Schelling ò un pensatore molto precoce, che raggiunge il massimo successo a soli 25 anni: nel 1800 circa, ad appena 32 anni, comincia già ad essere eclissato dall’astro nascente di Hegel, che peraltro era più anziano di lui. Pur essendo più giovane di Hegel, Schelling ne fu per qualche anno il maestro e, anche quando Hegel morirà , Schelling gli sopravviverà per circa 20 anni, dando vita ad una filosofia successiva ad Hegel ed in polemica con lui. Il pensiero di Schelling presenta, come già quello di Fichte, diverse fasi e, grosso modo, se ne possono individuare 5: Periodo fichteano, ovvero momentanea adesione alle tesi di Fichte Periodo della Filosofia dello Spirito e della Filosofia della Natura, ovvero elaborazione di un proprio pensiero autonomo Periodo della Filosofia dell’Identità , ovvero identificazione tra Natura e Spirito Periodo della Filosofia della Libertà , in contemporanea all’incipiente successo di Hegel Periodo della Filosofia Positiva, successiva alla morte di Hegel Schelling parte dalla filosofia di Fichte e, anche quando se ne discosterà , manterrà pur sempre qualche legame con essa. Tuttavia, dopo un primo periodo di adesione netta alla filosofia fichteana, Schelling passa alla sua prima fase autonoma (Filosofia dello Spirito e Filosofia della Natura) effettuando un ragionamento di questo genere: secondo Fichte, l’Io pone il non-Io, ovvero il soggetto (lo spirito) pone l’oggetto (la natura), attraverso un processo, di remota ascendenza neoplatonica, tutto interno all’Io, dal momento che fuori di esso non vi ò ancora nulla. Tuttavia, nota Schelling, se la natura ò stata tirata fuori dallo spirito, allora vorrà dire che la natura, in fin dei conti, ha la stessa essenza dello spirito, o, in altri termini, ò lo spirito stesso che si manifesta in modo diverso. Da qui deriva quello che Schelling, portando fino in fondo concezioni presenti embrionalmente in Fichte, definisce carattere spirituale della natura, a sottolineare che la natura ò un prodotto dell’Io (la cui prerogativa ò la spiritualità ). La natura si riveste così delle caratteristiche tipiche dello spirito e ne consegue che la concezione schellinghiana della natura sarà di stampo vitalistico e organicistico. Non a caso Schelling fu senz’ombra di dubbio il filosofo che più di tutti espresse la concezione romantica della natura vivente, che lui definisce anche spirito pietrificato: la natura, infatti, altro non ò che lo spirito che si manifesta in forme che, propriamente, non sono le sue. La filosofia di Fichte era rappresentabile tramite una semiretta, poichò vi era un punto di partenza (l’Io che poneva il non-Io) e uno slancio infinito: egli insisteva molto sul fatto che la natura fosse non-Io, poichò sentiva l’esigenza di porre un ostacolo, un qualcosa di diverso all’Io. Schelling invece forza in un’altra direzione, tendendo a sottolineare che Io (spirito) e non-Io (natura) siano la stessa cosa, poichò l’uno ò il derivato dell’altro. Ecco dunque che la filosofia di Schelling si può configurare come Filosofia dello Spirito e della Natura: come in Fichte, vi ò l’Io (spirito) che pone il non-Io (natura), ma (e qui sta la differenza rispetto a Fichte) siccome la natura ò anch’essa spirito, seppur spirito pietrificato (spirito che si estende nello spazio), allora essa presenta al suo interno una tensione che mira a tirar fuori dall’interno una sua dimensione spirituale. Sicchò nella natura troviamo livelli della realtà in cui la spiritualità si manifesta in modi diversi. Avremo una natura spirituale, in cui però lo spirito ò pietrificato, cioò sta nascosto, e solo in certi livelli della natura esso tende a manifestarsi di più: nei livelli della meccanica, ad esempio, la natura non si manifesta come spirito e la spiritualità resta nascosta, quasi incoglibile. Ma più si va verso una maggiore complessità della natura e più la sua spiritualità tende ad affiorare: già nella chimica si intravede qualche elemento spirituale, nel magnetismo si fa un ulteriore passo avanti, ed ò nel livello biologico, in cui emerge la dimensione organicista, che si vede benissimo la spiritualità . Anche nella luce, fa notare Schelling, si può scorgere un tentativo della spiritualità della natura di emergere. Va notato che il punto di partenza dello spirito ò il punto di arrivo della natura: con la posizione del non-io da parte dell’Io si procede dallo spirito alla natura, ma poi la natura va dai livelli meno vivi (la meccanica) verso una sempre maggiore spiritualità (la biologia). Se per Fichte si partiva dall’Io e si andava avanti all’infinito, con Schelling, una volta posto il non-Io, da quello si deve ritornare all’Io. Vi ò infatti una sorta di circolarità tra