaron li altri; e l’animal binato: / “Sì si conserva il seme d’ogne giusto”.Così gridarono tutti gli altri attorno all’albero robusto; e l’animale dalla doppia natura rispose: “Così si preserva il seme di ogni giustizia”.
49-51E vòlto al temo ch’elli avea tirato, / trasselo al piè de la vedova frasca, / e quel di lei a lei lasciò legato.E rivoltosi al timone che aveva tirato, lo trascinò fino al piede della vedova pianta (spoglia), e quello che proveniva da lei lo lasciò legato a lei.
52-54Come le nostre piante, quando casca / giù la gran luce mischiata con quella / che raggia dietro a la celeste lasca,Come le nostre piante terrestri, quando cade la grande luce del sole mescolata con quella che irradia dietro alla costellazione dei Pesci (in primavera),
55-57turgide fansi, e poi si rinovella / di suo color ciascuna, pria che ‘l sole / giunga li suoi corsier sotto altra stella;Si gonfiano di linfa, e poi ciascuna si rinnova nel suo colore, prima che il sole conduca i suoi cavalli (i raggi) sotto un’altra costellazione;
58-60men che di rose e più che di vïole / colore aprendo, s’innovò la pianta, / che prima avea le ramora sì sole.Così, aprendo un colore meno intenso delle rose e più intenso delle viole, si rinnovò la pianta che prima aveva i rami così spogli.
61-63Io non lo ‘ntesi, né qui non si canta / l’inno che quella gente allor cantaro, / né la nota soffersi tutta quanta.Io non compresi, né qui sulla Terra si canta, l’inno che quelle anime allora cantarono, né riuscii a sopportare l’intera melodia fino alla fine.
64-66S’io potessi ritrar come assonnaro / li occhi spietati udendo di Siringa, / li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro;Se io potessi descrivere come si addormentarono gli occhi spietati di Argo ascoltando la storia di Siringa, quegli occhi per i quali il vegliare costò così caro (la vita);
67-69come pintor che con essempro pinga, / disegnerei com’io m’addormentai; / ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga.Come un pittore che dipinge seguendo un modello, descriverei come mi addormentai; ma chiunque voglia rappresentare bene il sonno lo faccia pure.
70-72Però trascorro a quando mi svegliai, / e dico ch’un splendor mi squarciò ‘l velo / del sonno, e un chiamar: “Surgi: che fai?”.Perciò passo direttamente al momento in cui mi svegliai, e dico che uno splendore squarciò il velo del mio sonno, e una voce che chiamava: “Alzati: che fai?”.
73-75Quali a veder de’ fioretti del melo / che del suo pome li angeli fa ghiotti / e perpetüe nozze fa nel cielo,Come quando furono condotti a vedere i fioretti del melo (l’albero che rappresenta Cristo) che con il suo frutto rende ghiotti gli angeli e celebra perpetue nozze in cielo,
76-78Pietro e Giovanni e Iacopo condotti / e vinti, ritornaro a la parola / da la qual furon maggior sonni rotti,Pietro, Giovanni e Giacomo condotti sul monte Tabor e sopraffatti dal sonno, ritornarono in sé alla parola di Cristo che interruppe sonni ben più profondi (risuscitando i morti),
79-81e videro scemata loro scuola / così di Moïsè come d’Elia, / e al maestro suo cangiata stola;E videro diminuita la loro compagnia sia di Mosè che di Elia (scomparsi), e cambiata la veste del loro maestro (Cristo tornato al suo aspetto normale);
82-84tal torna’ io, e vidi quella pia / sovra me starsi che conducitrice / fu de’ miei passi lungo ‘l fiume pria.Così tornai in me, e vidi quella donna pia (Matelda) starmi sopra, lei che era stata la guida dei miei passi lungo il fiume prima.
