Il cinema del pensiero - Studentville

Il cinema del pensiero

La rivalutazione del cinema.

Gilles Deleuze, ne “L’immagine-movimento” e ne “L’immagine-tempo”, scritti entrambi negli anni Ottanta, sostiene la tesi secondo la quale, nonostante la grande abbondanza di mediocrità  presente nella produzione cinematografica, i grandi autori del cinema possono essere paragonati non soltanto ad altri artisti, quali architetti, pittori o musicisti, ma anche , che pensano attraverso delle “immagini-movimento” e delle “immagini-tempo” al posto dei concetti. Deleuze riallaccia le sue riflessioni sul cinema alle concezioni di Henry Bergson sulla natura del movimento e del tempo. Il cinema attraverso il montaggio arriva a dare un’immagine del tempo che può essere diretta se legata alle immagini-tempo o indiretta se proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti. Nella contrapposizione elaborata da Bergson tra il tempo inteso come durata nella coscienza e il tempo misurabile della matematica e degli orologi, il cinema si presenta come l’esempio tipico del falso movimento: esso, infatti, procede con due dati complementari, delle sezioni istantanee che si chiamano immagini e un movimento, o tempo impersonale, uniforme e astratto, che ò nella macchina da presa e con cui si fanno “sfilare” le immagini. Il cinema dunque ricostruisce il movimento con delle sezioni immobili come il più vecchio dei pensieri (paradosso di Zenone). Tuttavia, sostiene Deleuze, non si può concludere l’artificialità  del risultato a partire dall’artificialità  dei mezzi: infatti il cinema, sebbene proceda con fotogrammi che sono delle sezioni immobili di tempo (sequenze di 18 o 24 immagini al secondo), ci restituisce un’immagine media (ovvero risultante dalla somma di tutti i fotogrammi) a cui il movimento non si aggiunge astrattamente, ma che appartiene invece all’immagine come dato immediato. Attraverso la cinepresa mobile e il montaggio, il cinema non ci offre un’immagine alla quale aggiungerebbe, solo in un secondo momento, il movimento, ma ci dà  immediatamente un’immagine-movimento. Attraverso l’inquadratura, la macchina da presa ritaglia dallo spazio aperto del mondo un sistema chiuso, una sezione mobile del tempo-durata, un sottoinsieme fatto di immagini, di personaggi e di oggetti posti in relazione dinamica tra di loro. A differenza di quelle arti fatte di pose (scultura, pittura, fotografia), le quali rimandano a forme e idee eterne ed immobili, il cinema, come la danza e il mimo, libera valori “non-posati”, riporta il movimento all’istante qualsiasi; esso non cerca il “tutto”, poichè il movimento si fa solo se il tutto non ò nè può essere dato: appena ci si dà  il tutto, il tempo diviene immagine dell’eternità  e di conseguenza non c’ò più posto per il movimento reale che ò puro divenire senza sosta. Queste riflessioni aprono la possibilità  per una nuova filosofia: mentre la filosofia antica si proponeva di pensare l’eterno, l’universale, il cinema diventa il portavoce dell’altra filosofia, capace di un modo di pensare nuovo che cerca il singolare, in ogni istante qualsiasi. L’inquadratura, il piano e il montaggio sono i mezzi attraverso i quali il cinema costruisce il suo sistema di relazioni tra immagini. L’inquadratura ò il punto di vista, il sistema chiuso che comprende tutto ciò che ò presente nell’immagine. Essa può comporsi secondo schemi geometrici, dinamiche di luci e ombre, “disinquadrature” e fuori campo, e il suo scopo ò rendere l’immagine leggibile, oltre che visibile, dallo spettatore. Il piano rappresenta il movimento stesso, il rapporto tra le parti e il cambiamento che ne scaturisce ò l’immagine-movimento stessa, la sezione mobile della durata secondo la visione bergsoniana. Attraverso esso si rende possibile una modulazione spazio-temporale grazie alla quale il tempo assume il potere di dilatarsi o concentrarsi e il movimento assume il potere di rallentare o accelerare. Infine il montaggio che rappresenta il tutto del film, l’idea che ci fa dono di un’immagine della durata e del tempo effettivi. Deleuze, ripercorrendo la storia del grande cinema d’autore, individua diverse scuole di montaggio che sembrano segnare un percorso di trasformazione da un cinema classico a un cinema moderno che si differenziano per