Vita e filosofia di Alberto Magno - Studentville

Vita e filosofia di Alberto Magno

Pensiero e vita del filosofo Alberto Magno.

I teologi che si richiamavano al pensiero di Agostino, in particolare i francescani, anche quando accoglievano dall’ aristotelismo tematiche o soluzioni di problemi, erano in genere ostili ad un recupero della filosofia di Aristotele nella sua globalità . Ma ciò che questa filosofia offriva era proprio il modello di un sistema completo e organico di filosofia della natura, capace di spiegare la totalità  del cosmo e di quanto esso contiene e, inoltre fondato su una concezione della scienza come dimostrazione a partire dai principi. Chi più contribuì a rendere accettabile questa immagine di Aristotele e l’ intera sua opera nell’ Occidente latino, sopratutto negli ambienti domenicani, fu Alberto di Colonia detto Magno. Nato da famiglia nobile in germania, in una cittadina della Svevia, verso il 1200, fu inviato a Padova a studiare nella facoltà  delle Arti. Qui si manifestarono i suoi interessi per le scienze naturali e inizia probabilmente il suo studio delle opere di Aristotele. Nel 1223 decide di entrare nell’ ordine domenicano e ritorna in Germania, dove compie il suo noviziato a Colonia. A questo periodo risale ilsuo primo scritto De natura boni, nel quale già  dimostra conoscenza delle opere di di Aristotele, anche di quelle di filosofia della natura. Il maestro dell’ ordine domenicano decide di mandarlo a studiare teologia a Parigi, l’ unico studium generale dove i domenicani avevano due cattedre di teologia. A Parigi Alberto risiede fra il 1243, e il 1248; dapprima tiene lezioni sulle Sentenze di Pietro Lombardo e nel 1245 diventa maestro di teologia. In quello stesso anno arriva a Parigi Tommaso d’ Acquino, che entra in contatto con lui e che poi, nel 1248, lo accompagna a Colonia, dov’ò istituito il primo studium generale dei domenicani in Germania. Qui Alberto ò maestro di teologia sino al 1254 e tiene lezioni non soltanto sullo Pseudo-Dionigi, ma anche sull’ Etica Nicomachea di Aristotele. I suoi confratelli gli chiedono di scrivere un libro sull’ intera conoscenza naturale; nascono in tal modo numerosi scritti che sono in buona parte parafrasi delle opere aristoteliche: Physica, De caelo, De natura locorum, De causis proprietatum elementorum, De generatione et corruptione, Meteora, De mineralibus et lapidibus, De anima, De vegetalibus, De animalibus. Conquesta mole imponente di scritti, portati a conclusione nel 1271, Alberto costruisce su basi aristoteliche, un’ imponente enciclopedia del sapere. Dal 1254 al 1257 egli regge la provincia domenicana di Teutonia. Nel 1256/57 rappresenta i domenicani ad Anagni, presso la curia papale, contro gli attacchi di Guglielmo di Saint-Amour e i maestri delle Arti parigini, e dibatte contro gli averroisti sul problema dell’ unità  dell’ intelletto: da questa disputa scaturirà  lo scritto ” De unitate intellectus contra Averroistas ” del 1263. Nel frattempo, dimessosi dalla carica di provinciale nel 1257, Alberto è rientrato a Colonia e nel 1259, su incarico del maestro dell’ ordine, stende, con l’ aiuto, tra gli altri, di Tommaso d’ Aquino, la ” ratio studiorum “, il programma di studi dell’ ordine domenicano. Nel 1260 il papa Alessandro IV lo nomina vescovo di Ratisbona, ma l’ anno successivo Alberto parte per Roma per rassegnare le sue dimissioni al papa. Nel luglio 1261 arriva presso la curia a Viterbo, dove soggiorna il nuovo papa Urbano IV, successo ad Alessandro IV, e vi risiede fino al 1263: qui incontra nuovamente Tommaso d’ Aquino e viene a conoscenza di nuove traduzioni di testi aristotelici da parte di Guglielmo di Moerbeke. Nel 1263 Urbano IV gli ordina di andare a predicare la crociata in Germania e in Boemia. Fra il 1264 e il 1267 Alberto vive nel chiostro domenicano di Wurzburg, dove forse stende il suo commento alla Metafisica di Aristotele. Dal 1269 sino alla sua morte, avvenuta nel 1280, risiede a Colonia, come lector emeritus, e qui scrive una delle sue ultime opere, la parafrasi del Leber de causis, in cui egli scorge il vertice della filosofia aristotelica. Per Alberto, come già  per Averroò, Aristotele rappresenta il culmine della filosofia, il punto più avanzato al quale può giungere la ragione umana. Il compito che egli si propone è pertanto quello di intendere ed esporre i contenuti della filosofia aristotelica in tutti i suoi aspetti. Egli dà  quindi ai suoi scritti la veste di parafrasi di quelli aristotelici, aggiungendo digressioni, integrazioni con nuovi dati ( in particolare, sui minerali e su