Gli Indifferenti - Studentville

Gli Indifferenti

Trama e analisi del romanzo Gli indifferenti di Alberto Moravia.

Alberto Pincherle (questo il suo vero cognome) nasce a Roma nel 1907 da una famiglia agiata e benestante; il padre era di origine ebraica. A nove anni si ammala di tubercolosi ossea: una malattia che lo segnerà profondamente e che condizionerà la sua vita quotidiana fino all'adolescenza. Alberto infatti è costretto a seguire irregolarmente gli studi e deve trascorrere lunghi periodi a letto e anche un periodo in sanatorio. La malattia alimenta un'ossessiva passione per la lettura, e la vocazione alla scrittura del giovane. La sua prima opera esce nel 1929, quando Alberto aveva 22 anni: il romanzo Gli indifferenti. Il successo di pubblico è molto grande e ci sono anche interventi critici entusiastici. Cominciano i problemi anche con il fascismo, perché la descrizione della società borghese basata sul vuoto dei valori e sull´indifferenza a ogni spinta ideali che usciva dal romanzo non andava d´accordo con la propaganda del regime. Sono questi gli anni in cui il fascismo, arrivato al potere per via costituzionale, si sta organizzando e consolidando come regime.

Nel 1938, con l´avvento delle leggi razziali, alla fama di scrittore sovversivo si somma la colpa di un'origine ebraica; cominciano i problemi anche con la polizia. Comincia anche ad interessarsi attivamente di politica. Nel 1941 sposa la scrittrice Elsa Morante. Dopo la fine della guerra Moravia si stabilisce a Roma; continuano a uscire i suoi romanzi e intanto iniziano collaborazioni a quotidiani e periodici: per la coppia Moravia-Morante hanno fine le difficoltà economiche. Nel 1952 gli viene assegnato il Premio Strega per Il conformista. Intanto la Chiesa boccia lo scrittore e tutti i suoi i libri vengono posti all´"Indice dei libri proibiti". Ma il successo aumenta e i suoi libri vedono le prime traduzioni all´estero e da essi vengono tratti dei film. Successivamente entra in crisi il rapporto con la Morante e Moravia si lega alla scrittrice Dacia Maraini. Dopo il 1970 le sue peregrinazioni si volgono verso l´Africa e abbiamo una serie di scritti in cui viene contrapposta la civiltà europea e occidentale ad una civiltà "altra", che non ha conosciuto e non ha subito il cosiddetto progresso.  Nel 1986 Moravia sposa Carmel Llera, di 47 anni piú giovane. L´ultima opera di Moravia, la raccolta di racconti La villa del venerdí, esce nel 1990, lo stesso anno della sua morte, a Roma.

Riassunto                                                                                            

Carla, la giovane figlia di Mariagrazia Ardengo, è insidiata da Leo Merumeci, amante della madre, il quale mira ad impadronirsi del patrimonio di famiglia. Merumeci è facilitato nel suo proposito dalla particolare situazione in cui si trova la ragazza, desiderosa di uscire da un’esistenza mediocre: tenta l’approccio una prima volta nel salotto della villa, ma ne è impedito a causa dell’arrivo della madre di lei, gelosa di ogni gesto e atteggiamento dell’amante, assolutamente ignara della situazione. Leo, dopo tanti tentativi, invita Carla a casa sua. Questi consumano momenti molto forti che lasciano la ragazza in una depressione ancor più dolente. Il tradimento di Leo è scoperto da Lisa, amica di famiglia degli Ardengo, innamorata respinta di Michele, fratello di Carla e vecchio amore di Leo, contro la quale si rivolge ogni gelosia di Mariagrazia. Lisa rivela a Michele il nuovo imbroglio amoroso di Leo: il giovane, incline a una vita fondata più sui sogni e le fantasticherie, che su un’effettiva partecipazione al corso degli eventi concreti dell’esistenza, tenta di ribellarsi a questa assurda novità, affrontando ripetutamente Leo Merumeci fino a tentare di ucciderlo.

