I Promessi Sposi – Analisi Primo Capitolo
Analisi del Capitolo 1 dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni
Il primo capitolo dei Promessi Sposi introduce il romanzo e ne presenta le principali caratteristiche, che a livello tematico si incentrano principalmente sul rapporto tra situazione storico-sociale nella Lombardia del Seicento, a livello narrativo invece forniscono le coordinate della storia (spazio, tempo e personaggi principali).
Il capitolo può essere suddiviso in sei macrosequenze, che alternano pause e scene in perfetto equilibrio:
- Descrizione dello spazio e del tempo storico della vicenda – pausa
- Passeggiata di Don Abbondio – scena
- Digressione sui bravi – pausa
- Incontro e dialogo tra Don Abbondio e i bravi – scena
- Digressione sulla situazione sociale in Lombardia – pausa
- Colloquio tra Don Abbondio e Perpetua – scena
Questa alternanza di pause e scene crea ritmo nel racconto, che inizia con la pacata descrizioni dei luoghi e del tempo in cui si svolgerà la storia.
La descrizione percorre dunque i luoghi in cui è collocata la vicenda con una “ripresa” fatta dall’alto da un ipotetico osservatore che sposta man mano lo sguardo sui vari elementi del paesaggio: come su una carta geografica, lo sguardo va da Nord a Sud seguendo la direzione del fiume e allargandosi verso i monti, fino a scendere sulla sommità delle mura di Milano, da cui l’ipotetico osservatore può ora guardare, in lontananza, il Resegone. Il punto d’osservazione è ormai sceso, tanto che ora la costa sale con un pendio: è quindi un punto di vista in continuo movimento.
La scelta di descrivere i luoghi dall’alto non è casuale, ma è indice della volontà di Manzoni di collocarsi al di sopra del mondo narrato per far solo intuire al lettore l’affetto nutrito per quei luoghi in cui ha trascorso l’infanzia.
L’inquadratura dello spazio “stringe” sempre di più: ora si vedono strade ne stradette, su cui improvvisamente di trovano a camminare ipotetici spettatori,che diventano gli stessi lettori ai quali il narratore si rivolge direttamente con una metalessi (appello al lettore): il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli….il monte di cui passeggiate le falde ..[…].
Infine lo sguardo del narratore si appunta su una sola di queste strade, inquadrando un individuo che cammina, che stringe in mano il suo brevario tenendovi dentro l’indice della mano destra : il punto di vista ora diventa quello dello stesso personaggio, attraverso i cui occhi è descritto il tramonto.
Il tempo accuratamente determinato inserisce la vicenda immaginaria in un preciso momento storico, pochi giorni prima di quell’11 Novembre 1628 in cui avvennero i tumulti di Milano; il 7 Novembre in sé per sé non è la data di nessun evento storico, ma per Manzoni la storia non è solo quella dei grandi eventi, ma quella della gente comune, per cui questa data che è fondamentale nella vicenda, viene precisamente indicata.
Il primo personaggio del romanzo a questo punto viene presentato nella scena e se ne fa conoscere prima di tutto il nome, Abbondio, scelto non solo perché è il patrono di Como, ma perché il nome stesso conferisce l’immagine dell’abbondanza e il lettore è portato ad immaginarlo tondo e pacifico, anche per i primi indizi caratteriali che vengono dati: il fatto che reciti tranquillamente preghiere sul consueto percorso verso casa, che guardi oziosamente il paesaggio alzando gli occhi dov’era solito, sono tutti indicatori di un carattere abitudinario, amante dell’ozio e della tranquillità.
La tranquillità del tramonto lascia, però, presagire che qualcosa stia arrivando a turbare la scena: le due nuove comparse conferiscono un quadro specifico del secolo scelto come protagonista, perché nel loro ritratto convergono i due poli essenziali del periodo storico, cioè la violenza e lo sfarzo. L’atteggiamento con cui compaiono in scena è minaccioso e la divisa li individua come bravi, assoldati dai signorotti per difesa personale, ma contemporaneamente gli oggetti di minaccia sono indossati come segno di eleganza, i mustacchi sono lunghi e arricciati in punta, il corno pende sul petto come una collana, la cintura di cuoio è lucida….
