Tyrrhena regum progenies, tibi
non ante uerso
lene merum cado
cum flore, Maecenas, rosarum et
pressa tuis balanus capillis
iamdudum apud me
est: eripe te morae
nec semper udum Tibur et Aefulae
decliue contempleris aruom et
Telegoni iuga
parricidae.
Fastidiosam desere copiam et
molem propinquam nubibus arduis,
omitte mirari beatae
fumum et opes strepitumque Romae.
Plerumque gratae diuitibus uices
mundaeque paruo sub lare pauperum
cenae sine aulaeis et ostro
sollicitam explicuere frontem.
Iam clarus occultum Andromedae pater
ostendit
ignem, iam Procyon furit
et stella uesani Leonis
sole dies referente siccos;
iam pastor umbras
cum grege languido
riuomque fessus quaerit et horridi
dumeta Siluani caretque
ripa uagis taciturna
uentis.
Tu ciuitatem quis deceat status
curas et urbi sollicitus times
quid Seres et regnata Cyro
Bactra parent Tanaisque discors.
Prudens futuri temporis exitum
caliginosa nocte premit deus
ridetque, si mortalis ultra
fas trepidat. Quod adest memento
componere aequus; cetera fluminis
ritu
feruntur, nunc medio aequore
cum pace delabentis Etruscum
in mare, nunc lapides adesos
stirpisque
raptas et pecus et domos
uolentis una, non sine montium
clamore uicinaeque siluae,
cum fera diluuies
quietos
inritat amnis. Ille potens sui
laetusque deget cui licet in diem
dixisse: ‘Vixi’: cras uel
atra
nube polum Pater occupato
uel sole puro; non tamen inritum,
quodcumque retro est, efficiet neque
diffinget infectumque reddet
quod fugiens semel hora uexit.
Fortuna saeuo laeta negotio et
ludum insolentem ludere pertinax
transmutat incertos honores,
nunc mihi, nunc alii benigna.
Laudo manentem; si celeris quatit
pinnas, resigno quae dedit et mea
uirtute me inuoluo probamque
pauperiem sine dote quaero.
Non est meum, si mugiat Africis
malus procellis, ad miseras preces
decurrere et uotis pacisci,
ne Cypriae Tyriaeque merces
addant auaro diuitias mari;
tunc me biremis
praesidio scaphae
tutum per Aegaeos tumultus
aura feret geminusque Pollux.
Versione tradotta
Stirpe di re d'Etruria, Mecenate, da tempo è qui per te un mite vino d'anfora mai piegata, rose, balano per i capelli:
strappati all'attesa, non contemplare sempre, da lontano, questa tivoli fresca, la campagna reclinata di Efula e le cime di
Telegono, antico parricida: lascia quell'abbondanza che ti sazia, le muraglie che toccano le nubi, stacca il cuore da Roma
la felice, dal suo frastuono, dalla sua foschia. Dunque ai ricchi non piace più cambiare, rischiarare la fronte tormentata
venendo a cena in una casa povera e linda, senza porpore né tendaggi? Vedi, il padre di Andromeda lucente svela il fuoco
nascosto, furibondo è il Cane e l'astro del Leone folle, riporta il sole i lunghi giorni asciutti: stanco il pastore cerca
l'ombra e il rivo e i cespugli arruffati di Silvano: il gregge è esausto, tacita la riva dove il vento errabondo non torna.
Tu curi la città e le belle leggi, ma tu non sei in pace, temi per i Seri, per la Battriana dove regnò Ciro, per il Don mai
tranquillo. Che faranno? Ma Dio è saggio e immerge nella notte più profonda gli eventi del domani e ride se un mortale fugge
ansioso dove non può fuggire. Non scordarlo, componi eguale, giusto, il tuo presente. Il resto è come un fiume regolato che
scorre in pace verso il mare etrusco e poi travolge via macigni rosi tronchi divelti bestie casolari e urlano intorno le
foreste e i monti: una pioggia selvaggia sconvolge tutti i calmi corsi d'acqua. E' signore di sé ed è felice chi può
dirsi ogni giorno: "Ho vissuto". Domani il Padre salirà al cielo nel buio delle nubi o nel sereno, ma non farà mai sterile
nulla di ciò che resta dietro a noi, non scomporrà, non vanificherà ciò che ha portato via l'ora fuggitiva. La Fortuna
felice opera sempre il suo gioco sfidante e instancabile trasmutando errabondi privilegi, ora benigna a me e poi ad altri: la
lodo quando resta: ma se batte le ali veloci, rendo ciò che ha dato e mi ammantello in ciò che vale in me, cerco la buona
povertà indotata. Non io voglio umiliarmi alla preghiera se la mia vela urla alla tempesta, non pattuisco voti col divino
perché la mercanzia di Cipro e Tiro non dia ancora ricchezza al mare avaro. Ed ecco che mi portano al sicuro, difeso dalla mia
nave leggera, sull'Egeo più selvaggio, il vento e i Dioscuri.
- Letteratura Latina
- Carmina di Gaio Valerio Catullo
- Orazio