Baudelaire e il viaggio - Studentville

Baudelaire e il viaggio

Il significato del viaggio e del mare in Baudelaire.

Al centro dei Fiori del male di Charles Baudelaire vi è il tema del viaggio, che, sfruttando modalità espressive totalmente innovanti, diventa la chiave per affrontare il problema dell'esistenza e delle possibilità di riscatto poetico attraverso l'evasione in un altrove, in un virtuale spazio dell'anima prima che del corpo. Accedere a tale dimensione consente di scavalcare i condizionamenti di una società, che si illude di trovare nella razionalità le risposte ai suoi problemi. Questo altrove si configura innanzitutto come lo spazio aperto del mare, metafora della libertà, che, con il suo dilatarsi ampio sulla sfera dell'orizzonte, allude alla spazialità seducente dell'apertura alla natura. Ma ben presto il mare diviene referente inquietante ( specchio ) dell'animo turbato, ansioso e instancabilmente coinvolto "… nell'infinito srotolarsi dell'onda…". Il mare è "… abisso non meno amaro" è "lamento indomabile e selvaggio" in cui si riflettono i turbamenti profondi ed inconsci dell'io, inconoscibili, inesplicabilmente e crudelmente rinnovati dalla contraddittorietà della vita. Il mare non è dunque in Baudelaire paesaggio, ma rirerimento simbolico della dinamica interiore dell'animo. Tutto emerge dall'immaginazione come corrispettivo visionario e simbolico della propria interiorità sofferta.

L'uomo e il mare

Uomo libero, sempre tu amerai il mare!
Il mare è il tuo specchio: contempli l'anima tua
nell'infinito srotolarsi della tua onda,
e il tuo spirito è un abisso non meno amaro.

Ti diletti a tuffarti nel seno della tua immagine;
l'abbracci con gli occhi e con le braccia, e il tuo cuore
si distrae talvolta dal proprio battito
al fragor di quel lamento indomabile e selvaggio.

Entrambi siete tenebrosi e discreti:
uomo, nessuno ha sondato il fondo dei tuoi abissi;
mare, nessuno conosce le tue intime ricchezze:
tanto gelosamente serbate i vostri segreti !

E tuttavia da secoli innumerevoli
vi fate guerra senza pietà nè rimorsi,
tanto amate la strage e la morte,
o lottatori eterni, o fratelli inseparabili !

COURBET, La falesia di Etretat dopo la tempesta,1869

Pubblicato  nel 1859 della Revue française è dedicato a Maxime du Camp, amico di Flaubert e di Baudelaire, che aveva compiuto numerosi viaggi. Il poemetto proclama la vanità di ogni tentativo di sfuggire a se stessi e nega ogni valore al progresso tecnico, mentre l'amico Maxime du Camp amava celebrare tutti i vantaggi pratici che la scienza apportava ai suoi tempi. Il componimento ha una  notevole densità di significati in quanto riassume – quasi in modo paradigmatico – tutta la dialettica mentale ed emozionale che si accompagna all'idea del viaggio, colto in tutti i suoi significati metaforici ed allegorici, ma anche nella concretezza allusiva di esperienze personali forti e drammatiche.

Il viaggio

A Maxime Du Camp

I

Per il ragazzo, amante delle mappe e delle stampe,
l’universo è pari al suo smisurato appetito.
Com’è grande il mondo al lume delle lampade!
Com’è piccolo il mondo agli occhi del ricordo!

Un mattino partiamo, il cervello in fiamme,
il cuore gonfio di rancori e desideri amari,
e andiamo, al ritmo delle onde, cullando
il nostro infinito sull’infinito dei mari:

c’è chi è lieto di fuggire una patria infame;
altri, l’orrore dei propri natali, e alcuni,
astrologhi annegati negli occhi d’una donna,
la Circe tirannica dai subdoli profumi.

Per non esser mutati in bestie, s’inebriano
di spazio e luce e di cieli ardenti come braci;
il gelo che li morde, i soli che li abbronzano,
cancellano lentamente la traccia dei baci.

Ma i veri viaggiatori partono per partire;
cuori leggeri, s’allontanano come palloni,
al loro destino mai cercano di sfuggire,
e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!

I loro desideri hanno la forma delle nuvole,
e, come un coscritto sogna il cannone,
sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli
di cui lo spirito umano non conosce il nome!

