John R. Searle, nato a Denver (Colorado) nel 1932, occupa un ruolo di primo piano nella comunità filosofica internazionale. Formatosi a Oxford, alla scuola dei “filosofi del linguaggio ordinario” come John Austin e Peter Strawson, dove ha insegnato dal 1956 al 1959, John Searle ò uno dei maggiori filosofi americani contemporanei. Dalla fine degli anni cinquanta ò professore di filosofia del linguaggio e di filosofia della mente all’Università di Berkeley in California. Le sue indagini filosofiche spaziano dalla filosofia del linguaggio alla filosofia della mente, all’intelligenza artificiale e alla realtà sociale. E’ di prossima uscita, presso l’editore Raffaello Cortina, l’ultimo lavoro di Searle, dal titolo, in inglese, Mind, Language and Society. L’ambito nel quale il lavoro di Searle si ò particolarmente sviluppato, fin dalla fine degli annai cinquanta, ò sicuramente quello relativo al concetto di intenzionalità . Nata con Brentano e ripresa poi da Husserl che ne ha fatto un concetto-chiave della fenomenologia, l’intenzionalità rappresenta un tema di attualità nel dibattito filosofico. Edmund Husserl riconosce all’intenzionalità (anche sulla scorta del concetto di significato derivato da Frege) il ruolo di dare (costituire) significato all’oggetto indagato. Intenzionalità non significa, in questo contesto, instaurazione di una rapporto causale ma rappresenta l’atto attraverso il quale l’oggetto assume e mostra significato. Nell’opera del 1983, Intentionality. An Essay in the Philosophy of Mind, John R. Searle si sforza di ricondurre il concetto di intenzionalità all’interno della relazione tra corpo e mente, eliminando il trascendentalismo proprio dell’accezione husserliana. Perchè questo sia possibile Searle deve riuscire a dimostrare una sorta di bidirezionalità del processo intenzionale che, sotto alcuni aspetti, oltre a presupporre causalità conoscitiva, dovrà procedere anche in modo autoreferenziale. E’ quanto succede, secondo Searle, ad esempio nel processo percettivo. La sua interpretazione dell’atto visivo concretizzata nella visione di un auto, viene così descritta: Ho un’esperienza visiva con la mente che trova conferma nel mondo il cui contenuto intenzionale ò [(a) c’ò un’automobile prima di me, (b) che c’ò un’automobile che sta causando l’esperienza visiva] Ecco che in questo passo appare evidente sia il processo autoreferenziale sia il processo causale. Infatti il contenuto intenzionale dell’atto conoscitivo (che può essere individuato nella proposizione a) per essere vero, per potersi dire soddisfatta la condizione di veridicità , sembra necessitare sia della verifica dell’esistenza effettiva di un’automobile prima di me sia del processo causale che si instaura tra l’oggetto conosciuto e l’atto intenzionale (proposizione b). A partire da questa revisione del concetto di intenzionalità e della sua interpretazione collegata alla causalità , Searle ritiene possibile ridurre la dicotomia tra l’intenzionalità considerata dal punto di vista trascendentale ed il mondo naturale. Infatti, così scrive sempre nell’opera del 1983: La coscienza e l’intenzionalità sono parte della biologia umana tanto quanto la digestione o la circolazione sanguigna. E’ un fatto oggettivo relativo al mondo che questo contenga sistemi (cervelli) con stati mentali soggettivi, ed ò un fatto fisico relativo a questi sistemi che essi abbiano caratteristiche mentali. La soluzione corretta al problema “mente-corpo” non ò nella negazione della realtà dei fenomeni mentali ma nell’apprezzamento della loro natura biologica. Il tema del rapporto tra corpo e mente non viene assolutamente abbandonato da Searle, anzi. Se nel 1983 il punto cardine del suo processo di ricerca era il concetto di intenzionalità , nel 1992 l’attenzione si sposta sul concetto di coscienza. In The Rediscovery of the Mind l’attenzione di Searle si concentra sul rapporto tra la coscienza e la scienza, in particolare sulle difficoltà di quest’ultima nell’affrontare e spiegare gli atti di coscienza. Secondo Searle la coscienza si struttura in base ad una ontologia soggettiva che non può essere raccolta nel concetto di ontologia oggettiva che per la scienza rappresenta il modello, il paradigma della verità . Queste posizioni vengono riprese e approfondite in un lavoro più recente, The Mystery of Consciousness del 1997 nel quale Searle riprende e completa le riflessioni avviate in The Rediscovery of Mind. In merito al discorso relativo al rapporto tra coscienza e scienza, Searle sottolinea lo scarto che esiste tra l’esigenza che la scienza necessita dal proprio