85-87E tutto in dubbio dissi: “Ov’è Beatrice?”; / Ond’ella: “Vedi lei sotto la fronda / nova sedere in su la sua radice.E tutto dubbioso chiesi: “Dov’è Beatrice?”; E lei rispose: “Guarda lei seduta sotto il nuovo fogliame, sulla radice dell’albero.
88-90Vedi la compagnia che la circonda: / li altri dopo ‘l grifon sen vanno suso / con più dolce canzone e più profonda”.Vedi la compagnia che la circonda: gli altri seguono il Grifone verso l’alto con un canto più dolce e più profondo”.
91-93E se più fu lo suo parlar diffuso, / non so, però che già ne li occhi m’era / quella ch’ad altro intender m’avea chiuso.E se le sue parole furono più lunghe, non lo so, però che ormai Beatrice era nei miei occhi e mi aveva precluso la possibilità di prestare attenzione ad altro.
94-96Sola sedeasi in su la terra vera, / come guardia lasciata lì del plaustro / che legar vidi a la biforme fera.Lei sedeva sola sulla vera terra (del Paradiso terrestre), come custode lasciata lì del carro che avevo visto legare all’animale dalla doppia natura.
97-99In cerchio le facevan di sé claustro / le sette ninfe, con quei lumi in mano / che son sicuri d’Aquilone e d’Austro.Le sette donne (le virtù) le facevano cerchio attorno come un chiostro, con quelle fiaccole in mano che sono al sicuro da Aquilone (vento del nord) e Austro (vento del sud).
100-102“Qui sarai tu poco tempo silvano; / e sarai meco sanza fine cive / di quella Roma onde Cristo è romano.“Qui sarai tu per poco tempo abitante di questa selva; e sarai con me per sempre cittadino di quella Roma (il Paradiso) di cui Cristo è cittadino.
103-105Però, in pro del mondo che mal vive, / al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, / ritornato di là, fa che tu scrive”.Perciò, per il bene del mondo che vive nel male, tieni ora gli occhi fissi sul carro, e quello che vedi, una volta tornato sulla Terra, fa in modo di scriverlo”.
106-108Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi / d’i suoi comandamenti era divoto, / la mente e li occhi ov’ella volle diedi.Così parlò Beatrice; e io, che ero tutto devoto ai suoi comandamenti, rivolsi la mente e gli occhi dove lei voleva.
109-111Non scese mai con sì veloce moto / foco di spessa nube, quando piove / da quel confine che più va remoto,Non scese mai con movimento così veloce il fulmine da una nube densa, quando cade da quella regione dell’atmosfera che è più lontana dalla terra,
112-114com’io vidi calar l’uccel di Giove / per l’alber giù, rompendo de la scorza, / non che d’i fiori e de le foglie nove;Come vidi scendere l’aquila di Giove (simbolo dell’Impero romano) giù attraverso l’albero, strappando la corteccia, per non parlare dei fiori e delle foglie nuove;
115-117e ferì ‘l carro di tutta sua forza; / ond’el piegò come nave in fortuna, / vinta da l’onda, or da poggia, or da orza.E colpì il carro con tutta la sua forza; per cui esso si piegò come una nave in tempesta, vinta dall’onda, ora da un lato, ora dall’altro.
118-120Poscia vidi avventarsi ne la cuna / del trïunfal veiculo una volpe / che d’ogne pasto buon parea digiuna;Poi vidi slanciarsi dentro la cassa del carro trionfale una volpe (simbolo delle eresie) che sembrava digiuna di ogni buon nutrimento;