Ma questo suo tentativo non si conclude. Il romanzo si chiude con l’entrata di Carla nella vita borghese, culminante nel matrimonio con Leo, con il rifiuto rassegnato di Michele e il pieno successo di Merumeci.                                                                       

Personaggi principali

Carla: avverte che il vecchio mondo puro e intatto dell’infanzia è ormai sepolto nella sua anima come una cosa lontana e intoccabile. Un nuovo atteggiamento occorre per affrontare l’incerta dimensione del vivere quotidiano: in questo momento un atto di violenza è necessario a rompere le abitudini meschine di una vita piena di noia e tuttavia le sembra «di recitare una parte falsa e ridicola». La ragazza resiste a Leo e alle sue profferte interessate per un senso di vergogna, combattuta tra il desiderio di «rovinare tutto» e un senso di paura per le conseguenze di quella violenza sconosciuta. Nonostante ciò, le sembra che questa «avventura familiare» sia il solo epilogo degno di inaugurare la sua nuova esistenza, una frattura che rompa e laceri per sempre il vecchio mondo, fatto di immobilità, dominato da una meschina fatalità, pieno di atti e di gesti ripetuti fino alla nausea, in cui le stesse parole, i discorsi e le scene di gelosia tra la madre e Leo appaiono angosciosi, previsti in anticipo, già esperimentati nella loro falsità in mille modi e occasioni diverse.

Michele: si trova nella stessa condizione psicologica, oscillante tra una vanità falsa e l’indifferenza, in cui sembra al contrario lasciarsi andare, senza combattere.  Michele reagisce, a volte. Sembra che voglia rompere con la finzione, strappare le maschere a quei volti della sua vita duri, patetici, inespressivi, denudare i propri istinti. La ribellione, però, quando avviene, è tiepida e mite: la noia, l’indifferenza svuotano ogni azione, anche quella più vera come l’attentato alla vita di Leo, che Michele sente quanto mai necessario per ridare un senso alla propria esistenza. Nell’epilogo della drammatica vicenda, prima di uscire di scena, egli rivela la rinuncia della sua volontà: la pistola scarica, un atto mancato, mentre Leo, impaurito, sovrasta per l’ultima volta la sua debole volontà.                                                                  

Carla e Michele invidiano Leo, pur disprezzandolo, ma odio e disprezzo si compenetrano in una forma di amore, che ha lontane origini in un padre mancante, sconosciuto: Carla lo desidera inconsciamente, ma solo come illusoria possibilità di riscatto; Michele lo odia e su di lui tenta un’esercitazione e una prova della sua debole volontà. In Leo, infine, il ragazzo cerca un modello comportamentale che lo scuota e lo tiri fuori dalla sua indifferenza.  L’odio di Michele per Leo è tutto fantasticato, trasportato dal piano reale a quello dell’immaginazione: gli atti violenti e il mancato assassinio attestano tutti l’incapacità del giovane a odiarlo realmente. E insieme all’avversione, Michele prova per Leo una segreta ammirazione che si traduce, sul piano dell’azione e della realtà, e rispetto la suo desiderio di un mondo puro e autentico, in un risibile fallimento.

Mariagrazia: rappresenta un aspetto della decadenza borghese. La sua è veramente la «commedia» di una società che sta perdendo progressivamente ogni legame con la realtà autentica della vita e si appunta ai gesti, alle parole, agli atteggiamenti più esteriori e insulsi, per salvarsi dal naufragio. Il suo ruolo è quello di chi si accorge di andare alla deriva, di affondare ogni giorno di più, ma non accenna ad alcuna reazione per impedire il fallimento. Ella sogna, invece, soluzioni impossibili, ricchezze e agi come le sole che permettano di sopravvivere. Eccitata da false e ridicole ambizioni, non si accorge del mondo che frana intorno a lei, dell’ira e del disgusto che provoca nei figli con le sue scenate di gelosia, delle intenzioni ambigue di Leo, del suo tradimento con la figlia, delle cadute morali di Michele.  Il carattere di Mariagrazia è indice di decadenza, quasi volgare nella sua supponenza di prestigio, di superiorità legata a doppio filo con l’idea del possesso materiale e della ricchezza. Per Mariagrazia Leo è il mondo borghese del decoro sociale, della supremazia dei sentimenti superficiali sulle verità più genuine: è Leo che conta sopra ogni cosa.

