Il primo volume di The Open Society and Its Enemies, The Spell of Plato (La società aperta e i suoi nemici, I, Platone totalitario) ò quasi interamente dedicato a un violento attacco contro il platonismo filosofico e politico. Per società chiusa, Popper intende la società tribale, che interpreta se stessa come naturale, sacra e immutabile, ed ò collettivista, gerarchica, organica, fondata sulle relazioni faccia a faccia. In essa gli individui non godono di nessuna libertà , ma ciascuno conosce concretamente la proprio posizione e i propri doveri. La società aperta, di contro, ò consapevole di essere una costruzione culturale soggetta al cambiamento, ed ospita relazioni astratte ed individualistiche. Platone, pur essendo allievo dell’individualista Socrate, ò un nostalgico della società tribale, sia perchè ò di famiglia aristocratica, sia perchè vede nell’incertezza e nella mutevolezza della società aperta una fonte di infelicità : tutto il suo pensiero politico, afferma Popper, può essere ridotto a un progetto totalitario di restaurazione della società chiusa. A questo scopo, Platone si vale di strumenti politici e concettuali reciprocamente connessi: ⢠essenzialismo metodologico: la scienza scopre la vera natura delle cose, cioò la loro realtà o essenza. Questo ò possibile grazie all’intuizione intellettuale, che coglie i modelli delle cose sensibili, cioò idee autonomamente esistenti; ⢠collettivismo: gli individui hanno valore solo come parti di una totalità più ampia lo stato inteso come intero (holon). Per questo possono essere usati come pedine al servizio dell’interesse dello stato alla propria conservazione. ⢠teoria organica o biologica dello stato: per la sua autosufficienza, lo stato ò l’individuo perfetto e il singolo cittadino ò una sua copia imperfetta. Alcuni sostengono che Platone offre una teoria politica dell’individuo umano. Ma questo dimostra che l’individuo ò inferiore allo stato, e lo stato serve come metodo di esplicazione dell’individuo (la città ò più grande e più facile da esaminare). Per questo, egli cerca prima la giustizia nella città e poi passa all’individuo. L’uomo ò in realtà molti, e la città ò unitaria, anzi ò l’unità per eccellenza. Le sorti dello stato, che ò un intero naturale e non una struttura artificiale, sono identiche a quelle delle sua classe dirigente: per questo il problema fondamentale della politica ò: chi deve comandare? ⢠tecnocrazia: il governo va affidato ai competenti, cioò a coloro che sono in grado di afferrare la vera essenza dello stato. ⢠“storicismo”: i protagonisti della storia, prevedibile nelle sue grandi linee, sono i grandi collettivi e le grandi idee. Nella Repubblica Platone proponeva uno stato di stampo comunistico, caratterizzato dall’abolizione di ogni forma di proprietà privata. Popper critica di Platone l’ aver creato uno stato totalitario, che vuole organizzare totalmente la vita dei singoli, la cui vita non conta nulla di per sò, se non in funzione dello stato. Si può portare come esempio il caso che Platone cita in uno dei 10 libri della Repubblica: l’ eugenetica, ovvero ò lo stato a scegliere gli individui da far accoppiare in modo tale da avere una discendenza perfetta. Popper, con le sue posizioni liberali, criticava la società di Platone, perfetta e totalitaria, ed era in favore di una società aperta, che avesse la possibilità di correggersi e di migliorare. Popper era del parere che creare una società perfetta fosse impossibile perchò l’uomo stesso ò imperfetto per natura. La società aperta ò inferiore a quella totalitaria platonica, ma ha conoscenza della propria inferiorità e sa correggersi cambiando in continuazione. Una società perfetta non ha motivo di fare questo. Platone insiste invece sull’immutabilità : la società per lui ò perfetta così com’ò e non deve assolutamente cambiare. Popper ha però commesso un errore dimenticandosi, nella foga, che Platone parla di un’idea statale e un’idea, per definizione, non ò mai realizzabile. E’ solo un punto verso cui muovere. Nelle ” Leggi “, opera incompiuta, Platone delineerà lo “stato secondo”: dal momento che quello delineato nella ” Repubblica ” ò puramente ideale, Platone ne tratteggia uno attuabile, dove prende gli aspetti migliori di ogni governo in modo tale da creare il miglior stato tra quelli attuabili (questa soluzione piacque molto in seguito ed ò considerata il punto di partenza dello stato “misto”). Il ragionamento di Popper ò dunque in parte fuori luogo: se ipotizzassimo la società perfetta, perchò mai dovremmo cambiarla? Perchò cambiare qualcosa di perfetto? Potrebbe cambiare solo in peggio. Lo stato delineato nella ” Repubblica ” ò un’utopia ed ò interessante notare la distinzione tra i due aggettivi che ne derivano; “utopistico” ò un qualcosa di negativo che si pretende realizzabile, ma che per fortuna non lo ò: utopistico ò il Comunismo ideale. “Utopico” ò un concetto tipicamente progressista che induce a vedere il mondo, che molti credono buono così com’ò, imperfetto e migliorabile: il progressista ha un atteggiamento sempre volto al cambiare. Si può dire che il concetto di “utopistico” si avvicini molto a Platone che nelle Leggi fa notare che lo stato così com’ò non va bene e ne propone uno “misto”, dal momento che quello ideale-aristocratico ò inattuabile. Popper ha invece preso l’idea di Platone utopica di stato per utopistica. Ritornando alla critica di Popper, a Platone contrappone la propria prospettiva, che definisce “umanitaria”. I