121-123ma, riprendendo lei di laide colpe, / la donna mia la volse in tanta futa / quanto sofferser l’ossa sanza polpe.Ma Beatrice, rimproverandola delle sue colpe turpi, la mise in fuga così veloce quanto le permettevano le ossa senza carne.
124-126Poscia per indi ond’era pria venuta, / l’aguglia vidi scender giù ne l’arca / del carro e lasciar lei di sé pennuta;Poi vidi l’aquila scendere di nuovo da dove era venuta prima, dentro la cassa del carro, e lasciarla ricoperta delle sue penne;
127-129e qual esce di cuor che si rammarca, / tal voce uscì del cielo e cotal disse: / “O navicella mia, com’ mal se’ carca!”.E come esce da un cuore addolorato, tale voce uscì dal cielo e così disse: “O mia piccola nave, come sei mal carica!” (riferito alla donazione di Costantino).
130-132Poi parve a me che la terra s’aprisse / tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago / che per lo carro sù la coda fisse;Poi mi sembrò che la terra si aprisse tra le due ruote, e vidi uscirne un drago (simbolo di Satana o dello scisma) che conficcò la coda nel fondo del carro;
133-135e come vespa che ritragge l’ago, / a sé traendo la coda maligna, / trasse del fondo, e gissen vago vago.E come una vespa che ritrae il pungiglione, ritirando a sé la coda maligna, strappò parte del fondo del carro, e se ne andò vagando qua e là.
136-138Quel che rimase, come da gramigna / vivace terra, da la piuma, offerta / forse con intenzion sana e benigna,Quello che rimase del carro, come una terra fertile invasa dalla gramigna, fu ricoperto dalle piume lasciate dall’aquila, offerte forse con intenzione sana e benigna,
139-141si ricoperse, e funne ricoperta / e l’una e l’altra rota e ‘l temo, in tanto / che più tiene un sospir la bocca aperta.Si ricoprì completamente, e furono ricoperti sia l’una che l’altra ruota e il timone, in un tempo più breve di quanto si tenga la bocca aperta per un sospiro.
142-144Trasformato così ‘l dificio santo / mise fuor teste per le parti sue, / tre sovra ‘l temo e una in ciascun canto.Trasformato così, il sacro edificio (la Chiesa corrotta) mise fuori delle teste dalle sue parti: tre sopra il timone e una su ciascun angolo.
145-147Le prime eran cornute come bue, / ma le quattro un sol corno avean per fronte: / simile mostro visto ancor non fue.Le prime tre avevano corna come un bue (i vizi capitali), ma le quattro avevano un solo corno sulla fronte: non si era mai visto un mostro simile.
148-150Sicura, quasi rocca in alto monte, / seder sovresso una puttana sciolta / m’apparve con le ciglia intorno pronte;Sicura come una rocca su un alto monte, mi apparve seduta sopra di esso una meretrice sfacciata con gli occhi audaci che guardavano intorno;
151-153e come perché non li fosse tolta, / vidi di costa a lei dritto un gigante; / e basciavansi insieme alcuna volta.E come per impedire che gli fosse tolta, vidi ritto accanto a lei un gigante; e si baciavano insieme di tanto in tanto.
154-156Ma perché l’occhio cupido e vagante / a me rivolse, quel feroce drudo / la flagellò dal capo infin le piante;Ma poiché ella rivolse a me l’occhio cupido e vagante, quel feroce amante la flagellò dalla testa ai piedi;
157-160poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, / disciolse il mostro, e trassel per la selva, / tanto che sol di lei mi fece scudo / a la puttana e a la nova belva.Poi, pieno di sospetto e crudele d’ira, sciolse il mostro, e trassel per la selva, tanto che sol di lei mi fece scudo a la puttana e a la nova belva.