Leo: si presenta come la figura più negativa del romanzo, ma che tuttavia ha un suo fascino interno, una sua funzione narrativa ben precisa nell’economia de Gli Indifferenti. Leo Merumeci è un personaggio soggiogato dalla sensualità, dal gusto della predominanza, che tiene avvinti a sé i destini dei «suoi» pupazzi, li fa muovere e agire secondo uno schema preordinato, pronto ad adattarsi a ogni situazione con la furbizia, felice di colpire la propria vittima quando questa gli si inginocchia ai piedi, conquistata dal suo fascino o vinta dalla sua perversità. Egli insidia Carla nello stesso modo subdolo in cui tenta di impossessarsi della villa Ardengo, con la stessa fatalistica pervicacia con cui mira al nuovo approccio con Lisa, con la stessa sottile perfidia con cui abbandona Mariagrazia per una donna più giovane. Quando cerca di sedurre Carla, Leo è cosciente del dramma intimo della giovane. Egli la domina come un perfetto stratega, la stupra lasciarle respiro. Carla è già nella sua rete. Leo ha un solo istinto, un solo impulso per volta, e quello segue fino in fondo, pienamente convinto della sua scelta, integrato mirabilmente alla sua vita borghese e ai suoi istituti. In Leo si sublimano, quindi, l’ipocrisia, la falsa coscienza e la convenzionalità, aspetto saliente che Carla e Michele tentano appunto di rovesciare, anche se con debole convinzione, ma del quale alla fine restano vittime.

Lisa: amica della famiglia Ardengo, è innamorata del giovane Michele che non la contraccambia. E’ la vecchia amante di Leo il quale in un momento di “bisogno”si reca da lei convinto che ella provi ancora un forte sentimento per lui; ma in realtà non è così. Dopo aver scoperto della storia clandestina tra Leo e la giovane Carla, racconta tutto a Michele.

Tempo e Luogo

La vicenda è ambientata negli anni del fascismo italiano e si svolge in un arco di tempo quanto mai unitario, quarantotto ore disaminate quasi senza soluzione di continuità, dipanandosi pressoché interamente nell’ambito di distinti «interni» borghesi, la villa Ardengo, la casa di Leo, la casa di Lisa, il salone dove si recano a ballare,ecc.. che di capitolo in capitolo si succedono e ritornano esattamente al centro del dramma.

Commento

L’esile vicenda non è determinante per comprendere appieno gli intenti di questo romanzo, impostato quasi esclusivamente sul tratteggio psicologico dei personaggi e delle loro reazioni in un mondo che sta scivolando interamente sulla profonda dissoluzione. Proprio seguendo tali reazioni si potrà giungere al centro della crisi, assunta da Moravia come segno di decadenza, come prova di un trapasso da un secolo all’altro, colmo di malessere e di tragica impotenza.                                                                                                                                                                               
Ne Gli indifferenti c’è un motivo nuovo che in altri romanzi del tempo o appena precedenti  non era stato delineato con altrettanta efficacia: l’analisi e la rappresentazione dell’ambiente borghese, visto nella sua crisi di trapasso da un’epoca all’altra, seguito da Moravia con abbondanza di esemplificazioni, fino a trarne una visione esistenzialistica, contraddistinta dalla sua "indifferenza".

Tale indifferenza si traduce in inerzia morale, incapacità a vivere la vita, superficialità con cui la società borghese si pone di fronte ai problemi dell’esistenza, ai valori più profondi e genuini dell’uomo. I personaggi del primo romanzo moraviano sono dunque colpiti da questa malattia morale, da una sorta di «debolezza della volontà» e versano in una condizione di annientamento, atta a far ritrovare nella distruzione di ogni valore, o nel male il senso dell’esistenza.
Moravia ci mostra un ambiente umano che rifiuta costantemente di riconoscersi e di giudicarsi, e che nemmeno possiede, in ogni caso, la capacità di autocoscienza, e di una figura consapevole ma debole sul piano vitale per questa sua oscura consapevolezza, e intanto, interiormente divisa. Moravia affida questo ruolo a due figure: il giovane Michele e la sorella Carla.

Narratore

Il narratore è onnisciente, perché conosce i pensieri dei personaggi. Moravia intende quindi rappresentare l’universo borghese non con gli strumenti innovativi del romanzo sveviano o pirandelliano (acronia, riflessione filosofica, ecc…) ma con una riflessione sulla apatia e sulla passività dei personaggi

Punto di vista

Il narratore assume via via il punto di vista dei suoi personaggi principali (focalizzazione interna). In altre parole il narratore riportando i pensieri dei personaggi,  ci consente di attuare un costante confronto tra ciò che essi pensano e ciò che dicono.

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