la diversa immagine del tempo che hanno saputo dare: mentre il cinema classico ha veicolato un’immagine indiretta del tempo, proveniente dalle immagini-movimento e dai loro rapporti, il cinema moderno ha dato un’immagine diretta del tempo grazie ad immagini-tempo che hanno instaurato nel cinema un regime di scambio tra immaginario e reale, tra soggettività  e oggettività , con il fine di comunicare l’idea del passaggio, del cambiamento quale natura stessa del tempo. Deleuze concepisce il tempo quale direttamente rappresentabile poichè l’immagine-tempo ha la facoltà  di esprimere la natura del tempo, il fuggevole, in una forma compiuta: “ma la forma di ciò che cambia, non cambia, non passa. àˆ il tempo, il tempo in persona…un’immagine tempo diretta, che da a ciò che cambia la forma immutabile nella quale si produce il cambiamento”. Tra gli autori di immagini-movimento, Deleuze individua diverse forme di montaggio utilizzate: la tendenza organica della scuola americana, la tendenza dialettica della scuola sovietica, la tendenza quantitativa della scuola francese d’anteguerra e infine la tendenza intensiva della scuola espressionista tedesca. La scuola americana concepisce con Griffith un’idea di montaggio in cui i personaggi e le azioni sono presi in rapporti binari che costituiscono un montaggio alternato parallelo, con l’immagine di una parte che succede a quella di un’altra seguendo un ritmo, un’alternanza delle parti differenziate; ad esempio, il mondo dei poveri e il mondo dei ricchi, oppure il mondo dei buoni e quello dei cattivi, vengono presentati come sfere in conflitto, indipendenti le une dalle altre, appunto come modi paralleli, manicheicamente opposti, mentre si trascura il fatto, commenta Deleuze, che le parti in opposizione sono in realtà  il frutto di una stessa causa, le due facce della stessa realtà  sociale di sfruttamento. Le parti distinte entrano in conflitto, ma le azioni tendono a ricongiungersi, fino ad arrivare ad una situazione trasformata che costituisce una grande unità  organica. Nei film russi di Eisenstein, Vertov, Pudovkin e Dovzenco l’obiettivo del montaggio ò quello di comunicare l’idea di una meta unitaria da raggiungere (presa di coscienza, azione politica) attraverso una giustapposizione di situazioni legate tra loro e in evoluzione. L’opposizione dialettica, il passaggio da un opposto all’altro si realizzano attraverso il ricorso al patetico (l’immagine viene caricata di una tensione emotiva fino ad esplodere, ed emergere dall’insieme come “immagine al quadrato”; pensiamo, ad esempio, alla carrozzina del Potà«mkin. ) e al montaggio di opposizione: questo si differenzia dal montaggio parallelo poichè l’unità  a cui riporta non ò un semplice assemblaggio di parti giustapposte, ma una spirale organica che cresce attraverso le contraddizioni per arrivare ad un’unità  più elevata, appunto ad una sintesi dialettica. Il cinema francese degli stessi anni ò profondamente legato, invece, allo spiritualismo. Il movimento della macchina da presa rispecchia il movimento dell’anima, la passione. Le diffuse immagini d’acqua (mare, fiumi, riprese subacquee) diventano la forma di quanto non ha consistenza organica: l’astratto, lo spirito (ne “L’Atalante” di Jean Vigo l’acqua diventa il luogo dell’apparizione di fantasmi). Attraverso il montaggio accelerato, la polivisione, la sovrimpressione delle immagini, il tempo e il movimento diventano smisurati, incommensurabili: il sublime matematico kantiano fa così la sua apparizione nel cinema. Il senso del sublime dinamico, invece, emerge dai giochi di luce nei film dell’espressionismo tedesco. Il contrasto diventa la matrice del montaggio, luce e ombra creano un mondo striato, lo spazio ò costruito attraverso una geometria gotica. La luce che si oppone alle tenebre, la vita che lotta con l’inorganico per emergere atterrisce l’immaginazione, ma dà  vita allo stesso tempo ad una facoltà  pensante attraverso cui ci sentiamo superiori rispetto a tutto ciò che ha il potere di annientarci. (Nosferatu di Murnau, Der Golem di Wegener, Frankenstein di Whale). Con l’immagine-tempo il montaggio tende quasi a scomparire a vantaggio del piano sequenza e della profondità  di campo: l’uno trasmette il senso della continuità  di durata, l’altro (sperimentato