natura e spirito poichò lo spirito pone la natura e la natura fa emergere lo spirito. E’ dunque naturale che in questo panorama Schelling recuperi concetti platonici e bruniani quali quello dell’anima del mondo, a sottolineare che la natura, in quanto prodotto dello spirito, ò un essere vivente a pieno titolo. Si considerano spesso le posizioni di Schelling, accanto a quelle di Goethe secondo cui l’intero regno vegetale deriverebbe da un’unica pianta, come tappa verso l’elaborazione delle teorie evoluzionistiche. Certo, Schelling non ha di per sò una concezione evoluzionistica poichò la gerarchia della natura a cui egli allude non ò temporale ma puramente logica: in altri termini, Schelling vuol solo dire che vi ò una scala della natura che va dagli esseri meno complessi a quelli più complessi, dalla meccanica all’uomo. Eppure Schelling, sostenendo che tutte le cose sono manifestazioni di un’unica realtà (la spiritualità ), propone una sorta di evoluzionismo atemporale, una specie di gerarchia logica dall’essere più semplice al più complesso, entrambi manifestazioni della realtà spirituale. I diversi livelli della realtà Schelling li chiama potenze e sottolinea come, ad ogni potenza, tendano a manifestarsi polarità e ciascuno dei termini di tale polarità sia il rappresentante, a tale livello, della polarità spirito-natura: non c’ò dunque da stupirsi se in entrambi questi poli che caratterizzano ciascuna potenza si manifestano ulteriori polarità , dal momento che la polarità natura-spirito tende essa stessa a dividersi in altri gradi. All’interno degli stessi princìpi spirituali ci sarà , cioò, polarità . E’ poi evidente che, in quest’ottica, Schelling abbia una concezione finalistica della natura, con una trasformazione delle tiepide aperture kantiane in questo senso ( Critica del Giudizio ) in una vera e propria filosofia della natura in chiave teleologica. Schelling designa anche la propria filosofia dello spirito col nome di idealismo trascendentale e distingue, sulle orme di Fichte, tra un’attività pratica con cui lo spirito produce la natura e un’attività conoscitiva con cui la natura opera sullo spirito. Immediatamente successiva alla filosofia dello spirito e della natura ò la fase della Filosofia dell’identità . Il passaggio argomentativo che permette a Schelling di passare da una fase all’altra ò il seguente: se la natura ò spirito, allora anche dalla natura emerge lo spirito, aveva detto nel periodo della filosofia dello spirito e della natura. Ora, però, Schelling attribuisce pari dignità allo spirito e alla natura, poichò si richiamano a vicenda, con la conseguenza che nò l’uno nò l’altro può essere l’Assoluto. Per Fichte l’Assoluto poteva tranquillamente essere lo spirito (l’Io) poichò era su un gradino superiore rispetto alla natura (non a caso quello di Fichte era un idealismo soggettivo); con Schelling, invece, natura e spirito assurgono a pari dignità e ne consegue che l’Assoluto dovrà essere qualcosa che non ò nò lo spirito nò la natura, ma che si colloca al di là di essi. Sarà Assoluto, diche Schelling, l’ Identità assoluta di soggetto e oggetto, da lui chiamata anche assoluto o Identità . Si tratterà di un livello che si colloca al di là della distinzione soggetto/oggetto: la matrice neoplatonica risulta evidente. Spesso questa fase del pensiero di Schelling, che ò la più originale, viene rappresentata come un centro (l’Assoluto, identità assoluta di tutto) da cui nasce un’esplosione di differenziazioni: da questa fase muoverà Hegel, aderendovi e poi distaccandosene criticandola aspramente. Tipicamente romantica, oltre alla concezione spiritualizzata della natura, ò la posizione privilegiata che Schelling riserva all’ arte come strumento conoscitivo. Infatti, se la realtà ò identità assoluta di natura e spirito, allora la modalità di conoscenza non potrà essere di tipo mediato, un ragionamento discorsivo alla Platone. Viceversa, come la realtà ò assoluta, anche il modo di conoscerla dovrà essere immediato, coglibile con un’intuizione che scavalchi tutte le differenziazioni e colga subito l’identità . Ecco perchò l’arte ò lo strumento gnoseologico più adatto secondo Schelling, proprio perchò essa ò quell’espressione dell’uomo in cui soggetto (spirito) e oggetto (natura) sono fusi: nella creazione dell’opera d’arte, infatti, cooperano una dimensione di naturalità (l’ispirazione artistica) e una dimensione cosciente, l’istinto animale ò fuso con la dimensione cosciente e razionale. L’arte risulta essere lo strumento più adeguato per cogliere l’Assoluto perchò presenta un’evidente affinità con esso: si colloca ancor prima della distinzione tra spirito e natura, proprio come l’Assoluto. Sia