Il Canto 11 dell’Inferno della Divina Commedia, seppur breve rispetto ad altri, riveste un’importanza cruciale, poiché offre al lettore una dettagliata spiegazione dell’ordinamento morale dell’Inferno dantesco. Attraverso le parole di Virgilio, Dante presenta la struttura teologica e filosofica che sostiene l’architettura infernale, basata su un sistema etico derivato principalmente dall’Etica Nicomachea di Aristotele, ma filtrato attraverso la dottrina cristiana medievale.
Indice:
- Canto 11 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 11 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 11 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 11 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 11 della Divina Commedia
- Temi principali del 11 canto della Divina Commedia
- Il Canto 11 dell’Inferno in pillole
Canto 11 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
Testo Originale | Parafrasi |
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«In su l’estremità d’un’alta ripa | «Sull’orlo di un alto dirupo |
che facevan gran pietre rotte in cerchio, | formato da grandi massi disposti in cerchio, |
venimmo sopra più crudele stipa; | giungemmo sopra una più crudele ammucchiata di dannati; |
e quivi, per l’orribile soperchio | e qui, a causa dell’orribile eccesso |
del puzzo che ‘l profondo abisso gitta, | del fetore che esala dal profondo abisso, |
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio | ci ritirammo indietro, al riparo di un coperchio |
d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta | di un grande sepolcro, dove io vidi un’iscrizione |
che dicea: ‘Papa Anastasio guardo, | che diceva: ‘Custodisco papa Anastasio, |
lo qual trasse Fotin de la via dritta’. | che Fotino sviò dalla retta via’. |
‘Lo nostro scender conviene esser tardo, | ‘La nostra discesa conviene che sia graduale, |
sì che s’ausi un poco in prima il senso | così che prima si abitui un po’ il senso dell’olfatto |
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo’. | al triste odore; e poi non vi faremo più caso’. |
Così ‘l maestro; e io ‘Alcun compenso’, | Così disse il maestro; e io dissi ‘Troviamo qualche |
dissi lui, ‘trova che ‘l tempo non passi | rimedio perché il tempo non trascorra |
perduto’. Ed elli: ‘Vedi ch’a ciò penso’. | inutilmente’. Ed egli: ‘Vedi che ci sto pensando’. |
‘Figliuol mio, dentro da cotesti sassi’, | ‘Figlio mio, dentro queste rocce’, |
cominciò poi a dir, ‘son tre cerchietti | cominciò poi a dire, ‘ci sono tre cerchi |
di grado in grado, come que’ che lassi. | disposti a gradini, come quelli che hai lasciatot. |
Tutti son pien di spirti maladetti; | Tutti sono pieni di spirti maledetti; |
ma perché poi ti basti pur la vista, | ma perché poi ti basti solo vedere, |
intendi come e perché son costretti. | comprendi come e perché sono imprigionati. |
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista, | Di ogni malvagità, che in cielo suscita odio, |
ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale | l’ingiuria è il fine, ed ogni fine siffatto |
o con forza o con frode altrui contrista. | o con la violenza o con la frode procura dolore agli altri. |
Ma perché frode è de l’uom proprio male, | Ma poiché la frode è il male proprio dell’uomo, |
più spiace a Dio; e perché stan di sotto | dispiace di più a Dio; e perciò stanno più in basso |
li frodolenti, e più dolor li assale. | i fraudolenti, e sono tormentati da maggior dolore. |
Di vïolenti il primo cerchio è tutto; | Il primo cerchio è tutto di violenti; |
ma perché si fa forza a tre persone, | ma poiché si fa violenza a tre categorie di persone, |
in tre gironi è distinto e costrutto. | in tre gironi è suddiviso e strutturato. |
A Dio, a sé, al prossimo si pòne | A Dio, a sé, al prossimo si può |
far forza, dico in loro e in lor cose, | far violenza, dico nella loro persona e nei loro beni, |
