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La lettera scarlatta

Analisi del romanzo "La lettera scarlatta" di Hawthorne.

BIOGRAFIA DELL’AUTORE: Nathaniel Hawthorne nacque a Salem nel 1804 e morì a Flymouth nel 1864. Discendeva da quei puritani che quasi due secoli prima avevano portato nelle nuove terre la severa religiosità, il senso intransigente del peccato e che proprio a Salem, la città nativa di Hawthorne, avevano processato le streghe. Hawthorne fu tra i primi ad avere coscienza dell’autonomia di quella tradizione rispetto alla cultura e alla storia europea. Orfano di padre, crebbe tra donne, solo con i suoi libri e le sue passeggiate. La sua vita fu basata sull’osservazione e sull’analisi. Cominciò a scrivere presto ma i suoi racconti giovanili passarono inosservati. Solo nel 1837 uscì la sua prima raccolta firmata: Racconti narrati due volte, incentrati su una problematica morale. I personaggi sono più che altro portatori di temi morali, come la presenza misteriosa del peccato dentro la nostra anima. In seguito Hawthorne si aprì ad una vita più attiva: lavorò alle dogane. Nel 1850 uscì il suo capolavoro, il romanzo: “La lettera scarlatta” che ricostituisce il clima puritano di Boston dal secolo XVII. La nomina dell’amico Pierce alla presidenza degli Stati Uniti nel 1853, segnò una svolta nell vita dell’autore: fu nominato console a Liverpool. Si trasferì in Europa dove restò con la sua famiglia fino al 1860. Morì in patria 4 anni dopo.

Sicuramente la sua opera più celebre è “La lettera scarlatta”.

IL TITOLO: Il titolo che è solitamente la sintesi dell’opera sottolinea l’emblema di una lettera, la lettera A impressa con un ricamo sul petto di una donna, da lei stessa ricamata, simbolo del suo peccato: infatti è un’ADULTERA.

GENERE: romanzo

PERSONAGGI:  La protagonista è una donna di nome Ester costretta a portare sul suo petto un simbolo così schiacciante ed umiliante. Ella è alta e bella dai neri e foltissimi capelli nei quali il sole accende  subiti bagliori. Regolari le linee del volto, deciso il taglio delle sopracciglia e neri e profondi gli occhi, Ester appare come una donna forte che non si abbassa mai a chiedere l’elemosina ma la sua maestria nei lavori con l’ago basta a provvedere alla sua vita e a quella della bambina anche in un paese che non offre grandi possibilità di commercio. Altri personaggi sono: il suo “complice” Arturo Dimmesdale che tenta di rimanere nascosto e ha l’abitudine di tenere una mano sul cuore; suo marito che vive con l’unico scopo di vendicarsi trasformandosi quasi in un demone e infine la piccola Perla, frutto di un peccato. Lo sfondo è rappresentato dai pregiudizi della gente di quella colonia, pronta a condannare chiunque infrange anche la più piccola di quelle regole puritane.

TRAMA: l’opera si apre con una parte introduttiva: La dogana, nella quale l’autore descrive l’ambiente in cui lavorava. Egli ci induce a credere di aver trovato in un involto misterioso un lembo di stoffa scarlatta consunta dal tempo e dall’uso che conservava tracce di ricami d’oro senza alcuno splendore. Ma ciò che lo colpì fu il disegno di una lettera, una A maiuscola. Appoggiata la stoffa a sé ricevette l’impressione di una bruciatura e la lasciò cadere a terra. Vide nel luogo in cui aveva trovato la stoffa un piccolo rotolo di carta, lo aprì e trovò la spiegazione completa del mistero. Intorno a questo lembo l’autore creerà una storia, in parte frutto della sua fantasia ma in parte testimoniata dal rotolo di carta. La storia comincia da una descrizione spazio – temporale. Era una mattinata d’estate e dalla prigione uscì una donna di nome Ester Prynne condotta a sfilare sul palco della gogna, ordigno fatto in modo da stringere la testa del colpevole, in modo da costringerlo a tenere il volto esposto agli sguardi della folla. . Stringeva tra le sue braccia una bambina, frutto del suo peccato: era un’adultera. Ma la punizione non terminò qui. Fu costretta a ricamare sul suo vestito una lettera A simbolo della sua colpa. In quel giorno, per assistere a quello spettacolo si era radunata molta gente, ma un uomo colpì Ester. Aveva una spalla più alta dell’altra ed un tempo era stato molto importante nella sua vita: suo marito al quale aveva promesso di precederlo in mondo migliore ma aveva finito col tradirlo. Ricondotta al carcere incontrò quell’uomo che si fece giurare il segreto della sua vera identità. Si nascose così sotto il nome di Ruggero Chillinworth e il suo unico obiettivo divenne trovare il “complice” di Ester, quell’uomo di cui si ostinava a tacerne il nome. Ester uscita dal carcere ebbe la convinzione che la sua vita non poteva essere più felice e lieta come quella di un tempo. Invano il governatore di quella colonia tentò di strapparle la bambina. Accanto alla giovane donna si pose il buon padre spirituale, Arturo Dimmesdale, che riuscì a convincere tutti che quella bambina chiamata Perla era l’unica speranza e luce degli occhi di Ester. Intanto Chillinworth, avendo il sospetto che il complice di Ester fosse proprio quel buon prete, decise di vivere insieme a lui con il pretesto di curare la sua salute cagionevole. Si rese conto dopo qualche mese che ciò che affliggeva il povero prete non era un male fisico ma un male morale. Era proprio lui il padre di Perla. Una notte il povero uomo esasperato si incamminò verso il palco della gogna dove ben sette anni prima era salita Ester che ora era lì a guardarlo. Salita anch’ella su quel palco lo abbracciò promettendogli che non in questo mondo ma in un altro ancora più felice sarebbero stati uniti. Appena apparvero le prime luci dell’alba si lasciarono e ognuno proseguì per la sua strada. Nel giorno del corteo atteso annualmente dal popolo don Arturo confessò il suo peccato, provocando meraviglia e terrore (è peccato mortale?!?) e dopo poco spirò. Intanto Perla era cresciuta e si sposò e visse felice come sposa e come madre lontana da quel luogo. Chillinworth, svanito l’unico scopo della sua vita, cioè la vendetta, morì. Ester, invece, terminò i suoi giorni nel luogo in cui aveva tanto amato e sofferto. E la sua salma fu deposta accanto al suo complice.   

STILE: l’autore adotta un linguaggio lineare, semplice e comprensivo. Non appare alcuna forma derivante da espressioni dialettali.

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