Al centro delle indagini di Gottlob Frege (1848-1925) fu il problema del rigore della matematica: matematico e logico tedesco, nonchè professore all’università di Jena, egli ritenne, diversamente da molti altri matematici, che tale problema non potesse essere risolto con gli apparati tecnici della matematica stessa, neppure con quelli dell’aritmetica. A suo avviso, la validità della nostra conoscenza delle verità aritmetiche poteva essere fondata soltanto definendo i concetti aritmetici in termini logici. Questa posizione, che assegna alla logica il ruolo di fondamento della matematica, viene detta ” logicismo “. Secondo Frege, fondare l’aritmetica equivale a mostrare che tra le sue verità esiste una connessione oggettiva e necessaria, priva di lacune. Il che richiede che le proposizioni aritmetiche siano inserite in una totalità sistematica, rigorosamente deduttiva, mediante un linguaggio capace di esporre tutti gli enunciati necessari alla deduzione e soltanto essi, senza alcun riferimento all’intuizione. Per tale scopo non può essere utilizzato il linguaggio comune, che non possiede requisiti sufficienti di precisione e di correttezza ed ò inadeguato ad esprimere relazioni e passaggi più complicati. Per evitare le ambiguità , che pervadono il linguaggio comune, bisogna dunque elaborare un linguaggio formalizzato, una ideografia (in tedesco “Begriffschrift”): esso ò costruito da Frege in un’opera che ha appunto questo titolo, pubblicata nel 1879. Tale linguaggio ò composto di simboli e utilizza il modo di impiego delle lettere dell’alfabeto, che ha luogo nell’aritmetica, ma tali simboli devono essere scritti, non parlati, per evitare ogni contaminazione con la sfera delle rappresentazioni. Si tratta, dunque, di un linguaggio artificiale formalizzato, nel quale si rende visibile, secondo Frege, la struttura del pensiero. Così per esempio, la deduzione di conseguenze si mostra visivamente nel fatto che esse vengono dopo nella pagina scritta. Il nucleo di questo linguaggio ò costituito dalla proposizione, la cui natura consiste nella possibilità di essere affermata o negata come un tutto, a prescindere dal modo in cui ò formata linguisticamente. Per esempio, gli enunciati “a Platea i Greci sconfissero i Persiani” e “a Platea i Persiani furono sconfitti dai Greci” sono diversi sul piano linguistico, ma hanno lo stesso contenuto concettuale e soltanto questo ò rilevante per l’ideografia: in questo senso, la proposizione costituisce una dimensione oggettiva del pensiero. Per formulare le relazioni tra le proposizioni si fa riferimento solo a questo contenuto concettuale, e quindi, ai valori di verità delle proposizioni. Ciò che, invece, non può essere espresso nel linguaggio dell’ideografia sono le regole di formazione e di trasformazione delle espressioni, perchè queste sono il fondamento dell’ideografia stessa. Questo primo tentativo di Frege di costruire un linguaggio integralmente formale non ebbe successo tra i suoi contemporanei: egli, però, non abbandonò l’idea che tutte le proposizioni aritmetiche fossero derivabili in modo puramente logico da alcune definizioni. Mentre per la geometria sono necessari assiomi che si riferiscono a un dominio particolare, ossia allo spazio, i princìpi dell’aritmetica, secondo Frege, si estendono a tutto il pensabile: infatti, egli dice, ” può essere contato tutto ciò che può diventare oggetto del pensiero “. Alla definizione del concetto di numero, Frege dedica la sua opera successiva, Fondazioni dell’aritmetica (1884), nella quale prende posizione contro le teorie empiristiche, psicologistiche e formalistiche del numero; l’empirismo, nella formulazione che ne ha dato John Stuart Mill, per esempio, concependo i numeri come generalizzazioni a partire dalla nostra esperienza di raggruppamenti di oggetti discreti, non ò in grado di fondare la certezza e la generalità della nozione di numero e delle operazioni fondate su essa. Lo psicologismo, identificando i numeri con i processi mentali che portano a usarli, priva il numero della sua oggettività . Il formalismo, infine, concependo i numeri come semplici segni e l’aritmetica come un gioco basato sui segni, non rende conto della possibilità di applicare i numeri alle situazioni empiriche. Errore generale ò di presupporre che ciò che ò oggettivo debba esistere nello spazio e nel tempo, ma i numeri hanno la prerogativa di essere oggettivi, senza essere sensibili, nè legati allo spazio e al tempo. Un’entità fisica, in sè e per sè, non ha alcun numero specifico, cosicchò ciò che ò numerato non ò un insieme di oggetti, bensì un concetto. Quando si pronuncia un giudizio numerico, il numero viene applicato a un concetto, che non deve essere confuso con le rappresentazioni mentali individuali: il concetto, infatti, ò un oggetto di ragione. Tra numero e concetto c’ò una relazione analoga a quella che intercorre tra qualità e oggetto: come la qualità ò attribuita a un oggetto, così il numero ò attribuito a un concetto (ad esempio, uomini o alberi, ecc). Ciò significa che il concetto ò oggettivo, altrimenti non sarebbe possibile attribuire ad esso un numero: a un concetto spetta il numero 0 se sotto di esso non cade alcun oggetto, il numero 1 se sotto di esso cade uno e un solo oggetto e così via. Si può allora dire che ” il numero ò l’estensione di un concetto ” e un concetto, in quanto ha estensione, si riferisce a una classe di oggetti, sicchò due concetti hanno lo stesso numero quando hanno la stessa estensione. In tal modo, Frege riesce a definire il concetto di ” avere lo stesso numero ” mediante le nozioni puramente logiche di “classe” e di “estensione”. Analogamente, egli procede a definire la serie dei numeri, a cominciare dallo 