da Welles), facendo comunicare lo sfondo con il primo piano, il lontano con il vicino, rappresenta il rapporto tra passato e presente, ovvero un’immagine-tempo diretta. L’immagine-tempo inaugura uno stile frammentato che abbandona l’idea di montaggio come associazione, concatenamento tra immagini, per dare importanza alla spaziatura, al vuoto che si crea tra le immagini. Mentre l’immagine classica costruiva sequenze di montaggio secondo leggi di associazione o opposizione che sfociavano poi in concetti, l’immagine moderna instaura un “regno degli incommensurabili”, in cui le immagini non si associano più in maniera razionale, ma vengono spezzettate per poi essere riconcatenate. Il fuori campo e il falso raccordo assumono un nuovo senso. In Godard, ad esempio, a differenza del cinema classico dove persisteva l’ideale dell’identità  e del sapere come totalità  e armonia, il mixage sostituisce il montaggio: le immagini appaiono dissociate, non c’ò più unità  tra autore, personaggi e mondo; il rapporto tra il sonoro e il visivo diventa asincronico, la voce fuori campo si fa indipendente dalle immagini e la sua funzione ò quella di produrre un sistema di sganciamenti e intrecci tra presente e passato. Qualunque sia la forma di montaggio scelta, la macchina da presa agisce come una coscienza giudicante, ritaglia una visione particolare dal flusso continuo della materia e, isolando una sezione nell’insieme infinito delle immagini, agisce come lo schermo nero posto dietro la lastra fotografica che fa sì che l’immagine si distacchi. Deleuze costruisce una vasta tassonomia di immagini cinematografiche, elaborandola sulla scia del sistema di classificazione generale delle immagini e dei segni stabilito dal logico americano Peirce. Se un’immagine può esprimere un concetto, possiamo pensare allora che esistono convenzioni simboliche e discorsive per interpretare i segni cinematografici? Ovvero esiste un repertorio codificato di immagini-significato come nella lingua oppure un’immagine, a differenza di una parola, non significa sempre la stessa cosa? Nel cinema troviamo tre tipi di immagini a costituire l’immagine-movimento: immagini affezione e pulsione (rappresentano la “primità “, secondo la semiotica di Peirce), immagini azione (“secondità “), immagini relazione (“terzità “). Vi sono immagini che hanno una relazione per così dire “naturale” con le cose che rappresentano, come nel caso di un ritratto che viene associato automaticamente al suo modello. Ciò che lega le due entità  ò soprattutto l’abitudine a vederle associate, il patrimonio comune di gesti che tutti noi compiamo; così, ad esempio, l’apparizione di un’arma richiama subito un significato di violenza o di dolore. Queste immagini sono dei clichè. In questo senso l’immagine filmica, come l’immagine poetica, non significa ma mostra, non ò segno ma intuizione lirica, senso immanente all’immagine stessa, realtà  direttamente presente senza mediazione simbolica o riformulazione del reale stesso. Il primo piano cinematografico ò un’immagine affezione e il suo ruolo ò quello di astrarre l’immagine dalle coordinate spazio-temporali per trasformarla in icona, espressione pura di un affetto che non esiste separatamente da ciò che lo esprime: nel vedere un volto sofferente vediamo la sofferenza in persona. L’immagine affezione esprime qualità  o potenze considerate in sè, senza riferimento a nient’altro. L’affetto ò impersonale, esprime il possibile senza attualizzarlo e si distingue da ogni stato di cose individuato, ma allo stesso tempo esprime qualcosa di singolare, all’interno di una storia che lo presenta come l’espressione di un’epoca o di un ambiente. Il film affettivo per eccellenza ò, secondo Deleuze, La passione di Giovanna D’Arco di Dreyer. Il regista astrae la passione dal processo attraverso un predominanza di primi piani del volto della santa, mentre il piano medio e quello generale sono costruiti con assenza di profondità  come fossero anch’essi primi piani. Anche uno spazio qualsiasi può esprimere qualità  e potenze ed essere quindi un’immagine affezione. A metà  strada tra l’immagine affezione e l’immagine azione troviamo l’immagine pulsione, la quale rappresenta un affetto degenerato che si manifesta in un’azione “embrionata”, informe o perlomeno non