come udirai con aperta ragione. | come udrai con chiara spiegazione. |
Morte per forza e ferute dogliose | Morte violenta e ferite dolorose |
nel prossimo si danno, e nel suo avere | si infliggono al prossimo, e nei suoi averi |
ruine, incendi e tollette dannose; | rovine, incendi ed estorsioni dannose; |
onde omicide e ciascun che mal fiere, | perciò omicidi e chiunque procura ferite, |
guastatori e predon, tutti tormenta | devastatori e predoni, tutti sono tormentati |
lo giron primo per diverse schiere. | nel primo girone, disposti in diversi gruppi. |
Puote omo avere in sé man vïolenta | Può l’uomo rivolgere mano violenta contro sé stesso |
e ne’ suoi beni; e perché nel secondo | e contro i suoi beni; e perciò nel secondo |
giron convien che sanza pro si penta | girone è giusto che inutilmente si penta |
qualunque priva sé del vostro mondo, | chiunque si priva del vostro mondo, |
biscazza e fonde la sua facultade, | gioca d’azzardo e sperpera il suo patrimonio, |
e piange là dov’esser de’ giocondo. | e piange là dove dovrebbe essere lieto. |
Puossi far forza ne la deïtade, | Si può fare violenza contro la divinità, |
col cor negando e bestemmiando quella, | negandola col cuore e bestemmiandola, |
e spregiando natura e sua bontade; | e disprezzando la natura e la sua bontà; |
e perché lo minor giron suggella | e perciò il girone più piccolo imprime il marchio |
del segno suo e Soddoma e Caorsa | col suo segno sia a Sodoma che a Cahors |
e chi, spregiando Dio col cor, favella. | e a chi, disprezzando Dio col cuore, parla. |
La frode, ond’ogne coscïenza è morsa, | La frode, dalla quale ogni coscienza è rimorsa, |
può l’omo usare in colui che ‘n lui fida | l’uomo può usarla contro chi in lui si fida |
e in quel che fidanza non imborsa. | e contro chi non ripone in lui fiducia. |
Questo modo di retro par ch’incida | Questo secondo modo sembra che spezzi |
pur lo vinco d’amor che fa natura; | soltanto il vincolo d’amore che crea la natura; |
onde nel cerchio secondo s’annida | perciò nel secondo cerchio si annida |
ipocresia, lusinghe e chi affattura, | ipocrisia, adulazione e chi pratica la magia, |
falsità, ladroneccio e simonia, | falsità, ladrocinio e simonia, |
ruffian, baratti e simile lordura. | ruffiani, barattieri e simile lordura. |
Per l’altro modo quell’amor s’oblia | Con l’altro modo si dimentica quell’amore |
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto, | che crea la natura, e quello che è poi aggiunto, |
di che la fede spezïal si cria; | da cui si genera la fiducia particolare; |
onde nel cerchio minore, ov’è ‘l punto | perciò nel cerchio più piccolo, dov’è il punto |
de l’universo in su che Dite siede, | dell’universo su cui siede Dite, |
qualunque trade in etterno è consunto». | chiunque tradisce è eternamente consumato». |
E io: «Maestro, assai chiaro procede | E io: «Maestro, molto chiaramente procede |
la tua ragione, e assai ben distingue | il tuo ragionamento, e assai bene distingue |
questo baràtro e ‘l popol ch’e’ possiede. | questo baratro e la popolazione che vi dimora. |
Ma dimmi: quei de la palude pingue, | Ma dimmi: quelli della palude fangosa, |
che mena il vento, e che batte la pioggia, | che il vento trascina, e che la pioggia percuote, |
e che s’incontran con sì aspre lingue, | e che si affrontano con parole così aspre, |
perché non dentro da la città roggia | perché non sono dentro la città rossastra |
sono ei puniti, se Dio li ha in ira? | sono puniti, se Dio li ha in ira? |
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». | e se non li ha, perché sono in tal modo?». |
Ed elli a me «Perché tanto delira», | Ed egli a me: «Perché tanto si allontana dal solco |
disse, «lo ‘ngegno tuo da quel che sòle? | disse, «il tuo ingegno da ciò che è solito? |
o ver la mente dove altrove mira? | oppure la tua mente guarda altrove? |