oggetto d’indagine, dal punto di vista epistemico, quindi l’oggettività epistemica e ciò che invece non può esigere (cioò l’oggettività ontologica). E a partire da queste considerazioni che la coscienza può e deve, secondo Searle, perdere qualsiasi aura di mistero e diventare parte integrata della lettura scientifica. Ma quest’ultima caratteristica, l’oggettività ontologica, non ò un tratto essenziale della scienza. Se la scienza deve “render conto” di come il mondo ò strutturato e se gli stati soggettivi di coscienza sono parte del mondo, ecco che dovremmo cercare uno stato (epistemicamente) oggettivo di una realtà (ontologicamente) soggettiva, la realtà degli stati soggettivi di coscienza. Ciò che sto sostenendo qui ò la possibilità di avere una scienza epistemicamente oggettiva di una realtà che ò ontologicamente soggettiva. Se il rapporto tra coscienza e scienza si gioca sul concetto di soggettività ontologica, Searle ribadisce la relazione esistente tra corpo e mente. Infatti anche la coscienza (come l’intenzionalità con cui ò strettamente collegata) ò espressione di un’attività biologica del corpo umano e non agisce ad un livello separato o “trascendente” rispetto all’organicità del corpo umano. Secondo Searle gli stati di coscienza non sono altro che il risultato di processi neurobiologici del cervello umano. Questa relazione causale tra attività cerebrale e coscienza non deve dare adito alla convinzione che a partire da ciò si possa parlare di una realtà fisica ed una realtà mentale delle cose, anzi. Proprio assumendo questa relazione si devono riconoscere diversi livelli di “manifestazione” del sistema corpo-mente che spiegano quanto sintetizzato fino ad ora. I processi cerebrali causano gli stati di coscienza ma gli stati di coscienza che causano non sono sostanze o entità estranee. Non sono altro che un la forma di un livello più alto dell’intero sistema. Le due relazioni cruciali tra la coscienza ed il cervello possono così essere riassunte: livelli più bassi di processi neuronali nel cervello causano gli stati di coscienza e gli stati di coscienza sono semplicemente un livello più alto di manifestazione del sistema che ha origine dall’attività neuronale di livello più basso. La riflessione di Searle su intenzionalità e coscienza ha permesso di sviluppare un paradigma del funzionamento dell’attività cerebrale e della relazione di questa con il corpo e la fisicità dell’uomo. A partire da queste considerazioni, Searle elabora, a partire dai primi anni ottanta, una forte critica al modello che vorrebbe equiparare il funzionamento cerebrale a quello di un computer (funzionalismo). Searle nega con decisione questo parallelo, ribadendolo con forza anche in una recente intervista. “Quando ho cominciato ad occuparmi dell’intenzionalità e della coscienza mi sono inevitabilmente trovato a riflettere sui contenuti della teoria computazionale, che sostiene l’analogia tra la mente e il computer e a riscontrarne un grave errore di fondo: la teoria computazionale si applica alla manipolazione di simboli, a 0 e 1. Ma la mente implica qualche cosa di più della manipolazione di simboli: la mente non possiede soltanto una sintassi, ma anche una semantica”. E per dimostrare questo assunto nel 1980 in un articolo intitolato Minds, Brains and Programs, Searle presenta il cosiddetto argomento della stanza cinese (The Chinese Room Argument) che resta tutt’oggi argomento di dibattito e discussione per la comunità filosofica internazionale. L’obiettivo di Searle ò quello di dimostrare fondamentalmente quattro proposizioni: a) i programmi per computer sono formali o sintattici; b) il cervello umano ha dei contenuti mentali o semantici; c) la sintassi di per sè non costituisce e non ò neppure sufficiente per originare la semantica; d) si conclude che i programmi di computer non sono costitutivi e neppure sufficienti per il cervello. Per verificare la validità di queste asserzioni, Searle ipotizza la realizzazione di un esperimento che ha proprio lo scopo di dimostrare la differenza tra cervello umano e computer. Si ipotizzi di chiudere un soggetto che conosce la sola lingua inglese in una stanza e fornirlo di istruzioni, in lingua inglese, per ordinare correttamente tra loro i caratteri della lingua cinese. Ora, in base a queste istruzioni e partendo da alcuni caratteri ricevuti dall’esterno della stanza, il soggetto restituisce i caratteri ordinati in modo diverso. L’esempio prevede che i caratteri in ingresso nella stanza rappresentassero delle domande e le istruzioni a disposizione del soggetto all’interno della stanza gli