II

Imitiamo, orrore! nei salti e nella danza
la palla e la trottola; la Curiosità, Angelo
crudele che fa ruotare gli astri con la sferza,
anche nel sonno ci ossessiona e ci voltola.

Destino singolare in cui la meta si sposta;
se non è in alcun luogo, può essere dappertutto;
l’Uomo, la cui speranza non è mai esausta,
per potersi riposare corre come un matto!

L’anima è un veliero che cerca la sua Icaria;
una voce sul ponte: «Occhio! Fa’ attenzione!»
Dalla coffa un’altra voce, ardente e visionaria:
«Amore… gioia… gloria!» È uno scoglio, maledizione!

Ogni isolotto avvistato dall’uomo di vedetta
è un Eldorado promesso dal Destino;
ma la Fantasia, che un’orgia subito s’aspetta,
non trova che un frangente alla luce del mattino.

Povero innamorato di terre chimeriche!
Bisognerà incatenarti e buttarti a mare,
marinaio ubriaco, scopritore d’Americhe
il cui miraggio fa l’abisso più amaro?

Così il vecchio vagabondo cammina nel fango
sognando paradisi sfavillanti col naso in aria;
il suo sguardo stregato scopre una Capua
ovunque una candela illumini una topaia.

III

Strabilianti viaggiatori! Quali nobili storie
leggiamo nei vostri occhi profondi come il mare!
Mostrateci gli scrigni delle vostre ricche memorie,
quei magnifici gioielli fatti di stelle e di etere.

Vogliamo navigare senza vapore e senza vele!
Per distrarci dal tedio delle nostre prigioni,
fate scorrere sui nostri spiriti, tesi come tele,
i vostri ricordi incorniciati d’orizzonti.

Diteci, che avete visto?

IV

«Abbiamo visto astri
e flutti; abbiamo visto anche distese di sabbia;
e malgrado sorprese e improvvisi disastri,
molte volte ci siamo annoiati, come qui.

La gloria del sole sopra il violaceo mare,
la gloria delle città nel sole morente,
accendevano nei nostri cuori un inquieto ardore
di tuffarci in un cielo dal riflesso seducente.

Le più ricche città, i più vasti paesaggi,
non possedevano mai gl’incanti misteriosi
di quelli che il caso creava con le nuvole.
E sempre il desiderio ci rendeva pensosi!

– Il godimento dà al desiderio più forza.
Desiderio, vecchio albero che il piacere concima,
mentre s’ingrossa e s’indurisce la tua scorza,
verso il sole si tendono i rami della tua cima!

Crescerai sempre, grande albero più vivace
del cipresso? – Eppure con scrupolo abbiamo
raccolto qualche schizzo per l’album vorace
di chi adora tutto ciò che vien da lontano!

Abbiamo salutato idoli dal volto proboscidato;
troni tempestati di gemme luminose;
palazzi cesellati il cui splendore fatato
sarebbe per i vostri cresi un sogno rovinoso;

costumi che per gli occhi son un’ebbrezza;
donne che hanno dipinte le unghie e i denti,

e giocolieri esperti che il serpente accarezza.»

V

E poi, e poi ancora?

VI

«O infantili menti!

Per non dimenticare la cosa principale,
abbiam visto ovunque, senza averlo cercato,
dall’alto fino al basso della scala fatale,
il noioso spettacolo dell’eterno peccato;

la donna, schiava vile, superba e stupida,
s’ama senza disgusto e s’adora senza vergogna;
l’uomo, tiranno ingordo, duro, lascivo e cupido,
si fa schiavo della schiava, rigagnolo di fogna;

il martire che geme, il carnefice contento;
il popolo innamorato della brutale frusta;
il sangue che dà alla festa aroma e condimento,
il veleno del potere che snerva il despota;

tante religioni che alla nostra somigliano,
tutte che scalano il Cielo; la Santità,
come un uomo fine su un letto di piume,
fra i chiodi e il crine cerca la voluttà;

l’Umanità ciarlona, ebbra del suo genio,
e delirante, adesso come in passato,
nella sua furibonda agonia urla a Dio:
«Mio simile, mio padrone, io ti maledico!»

E i meno stolti, della Demenza arditi accoliti,
in fuga dal grande gregge recinto dal Destino,
per trovare rifugio nell’oppio senza limiti!
– Questo del globo intero l’eterno bollettino.»