l’arte sia l’assoluto sono a monte della distinzione tra soggetto e oggetto. E così Schelling, riconoscendo il primato dell’arte, ò costretto dal suo stesso pensiero ad esulare dalla filosofia e a naufragare verso l’arte, come Fichte verso la religione. La filosofia dell’Identità si trasforma poi, secondo una logica ben definita, in filosofia della Libertà e, in un secondo momento, in filosofia Positiva. Per staccarsi dalla filosofia dell’Identità e passare alle due successive, Schelling parte dalla constatazione che se il principio assoluto ò l’identità assolutamente indifferenziata, dove non ò possibile cogliere distinzione alcuna tra soggetto e oggetto, allora come si spiega la frantumazione della realtà ? Che cosa può aver dato origine alla molteplicità delle cose che ci circondano? Schelling si trova cioò di fronte all’annoso problema in cui si sono imbattuti tutti i pensatori che hanno ipotizzato la derivazione dell’intera realtà da un unico principio: come e perchò dall’unità assoluta del principio si passa alla frantumazione totale della realtà ? La filosofia di Schelling, da questo momento in poi, ò interamente orientata a rispondere a questa domanda: nei primi anni dell’Ottocento, Schelling ritiene di poter fornire una risposta riprendendo la filosofia panteista di Giordano Bruno, la quale aveva insistito in modo particolare su come l’uno si potesse articolare nella molteplicità . Ed ò in Bruno che Schelling trova una prima soluzione al problema: si tratta della soluzione della caduta. Il passaggio dall’uno alla molteplicità viene cioò spiegato come una sorta di decadenza (caduta) dai livelli più alti della realtà ai più bassi. In chiave religiosa, Schelling intende la caduta come una specie di peccato originale che ha portato l’uno a spaccarsi in una miriade di frantumi; oltre alla tradizione religiosa, riprende anche elementi di remota ascendenza anassimandrea, insistendo sul fatto che vi sia stata una disarticolazione causata dall’aver commesso colpe. Da questo momento, il pensiero schellinghiano si avvita su speculazioni sempre più complesse di ordine mistico-religioso, con il recupero delle riflessioni di Bà¶hme (pensatore seicentesco che mescolava alchimia e filosofia nel tentativo di giustificare il passaggio dall’uno al molteplice). Ed ò con queste riflessioni che si entra nella fase della Filosofia della libertà , caratterizzata dalla rinuncia al panteismo e dalla netta accettazione del teismo: alla natura divina si sostituisce cioò il Dio-persona. Resta però il problema della caduta, strettamente connesso a quello del male. E’ un problema a prima vista insormontabile, poichò, se vi ò un unico principio da cui tutto deriva, allora il male deve per forza derivare da esso. La soluzione adottata in questo periodo da Schelling, sulle orme di Bà¶hme e dello stesso Platone, consiste nell’ammettere un dualismo nel principio (Dio). Il male che pullula nel mondo, deve per forza derivare, come ogni altra cosa, dal decadimento del principio e di conseguenza Schelling riconosce due aspetti distinti in Dio: fondamento ed esistenza. Sullo sfondo di queste riflessioni vi ò la convinzione, tipicamente romantica, che il principio supremo sia dinamico, un qualcosa in fieri, la cui natura stessa ò il divenire, poichò esso ò vitale. L’esistenza di Dio, spiega Schelling, ò essa stessa una sorta di prodotto, in quanto Dio esiste venendo fuori da un fondo oscuro (fondamento), una sorta di origine presente in Dio ma da cui Dio stesso viene fuori. In questo senso Dio ò un’ esistenza (dal latino exsisto, ‘vengo fuori’), ovvero un venir fuori dal suo stesso fondamento oscuro: la luce emerge dalle tenebre, dice metaforicamente Schelling, che in questo modo trova in Dio stesso (nel suo fondo oscuro) il fondamento del male. Molte volte Schelling parla del fondamento di Dio come egoismo di Dio, alludendo al rimanere dentro di sò di Dio in modo egoistico, senza venir fuori (ovvero senza esistenza). A livello di Dio, però, la distinzione tra fondamento (tenebre) ed esistenza (luce) non si connota ancora esplicitamente come distinzione tra bene e male, poichò sarebbe ridicolo ammettere la presenza del male in Dio. Dunque Schelling, ammettendo il dualismo in Dio e distinguendo tra esistenza e fondamento, non dice che in Dio c’ò il male, bensì che in Dio c’ò il principio del male, del decadere, del frantumarsi della realtà e, in ultima istanza, della possibilità di scelta tra bene e male: e proprio per questo la filosofia di questo periodo ò designata col nome di Filosofia della Libertà . Di sfuggita, si può notare che nella storia secondo Schelling (e anche secondo Hegel) si manifesta Dio stesso. Con la Filosofia Positiva si