Segue poi una digressione storica sui bravi, in cui i pochi interventi ironici del narratore bastano a trasformare l’inefficacia dei decreti emessi per distruggere questa categoria in un atto d’accusa: l’ampollosità della forma delle gride è in contrasto con la loro sostanziale inefficacia e questa discrepanza tra forma e sostanza tipica del Seicento acquisisce valore morale ed è per questo più volte denunciata nel romanzo.
Il passo del colloquio di don Abbondio con i bravi è condotto con un’alternanza di punti di vista, prima una focalizzazione interna del curato, che osservando i gesti dei bravi si accorge che stavano aspettando proprio lui, poi una focalizzazione “zero” del narratore onnisciente, che descrive i gesti e i pensieri del personaggio e riporta un accenno di monologo interiore.
La sintassi di frasi brevi e semplici, separate da una frequente punteggiatura, aumenta la suspense e porta il narratore a ridere di Don Abbondio per la sua estrema viltà e paura.
Il brano continua con la presentazione dei personaggi chiave del romanzo che, assenti dalla scena e ancora sconosciuti al lettore, vengono presentati secondo l’opinione deformante dei personaggi in scena e si acuisce l’impressione comica data da Don Abbondio nel mostrare tanta vigliaccheria di fronte ai bravi. Come spesso accadrà anche ad altri personaggi significativi del romanzo, il narratore inizia a fornire notizie sulla vita dell’ecclesiastico con una digressione narrativa, ritratto con cui Manzoni vuole porre in risalto l’immagine di una società corrotta, mal governata, in cui le gride erano numerose, anzi diluviavano, ma servivano solo a rivelare l’impotenza dei loro autori.
Il potere esecutivo era affidato a persone che appartenevano per nascita alla parte privilegiata, oppure ne dipendevano per clientela, ma in realtà tali esecutori eran generalmente de’ più abbietti e ribaldi soggetti del loro tempo.
Questa è la situazione in cui di trova a vivere Don Abbondio e il passo riprende con le ragione che lo hanno indotto a farsi prete, in un sistema elaborato per sopravvivere in un mondo violento e descritto dallo stesso curato attraverso discorsi indiretti liberi (il battuto era almeno un imprudente, l’ammazzato era sempre stato un uomo torbido).
L’ottica distorta del personaggio crea un effetto di straniamento, per cui sono presentati come normali principi e affermazioni che all’autore e al lettore appaiono assurdi, pur consentendo al narratore di non esprimere giudizi propri, ma semplicemente ponendo il lettore di fronte all’evidenza.
Pensino ora i miei venticinque lettori: Manzoni sembra definire la quantità del suo pubblico con troppa modestia o falsa modestia oppure voleva sottolineare che il suo romanzo era destinato al solo pubblico della sua terra? Ogni ipotesi può risultare verosimile.
Sicuramente il lettore è coinvolto nel giudizio sul personaggio, definito poveretto, a metà tra l’ironia e il compatimento; Don Abbondio cammina a testa china e la sua posizione non è solo indice del suo stato d’animo, ma serve anche ad anticipare il soliloquio con cui il curato si rivolge mentalmente a personaggi immaginari indefiniti, rivelando ancora una volta la sua ottica distorta, nel descrivere l’amore e il sacramento del matrimonio come semplice passatempo per ragazzacci che, per non saper che fare, s’innamorano.
Manzoni, però, non intende creare un personaggio assolutamente malvagio, per cui gli fa prendere coscienza che suggerire ai bravi di minacciare direttamente Renzo e Lucia sarebbe troppo grave: segue dunque un sommario degli insulti rivolti a Don Rodrigo e la presentazione di Perpetua, il cui nome, per la popolarità raggiunta con i Promessi Sposi, viene usato per antonomasia ad indicare la governante di un sacerdote. Il suo personaggio viene introdotto prima della sua entrata in scena dal giudizio di Don Abbondio che la considera una compagnia fidata, e dal narratore onnisciente, che ne evidenzia pregi e difetti: infine è lei stessa a presentarsi, affermando di essere nubile per scelta, per aver rifiutato tutti i partiti che le si erano offerti.
Il successivo dialogo tra la Perpetua e Don Abbondio ha tutte le caratteristiche di una commedia, non solo per le parole, ma anche per gli atteggiamenti dei personaggi, dai quali si conferma il “tipo” del vigliacco nel curato e della serva-padrona in Perpetua, la quale è descritta dal narratore come in possesso di saggezza popolaresca e un senso morale che la spinge a parteggiare per le vittime dei potenti, senza la vigliaccheria del suo padrone.
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