permettessero di disporre in caratteri in modo tale da fornire le corrette risposte alle domande. Coloro che ricevono le risposte all’esterno della stanza sono cinesi ed essi, all’insaputa di tutto, potranno pensare che all’interno della stanza vi sia un soggetto in grado di scrivere e comprendere il cinese ma evidentemente così non ò. A partire da queste considerazioni, alla domanda se la mente può essere considerata alla stregua di un programma di computer, Searle risponde così in uno scritto degli anni novanta: Poichè i programmi sono definiti esclusivamente da un punto di vista formale o sintattico e poichè il cervello ha un contenuto mentale intrinseco, ne deriva immediatamente che il programma di per se stesso non può essere equiparabile al cervello. La sintassi formale del programma non garantisce da sè la presenza del contenuto mentale. Ho già dimostrato questa realtà una decina di anni fa, nell’argomento della stanza cinese. Un computer, io per esempio, può compiere le diverse operazioni del programma relative ad alcune abilità mentali, come capire il cinese, senza comprenderne una parola. L’argomento si basa sulla semplice verità logica che la sintassi non ò identica e neppure da sè sufficiente alla semantica. In realtà , le ricerche di Searle attorno al concetto di intenzionalità , coscienza, intelligenza artificiale, si concretizzano in un progetto unico che sembra avviarsi a sintesi in un’opera del 1995, significativa fin dal titolo, The Construction of Social Reality. In questo testo che sembra chiudere il circolo di una ricerca avviata alla fine degli anni sessanta con Speech Acts (1969), l’attenzione di Searle si focalizza su come sia possibile che la coscienza ed i fenomeni intenzionali si integrino in un mondo costituito di particelle fisiche calate in diversi campi di forza. La risposta a questa domanda si articola a partire dall’enunciazione di due principi, già presenti nelle opere precedenti. Il primo, il cosiddetto principio di costituzione per cui X costituisce Y nel contesto C ed il principio di traslazione per cui X conta come Y nel contesto C. Il principio di costituzione permette a Searle di spiegare la relazione tra l’aspetto mentale (stati di coscienza) e quello fisico (stati neurofisiologici): i fenomeni intenzionali e gli stati di coscienza sono causati e originati da stati neurofisiologici ma in virtù del loro statuto di macrofenomeni non sono riducibili alle singole proprietà delle strutture sottostanti. Il principio di traslazione si applica, viceversa, a quegli oggetti non intrinsicamente intenzionali, quali ad esempio i simboli ma anche le istuzioni sociali. A partire da questi presupposti e applicando al contesto sociale il principio di traslazione Searle può parlare di intenzionalità collettiva dove ai fenomeni sociali, alla realtà sociale viene riconosciuta la propria funzione dai singoli che ne sono parti costitutive. Così ne parla Searle in una recente intervista: E questo ò ciò cui ho cercato di rispondere nel mio libro La costruzione della realtà sociale dove sostengo che le istituzioni sociali non hanno, di per sè, alcuna realtà : sono gli uomini che rendono reali i fatti e le strutture sociali. La realtà dei fatti naturali, delle “montagne” e delle “molecole”, esiste indipendentemente dalle nostre rappresentazioni, mentre il denaro o il matrimonio, acquistano “realtà ” solo in riferimento ad una accordo convenzionale che gli uomini decidono intenzionalmente di stabilire. In un certo senso, potrei dire che ho scritto un solo libro in tutta la mia vita, un libro che comprende diversi capitoli, uno sugli atti linguistici, uno sull’intenzionalità , la coscienza e la realtà sociale. Mente, linguaggio e società Un illuminista del nostro tempo, alle prese con i grandi interrogativi del pensiero filosofico e scientifico che riguardano la mente e il linguaggio. Che cos’ò la realtà ? E come ò possibile che si dia un soggetto libero di scegliere in un universo “fatto tutto di particelle in campi di forza? ” Come agisce la coscienza e in che modo il linguaggio struttura il mondo delle istituzioni? Interrogativi che toccano questioni di ontologia, metafisica e di epistemologia, temi essenziali del pensiero filosofico, e che John Searle – professore di filosofia della mente e filosofia del linguaggio all’Università di Berkeley – affronta in questo suo libro Mente, linguaggio e società , con straordinarie capacità di chiarezza e di divulgazione. Riprendendo gli obiettivi di chiarezza e generalità che avevano dato origine alle Reith Lectures del 1984, pubblicate con il titolo