Canto 32 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 32 del Purgatorio si presenta articolato in tre sezioni principali che scandiscono un momento cruciale del percorso dantesco. Questa strutturazione tripartita riflette l’evoluzione spirituale del poeta nel Paradiso Terrestre, dove la narrazione si concentra sul passaggio dalla contemplazione estatica di Beatrice alla visione allegorica della storia della Chiesa.

Nella prima sezione (vv. 1-36), Dante appare completamente assorto nella contemplazione di Beatrice, tanto che i suoi occhi sono “fissi e attenti a disbramarsi la decenne sete”, riferimento al desiderio di rivederla che durava da dieci anni, dalla morte della donna. Questa contemplazione è così intensa da rendere il poeta insensibile a tutto ciò che lo circonda, finché le figure femminili che lo accompagnano non lo richiamano con un “Troppo fiso!”, invitandolo a non perdere di vista il resto della processione mistica.

Il poeta paragona la sua condizione a quella di chi ha fissato il sole durante un’eclissi e ne ha temporaneamente compromesso la vista.

La seconda sezione (vv. 37-99) si sviluppa attorno alla processione mistica che si ferma davanti a un albero spoglio, identificabile con l’albero della conoscenza del bene e del male. Il grifone, figura allegorica con testa d’aquila e corpo di leone che rappresenta Cristo nella sua duplice natura divina e umana, lega il timone del carro (simbolo della Chiesa) all’albero.

Questo gesto provoca un miracolo: l’albero, fino ad allora privo di foglie e frutti, si riveste improvvisamente di fiori e foglie di un colore rosso-porpora, simboleggiando come la redenzione operata da Cristo abbia trasformato l’originale albero del peccato in albero di vita. Dante, sopraffatto da queste visioni, cade in un sonno profondo da cui viene svegliato da uno splendore abbagliante. Al risveglio, trova Beatrice seduta alla radice dell’albero, circondata dalle sette ninfe (rappresentazione delle virtù teologali e cardinali) che tengono in mano i sette candelabri, simbolo dei doni dello Spirito Santo.

La terza sezione (vv. 100-160) costituisce il culmine del canto e presenta una complessa visione allegorica che ripercorre la storia tormentata della Chiesa. Dante osserva il carro subire una serie di trasformazioni e attacchi che simboleggiano le tribolazioni storiche dell’istituzione ecclesiastica: un’aquila che precipita sul carro, una volpe che sale sul carro, l’aquila che lascia le sue penne sul carro, un drago che emerge dalla terra e infigge la sua coda nel carro, il carro che si ricopre interamente di piume, la trasformazione del carro in un mostro con sette teste e l’apparizione di una prostituta seduta sul carro insieme a un gigante.

La visione si conclude con il gigante che flagella la prostituta e trascina il carro nella foresta, alludendo al trasferimento della sede papale ad Avignone. Questo canto rappresenta un passaggio cruciale, in cui la guida di Virgilio cede il passo a quella di Beatrice e il poeta si confronta con la duplice natura della storia umana e divina.

Canto 32 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Nel Canto 32 del Purgatorio, uno dei più densi di simbolismo dell’intera Divina Commedia, Dante costruisce un complesso affresco di personaggi, ciascuno con un preciso significato allegorico e teologico.

Dante protagonista si presenta in una particolare condizione spirituale, completamente assorto nella contemplazione della sua amata. Il suo sguardo è così intensamente fissato su Beatrice da provocare una sospensione dei sensi, simbolo dell’elevazione dell’anima verso il divino. La sua “decenne sete” esprime il desiderio spirituale rimasto insoddisfatto nei dieci anni trascorsi dalla morte di Beatrice.

In questo canto, Dante è sia testimone che interprete della visione allegorica, in una posizione di passività contemplativa che precede l’acquisizione di una nuova consapevolezza spirituale.

Beatrice, figura centrale del canto, ha ormai sostituito definitivamente Virgilio come guida del poeta. Se Virgilio rappresentava la ragione umana, Beatrice incarna la Teologia e la Rivelazione divina. Il suo ruolo è duplice: da un lato è oggetto di contemplazione amorosa, dall’altro è maestra che interpreta per Dante i significati nascosti della processione allegorica.

Il suo sguardo, che all’inizio intimidisce Dante, diviene gradualmente fonte di serenità e comprensione. Beatrice siede ai piedi dell’albero della conoscenza rinverdito, simboleggiando il ruolo della conoscenza teologica nel percorso di redenzione umana.

Il grifone è uno dei personaggi simbolici più potenti del canto. Creatura mitologica con testa e ali d’aquila e corpo di leone, rappresenta Cristo nella sua duplice natura: divina e umana. Le sette ninfe, invece, rappresentano le virtù teologali e cardinali, circondando Beatrice e accompagnando il poeta nella sua visione allegorica.