formale. Troviamo immagini pulsione in tutti i film naturalisti; le pulsioni rappresentate sono spesso semplici come la fame ed il sesso e sono inseparabili dai comportamenti perversi che producono e animano. Buà±uel, considerato con Stroheim e Losey uno dei massimi naturalisti del cinema, ha arricchito l’inventario di pulsioni e perversioni spirituali ancora più complesse, riguardanti questioni teologiche e filosofiche (in Simon del deserto, ad esempio). A differenza del realismo che si esprime attraverso immagini azione, il naturalismo esprime una violenza statica, interiore, che si impossessa dei personaggi e fuoriesce da essi fino a penetrare l’ambiente e a degradarlo. L’immagine-azione o “secondità ” rappresenta tutto ciò che esiste solo opponendosi a qualcos’altro, come in una relazione duale: azione-reazione, eccitazione-risposta, situazione-comportamento. Ci troviamo all’interno della categoria del reale, dell’attuale, dell’esistente, dove le qualità  e le potenze si attualizzano in stati di cose particolari. Siamo nell’ambito del realismo, il genere che ha fatto trionfare universalmente il cinema americano. Nel regno della “secondità ” la situazione e il personaggio (o l’azione) sono due termini correlativi e antagonisti: l’ambiente agisce sul personaggio, il personaggio reagisce a sua volta in modo tale da rispondere alla situazione e modificare l’ambiente, pervenendo dunque ad una nuova situazione. Molti generi di film hanno una simile struttura: tutti i film di guerra; i film-documentario (Flaherty), dove si vede l’uomo, o la natura in genere, fronteggiare le sfide dell’ambiente; i film psico-sociali (King Vidor, Elia Kazan), dove da una comunità  emerge la figura di un capo in grado di rispondere alle difficoltà  della situazione (qui il realismo descrive una patologia dell’ambiente e le reazioni ad essa da parte dei personaggi che la subiscono); i film western (John Ford), dove il duale, lo scontro tra due forze antagoniste si esprime attraverso la rappresentazione del duello; i film storici (Griffith, De Mille, Hawks), dove sotto la forma dell’immagine- azione troviamo rappresentati i tre aspetti della storia definiti da Nietzsche: l’aspetto monumentale nei paralleli o nelle analogie tra una civilizzazione e un’altra (ha il suo capolavoro in Intolerance di Griffith), l’aspetto antiquario nelle ricostruzioni scenografiche e costumistiche, l’aspetto critico nella struttura stessa del film, da cui emerge sempre e comunque un forte giudizio etico sul passato narrato dalla storia. L’immagine azione ha tuttavia anche un’altra forma, una piccola forma sostiene Deleuze, dove questa volta ò l’azione che svela la situazione, o un aspetto di essa, la quale a sua volta dà  inizio ad una nuova azione. La nuova immagine azione procede per indizi, per ellissi e per equivoci. L’azione svela una situazione non data che viene dedotta dall’azione stessa, oppure una piccolissima differenza tra due azioni produce una grandissima distanza tra due situazioni, delle quali una sola ò reale e l’altra apparente o menzognera. Questa nuova formula dell’immagine ò comune a molti film gialli o polizieschi e al burlesque: in molti film di Chaplin l’azione ò filmata mettendo in evidenza ogni sua più piccola differenza rispetto ad un’altra azione, per svelare così la grande distanza tra due situazioni. Deleuze cita l’esempio di Charlot che in guerra segna un punto ogni volta che spara, ma quando una pallottola nemica gli risponde, lo cancella. All’ultima categoria, detta “terzità “, appartengono quelle specie di immagini (immagini relazione) che hanno una relazione “astratta” con il senso che veicolano. Questa relazione ò costruita su una convenzione e di conseguenza queste immagini rendono il film più difficile: esse vanno interpretate in quanto non sono leggibili intuitivamente e il loro senso va cercato nella storia che le riguarda, nella loro funzione di simbolo all’interno della cultura a cui appartengono, nel tessuto relazionale in cui sono inserite. Per esempio i gabbiani che attaccano gli uomini nel film Gli uccelli di Hitchcock (massimo creatore di immagini relazione secondo Deleuze) sono il simbolo (relazione astratta) dell’inversione del rapporto uomo-natura, e soltanto intuendo questa relazione siamo in grado di