Il pensiero Carl Gustav Jung fu uno dei più noti e influenti seguaci di Freud. Nato nel 1875 a Kesswil, in Svizzera, figlio di un pastore protestante, Jung si laurea in Medicina e nel 1900 entra a lavorare nell’ ospedale psichiatrico di Zurigo, diretto da Eugen Bleuler (1857-1939). Venuto a conoscenza delle teorie di Freud, intrattiene con lui scambi epistolari ed entra a far parte del movimento psicoanalitico, ma con la pubblicazione del suo volume Trasformazioni e simboli della libido (1912) vengono alla luce i suoi dissensi teorici con Freud e nel 1913 il loro rapporto si interrompe. Nel 1920, Jung intraprende viaggi in vari continenti per studiare le culture primitive e, nel 1921, pubblica il libro Tipi psicologici. Nominato nel 1930 presidente onorario della Società tedesca di psicoterapia, dopo l’ avvento del nazismo, nel 1933, non dà le dimissioni, ma collabora con Herman Goring, sino al 1940, alla riorganizzazione della Società . Nel 1948 viene fondato il Carl Gustav Jung Institut per l’ insegnamento della teoria e dei metodi di quella che ò ormai denominata psicologia analitica, per distinguerla dalla psicoanalisi freudiana. Jung muore nel 1961. Jung condivide inizialmente con Freud l’ ipotesi che le manifestazioni delle malattie mentali, per essere comprese, richiedono il riferimento alla storia individuale del paziente e ai processi di rimozione che che l’ accompagnano. Successivamente, però, egli comincia a dubitare che i contenuti rimossi siano di natura esclusivamente sessuale e arriva a formulare l’ idea che i fenomeni psichici siano manifestazioni di un’ unica energia presente nella natura e non riducibili alla sola sessualità : la libido. Alla nozione di libido Jung attribuisce caratteristiche che richiamano lo slancio vitale di Bergson: essa ò una pulsione dinamica della vita, che garantisce la conservazione degli individui e delle specie. Secondo Jung, Freud privilegiava eccessivamente la componente biologica di essa a scapito di quella spirituale e ne dava una rappresentazione intrisa di pessimismo: si trattava invece, di una forza essenzialmente sana, protesa verso il futuro, dalla quale dipendono le realizzazioni più alte della cultura occidentale. La libido, infatti, ò suscettibile di evoluzione, e può essere spostata su oggetti immateriali ed ò, dunque, spiritualizzabile; solo quando tale evoluzione ò bloccata e avvengono regressioni, si originano le nevrosi. La nevrosi, infatti, ò prodotta non tanto da avvenimenti risalenti alla prima infanzia, quanto da un conflitto presente, ovvero dall’ incapacità di adattarsi alle richieste dell’ ambiente o di trasformarlo: in questa situazione vince l’ inerzia, particolarmente forte nei bambini e nei primitivi, e si regredisce a forme più arcaiche di funzionamento della libido. Grazie all’ attività di produzione dei simboli, l’ uomo primitivo riuscì a trasferire l’ energia psichica da manifestazioni pulsionali immediate, a manifestazioni mediate, orientate verso fini creativi e, in tal modo, effettuò la transizione dal piano della natura a quello della cultura. I simboli della libido manifestano contenuti che trascendono la coscienza e aprono, dunque, al mondo dei valori religiosi; la religione, a sua volta, attraverso i suoi simboli, sposta la libido fuori dall’ ambito strettamente familiare, a cui Freud la restringeva, e la rende disponibile agli usi sociali. In tal modo, Jung veniva ad attribuire alla religione una funzione decisiva nello sviluppo della civiltà . Nell’ ultima fase della sua attività , egli condannerà la massificazione e la perdita di spiritualità del mondo moderno, nonchò il predominio incontrastato della scienza, e guarderà con crescente interesse alle culture e alle religioni orientali e all’ esegesi delle simbologie presenti in esse. Il simbolo, svolgendo una funzione mediatrice fra l’ inconscio e la coscienza può operare come agente trasformatore della natura stessa dell’ uomo, conducendolo ad individuarsi sempre più articolatamente come un Io. Ogni cosa può essere impiegata e funzionare da simbolo, ma alcuni simboli hanno una ricorrenza universale, che rimanda all’ esistenza di quelli che Jung chiama archetipi, cioò letteralmente modelli: i simboli non sono altro che trasformazioni della libido, nelle quali si esprimono gli archetipi. Gli archetipi non sono idee, ma possibilità di rappresentazioni, ossia disposizioni a riprodurre forme e immagini virtuali, tipiche del mondo e della vita, le quali corrispondono alle esperienze compiute dall’ umanità nello sviluppo della coscienza. Essi si trasmettono ereditariamente e rappresentano una sorta di memoria dell’ umanità , sedimentata in un inconscio collettivo, non puramente individuale, ma presente in tutti i popoli, senza alcuna distinzione di luogo e di tempo: la mia vita ò la storia di un’ autorealizzazione dell’inconscio, afferma Jung. Gli archetipi lasciano le loro tracce nei miti, nelle favole e nei sogni, che contrariamente a quanto pensava Freud, non sono appagamento di desideri puramente individuali legati alla sessualità infantile, ma espressioni dell’ inconscio collettivo. Un’ analisi comparata di questi materiali ò in grado di portarli alla luce: Jung menziona tra gli archetipi più importanti quello del vecchio, della grande madre, della ruota, delle stelle e così via. Essi, però, non si presentano mai all’ analisi allo stato puro, ma attraverso loro manifestazioni in simboli: ogni individuo li avverte come bisogni e li può esprimere in modo storicamente variabile, secondo le diverse situazioni etniche, nazionali o familiari. In tal modo, l’ inconscio collettivo, attraverso gli archetipi, può condizionare e dirigere la condotta dell’ individuo nei suoi rapporti col mondo, inducendolo a ripetere esperienze collettive e, quindi ostacolandolo nel suo ulteriore sviluppo, oppure guidandolo nei suoi progetti. A proposito dell’inconscio collettivo, dice Jung in una conferenza tenuta nel 1936: L’inconscio collettivo ò una parte della psiche che si può distinguere in negativo dall’inconscio personale per il fatto che non deve, come questo, la sua esistenza all’esperienza personale e non ò perciò un’acquisizione personale. [… ] l’inconscio personale consiste soprattutto in “complessi”; il contenuto dell’inconscio collettivo, invece, ò formato essenzialmente da “archetipi”. Il concetto di archetipo, che ò un indispensabile correlato dell’idea di inconscio collettivo, indica l’esistenza nella psiche di forme determinate che sembrano essere presenti sempre e dovunque. La ricerca mitologica la chiama “motivi”; nella psicologia dei primitivi esse corrispondono al concetto di raprèsentations colletives di Lèvy-Bruhl; nel campo della religione comparata sono state definite da Hubert e Mauss “categorie dell’immaginazione. I complessi di rappresentazioni che mediano questa interazione fra coscienza e inconscio e fra inconscio individuale e inconscio collettivo sono strutturati secondo coppie di opposti. Una di queste coppie ò costituita dall’ Io, inteso come il complesso di rappresentazioni coscienti e permanenti, in cui ò riposta la propria identità , con tutti i principi e valori accolti e riconosciuti, e dall’ Ombra, intesa come l’ insieme delle possibilità di esistenza respinte dal soggetto come non proprie in quanto considerate negative. Sul piano dell’ inconscio collettivo, una variante dell’ archetipo Ombra ò rappresentata dal diavolo. L’ inconscio collettivo ò il punto di arrivo dell’ analisi, secondo Jung: questa, infatti, risale dal sintomo al complesso e da questo simbolo all’ archetipo. Obiettivo della terapia ò la realizzazione dinamica del Sè, come espressione individuale di quel che ò universalmente umano e, quindi, come superamento continuo del conflitto tra la coscienza e l’ inconscio. A tale scopo ò necessario che sia superata una fusione e identificazione immediata con