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Winckelmann

Winckelmann e l'arte classica.

Archeologo tedesco e storico dell’arte che si occupò di arte classica, particolarmente di quella dell’antica Grecia e influenzò non solo la pittura e la scultura occidentale ma anche la letteratura e la filosofia.

Winckelmann era figlio di un ciabattino. I suoi anni di formazione furono influenzati dallo studio della Grecia, specialmente di Omero, che lesse per la prima volta dalla traduzione inglese del Papa Alessandro. Studiò inoltre teologia all’università di Halle (1738) e medicina all’università di Jena (1741-42). Studiò fino al 1748 fino a quando diventò bibliotecario dei conti Von Bunau e Nothnitz nei pressi di Dresda; qui venne a contatto con il mondo dell’arte greca e scrisse il saggio formativo “Riflessioni sulla pittura e la scultura dei Greci 1765, nel quale asserì: ”La sola via per diventare grandi, o se possibile anche inimitabili, è imitare i Greci”. Il suo saggio divenne il manifesto dell’ideale greco nell’educazione e nell’arte e fu tradotto presto in parecchie lingue. Sotto l’influenza della corte Sassone, abbracciò la fede cattolica; entrando nei servizi del futuro cardinale Accinto, cambiò la sua patria per la città di Roma, seconda solo a Parigi come centro culturale. Qui accettò il ruolo di bibliotecario del Vaticano, di presidente delle Antichità e, successivamente, segretario del cardinale Albani, che aveva una delle più grandi collezioni private di arte classica. La posizione del Winckelmann e l’influente patronato gli diedero accesso ai tesori dell’arte di Roma, con la speranza di crescita per il suo talento come critico dell’arte ed esperto per i turisti della nobiltà europea. I suoi lavori furono letti con successo e gli fecero guadagnare il rispetto del mondo intellettuale del suo tempo, incluso il poeta Goethe, che disse:

“Winckelmann è come Colombo,che non ha ancora scoperto il nuovo mondo ma è ispirato da una premonizione di quello che sta per scoprire. Non si apprende nulla di nuovo quando si legge la sua opera, ma si diventa un uomo nuovo!”

La sua “Storia dell’arte dell’Antichità” (1764) è virtualmente il primo lavoro che definisce l’arte antica come un organico sviluppo di crescita, maturità e declino; include fattori tecnici e culturali come il clima, la libertà e la bravura nell’esporre l’arte di un popolo; aggiunge poi la definizione del bello ideale. Questa opera inaugurò la divisione dell’arte antica in periodi:

–          il pre-Fidiano (o arcaico), il massimo dello stile sublime dei più grandi scultori greci Fidia e policleto del V sec. a.C.;

–          l’elegante e bel stile dello scultore Praxiteles e del pittore Apelles che vissero in Grecia nel IV sec. a.C.;

–          il periodo imitativo, corrispondente alla tintura greca ellenistica e romana, che passò nel linguaggio comune della storia dell’arte greca.

Ma la sua fama resta soprattutto grazie alla sua descrizione dei lavori individuali dell’arte, osservazioni con caldo e spontaneo stile. Le sue osservazioni nel Laocoonte, l’Apollo Belvedere, le Niobidi e il Torso Belvedere sono diventati punti di riferimento nella storia della letteratura tedesca. Lo studio della storia dell’arte come disciplina distante e di archeologia e come una scienza umana deve essere ricondotto a Winckelmann.

Le sue osservazioni, comunque vere sullo spirito dell’arte greca, sono derivate quasi interamente da opere ellenistiche o copi romane di capolavori greci. Fu breve la sua ambizione di visitare la Grecia, a dispetto degli inviti ripetuti da un suo amico ad intraprendere una “pericolosa avventura”. Il mondo dell’arte greca, rimase per lui sempre un ideale, una concezione che è rimasta in vari gradi ancora oggi. Le circostanze riguardo la morte del Winckelmann sono oscure e sono sorte fornendo molte congetture nella sua complessa personalità, apparentemente omosessuale. Nel 1768 rivisitò Dresda e Vienna per la prima volta dal suo lungo soggiorno in Italia. Durante il suo ritorno a roma fu assassinato a Trieste da un conoscente che si era mostrato come un amico. Fu sepolto qui nel cimitero della Cattedrale di San Giusto.

Il genio e gli scritti di Winckelmann, molti più di ogni altro singolo critico, risvegliarono il sapore popolare per l’arte classica che poi genererò il movimento neoclassico nelle arti. Le due più influenti opere di Winckelmann furono “Riflessioni” e la “Storia”.

Le “Riflessioni”, essenzialmente una definizione filosofica dell’estetica greca, contengono la sua famosa affermazione sulla “nobile semplicità e quieta grandezza” della scultura greca. Contengono inoltre una descrizione della statua greca del Laocoonte che influenzò profondamente il commediografo e critico tedesco Gotthold Ephraim Lessing, come conseguenza della relazione tra arte, letteratura e le emozioni.

La “Storia” benché sia una opera poco conosciuta, è importante per aver introdotto lo studio della storia dell’arte come metodologia scientifica.

La visita di Winckelmann a Pompei ed Ercolano durante i primi anni della loro scoperta, fece sì che le sue comunicazioni presero forma di “lettere aperte”, nelle quali espose le sviste dei cercatori dilettanti e aiutò gli scavi affidandoli a mani competenti. Per questo motivo e grazie al suo catalogo di gemme antiche, è stato chiamato il “padre dell’archeologia moderna”.

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