Carattere molto particolare ebbe il pragmatismo di Giovanni Vailati (1863-1909). Di formazione scientifico-matematica (fu allievo del grande studioso Giuseppe Peano ed ebbe incarichi di insegnamento all’università di Torino), Vailati manifestò subito vivi interessi per l’epistemologia e la storia delle scienze, espressi in un primo tempo in tre importanti prolusioni accademiche (1896-1899). Nella prima ( Sull’importanza delle ricerche relative alla storia delle scienze ) Vailati difende il “mondo di carta” (i libri, le teorie) studiato dagli storici contro il primato dei puri fatti d’esperienza. Nella seconda ( Il metodo deduttivo come strumento di ricerca ) egli polemizza contro il privilegiamento positivistico dell’induzione, rivendicando l’utilità euristica della deduzione e dello stesso sillogismo. Nella terza ( Alcune osservazioni sulle questioni di parole nella storia della scienza e della cultura ) egli mostra tutto il peso teorico del linguaggio, talvolta maggiore delle “questioni di fatto” accentuate unilateralmente dagli empiristi. E’ proprio nel corso di questi studi che Vailati si allontanerà dai positivisti, accostandosi a quei filosofi e scienziati stranieri che potevano indicargli strade alternative. Studiò così, tra i primi in Italia, Mach, Brentano e Russell. Allontanatosi dall’ambiente universitario, capitò nei primi anni del nuovo secolo a Firenze, dove entrò in rapporto con Giovanni Papini, Prezzolini e il “Leonardo”, rivista d’avanguardia di ispirazione nietzscheana. Pur non condividendone certi orientamenti dei due nuovi animatori della rivista, Vailati collaborò al periodico fiorentino, elaborando un’interpretazione diversa e più rigorosa del pragmatismo rispetto a quella di Papini stesso. Spinto dai suoi interessi epistemologici, antepose Peirce a James e si diede ad approfondire problemi strettamente teorici, quali la funzione e la controllabilità degli enunciati linguistici, la questione del significato e della verità , i rapporti tra la filosofia pragmatistica e la logica matematica. A quest’ultimo tema ò dedicato un importante articolo del 1906. Vailati vi esprime un significativo elogio di Peirce, e sottolinea le possibili, fruttuose convergenze tra pragmatismo e logicismo contemporaneo. Una di queste ò ravvisata nella teoria del significato, per la “comune tendenza” dei due orientamenti teorici “a riguardare il valore, e il significato stesso, di ogni asserzione come qualche cosa di intimamente connesso all’impiego di determinate conseguenze”. Molto importante ò anche la critica di Vailati del valore oggettivo-assoluto attribuito dal sapere formale tradizionale ai postulati. A suo avviso, sia i logici matematici moderni sia certi pragmatisti hanno giustamente individuato nel postulato “delle proposizioni come tutte le altre, la cui scelta può essere diversa a seconda degli scopi ai quali la tradizione mira”. E’ assai opportuno, aggiunge Vailati, riconoscere ai postulati un “carattere di arbitrarietà “, ed essere ben consapevoli che la sola “giustificazione” delle proposizioni postulatorie “consiste nell’importanza e nell’utilità delle conseguenze che da esse sarà possibile trarre”. Come si vede, Vailati non soltanto distrugge ogni pretesa universalizzante assoluta coi postulati, ma ne sottolinea il carattere convenzionale: ossia il fatto che tali proposizioni sono costituite indipendentemente da vincoli oggettivi, in modo esclusivamente linguistico-formale, alla luce di determinate esigenze funzionali e di convenienza pratica. In tal modo Vailati media tra loro posizioni convenzionalistiche e posizioni pragmatistiche secondo quanto andava facendo una parte più avanzata dell’epistemologia moderna. Data questa prospettiva d’assieme, non reca meraviglia che nella conclusione del suo articolo Vailati insista sul “carattere strumentale delle teorie”, cioò sul fatto che le teorie debbono essere considerate “dei mezzi, degli ‘organismi’, la cui efficacia e potenza ò strettamente connessa alla loro agibilità , all’assenza d’ingombri, d’impacci ai loro movimenti”: ossia all’elaborazione di costrutti interpretativi elastici, utili e controllabili. Su un piano filosofico più generale, di particolare importanza ò il saggio su Le origini e l’idea fondamentale del pragmatismo (1909). Scritto in collaborazione con Mario Calderoni (altro grande eroe del pragmatismo ‘scientifico’ fiorentino), stabilisce alcune significative distinzioni all’interno del movimento pragmatistico. Vailati respinge soprattutto l’identificazione del pragmatismo con l’utilitarismo e col soggettivismo. Il pragmatismo ò, in realtà , una dottrina epistemologica riguardante i modi più rigorosi per verificare la validità degli enunciati linguistici e scientifici. A questo proposito Vailati sottolinea che il principio fondamentale del pragmatismo ò quello secondo cui “il solo mezzo di determinare e chiarire il senso di una asserzione consiste nell’indicare quali esperienze particolari si intenda con essa affermare che si produrranno, o si produrrebbero, date certe circostanze”. Una menzione particolare merita anche la simpatia che Vailati nutre per Berkeley: non certo per il Berkeley metafisico, ma per il sottile studioso della dipendenza cognitiva delle cose dalle passioni umane. In prima approssimazione, il riferimento a Berkeley ( presente anche in James, Peirce e Mach) serve a Vailati per distanziarsi da ogni concezione ingenuamente realistica del mondo. D’altra parte lo studioso italiano cerca di delineare un’originale interpretazione del filosofo irlandese in chiave non soggettivistico-percezionistica, ma metodologico-formale. In altri termini, Vailati tende a sostenere (leggendo assai liberamente Berkeley) che l’essere di un fenomeno dipende non tanto dal suo immediato essere-percepito, bensì dalle condizioni formali, dalle esperienze possibili (le une e le altre tutt’altro che soggettive, anzi suscettibili di rigorosi controlli oggettivi) nelle quali l’osservatore considera il fenomeno dato. “Così quando diciamo che un oggetto ha un determinato colore, non intendiamo dire che percepiamo il colore in questione, ma che lo percepiamo in certe circostanze (data cioò una certa luce, o dato che il nostro sguardo sia verso di esso ecc. )”.
- 1800
- Filosofia - 1800