Capitolo 8 - par 1 - 29 - Studentville

Capitolo 8 - par 1 - 29

[1] Era ormai l’ora in cui il mercato si riempie ed era vicino il punto in cui s’intendeva far tappa, quand’ecco che Pategia, persiano, uno dei fidi di Ciro, si precipita a briglia sciolta, col cavallo madido di sudore: a chiunque incontrava, gridava in lingua barbara e in greco che il re con un grande esercito stava arrivando, preparato allo scontro. [2] Allora si verificò grande scompiglio: immediatamente i Greci e tutti i soldati pensarono che i nemici sarebbero piombati su di loro prima che potessero formare i ranghi. [3] Ciro balzò giù dal carro e indossò la corazza, poi montò a cavallo e impugnò i giavellotti; agli altri ordinò di armarsi e di disporsi ciascuno al proprio posto. [4] Quindi presero posizione con grande sollecitudine, Clearco a capo dell’ala destra, dalla parte dell’Eufrate, Prosseno al suo fianco, quindi gli altri, mentre Menone prese il comando dell’ala sinistra dell’esercito greco. [5] I cavalieri paflagoni del contingente barbarico, circa mille, si schierarono al fianco di Clearco sulla destra, come pure i peltasti greci; sulla sinistra invece c’era Arieo, luogotenente di Ciro, con il resto dell’esercito barbarico. [6] Ciro e i suoi cavalieri, su per giù seicento, si disposero al centro, armati di corazza, cosciali, elmi, tutti tranne Ciro, che si preparava allo scontro a capo scoperto [. Anche gli altri Persiani, così almeno si racconta, affrontano i rischi in battaglia a capo scoperto]. [7] Tutti i cavalli [dell’esercito di Ciro] avevano frontali e pettorali. E i cavalieri avevano anche spade di foggia greca. [8] Era ormai mezzogiorno e i nemici non erano ancora in vista. Quando era pomeriggio, apparve in lontananza un turbinio di polvere simile a una nube bianca che poi, a distanza di tempo, prese l’aspetto di un qualcosa di nero, nella piana, per grande tratto. Man mano che si avvicinavano, il bronzo cominciò ben presto a scintillare e si potevano distinguere armi e schiere. [9] C’erano cavalieri con bianche corazze sulla sinistra della linea nemica: li guidava, stando alle voci, Tissaferne. Al suo fianco stavano truppe armate di scudi di vimini e quindi opliti dotati di scudi di legno lunghi fino ai piedi. Quest’ultimi erano Egizi, a quanto si diceva. E poi c’erano cavalieri e poi arcieri. Tutti marciavano divisi per etnie, ciascun popolo formava un quadrato fitto di uomini. [10] Davanti a loro erano schierati i carri cosiddetti falcati a grande distanza gli uni dagli altri: le falci partivano dagli assi, erano disposte in senso orizzontale e rivolte verso il terreno sotto i carri per stritolare quanto avessero incontrato. L’idea era di lanciarli contro le file dei Greci e di farli a pezzi. [11] Le parole pronunciate da Ciro però, quando aveva convocato i Greci e li aveva esortati a resistere dinnanzi alle grida di battaglia dei barbari, si rivelarono false: non con urla infatti, ma in silenzio, nei limiti del possibile, i nemici avanzavano calmi, a ranghi compatti e lentamente. [12] Nel frangente Ciro in persona, mentre passava accanto ai suoi insieme a Pigrete l’interprete e ad altri tre o quattro, gridò a Clearco di puntare con il suo esercito contro il cuore delle truppe nemiche, perché lì sarebbe stato il re: «Se vinciamo al centro», disse, «per noi è fatta». [13] Clearco osservava il nerbo centrale dell’esercito nemico e sentiva Ciro dire che il re era al di là dell’ala sinistra greca – il re infatti prevaleva per numero d’uomini al punto che, pur tenendo il centro dei propri effettivi, rimaneva al di là della sinistra di Ciro. Comunque Clearco non volle staccare l’ala destra dal fiume, per paura di un accerchiamento dai lati, perciò a Ciro rispose che ci pensava lui a preparare tutto per bene. [14] Nel frattempo l’esercito barbarico avanzava in linea, mentre il contingente greco si teneva ancora nello stesso punto, ingrossato man mano dalle truppe che ancora sopraggiungevano. E Ciro, passando davanti all’esercito a una certa distanza, scrutava entrambi i fronti, volgendo lo sguardo ora verso i nemici ora verso i suoi. [15] Dal contingente greco lo vide Senofonte l’ateniese, che gli si fece incontro e gli chiese se avesse qualche ordine da