presupposti epistemologici del suo “umanitarismo” sono l’individualismo e il nominalismo metodologico. Contro l’essenzialismo, il nominalismo sostiene che compito della scienza non ò catturare l’essenza delle cose, ma cercare dei nessi esplicativi fra le cose stesse, cui diamo dei nomi solo per comodità funzionale. Contro il collettivismo, l’individualismo tratta la singola persona come elemento fondamentale: per questo, esso non si interroga collettivisticamente sull’essenza dello stato e su ciò che ò bene per lo stato come intero, ma chiede: che cosa pretendiamo da uno stato? Perchè preferiamo vivere in uno stato ben ordinato piuttosto che nell’anarchia? Che cosa ci proponiamo di considerare come legittimo nell’attività dello stato? Non si tratta di perseguire tecnocraticamente la perfezione dello stato, ma di valutarlo come strumento per la protezione della libertà individuale – anche contro gli stessi governanti. Per questo, il problema strutturale di organizzare lo stato in modo da rendere il suo potere controllabile e da rendere possibili avvicendamenti al governo senza spargimenti di sangue diventa una questione fondamentale. Agli occhi di Popper, anche Hegel si rivela il vate dello stato autoritario, alla pari di Platone. L’interpretazione della filosofia politica hegeliana proposta dal filosofo liberale si colloca in tutt’altra direzione rispetto alla riflessione di Marcuse. Sulla scia di Platone, Hegel sarebbe stato un nemico della società aperta e un profeta del totalitarismo, in quanto sostenitore del carattere assoluto dello stato. Così scrive Popper: Al fine del di dare al lettore un’idea diretta del culto platonizzante dello stato, proprio di Hegel, citerò pochi passi, ancor prima di cominciare l’analisi della sua filosofia storicistica. Questi passi mostrano che il collettivismo radicale di Hegel dipende tanto da Platone quanto da Federico Guglielmo III, re di Prussia nel periodo critico della Rivoluzione Francese e degli anni immediatamente successivi. La loro dottrina ò che lo stato ò tutto e l’individuo nulla; infatti quest’ultimo deve tutto allo stato, sia la sua esistenza fisica sia la sua esistenza spirituale. Questo ò il messaggio di Platone, del prussianesimo di Federico Guglielmo, e di Hegel. -“L’universale va creato nello stato” – scrive Hegel – lo Stato ò l’Idea Divina quale esiste in terra; -Deve onorarsi lo Stato come un che di mondano-divino e ritenere che, se ò difficile intendere la natura, ò anche infinitamente più ostico comprendere lo Stato; -L’ingresso di Dio nel mondo ò lo Stato; -Si cade facilmente nell’errore di dimenticare l’organismo interiore dello Stato stesso; -Allo stato compiuto appartiene essenzialmente la coscienza, il pensiero, pertanto lo Stato sa ciò che vuole; -Lo stato ò reale; la vera realtà ò necessità : ciò che ò reale ò necessario in sè; -Lo Stato esiste per sè stesso; -Lo Stato ò la vita morale concretamente esistente, effettivamente realizzata”. Questa selezione di affermazioni basta a dimostrare il platonismo di Hegel e la sua insistenza sull’assoluta autorità morale dello stato, che sopravanza ogni moralità personale, ogni coscienza. Si tratta, naturalmente, di un enfatico e isterico platonismo, ma ciò non fa che rendere più evidente il collegamento del platonismo con il totalitarismo moderno. Ci si potrebbe chiedere se, con questi servigi e con la sua influenza sulla storia, Hegel non abbia provato il suo genio. Io non ritengo che questa domanda sia molto importante, dal momento che ò soltanto conseguenza del nostro romanticismo il fatto che noi pensiamo tanto in termini di “genio”; e, a parte ciò, non credo che il successo provi alcunchè o che la storia sia il nostro giudice; questi dogmi fanno piuttosto parte dell’hegelismo. Ma, per quanto riguarda Hegel, non penso neppure che fosse un uomo di talento. Egli ò uno scrittore indigeribile e, come anche i suoi più ardenti apologisti devono ammettere, il suo stile ò “indiscutibilmente scandaloso”. E, per quanto riguarda il contenuto dei suoi scritti, egli ò eccelso solo nella sua eccezionale mancanza di originalità . Non c’ò nulla negli scritti di Hegel che non sia stato detto meglio prima di lui. Non c’ò nulla nel suo metodo apologetico che non sia stato preso a prestito dai suoi predecessori apologetici. Ma questi pensieri e metodi presi a prestito da altri egli li consacrò, con convergenza di intenti, ma senza particolare brillantezza, a un solo scopo: combattere contro la società aperta e così servire il suo datore di lavoro, Federico Guglielmo di Prussia. La confusione e lo scardinamento della ragione operati da Hegel in parte risultano necessari come mezzi a questo fine, in parte invece sono una più accidentale ma naturalissima espressione del suo stato d’animo. E tutta la vicenda di Hegel non sarebbe certo degna di essere riferita, se non fosse per le sue più sinistre conseguenze, che mostrano quanto facilmente un clown possa diventare un “creatore di storia”. La tragicommedia della nascita “dell’idealismo tedesco”, nonostante gli orrendi crimini ai quali ha portato, assomiglia, più di qualunque altra, a un’opera buffa, e questi inizi possono aiutarci a spiegare perchè ò così difficile decidere, a proposito dei suoi più tardi eroi, se sono fuggiti dalla scena delle grandi opere teutoniche di Wangner o dalle farse di Offenbachâ. (da La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti, vol. II).
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