vegetali e animali ignoti ad Aristotele ), interpretazioni alternative di passi del testo aristotelico. Tali parafrasi sono destinate non tanto all’ insegnamento, quanto alla lettura. Con esse, egli intende presentare il vero pensiero di Aristotele, tanto che, a conclusione della Metafisica, egli afferma: ” Tutto ciò che ho detto è conforme all’ opinione dei peripatetici: chi vorrà  mettere a prova ciò che ho detto, legga attentamente i loro libri e non indirizzi a me, ma a loro, le lodi o le critiche che meritano “. Agli occhi di Alberto la filosofia, che procede mediante ragionamenti e sillogismi, è autonoma nel suo campo e non deve essere confusa con la teologia. Quest’ ultima possiede principi propri, i quali le provengono dalla rivelazione e ai quali essa dà  il suo assenso per fede; perciò nessuna delle due discipline può interferire con l’ altra. Così quando si affrontano questioni di filosofia della natura non si possono introdurre interventi miracolosi da parte di Dio: le spiegazioni a partire da principi propri all’ ambito naturale conducono a risultati validi. D’ altra parte ciò che è realmente conosciuto dalla ragione non può contraddire la verità  rivelata, anche se la teologia, avendo per oggetto tutto ciò che riguarda la salvezza, non può non avere un primato su ogni altra scienza. Alberto rivaluta così la curiositas propria del sapere profano, dedita a investigare gli aspetti segreti e meno noti della natura, compreso il mondo dei metalli, dei vegetali e degli animali. Egli condanna la magia che ricorre a pratiche demoniche per agire sulla natura, ma accoglie la tesi di un legame fra le varie parti della natura e di una dipendenza delle cose e degli eventi del mondo sublunare dal movimento dei corpi celesti. Questi sono guidato da intelligenze motrici ( già  Platone aveva sostenuto che gli astri fossero enti intelligenti ), attraverso le quali la virtù della causa prima, cioò Dio stesso, esercita il suo influsso su tutto il creato. Influenzato da Liber de causis, che egli considera il coronamento della metafisica aristotelica, Alberto ravvisa nell’ universo un sistema gerarchico di realtà , dalla massima perfezione che è Dio, da cui tutto deriva, sino alla materia. La derivazione delle cose da Dio non è però un processo necessario, come avevano sostenuto molti pensatori arabi; l’ atto creativo di Dio è infatti libero e può dar luogo a effetti diversi: da ciò deriva il carattere contingente, non necessario, di tutte le cose create. Secondo Alberto, tuttavia, non è possibile dimostrare, a partire dai principi propri della filosofia della natura, che il mondo abbia avuto inizio nel tempo. E’ solo la rivelazione che dà  la certezza di tale inizio, dovuto alla libera iniziativa di Dio. Per spiegare i singoli fenomeni naturali non è necessario ricorrere all’ intervento diretto della causa prima. Il divenire, come aveva già  detto Aristotele, consiste nel passaggio dalla materia alla forma, ma la materia è concepita da Alberto non come pura passività , bensì come ” inchoatio formae “: la forma è contenuta potenzialmente e confusamente nella materia, che pertanto ha un desiderio della forma. Così nella materia è già  contenuta potenzialmente e nascostamente la vita vegetativa e in questa la sensitiva. Il passaggio all’ atto di queste potenzialità  è spiegabile mediante l’ azione delle cause seconde, che agiscono a loro volta sotto l’ influenza dei cieli; invece, il passaggio che porta all’ assunzione da parte di un corpo dell’ anima intellettiva richiede l’ intervento diretto della causa prima: tale anima è creata direttamente da Dio. Contro la tesi propria delle correnti agostiniane e francescane della pluralità  delle forme, Alberto sostiene che unica è la forma sostanziale del corpo: essa è appunto l’ anima intellettiva, che è individuata da un sostrato che svolge nei suoi confronti la stessa funzione individuante che la materia svolge nei confronti degli esseri corporei. Tale sostrato è l’ intelletto in potenza, che individua l’ intelletto agente: quest’ ultimo è come una luce grazie alla quale l’ anima astrae dalla materia le forme intellegibili e giunge in tal modo alla conoscenza degli universali. Ciò significa che l’ intelletto non è unico per tutta la specie umana, come avevano sostenuto alcuni interpreti arabi di Aristotele, in particolare Averroò. Ciò che sopravvive alla morte del corpo è dunque non un presunto intelletto impersonale ( il nous poietikòs ) e unico, bensì l’ anima dei singoli individui, come aveva sostenuto Platone.

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