VII

Dai viaggi che amara conoscenza si ricava!
Il mondo monotono e meschino ci mostra,
ieri e oggi, domani e sempre, l’immagine nostra:
un’oasi d’orrore in un deserto di noia!

Partire? restare? Se puoi restare, resta;
parti, se devi. C’è chi corre, e chi si rintana
per ingannare quel nemico che vigila funesto,
il Tempo! Qualcuno, ahimè! corre senza sosta,

come l’Ebreo errante e come l’apostolo,
al quale non basta treno o naviglio,
per fuggire l’infame reziario; e chi invece
sa ucciderlo senza uscire dal nascondiglio.

Infine quando ci metterà il piede sulla schiena,
potremo sperare e urlare: Avanti!
E come quando partivamo per la Cina,
gli occhi fissi al largo e i capelli al vento,

così c’imbarcheremo sul mare delle Tenebre
col cuore del giovane che è felice di viaggiare.
Di quelle voci ascoltate il canto funebre
e seducente: «Di qui! Voi che volete assaporare

il Loto profumato! è qui che si vendemmiano
i frutti prodigiosi che il vostro cuore brama;
venite a inebriarvi della dolcezza strana
di questo pomeriggio che non avrà mai fine!»

Dal tono familiare riconosciamo lo spettro;
laggiù i nostri Piladi ci tendon le braccia.
«Per rinfrescarti il cuore naviga verso la tua Elettra!»
dice quella cui un tempo baciavamo le ginocchia.

VIII

"O Morte, vecchio capitano, è tempo!
Sù l'ancora!
Ci tedia questa terra, o Morte!
Verso l'alto, a piene vele!
Se nero come inchiostro
è il mare e il cielo,
sono colmi di raggi
i nostri cuori, e tu lo sai!
Su, versaci il veleno
perché ci riconforti!
E tanto brucia nel cervello
il suo fuoco,
che vogliamo tuffarci nell'abisso
Inferno o Cielo cosa importa ?
discendere l'Ignoto nel trovarvi
nel fondo alfine il nuovo!  

 

Bocklin, L'isola dei morti, 188

I – Il viaggio è meta ambita e sognata: il mondo appare grande, interamente perlustrabile, via infinita alla nostra fuga, se osservato sulle mappe e sulle stampe: gli spazi si padroneggiano con l'occhio e sembrano tutti a misura d'uomo. La partenza è il momento della rottura tra passato ed eterno presente: il ricordo è negato, bandito quasi dalla mente, perché riconduce ad uno spazio privato, che rimpicciolisce ciò che la mente vuole invece cogliere in tutta la sua apertura….in tutta la vastità perlustrabile con l'immaginazione, "andiamo, al ritmo delle onde, cullando / il nostro infinito sull’infinito dei mari". La partenza è sempre fuga da qualcosa, rinnegamento, separazione dall'alterazione di rancori e desideri amari. Spazio, luce, cieli ardenti, gelo, sole ….. sono gli elementi della natura che inebriano e cancellano il ricordo forte della vita con la sua disperante concretezza.
Tuttavia i veri viaggiatori partono per partire …. al loro destino mai cercano di sfuggire ….. senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo! Il viaggio non deve essere dunque fuga, evasione, sconfessione della vita, ma piuttosto esperienza altra, dotata di leggerezza, di imprevedibilità, connotata da desideri e sogni vasti e mutevoli, che stentano a configurarsi in anticipo. Il desiderio deve avere la forma delle nuvole, la loro impalpabilità, la loro leggerezza, la loro evanescenza, poiché si struttura progressivamente per sottrazione di condizionamenti, per assunzione di nuove libertà.

II – Il viaggio è corsa sfrenata e cieca verso un presunto paradiso che ci attende. La curiosità ci ossessiona e ci voltola e la meta si  sposta continuamente per approdare – ne siamo certi – ad un porto sicuro, ad un'isola felice ove si può acquietare il nostro animo nelle più appaganti conquiste dell'amore… della gioia… della gloria.  Invece l'isola avvistata dal nostro veliero è solo uno scoglio irto, quello del viaggiatore assorto nell'illusione è solo miraggio che rende l'abisso della vita più amaro. Il viaggiatore è in realtà il vecchio vagabondo, costretto dal destino a vagare costantemente nella sua bassa realtà degradata ( …cammina nel fango ). L'abbandono all'ozio rassicurante, che abbellisce la dimensione della vita è pura illusione: la dinamica della vita include queste continue oscillazioni tra illusione e delusione, tra spleen ed ideal: il viaggio dell'anima non si trasforma mai in un approdo rassicurante. Non si sfugge insomma al proprio destino di uomini con l'aiuto di chimere rassicuranti.

