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Algebra Classica

Storia dell'algebra classica attraverso le figure di celebri matematici.

I notevoli progressi compiuti dai matematici alessandrini, come Erone di Alessandria e Diofanto, sono testimoniati dall'opera di Diofanto stesso, l'Aritmetica, che contiene la descrizione di alcuni procedimenti risolutivi validi per complesse equazioni indeterminate.

Anche nel mondo islamico i matematici proseguirono lo studio delle equazioni; nel IX secolo il matematico arabo al-Khuwarizmi, che per primo introdusse il termine alãgabr, da cui derivò algebra, scrisse uno dei primi libri di algebra araba, che conteneva un'esposizione sistematica della teoria fondamentale delle equazioni, completa di esempi e dimostrazioni. Sul finire del IX secolo il matematico egiziano Abu Kamil enunciò alcune delle leggi fondamentali dell'algebra, dimostrò numerose identità e risolse problemi complicati, come la determinazione dei valori incogniti x, y e z, che soddisfano gruppi di relazioni del tipo:

x + y + z = 10

x^2 + y^2 = z^2

x*z = y^2.

Nell'antichità le espressioni algebriche venivano scritte mediante occasionali abbreviazioni, scelte in modo non sistematico; tuttavia, in epoca medievale, i matematici islamici riuscirono a definire le potenze dell'incognita x e a ricavare l'algebra fondamentale dei polinomi senza l'aiuto del simbolismo moderno. Ciò presupponeva la capacità di moltiplicare, dividere, estrarre le radici dei polinomi, come pure la conoscenza del teorema del binomio. Il matematico, astronomo e poeta persiano Omar Khayyam mostrò come esprimere le radici delle equazioni di terzo grado per mezzo di segmenti di retta ottenuti dall'intersezione di coniche, ma non fu in grado di trovare una formula algebrica per la determinazione di queste radici.

All'inizio del XIII secolo, il matematico italiano Leonardo Fibonacci ottenne una soluzione approssimata dell'equazione cubica x^3 + 2*x^2 + c*x = d, probabilmente sfruttando un metodo di approssimazioni successive di origine islamica.

Sul principio del XVI secolo, i matematici italiani Scipione dal Ferro, Niccolò Tartaglia e Gerolamo Cardano risolsero la generica equazione di terzo grado in funzione delle costanti dell'equazione stessa. Spettò poi all'allievo di Cardano, Ludovico Ferrari, il merito di aver determinato una soluzione esatta valida per le equazioni di quarto grado e, nei secoli che seguirono, l'obiettivo dei più grandi matematici fu rivolto alla ricerca di una formula generale che fornisse le radici delle equazioni di grado uguale e superiore al quinto. All'inizio del XIX secolo, il matematico italiano Paolo Ruffini, il norvegese Niels Abel e il francese Evariste Galois dimostrarono, a livello teorico, l'inesistenza di tale formula.

Un importante sviluppo dell'algebra del XVI secolo fu l'introduzione dei simboli per indicare le incognite, le potenze algebriche e le operazioni; infatti il libro III della Géometrie (1637) del filosofo e matematico francese René Descartes, noto comunemente come Cartesio, assomiglia a un moderno testo di algebra molto più delle opere precedenti. Il contributo più significativo che vi è riportato è l'introduzione della geometria analitica, per mezzo della quale è possibile la risoluzione di problemi geometrici in termini algebrici e, contemporaneamente, la rappresentazione geometrica di problemi di carattere algebrico. Il testo di geometria conteneva comunque anche gli elementi essenziali di un corso sulla teoria delle equazioni, inclusa la cosiddetta regola dei segni, che permette di determinare il numero delle radici positive e negative di un'equazione assegnata. Lo studio della teoria delle equazioni progredì nel corso del XVIII secolo e nel 1799 il matematico tedesco Carl Friedrich Gauss pubblicò la dimostrazione dell’enunciato secondo cui ogni equazione polinomiale ammette almeno una soluzione tra i numeri complessi, un risultato estremamente importante, oggi noto come teorema fondamentale dell'algebra.

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