0, sempre mediante nozioni meramente logiche. Le nozioni di numero, concetto e oggetto ponevano una serie di problemi, affrontati da Frege in una serie di brevi saggi, intitolati Funzione e concetto (1891), Concetto e oggetto (1892), e Senso e significato (1892). In particolare, si trattava di affrontare il problema del significato dei nomi e delle proposizioni, la cui soluzione ò essenziale anche per cogliere il contenuto conoscitivo della logica e della matematica. Per analizzare la natura della proposizione, Frege, anzichè usare i termini tradizionali di soggetto e predicato, introduce le nozioni di argomento e di funzione. Prendiamo ad esempio la proposizione “Cesare conquistò la Gallia”, la quale ò costituita di due parti “Cesare” e “conquistò la Gallia”, dette rispettivamente “argomento” e “funzione”. La funzione ò la parte “insatura” della proposizione, in quanto la proposizione acquista senso compiuto soltanto mediante un nome proprio (ovvero un “argomento”) che rende satura la funzione; la funzione ò la parte che resta fissa in una proposizione, mentre l’argomento ò la parte sostituibile, cioò ò una variabile. La funzione “⦠conquistò la Gallia” può infatti essere saturata con l’argomento “Cesare” e, in tal caso, si avrà una proposizione vera, o con altri argomenti, come per esempio “Cristoforo Colombo” e, in tal caso, risulterà una proposizione falsa. Alle funzioni corrispondono, secondo Frege, concetti e proprietà , mentre agli argomenti, ovvero ai nomi propri, corrispondono oggetti e individui. Porsi la domanda: “a quali entità si riferisce una funzione? ” ò privo di senso, perchè una funzione, per esempio “⦠conquistò la Gallia”, non nomina un oggetto, che ò un’entità completa in sè. Questo non vuol dire che la funzione non abbia un senso nel contesto complessivo della proposizione: si tratta, allora, di chiarire che cosa si debba intendere per ” senso “. Due espressioni possono riferirsi ad uno stesso oggetto, ma in modo diverso. Per esempio, le espressioni “la stella del mattino” e “la stella della sera” si riferiscono ad uno stesso oggetto, poichè in seguito ad una scoperta astronomica ò risultato che si tratta della stessa stella; Frege afferma che, in quanto si riferiscono allo stesso oggetto, le due espressioni hanno lo stesso significato, ma esse si riferiscono allo stesso oggetto in modo diverso: questo modo di riferirsi ò il loro “senso”. Da ciò consegue che due espressioni possono avere lo stesso significato, ma sensi diversi. Il significato di un “nome proprio” (intendendo per nome proprio non solo “Marco”, ma anche quelle che Russell chiamerà descrizioni definite, per esempio, “il padre di Marco”) ò, dunque, l’oggetto di cui esso ò il nome, mentre il senso ò il modo in cui ò pensato tale oggetto, che resta sempre unico. Ciò non vuol dire che il senso coincida con la rappresentazione mentale di un oggetto, la quale ò meramente soggettiva, variabile da individuo a individuo e sostanzialmente privata, incomunicabile; il senso ha, invece, carattere oggettivo e intersoggettivo, può essere comunicato e compreso anche da altri. Senso e significato dei nomi propri si costituiscono però non tanto isolatamente, quanto nel contesto di una proposizione. Ogni enunciato, secondo Frege, contiene un pensiero ( in tedesco “Gedanke”), che non ò un atto puramente soggettivo, ma ha un contenuto oggettivo, che si cerca di preservare quando si traduce da una lingua all’altra: questo pensiero ò il senso, non il significato dell’enunciato. Prendiamo ad esempio gli enunciati “la stella del mattino ò un corpo illuminato dal sole” e “la stella della sera ò un corpo illuminato dal sole”: essi hanno lo stesso significato, perchè hanno lo stesso riferimento oggettivo, ma hanno sensi diversi, cioò contengono pensieri diversi. Il che significa che dall’identità del significato non segue necessariamente l’identità del pensiero espresso: due espressioni possono essere identiche per quel che riguarda il significato, ma parlarne in modo diverso, esprimendo pensieri diversi. Il significato di una proposizione non ò il pensiero che essa contiene, ma il suo valore di verità , ovvero la circostanza che essa sia vera o falsa. Questo avviene quando, come abbiamo visto, la funzione viene saturata mediante l’argomento: tale saturazione rende la proposizione vera o falsa e, quindi, conferisce significato alla proposizione stessa. La ricerca della verità , che sola può condurre all’acquisizione di conoscenze nuove, può allora essere interpretata come un avanzamento dal senso al significato, cioò dal rilevamento dei pensieri contenuti in una proposizione all’accertamento della sua verità o falsità . Ma vero o falso sono, secondo Frege, oggetti e un enunciato non ò altro che il nome di uno dei due; ciò comporta che tutti gli enunciati veri hanno lo stesso riferimenti, ossia il vero, e così tutti gli enunciati falsi, ossia il falso; e così tutte le proposizioni vere della matematica hanno lo stesso significato e la matematica stessa ò una grande tautologia, nella quale però ogni passaggio ha valore conoscitivo. Sulla fondazione dell’aritmetica Frege sarebbe ritornato nella sua ultima, vasta opera, le Leggi fondamentali dell’aritmetica, derivate ideograficamente, pubblicata in due volumi nel 1893 e nel 1903. Nell’appendice al secondo volume, egli avrebbe rilevato che la scoperta delle “antinomie”, segnalatagli da Bertrand Russell, rendeva impossibile passare da un concetto alla sua estensione e, quindi, parlare di classi. In questo modo, a suo avviso, l’edificio della logica veniva scardinato e Frege prendeva atto della vanità del suo progetto di fondare la matematica sulla logica.
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