Saul Kripke nasce ad Omaha in Nebraska nel 1941. Ha insegnato all’università di Princeton. Fin da piccolo, mostra uno straordinario talento e diventa celebre a soli 17 anni, dimostrando la completezza della logica modale qualificata (in particolare del sistema S5 di C. I. Lewis) applicando un metodo modellistico molto innovativo. Questo metodo prenderà poi il nome di “semantica dei mondi possibili”. Negli anni successivi, Kripke utilizzò questo metodo espandendolo alla logica modale e alla logica intuizionistica e da tutto ciò, avendo nel frattempo influenzato la ricerca sul significato nelle lingue naturali, seguirono dibattiti filosofici sulle due nozioni di “possibile” e ânecessario” e alla loro interpretazione nella semantica dei mondi possibili. Nell’opera più importante di Kripke, Nome e necessità , l’autore si assume tutte le conseguenze filosofiche della sua semantica. Questo libro ò il testo di tre conferenze tenute dall’autore a Princeton e messe poi su carta, come altri scritti kripkiani. In questo libro, Kripke considera i nomi propri e nota come, a partire da Frege, abbia dominato quella che lui chiama la “teoria descrittivista”. Nella sua versione semplice, la teoria descrittivista afferma che ogni nome proprio ò sinonimo di una descrizione definita: questa sarebbe stata l’opinione di Frege e Russell. Una delle tesi fondamentali di Kripke ò che invece i nomi sono âdesignatori rigidiâ. Un designatore rigido ò un termine che si riferisce alla medesima entità in tutti i mondi possibili. Ciò che si vuole dire, dicendo che il nome “Aristotele” si riferisce allo stesso individuo in tutti i mondi possibili, ò che si riferisce allo stesso individuo in tutti i mondi possibili così come lo usiamo noi. L’idea di Kripke ò che quando noi ci serviamo del nome “Aristotele” parlando di altri nomi, ci riferiamo sempre allo stesso individuo. Se i nomi sono designatori rigidi non si può più sostenere che i nomi sono sinonimi di descrizioni definite perchò, salvo casi particolari, le descrizioni definite non sono designatori rigidi. Ad esempio la descrizione definita “il maestro di Alessandro Magno” si riferisce, in ciascun mondo possibile all’individuo (se esiste) che ha la proprietà in quel mondo di essere stato unico maestro di Alessandro Magno; ma ovviamente l’individuo in questione non ò lo stesso in tutti i mondi (di fatto il maestro di Alessandro Magno ò stato Aristotele, ma avrebbe potuto benissimo essere qualcun altro). Inoltre Kripke si scaglia anche contro il problema dell’identificazione attraverso i mondi possibili. Questo problema dice: dato un individuo x appartenente ad un mondo M e dato un individuo y appartenente ad un mondo N, come facciamo a sapere se x e y sono lo stesso individuo? Quali sono le condizioni che x ed y devono soddisfare affinchò si sia autorizzati a dire che x ò identico a y? Per Kripke, questo ò un falso problema in quanto condizioni non circolari per riconoscere uno stesso individuo in mondi diversi probabilmente non siamo in grado di formularle, ma non sono neppure richieste. L’idea che un individuo possa esistere in vari mondi possibili non ha bisogno di giustificazioni complicate perchò si fonda sulle nostre intuizioni preteoriche: per il senso comune ò ovvio che le cose e gli individui avrebbero potuto avere proprietà in parte diverse da quelle che hanno di fatto. Venedo alla ragione fondamentale per cui Kripke critica la teoria descrittivista (il cosidetto “argomento modale”) ò che essa, in tutte le sue versioni, ci obbliga a considerare analitici, ossia necessari, enunciati che non lo sono. Supponendo infatti che “Aristotele” sia sinonimo della descrizione definita “il maestro di Alessandro Magno”, allora i due enunciati seguenti sono sinonimi. A) Aristotele, se ò esistito, fu maestro di Alessandro Magno. B) Il maestro di Alessandro Magno, se ò esistito, fu maestro di Alessandro Magno. B) Eâ un enunciato vero in tutti i mondi possibili, ed esprime una verità necessaria. Se A) fosse effetivamente sinonimo di B), anche A) dovrebbe essere vero in tutti i mondi possibili ed esprimere una verità necessaria; ma l’intuizione ci dice che non ò cosi: ci sono mondi in cui Aristotele ò esistito ma non ò stato maestro di Alessandro Magno. Visto il fallimento della teoria descrittiva, Kripke per tentare di sfuggire alle difficoltà a cui dà luogo, propone di modificarla presentandola come una teoria della fissazione del riferimento. Cioò, invece di dire che un nome ò sinonimo di una descrizione definita, si può sostenere che il contenuto descrittivo associato ad un nome N serve solo ad identificare, tra le entità del mondo reale, l’entità x cui N si riferisce; N poi continua a riferirsi a x anche quando ò usato per parlare di altri mondi possibili. Ma Kripke abbandona anche questa possibilità : infatti spesso noi usiamo un nome senza associare ad esso nessun contenuto descrittivo abbastanza specifico per poter identificare una singola entità . Inoltre anche quando non ò così, può accadere che l’entità in questione non sia quella cui il nome si riferisce. Stabilito che la teoria descrittiva ò errata anche per la fissazione del riferimento, allora che cosa fissa il riferimento? Secondo Kripke il fatto che un nome N, come io lo uso, si riferisca ad una certa entità x, dipende dal modo in cui il nome N mi ò stato trasmesso. C’ò stato all’inizio un atto di battesimo tramite il quale qualcuno ha conferito a x il nome N. Poi il nome N ha cominciato a diffondersi all’interno della comunità linguistica; in questo modo si sono formate varie catene di trasmissione del nome irradiantesi dall’atto di battesimo iniziale. Se il nome N mi ò arrivato attraverso una di queste catene che hanno come punto di partenza l’atto di battesimo, allora N, come io lo uso, si riferisce ad x, indipendentemente dal fatto che io sia o non sia in condizione di identificare descrittivamente x. Kripke inoltre estende la sua analisi dei nomi propri ai termini di specie (“tigre”) e di sostanza(“oro”). Neanche in questi casi il riferimento ò fissato dal contenuto descrittivo associato eventualmente dai parlanti ai termini in questione. Anche in questo caso, il riferimento ò fissato piuttosto dall’esistenza di catene causali appropriate. Oltre ad un breve saggio, Identità e necessità , del 1971, Kripke ha fornito in Wittgenstein su regole e linguaggio privato (1982) anche una nuova interpretazione dell’argomento contro il linguaggio privato di Wittgenstein che ha concepito come un’applicazione delle riflessioni sul “seguire una regola” delle Ricerche Filosofiche. L’opinione generale ò che questo libro abbia un rilievo teoretico più che di fedeltà al testo wittgensteiniano, anche perchò ò lo stesso Kripke che ammette che “probabilmente Wittgenstein stesso non approverebbe”. Secondo l’autore, la tesi di Wittgenstein ò che la conformità di un tipo di comportamento a una regola non si può fondare sulla medesima regola ma deriva dal fatto che una determinata comunità denota quel comportamento come un’applicazione della regola.
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- Filosofia - 1900