Nella seconda parte del canto, altre figure allegoriche – l’aquila, la volpe, il drago, la prostituta e il gigante – evidenziano le vicissitudini della storia ecclesiastica e la corruzione del potere temporale.

Analisi del Canto 32 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto 32 del Purgatorio costituisce un momento cruciale nel percorso di purificazione di Dante, rappresentando il culmine simbolico dell’esperienza purgatoriale prima dell’ascesa al Paradiso. La narrazione, densa di allegorie e riferimenti biblici, si sviluppa attraverso tre momenti fondamentali che rivelano la complessità tematica dell’opera.

Il primo elemento tematico centrale è la transizione spirituale del protagonista. Dante, ancora incantato dalla contemplazione di Beatrice, viene richiamato dalle “dee” per assistere alla rivelazione allegorica. Questo distacco forzato simboleggia il necessario equilibrio tra contemplazione e azione, tema ricorrente nell’intera Commedia.

La “decenne sete” che Dante cerca di saziare guardando Beatrice rappresenta il desiderio dell’anima di ricongiungersi con la verità divina dopo lo smarrimento nella selva oscura del peccato.

La processione mistica è il nucleo narrativo del canto, in cui il carro, legato all’albero della conoscenza, simboleggia la Chiesa rinnovata dalla venuta di Cristo. Sul piano storico, Dante intreccia il rapporto tra la storia sacra e quella umana, mentre le trasformazioni del carro denunciano la corruzione ecclesiastica.

Infine, la profezia annunciata da Beatrice, con il riferimento al “cinquecento dieci e cinque”, prefigura un intervento divino destinato a ristabilire l’ordine spirituale.

Figure retoriche nel Canto 32 del Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 32 del Purgatorio è ricco di figure retoriche che Dante utilizza per esprimere concetti teologici complessi e veicolare il significato allegorico della sua narrazione. L’uso sapiente di questi strumenti stilistici permette al poeta di rendere più accessibili e vivide le immagini simboliche che caratterizzano questo fondamentale passaggio dell’opera.

Tra le metafore più significative troviamo la celebre “decenne sete”, che esprime il desiderio intenso di rivedere Beatrice, e l’immagine dell'”antica rete”, simbolo dell’amore che continua a legare il poeta alla sua musa. Le similitudini sono usate per descrivere la violenza degli eventi, come il movimento dell’aquila, paragonata al “foco di spessa nube” che scende dal cielo, o alla condizione di timore reverenziale di Dante di fronte alla presenza imponente di Beatrice.

Le iperboli accentuano l’intensità delle visioni: gli occhi di Dante, “fissi e attenti”, sono raffigurati come capaci di spegnere tutti gli altri sensi, mentre il rinverdire miracoloso dell’albero accentua il passaggio dal peccato alla redenzione.

Canto 32 del Purgatorio in pillole

ElementoDescrizione sintetica
AmbientazioneParadiso Terrestre: Dante assiste a una visione simbolica sulla storia della Chiesa.
Personaggi principaliDante, Beatrice, l’aquila, la volpe, il drago, la prostituta, il gigante.
Evento principaleDopo la processione, Beatrice invita Dante a osservare un albero spoglio (simbolo dell’albero della conoscenza).
Simboli chiaveCarro: la Chiesa
Aquila: l’Impero Romano
Volpe: l’eresia
Drago: Satana
Prostituta: la Chiesa corrotta
Gigante: il potere temporale che la domina.
Significato allegoricoRappresentazione della storia e della corruzione della Chiesa, passata dall’essere pura alla perdita della propria spiritualità a causa del potere terreno.
Ruolo di BeatriceGuida e figura di verità divina: invita Dante a riflettere sul senso profondo della visione.
Tema centraleCorruzione della Chiesa e decadenza morale rispetto agli ideali originari del cristianesimo.
Tono e atmosferaSolenne e profetica, con immagini fortemente simboliche e apocalittiche.
Messaggio finaleLa Chiesa potrà tornare pura solo quando si libererà dal potere temporale e tornerà alla sua missione spirituale.

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