comprendere il senso dell’intero film. Ma sono proprio queste immagini ad avvicinare il cinema al pensiero e ad allontanarlo dai luoghi comuni. Deleuze si serve della classificazione delle figure del discorso di Fontanier per descrivere le diverse forme assunte dall’immagine relazione: così un’immagine può avere il valore dei tropi letterari ed essere letta come una metafora, una metonimia o una sineddoche oppure valere come allegoria, simbolo, sillogismo, e animare delle figure di pensiero. Il cinema può porre ora delle domande trascendenti o esistenziali, domande su Dio o sulla vita, e le pone attraverso delle immagini mentali che non rappresentano il pensiero di qualcuno, ma concernono gli stessi oggetti che possiedono un’esistenza propria al di fuori del pensiero e la relazione che si stabilisce tra essi. L’interpretazione si fa necessaria per la comprensione di queste immagini, per cogliere la relazione che le lega, poichè esse non sono unite naturalmente nello spirito, ma in virtù di una legge esterna. Il mentale mette in crisi l’immagine tradizionale del cinema e anche se si continuano a fare film d’azione, essi non esprimono più la vecchia anima del cinema che ora esige sempre più pensiero. La crisi dell’immagine azione dipende, secondo Deleuze, da molte variabili, dalla guerra e dalle sue conseguenze, dal vacillare del sogno americano, dall’inflazione delle immagini nel mondo esterno e nella mente della gente e dall’influenza sul cinema delle nuove tipologie del racconto, già  sperimentate dalla letteratura. Cadono le illusioni e il realismo non ò più in grado di raccontare il nuovo stato di cose. L’immagine non rinvia più a una situazione sintetica, ma dispersiva; i personaggi sono molteplici e non ò più possibile distinguere un personaggio principale da uno secondario. La realtà  stessa sembra lacunosa e confusa e il caso sembra essere il solo filo conduttore che lega gli avvenimenti. L’azione viene sostituita dalla flanerie, dal vagare senza meta e la nuova immagine vuole superare quelli che ormai sono diventati i clichè dell’immagine azione (gli eroi, il lieto fine). Il cinema americano si limita in questo nuovo contesto ad una mera critica, ad una denuncia che costituisce però una semplice parodia dei clichè che non conduce a nulla e che dunque non ò pericolosa. Il nuovo progetto estetico, e politico, nasce in Europa con il Neorealismo in Italia, prosegue con la Nouvelle Vague in Francia e va oltre, fino a cambiare lo stesso cinema americano, con Welles e il New American Cinema, ed arrivare ad oggi con una ricerca che non sembra ancora esaurita. Con l’immagine mentale, l’immagine-movimento arriva al proprio limite, aldilà  di essa troviamo l’immagine-tempo, costituita a sua volta da immagini ottico-sonore pure, immagini ricordo, immagini sogno, fino ad arrivare alle immagini cristallo. La nuova immagine allude a visioni del mondo alternative dove il tempo può seguire una linea spezzata o un percorso circolare e non essere più strutturato secondo l’idea di un fine a cui tendere. La realtà  assume una nuova forma che ò errante, ellittica, sempre ambigua. Il Neorealismo inaugura un nuovo cinema che Deleuze definisce del “veggente”. Alle situazioni senso-motorie del vecchio cinema d’azione realista si sostituiscono delle situazioni puramente ottiche e sonore: i personaggi dei nuovi film sembrano essere divenuti essi stessi degli spettatori di una situazione che subiscono senza poter reagire. Il personaggio ò come consegnato a una visione piuttosto che impegnato in un’azione. I bambini, che nel mondo adulto soffrono “di una certa impotenza motoria”, sono spesso i protagonisti (in De Sica e in Truffaut) proprio perchè più capaci di vedere e di sentire. Gli ambienti e gli oggetti che popolano le inquadrature acquistano valore per se stessi (Visconti e Antonioni). La banalità  quotidiana oppure i ricordi d’infanzia, i sogni e le immagini soggettive animano le nuove immagini fino a confondere la realtà  con lo spettacolo (Fellini); la realtà  trascorre nell’immaginario e ne esce deformata dal pensiero, diviene una nuova realtà , creata dalla mente attraverso la parola e la visione, finchè attuale e virtuale, reale e immaginario si fanno indiscernibili. Spesso nella sceneggiatura ò assente ogni intreccio, proliferano