comunicargli. Ciro si fermò e gli disse, invitandolo a riferirlo a tutti, che gli auspici risultavano favorevoli, come pure le viscere delle vittime. [16] Quindi udì un brusio attraversare le file e chiese che cosa fosse quel vociare. Senofonte rispose che era la parola d’ordine, che passava per la seconda volta. Ciro, meravigliato, domandò chi l’avesse impartita e quale fosse questa parola d’ordine. E Senofonte di rimando: «Zeus salvatore e Vittoria». [17] Ciro ribatté: «Ben venga e così sia». Poi raggiunse la propria posizione. Non più di tre o quattro stadi separavano i due schieramenti, quando i Greci intonarono il peanae cominciarono a muovere incontro ai nemici. [18] Mentre avanzavano, una parte della falange uscì di linea, per cui chi era rimasto indietro iniziò a correre. E tutti insieme lanciarono il grido che levano in onore di Enialio, mentre ormai tutti correvano. Alcuni, si racconta, fecero rimbombare gli scudi, percotendoli con le lance, per atterrire i cavalli. [19] Quando non erano ancora a tiro d’arco, i barbari ripiegano e si volgono in fuga. Allora li inseguono con impeto i Greci, ma si gridano l’un l’altro di non correre, di avanzare a ranghi compatti. [20] Alcuni carri poi finirono addirittura contro le file nemiche, altri raggiunsero i Greci, ma privi di auriga. E quando se li vedevano dinnanzi, si scansavano: ci fu solo uno che venne investito, rimasto frastornato come se si trovasse di fronte a una gara di cavalli; neppure lui, comunque, dicono che abbia riportato gravi conseguenze, né alcuno dei Greci in questo scontro subì alcun danno, se si eccettua un tale dell’ala sinistra, colpito da una freccia. [21] Ciro, quando vide i Greci prevalere sul loro fronte e inseguire i nemici, gioì e tutti, ormai, si prostravano ai suoi piedi come re. Eppure non si lasciò indurre all’inseguimento, anzi, continuava a guidar compatta la schiera dei seicento cavalieri ai suoi ordini e a tener d’occhio le mosse del re. Sapeva infatti che era al comando del centro dell’esercito persiano. [22] Tutti i comandanti dei barbari stanno alla testa delle loro truppe tenendo il centro, perché si sentono più al sicuro, con la protezione dei loro su entrambi i fianchi; se poi c’è bisogno di diramare qualche ordine, l’esercito lo può ricevere in metà tempo. [23] Allora dunque, pur guidando il centro del proprio esercito, il re si trovava al di là dell’ala sinistra di Ciro. Poiché non c’era nessun avversario diretto né di fronte a lui né davanti alle truppe disposte innanzi, piegò ad angolo per accerchiarli. [24] Allora Ciro, nel timore che il re comparisse alle sue spalle e facesse a pezzi il contingente greco, gli muove incontro. Piombando con i suoi seicento, ha la meglio sulle guardie del corpo del re e ne mette in fuga seimila: c’è chi dice che Ciro stesso, di sua mano, abbia ucciso Artagerse, il loro comandante. [25] Ma non appena si verificò la rotta nemica, si disuniscono anche i seicento di Ciro, che si gettano all’inseguimento, tranne pochissimi che rimasero con lui, più o meno i suoi cosiddetti compagni di tavola. [26] Mentre era con loro, scorge il re e gli uomini al suo séguito. Subito non si trattenne più, ma disse: «Ecco il mio uomo»; si lancia contro di lui, lo colpisce al petto e lo ferisce trapassandogli la corazza, come racconta Ctesia il medico, che afferma di aver curato di persona la ferita. [27] Ma proprio mentre lo colpiva, qualcuno gli vibra un colpo di giavellotto sotto l’occhio, con forza. Allora qui scoppiò un violento corpo a corpo tra il re e Ciro e i rispettivi uomini. Il numero di quanti caddero tra i sudditi del re, lo riferisce Ctesia, che era con lui. Ciro stesso morì e dopo di lui gli otto più valorosi del suo séguito. [28] Raccontano che Artapate, il più fidato tra i suoi sceptuchi, come vide Ciro a terra, balzò da cavallo e si gettò sul suo corpo. [29] Non manca chi sostiene che il re abbia dato l’ordine di trucidarlo sul corpo di Ciro; altri affermano che si sia tagliato di suo pugno la gola, sguainata la scimitarra: ne aveva una d’oro e portava anche una collana, bracciali e altri monili, come usano i nobili persiani. Ciro lo stimava per il suo affetto e la sua lealtà.

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