Il semestre filtro sostituisce il tradizionale test d’ingresso a Medicina con un sistema basato su frequenza obbligatoria ai corsi e tre prove a quiz sulle materie di base: Chimica, Biologia e Fisica. Per accedere alla graduatoria nazionale, ogni candidato deve conseguire almeno 18/30 in ciascuno dei tre esami, senza possibilità di compensazione tra prove.
Alla prima applicazione su scala nazionale, il meccanismo ha prodotto un numero di idonei inferiore alle attese. La soglia fissa del 18/30 si è rivelata più selettiva del previsto, generando graduatorie ridotte rispetto ai posti disponibili. Il ministero dell’Università ha quindi disposto un allargamento dei criteri di accesso, consentendo l’ingresso anche a candidati che avevano superato solo uno o due dei tre esami richiesti.
Questo aggiustamento in corsa ha introdotto un elemento di flessibilità inizialmente non previsto, modificando di fatto le condizioni di selezione a percorso già avviato e sollevando interrogativi sulla coerenza del sistema rispetto agli obiettivi dichiarati.
La protesta delle due biologhe: profili, atto simbolico e motivazioni
Lina e sua figlia Federica, entrambe residenti a Napoli, hanno completato un percorso accademico significativo: laurea triennale e magistrale in Biologia, abilitazione professionale e iscrizione all’albo regionale dei biologi. Nonostante questo curriculum, si sono trovate costrette a iscriversi al semestre filtro per accedere a Medicina. Come forma di opposizione al sistema, hanno consegnato in bianco i test previsti.
Il loro gesto è stato accompagnato da una lettera formale indirizzata alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini, alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Nella missiva le due biologhe spiegano: “Non possiamo essere giudicate due volte sulle stesse materie”.
Le studentesse sottolineano di aver già sostenuto esami di Chimica, Biologia, Fisica e Biochimica con programmi più estesi rispetto a quelli del semestre e in forma orale anziché a quiz. Rivendicano il diritto allo studio senza ripetizioni: “Lo studio è un nostro diritto. Abbiamo già dimostrato le competenze richieste”.
Le criticità giuridico-didattiche: riconoscimento degli esami e principio di non ripetizione
Le due biologhe sostengono che un esame universitario già superato non può essere ripetuto e rivendicano il riconoscimento delle equivalenze accademiche. Nella lettera al governo citano i principi di equità e inclusione evocati dallo stesso ministero, ritenendo contraddittorio doversi sottoporre nuovamente a prove su materie già certificate.
Il nodo centrale riguarda la mancata valorizzazione delle competenze pregresse: esami di Chimica, Biologia, Fisica e Biochimica, svolti con programmi estesi e valutati in forma orale, non vengono considerati equivalenti ai quiz del semestre filtro. Secondo quanto riportato nei resoconti, le studentesse sottolineano che in qualunque altro percorso universitario tale riconoscimento sarebbe automatico.
La questione solleva dubbi sulla coerenza tra le finalità selettive del semestre filtro e la tutela dei diritti di chi ha già completato percorsi formativi affini, evidenziando una possibile lacuna nei meccanismi di transizione tra diversi ordinamenti didattici.
Le ricadute sul sistema di accesso: selezione, idoneità e possibile paradosso
Il caso delle due biologhe napoletane mette in luce una contraddizione operativa nel meccanismo di selezione. Dopo l’allargamento dei criteri ministeriali, candidati che hanno superato solo uno o due dei tre esami possono accedere alla graduatoria, mentre studentesse già laureate magistrali, abilitate e iscritte all’albo professionale risultano non idonee perché hanno rifiutato di ripetere esami equivalenti già sostenuti con programmi più estesi.
Il paradosso solleva una questione fondamentale: come conciliare le esigenze di selezione con il riconoscimento delle competenze pregresse? Le biologhe chiedono risposte chiare al ministero: “Abbiamo i requisiti per continuare a studiare e contribuire domani al Servizio sanitario. Perché negarci questa possibilità?”. La vicenda riapre il dibattito sull’equità dei criteri di accesso e sulla valorizzazione dei percorsi formativi già completati rispetto alla rigidità di prove standardizzate a quiz.