resta su un terreno ancora più religioso: Schelling ripensa alla filosofia dell’ormai defunto Hegel e alle altre fiorite in quegli anni e le definisce filosofie negative, contrapponendo ad esse la nuova filosofia da lui stesso elaborata in quegli anni: la Filosofia Positiva. Si tratta di filosofie negative nel senso che sono limitate dall’aver chiarito l’essenza ma non l’esistenza: hanno cioò spiegato il quid est (che cosa ò) ma non il quod est (il fatto che una cosa esista), per dirla con un’espressione scolastica. Sì, perchò una cosa ò dire che cosa ò il libro, un’altra cosa ò dire che il libro esiste: le filosofie di quegli anni, nella prospettiva schellinghiana, si son limitate a spiegare che cosa fosse il libro, dando per scontato che esistesse. E’ come se tali filosofie avessero chiarito che cosa sono le cose con l’uso della ragione, dando per scontato che esse esistessero. Pur potendo chiarire l’essenza delle cose, nota Schelling, la ragione non potrà mai motivarne l’esistenza, poichò essa dipende da un atto di volontà creatore da parte di Dio: le cose esistono poichò Dio ha deciso che esistessero, in base ad un atto libero, il quale (proprio perchò libero) sfugge ai dettami della ragione. Con la pretesa di spiegare ogni cosa con la sola ragione, le filosofie negative han potuto render conto esclusivamente delle essenze, ossia di ciò che ò necessariamente. Ma se l’essenza dell’uomo consiste necessariamente nell’avere due gambe, due occhi e una testa e può essere colta dalla ragione, la sua esistenza, viceversa, dipende da un atto assolutamente libero da parte di Dio. Un atto libero non sarà mai razionalmente spiegabile, sicchò l’esistenza delle cose non la si ò mai spiegata tramite la ragione: e Schelling scocca i suoi dardi velenosi soprattutto contro Hegel, il cui errore più grande consiste non nell’aver spiegato razionalmente l’essenza della realtà , ma nell’aver preteso di dedurre l’esistenza delle cose dalla loro essenza. Hegel era cioò convinto che, partendo dall’essenza delle cose, da essa potesse derivare l’esistenza del mondo. Ma Schelling critica aspramente questa posizione, contrapponendo ad essa quella secondo cui dall’essenza dell’uomo non non deriva mai l’esistenza, la quale, al contrario, nasce da un atto libero di creazione da parte di Dio, atto che, proprio in quanto libero, sfugge alla ragione. Ecco dunque che Schelling si propone di integrare le filosofie negative con l’elaborazione di una filosofia positiva che non si limiti ad indagare sulle condizioni negative della realtà (l’essenza), ma anche su quelle positive (dal latino positum, ‘posto’ dall’atto libero di Dio), ovvero sull’esistenza. La soluzione che dà Schelling ò che la filosofia positiva parta non dall’impiego della ragione, ma dall’accettazione del dato di rivelazione: se una persona ò libera, del resto, la ragione non può dirmi nulla su ciò che egli farà o non farà , con la conseguenza che l’unica maniera per conoscere ciò che farà o non farà ò che ce lo dica lui (rivelazione). Questa ò la filosofia positiva di Schelling, divisa in Filosofia della mitologia e Filosofia della rivelazione. Pur essendo profondamente cristiano, Schelling non ritiene che il cristianesimo sia la sola religione ‘vera’ rivelata da Dio, bensì sostiene che pure le altre sono state rivelazioni divine, seppur indirette, quasi come se Dio fosse stato colto con la capacità metapoietica, come cioò se si fosse rivelato all’uomo con la mitologia pagana (Filosofia della mitologia). Ed ò però ai Cristiani che si ò rivelato direttamente (Filosofia della rivelazione). Sull’onda di queste speculazioni, Schelling elabora una filosofia della storia triadica, di impostazione religiosa. Come Fichte, anche Schelling ha un esito extra-filosofico: egli esce piuttosto in fretta dal tracciato filosofico per rifugiarsi prima nell’arte e poi nella religione. Di sfuggita, si può notare come Schelling, pur non essendo un esistenzialista, abbia aperto spiragli in quella direzione: non a caso Kierkegaard, precursore dell’esistenzialismo, resterà colpito dai suoi insegnamenti, anche se riterrà Schelling troppo oscuro e nebuloso. In effetti, comincia ad affacciarsi timidamente sulla scena filosofica l’idea (che sarà tipica dell’esistenzialismo) dell’irriducibilità dell’esistenza all’essenza, nella convinzione che esista una dimensione della realtà non riconducibile all’essenza e alla ragione. Si tratta di una potente reazione al pensiero hegeliano, al suo panlogismo, una contestazione all’idea che tutto sia riportabile alla ragione: Marx e Nietzsche imboccheranno entrambe questa strada, anche se con esiti molto diversi.
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