Mind, Brains and Science, Searle si conferma filosofo provocatorio e originale. Le Reith Lectures erano dedicate alla presentazione di argomenti contro il programma “forte” dell’intelligenza artificiale e a delineare un percorso di ricerca su mente, azione e società . Questo nuovo libro riprende i temi da Searle trattati nell’arco di oltre trent’anni – dagli atti linguistici, all’intenzionalità , la coscienza e la società – cercando di “salire dai livelli della mente e del cervello al linguaggio e alla realtà sociale in generale”. Sin dal primo capitolo, “La metafisica di base”, emerge il realismo radicale di Searle, presupposto di qualsiasi filosofia “sana”: la realtà ò il dato imprescindibile di ogni nostro pensiero sul mondo. La nostra esperienza quotidiana ò possibile proprio perchè esiste un mondo che esiste indipendentemente dalle nostre sensazioni e fantasie. Se non ci fosse questo mondo di sostanze – alberi, montagne, spiagge, esseri umani e altri corpi – gran parte delle nostre azioni sarebbero prive di senso. Searle mostra di prendere molto sul serio l’ontologia, cioò lo studio dei vari sensi in cui possiamo dire che ci sono delle cose. La sua ò una difesa argomentata di un’ontologia non riduzionista, nella quale i corpi hanno legittimità di esistenza quanto gli elettroni – se pure a diversi livelli di descrizione. La mente ò un fenomeno biologico come la digestione o la mitosi, ma si differenzia da altri fenomeni naturali per un aspetto qualitativo, la soggettività : ed ò tale elemento individuale, ciò che caratterizza gli stati mentali, le intenzioni, i desideri, le credenze, e che impedisce la riduzione della mente “a qualcos’altro”. Intenzionalità e coscienza – temi a cui Searle ha dedicato i suoi lavori di grande importanza – vengono ricondotte nell’ambito della natura, in quanto prodotti dell’evoluzione. L’indagine di Searle si estende dai fatti individuali della coscienza all’ontologia sociale. Il fatto che i corpi coscienti e dotati di intenzionalità siano anche dotati di linguaggio rende possibile un’interazione sociale che comprende anche la capacità di imporre una funzione a corpi. I fatti istituzionali, come il matrimonio, le università , le aule dei tribunali, sono in questo senso il prodotto di una funzione: la loro realtà non esiste “di per sè”, ma solo in relazione ad un soggetto che li pensa e attribuisce loro una funzione. Il matrimonio o il denaro, per esempio, esistono perchè una comunità di individui ha stabilito convenzionalmente di riconoscere a tali istituzioni una funzione di valore: essi sono degli status function. Certamente, non c’ò nulla di irreale in una banconota da 20 dollari o da 10. 000 lire, a essa corrisponde un potere d’acquisto oggettivo. Ma se proviamo a immaginare una società in cui tale credenza nell’istituzione del denaro viene meno, vedremo che lo stesso pezzo di carta diventa un semplice pezzo di carta verde, o blu, che non ha più alcuna realtà oggettiva. Diversamente dalla coscienza e dall’intenzionalità , che sono fenomeni biologici dotati di una realtà ontologica “in prima persona”, i fatti sociali hanno una realtà “epistemica”, in “terza persona”, che dipende dal fatto che vi sia un soggetto che li pensa. In questo modo il nostro mondo si arricchisce e la nostra ontologia si complica, ammettendo oltre agli alberi e agli esseri umani anche la realtà delle istituzioni sociali, denaro, matrimonio, università , governi, partite di calcio, cocktail party, ecc. In quella che si potrebbe definire la “pars destruens” del libro, Searle mette a punto un attacco serrato alle posizioni antirealistiche della tradizione filosofica – dallo scetticismo al dualismo e all’idealismo – mettendone in evidenza l’inconsistenza logica, tramite argomentazioni tipiche di un filosofo analitico, che mira ad attaccare le premesse dell’argomento e a dimostrarne l’inconsistenza o la falsità . In questo senso il libro di Searle si può leggere anche come un’introduzione alla filosofia secondo lo stile analitico. Attraverso la discussione di problemi che riguardano appunto la mente, il linguaggio e la società , Searle riesce a dare un saggio di come fare filosofia, come discutere una tesi e presentare i propri argomenti, quale ruolo dare alle intuizioni e all’uso linguistico. Una lettura dunque, rivolta non solo a chi si occupa professionalmente di filosofia, ma a tutti coloro che pensano che un argomentare chiaro e corretto sia essenziale per la comprensione dei problemi, siano essi natura filosofica o scientifica.
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- Filosofia - 1900