i tempi morti e le conversazioni banali, oppure il silenzio. Le nuove immagini che esprimono il divenire, il passaggio, rappresentano l’essenza del tempo. Immagini visive e sonore rendono sensibili il tempo e il pensiero e fanno di essi uno strumento di conoscenza. L’immagine ottico-sonora rievoca un’immagine ricordo: l’immagine attuale (descrizione) si concatena con un’immagine virtuale (ricordo) componendo un circuito che va dal presente al passato per tornare al presente, attualizzando il ricordo attraverso il meccanismo del flash-back. Attraverso questo tipo di montaggio (di cui Mankiewicz ò il più grande maestro, secondo Deleuze) si producono delle relazioni non lineari tra le situazioni, si impongono delle svolte nella narrazione, delle rotture di causalità  che creano degli enigmi. Ancora una volta si instaura un circuito di indiscernibilità  tra l’immagine attuale del presente e l’immagine attualizzata del virtuale -ricordo, mentre le immagini sogno emergono quando non si riesce a ricordare e l’immagine attuale del presente entra in contatto con l’elemento virtuale del sogno o del dèjà -vu. Da questo nuovo tipo di immagine nasce il confronto tra cinema e psicanalisi e da qui ha anche origine il Surrealismo (Buà±uel). Il montaggio ò fatto da dissolvenze e sovrimpressioni che esprimono l’idea di un coinvolgimento del passato nel presente in una forma anarchica e da tagli improvvisi delle sequenze che producono l’idea di uno sganciamento, di una rottura. Si tratta per Deleuze (che riprende la teoria bergsoniana del sogno) di falde di passato fluide che emergono disordinatamente incarnandosi in delle metafore, senza presentarsi direttamente in immagini attualizzate del passato (come avviene nel ricordo). Tra le immagini sogno Deleuze pone anche i film della commedia musicale (i film di Minnelli fra tutti), in cui le danze sembrano voler riprodurre un mondo onirico, creare un sogno gigantesco ed esprimere il passaggio da questo alla realtà  in un andirivieni che di nuovo marca l’indiscernibilità  tra reale e immaginario. Infine l’immagine cristallo. Essa si produce quando “l’immagine ottica attuale si cristallizza con la propria immagine virtuale”, quando l’immagine presenta una doppia faccia insieme attuale e virtuale, producendo una nuova forma di indiscernibilità . Deleuze parla di immagini doppie per natura nelle quali l’indiscernibilità  tra attuale e virtuale, presente e passato, reale e immaginario, vero e falso non si produce nella mente dello spettatore, ma ò un vero e proprio carattere oggettivo di questo tipo di immagini. Un esempio efficace di immagine cristallo ò l’immagine allo specchio: “l’immagine allo specchio ò virtuale in rapporto al personaggio attuale che lo specchio coglie, ma ò attuale nello specchio che lascia al personaggio soltanto una semplice virtualità  e lo respinge fuori campo”. Tra i numerosi autori di immagini cristallo ricordati da Deleuze ci sono Orson Welles (ne la Signora di Shangai si ricorda la celebre sequenza della stanza degli specchi), Tarkovskij (un suo film si intitola appunto Lo specchio), Resnais (la confusione di passati-presenti di L’anno scorso a Marienbad). L’immagine reciproca del cristallo, presente e passata contemporaneamente, somiglia all’illusione della paramnesia, al dèjà -vu: ricordo del presente, passato contemporaneo al presente stesso. Tuttavia l’immagine cristallo non ha una natura mentale o psicologica, ma esiste fuori della coscienza e nel tempo, quasi come un frammento di tempo allo stato puro. Il passato si forma contemporaneamente al presente e non dopo di esso e dunque il tempo si sdoppia in ogni istante e l’immagine attuale del presente che passa si forma simultaneamente all’immagine virtuale del passato che si conserva, fino a formare un circolo. Il reale si colloca all’esterno dell’immagine cristallo, l’avvenire ò al di fuori del circolo, oltre l’eterno rinvio tra passato e presente. Molti autori di cinema scelgono di restare intrappolati nel cristallo, come Visconti, altri cercano uno slancio verso l’avvenire, Renoir ad esempio, altri ancora, come Fellini, si pongono il problema di come entrare nel cristallo e si aiutano con ricordi d’infanzia, fantasmi, fantasticherie.

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