III – IV – V – Ed ecco il racconto del viaggio esotico, dell'approdo a quell'altrove sognato e ambito. Malgrado le sorprese, le ansie del viaggio e le immancabili avversità incontrate è ancora la noia a dominare, come qui nella terra da cui ci si è staccati. E' vero: il desiderio rinasce inesausto, rafforzato dal piacere della vista di ricche città e paesaggi lussurreggianti, percepiti e fatti propri nell'ardore dell'esotismo. Tuttavia – dice Baudelaire – "…Le più ricche città, i più vasti paesaggi / non possedevano mai gl’incanti misteriosi / di quelli che il caso creava con le nuvole…". Cioè si riafferma la natura mentale e casuale nello stesso tempo della vera evasione, che si attua con l'immaginazione con il debole contributo di una natura evanescente ( le nuvole ) non certo solidale nel prefigurare immagini di ricchezza e di sontuosità, tutte legate all'opulenza umana. Questo sarebbe sogno rovinoso, ebbrezza vuota, che pure chiede sempre fatalmente e vanamente di essere rievocata.

VI – Si propone agli occhi del viaggiatore l'eterno peccato della passione per la donna fatale, schiava, vile superba e stupida….. che rende schiavo l'uomo degradato dalla passione stessa e dal potere che sembra emanare dalla conquista. I contrasti sembrano toccarsi: santità e voluttà. L'idealizzaziazione della figura femminile, la spiritualità si mescolano con il basso piacere ed il potere dell'uomo. Egli tenta disperatamente di assimilarsi ad un modello più alto ( Dio ) ma continua a sentire il dramma di questo impossibile mancato adeguamento: "…. nella sua furibonda agonia urla a Dio:/ «Mio simile, mio padrone, io ti maledico!» ".
Il rifugio è forse nell'oppio senza limiti, cioè in un'altra fuga impossibile dal destino umano.
Il viaggio appare in questa sezione un puro pretesto metaforico per riparlare della negativa condizione dell'uomo che non può sfuggire ai suoi limiti ed ai condizionamenti della sua natura, contraddittoriamente oscillante nella ricerca di una realizzazione ed un equilibrio impossibile da trovare.

VII – VIII – L'unico viaggio auspicabile e dolce è quello che porta alla Morte.
" Dai viaggi che amara conoscenza si ricava! / Il mondo monotono e meschino ci mostra,/  ieri e oggi, domani e sempre, l’immagine nostra:/ un’oasi d’orrore in un deserto di noia! ….".  Dunque lo spostamento, la partenza come distacco, l'illusione della conquista dell'approdo, la variazione curiosa, il falso abbandono, le nuove ricche sensazioni dell'esotismo…. niente aggiungono alla monotonia del vivere, alla fissità degradata della nostra condizione umana. Partire o restare non fa differenza: la realtà esterna – qualunque essa sia – continua a riproporci instancabilmente l'immagine di noi stessi, mentre qualsiasi esterna proiezione nelle cose è impossibile. Non nello spazio si gioca l'impossibile fuga dell'uomo, ma con il tempo – l'altra grande dimensione della vita umana – si muove l'impari confronto. La vera felicità del viaggio, quella del cuore giovane che guarda senza preclusioni all'ignota bellezza dell'avventura, sta nell'assecondare la dolce seduzione della morte, voce incarnata nella tenerezza femminile di Elettra e nel sentimento dell' amicizia di Pilade .
"O Morte, vecchio capitano, è tempo! / Sù l'ancora! / Ci tedia questa terra, o Morte! / Verso l'alto, a piene vele! …"  Ecco il coraggioso messaggio di Baudelaire, che vede nella morte non un tranquillo approdo, il porto di quiete ambìto dalla maggioranza degli uomini, ma la meta di un'ultima esaltante avventura verso l'ignoto, dove forse soltanto si consumerà l'ardore inesausto di novità e di cambiamento di un animo assetato di verità e di bellezza.

  • Letteratura Straniera

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