De Brevitate Vitae, 20 - Studentville

De Brevitate Vitae, 20

Seneca, De Brevitate Vitae, 20: testo originale in latino

Omnium quidem occupatorum condicio misera est, eorum

tamen miserrima, qui ne suis quidem laborant occupationibus, ad alienum dormiunt somnum, ad alienum ambulant gradum, amare et

odisse, res omnium liberrimas, iubentur. Hi si volent scire quam brevis ipsorum vita sit, cogitent ex quota parte sua sit. 2

Cum videris itaque praetextam saepe iam sumptam, cum celebre in foro nomen, ne invideris: ista vitae damno parantur. Ut unus ab

illis numeretur annus, omnis annos suos conterent. Quosdam antequam in summum ambitionis eniterentur, inter prima luctantis

aetas reliquit; quosdam, cum in consummationem dignitatis per mille indignitates erepsissent, misera subiit cogitatio laborasse

ipsos in titulum sepulcri; quorundam ultima senectus, dum in novas spes ut iuventa disponitur, inter conatus magnos et improbos

invalida defecit. 3 Foedus ille quem in iudicio pro ignotissimis litigatoribus grandem natu et imperitae coronae assensiones

captantem spiritus liquit; turpis ille qui vivendo lassus citius quam laborando inter ipsa officia collapsus est; turpis quem

accipiendis immorientem rationibus diu tractus risit heres. 4 Praeterire quod mihi occurrit exemplum non possum: Turannius fuit

exactae diligentiae senex, qui post annum nonagesimum, cum vacationem procurationis ab C. Caesare ultro accepisset, componi se

in lecto et velut exanimem a circumstante familia plangi iussit. Lugebat domus otium domini senis nec finivit ante tristitiam

quam labor illi suus restitutus est. Adeone iuvat occupatum mori? 5 Idem plerisque animus est; diutius cupiditas illis laboris

quam facultas est; cum imbecillitate corporis pugnant, senectutem ipsam nullo alio nomine gravem iudicant quam quod illos

seponit. Lex a quinquagesimo anno militem non legit, a sexagesimo senatorem non citat: difficilius homines a se otium impetrant

quam a lege. 6 Interim dum rapiuntur et rapiunt, dum alter alterius quietem rumpit, dum mutuo miseri sunt, vita est sine

fructu, sine voluptate, sine ullo profectu animi; nemo in conspicuo mortem habet, nemo non procul spes intendit, quidam vero

disponunt etiam illa quae ultra vitam sunt, magnas moles sepulcrorum et operum publicorum dedicationes et ad rogum munera et

ambitiosas exsequias. At me hercules istorum funera, tamquam minimum vixerint, ad faces et cereos ducenda sunt.

 

Seneca, De Brevitate Vitae, 20: traduzione

Certamente miserevole è la condizione di tutti gli affaccendati, ma ancor più

misera (quella) di coloro che non si danno da fare nemmeno per le loro faccende, dormono in relazione al sonno altrui,

camminano secondo il passo altrui, a cui viene prescritto (come) amare e odiare, cose che sono le più spontanee di tutte. Se

costoro vogliono sapere quanto sia breve la loro vita, considerino quanto esigua sia la loro quota parte. Perciò quando vedrai

una toga pretesta già più volte indossata o un nome famoso nel foro, non provare invidia: queste cose si ottengono a scapito

della vita. Affinché un solo anno si dati da loro, consumeranno tutti i loro anni [gli anni si datavano dal nome dei consoli].

Prima di inerpicarsi in cima all’ambizione, alcuni la vita abbandonò mentre si dibattevano tra le prime (difficoltà); ad

alcuni, essendo passati attraverso mille disonestà per il raggiungimento della posizione, venne in mente l’amara

considerazione di essersi dannati per l’epitaffio; di certuni venne meno l’estrema vecchiaia, mentre come la gioventù

attendeva a nuove speranze, indebolita tra sforzi enormi e gravosi. Vergognoso colui che il fiato abbandonò in tribunale, in

età avanzata, difendendo litiganti del tutto sconosciuti e cercando l’assenso di un uditorio ignorante; infame colui che

stanco del vivere più che del lavorare, crollò tra i suoi stessi impegni; infame colui che l’erede, a lungo trattenuto,

deride mentre egli muore dedicandosi ai suoi conti. Non posso tralasciare un esempio che mi sovviene: Sesto Turranio è stato un

vecchio di accurata coscienziosità, che dopo i novant’anni, avendo ricevuto inaspettatamente da Caio Cesare [Caligola]

l’esonero dalla procura, diede disposizioni di essere composto sul letto e di esser pianto come morto dalla famiglia attorno

a lui. Piangeva la casa l’inattività del vecchio padrone e non cessò il lutto prima che gli fosse restituito il suo lavoro.

A tal punto è piacevole morire affaccendato? Lo stesso stato d’animo ha la maggior parte: in essi vi è più a lungo il

desiderio che la capacità del lavoro; combattono contro la decadenza del corpo, la stessa vecchiaia giudicano gravosa e con

nessun altro nome, perché li mette da parte. La legge non chiama sotto le armi a partire dai cinquant’anni, non convoca il

senatore dai sessanta: gli uomini ottengono il riposo più difficilmente da se stessi che dalla legge. Nel frattempo, mentre

sono rapinati e rapinano, mentre vicendevolmente si tolgono la pace, mentre sono reciprocamente infelici, la vita è senza

frutto, senza piacere, senza nessun progresso dello spirito: nessuno ha la morte davanti agli occhi, nessuno non proietta

lontano le speranze, alcuni poi organizzano pure quelle cose che sono oltre la vita, grandi moli di sepolcri e dediche di opere

pubbliche e giochi funebri (lett.: presso il rogo) ed esequie sfarzose. Ma sicuramente i funerali di costoro, come se avessero

vissuto pochissimo, devono celebrarsi alla luce di fiaccole e ceri.

 

Vedi anche:

 

  • Latino
  • De Brevitate Vitae
  • Seneca

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