gli archetipi e sia, invece, effettuata una integrazione di essi nella coscienza, in modo che questa possa allargare i propri confini e diventare capace di operare scelte che portino all’ attuazione del Sò. La terapia non mira, dunque, a recuperare il rimosso, come voleva Freud, ma a recuperare gli archetipi, in modo che nella psiche possano coesistere i contrari senza produrre conflitti e scissioni: la razionalità e l’ irrazionalità , il maschile e il femminile, l’ estroversione e l’ introversione, il pensiero e la sensazione. L’ obiettivo non ò l’ eliminazione di uno di questi contrari, perchò ciò condurrebbe a un impoverimento del Sò, che diventerebbe unilaterale: si tratta, invece, di integrare armonicamente ciascun contrario con l’ altro, assecondando le tendenze vitali del paziente all’ autorealizzazione. Su questi presupposti, Jung costruì una tipologia di caratteri, ossia di forme individuali stabili, la quale fondata prevalentemente sulla distinzione fra estroversione e introversione: nel primo caso, l’ energia libidica ò orientata all’ esterno, mentre nel secondo, ò distolta dagli oggetti esterni per concentrarsi sul mondo interno del soggetto. Però, anche quando predomina uno di questi tratti caratteristici, ciò non significa, secondo Jung, che l’ opposto sia del tutto scomparso e inoperante. Jung concepisce il Sè come la totalità psichica rispetto a cui l’Io, la nostra parte cosciente, ò solo una piccola parte. Va ricordato che Jung ò stato buon lettore di Kant, che a sua volta aveva paragonato la ragione a un’isola nell’oceano dell’irrazionale. Diventar se stessi, o come dice Jung ” individuarsi “, significa non arroccarsi nella propria identità egoica, ma aprirsi al Sè, ossia a quell’altro da noi che ò dentro di noi, senza il quale non c’ò sviluppo psichico. La dinamica Io e Sè ha in Jung un’accentuazione intrapsichica, ò pensata cioò come una dinamica interna all’individuo, mentre le odierne psicologie del Sè hanno un’accentuazione interpsichica, pensano cioò a una relazione tra due individui (madrebambino). Per quel che riguarda il sentimento, Jung dice: Quando io uso la parola “sentimento” in contrasto con “pensiero”, mi riferisco a un giudizio di valore, per esempio: piacevole o spiacevole, buono o cattivo, e via dicendo. Secondo questa definizione il sentimento non ò un’emozione (che, come dice la parola, ò involontaria). Il sentimento, come l’intendo io, ò (come il pensiero) una funzione razionale (cioò imperativa), mentre l’intuizione ò una funzione irrazionale (cioò percettiva). Frasi famose Conoscere le nostre paure ò il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri. Di regola, le grandi decisioni della vita umana hanno a che fare più con gli istinti e altri misteriosi fattori inconsci che con la volontà cosciente, le buone intenzioni, la ragionevolezza. Il vero capo ò sempre guidato La parola credere ò una cosa difficile per me. Io non credo. Devo avere una ragione per certe ipotesi. Anche se conosco una cosa non ò detto che debba crederci. Il cervello ò visto come un’appendice dei genitali. La solitudine ò per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare ò spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole Mostratemi un uomo sano di mente e lo curerò per voi. Questa intera creazione ò essenzialmente soggettiva, e il sogno ò il teatro dove il sognatore ò allo stesso tempo sia la scena, l’attore, il suggeritore, il direttore di scena, il manager, l’autore, il pubblico e il critico. Se c’ò un qualche cosa che vogliamo cambiare nel bambino, prima dovremmo esaminarlo bene e vedere se non ò un qualche cosa che faremmo meglio a cambiare in noi stessi Io sono semplicemente convinto che qualche parte del Se’ o dell’Anima dell’uomo non sia soggetta alle leggi dello spazio e del tempo. La mia vita ò la storia di un’ autorealizzazione dell’inconscio.
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- Filosofia - 1900