La poetica del “fanciullino” del Pascoli e la concezione dannunziana del “superuomo” costituiscono i risultati ultimi dei rivolgimenti politici, economici e sociali in atto in alcune regioni dell’Europa occidentale agli inizi del Novecento.
Sebbene le due figure risultino diametralmente opposte è possibile individuare una matrice comune, sulla base della quale i due letterati hanno costruito le proprie poetiche.
Entrambi i miti riflettono la profonda crisi di cui il ceto medio è vittima. L’affermazione della civiltà moderna, la diffusione dei processi di industrializzazione, la soppressione delle piccole iniziative private, schiacciate dalla sempre maggiore monopolizzazione dei mercati ad opera di poche grandi imprese, le spinte imperialiste nazionaliste che minacciano lo scoppio di conflitti di proporzioni mondiali. Questi sono gli aspetti principali che portano direttamente alla crisi della fiducia positivista nella società industriale e nella razionalità.
A partire dalla Francia sul modello di Baudelaire, prendono sempre maggiore risalto i cosiddetti “poeti maledetti”, che assurgono ad emblema della nuova figura del letterato. Questi infatti, non godendo più della considerazione e del prestigio dei secoli precedenti, si ritrovano calati in una società dai ritmi frenetici, dove la stessa editoria risente dell’influenza dell’industrializzazione e della massificazione.
Quello appena descritto costituisce il contesto storico e culturale nel quale i miti del “fanciullino” e del “superuomo” affondano le stesse “radici”.
Pascoli e D’Annunzio reagiscono in maniera radicalmente diversa ai cambiamenti bruschi e traumatici che affrontano.
Pascoli elabora il mito del “fanciullo”, ovvero di quel bambino puro e innocente presente in ogni uomo. Secondo la sua ideologia, il poeta è l’unico in grado di ascoltare le suggestioni e le impressioni del fanciullo, egli si meraviglia delle piccole cose, anche scontate e quotidiane, ma che appaiono invisibili agli occhi di coloro che si lasciano accecare dalla ragione.
Strettamente legate alla figura del fanciullino è poi il tema del nido. Egli infatti cerca riparo dalla frenesia e dai travagli della vita attiva all’interno del suo “nido”, che può essere rappresentato da una casa, da una siepe o dalla nebbia, ma in ogni caso un luogo dove coltivare i valori della famiglia e sfuggire dalla violenza e dal male dal mondo. Pertanto il nido può essere costruito solo laddove non sia giunto il progresso scientifico, in una sorta di Eden idilliaco a contatto con la natura.
D’Annunzio con il suo mito del superuomo propone all’uomo un’altra via da seguire. Il suo concetto è di derivazione filosofica egli rielabora l’idea di Nietzsche (che considerava il superuomo come uno stadio evolutivo verso cui l’uomo, inteso come comunità, doveva tendere), affermando l’importanza del singolo. In altre parole, per D’Annunzio il superuomo è un personaggio, al quale egli stesso cerca di conformarsi, che “supera l’uomo comune” attraverso la guerra, le azioni violente, il dominio e la sopraffazione.
Il superuomo aspira ad avere un ruolo di primo piano in ambito politico per distinguersi dalla massa; vive nella continua ricerca dell’ideale bellezza nel tentativo di trasformare la propria esistenza in un’opera d’arte.
In conclusione, nonostante i due miti siano inconciliabilmente opposti, entrambi finiscono, nelle intenzioni del poeta, l’unico modo che la classe piccolo-medio borghese aveva per uscire dal suo anonimato e affermare l’identità del singolo.
- Letteratura Italiana
- Gabriele D'Annunzio
- Letteratura Italiana - 800