Non ti rimembra di quelle parole | Non ti ricordi di quelle parole |
con le quai la tua Etica pertratta | con le quali la tua Etica tratta |
le tre disposizion che ‘l ciel non vole, | le tre disposizioni che il cielo non vuole, |
incontenenza, malizia e la matta | incontinenza, malizia e la folle |
bestialitade? e come incontenenza | bestialità? e come l’incontinenza |
men Dio offende e men biasimo accatta? | offende meno Dio e riceve minor biasimo? |
Se tu riguardi ben questa sentenza, | Se tu consideri bene questa dottrina, |
e rechiti a la mente chi son quelli | e richiami alla mente quali sono quelli |
che sù di fuor sostegnon penitenza, | che sopra, fuori della città, sopportano la pena, |
tu vedrai ben perché da questi felli | tu comprenderai bene perché da questi malvagi |
sien dipartiti, e perché men crucciata | siano separati, e perché meno adirata |
la divina vendetta li martelli». | la divina vendetta li tormenti». |
«O sol che sani ogne vista turbata, | «O sole che risani ogni vista offuscata, |
tu mi contenti sì quando tu solvi, | tu mi soddisfi tanto quando risolvi i miei dubbi, |
che, non men che saber, dubbiar m’aggrata. | che, non meno che sapere, dubitare mi è gradito. |
Ancora in dietro un poco ti rivolvi», | Ancora indietro un poco ritorna», |
diss’io, «là dove di’ ch’usura offende | dissi io, «là dove dici che l’usura offende |
la divina bontade, e ‘l groppo solvi». | la divina bontà, e sciogli il nodo». |
«Filosofia», mi disse, «a chi la ‘ntende, | «La filosofia», mi disse, «a chi la comprende, |
nota, non pure in una sola parte, | fa notare, non solo in un’unica parte, |
come natura lo suo corso prende | come la natura prende il suo corso |
dal divino ‘ntelletto e da sua arte; | dall’intelletto divino e dalla sua arte; |
e se tu ben la tua Fisica note, | e se tu ben consideri la tua Fisica, |
tu troverai, non dopo molte carte, | troverai, non dopo molte pagine, |
che l’arte vostra quella, quanto pote, | che la vostra arte quella, quanto può, |
segue, come ‘l maestro fa ‘l discente; | segue, come il maestro fa il discepolo; |
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote. | così che la vostra arte è quasi nipote a Dio. |
Da queste due, se tu ti rechi a mente | Da questi due principi, se tu richiami alla mente |
lo Genesì dal principio, convene | il Genesi dall’inizio, conviene |
prender sua vita e avanzar la gente; | trarre il proprio sostentamento e progredire l’umanità; |
e perché l’usuriere altra via tene, | e poiché l’usuraio tiene altra via, |
per sé natura e per la sua seguace | per sé la natura e per la sua seguace (l’arte) |
dispregia, poi ch’in altro pon la spene. | disprezza, poiché in altro ripone la sua speranza. |
Ma seguimi oramai che ‘l gir mi piace; | Ma seguimi ormai che mi piace procedere; |
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta, | perché i Pesci guizzano su per l’orizzonte, |
e ‘l Carro tutto sovra ‘l Coro giace, | e il Carro è tutto sopra Coro, |
e ‘l balzo via là oltra si dismonta». | e il dirupo si discende via là oltre». |
Canto 11 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il canto 11 dell’Inferno della Divina Commedia si colloca in un momento di pausa narrativa nel viaggio di Dante attraverso i regni ultraterreni. I due poeti si trovano sul bordo del sesto cerchio, dove sono puniti gli eretici, e si fermano presso la tomba di Papa Anastasio II. Questa sosta è necessaria per abituarsi al terribile fetore che proviene dai cerchi inferiori, ma diventa soprattutto l’occasione per una fondamentale digressione didascalica sulla struttura morale dell’Inferno.
Il canto si apre con Dante e Virgilio che raggiungono l’estremità di un’alta ripa formata da grandi pietre rotte disposte in cerchio. I due poeti si avvicinano a un grande avello, su cui Dante legge un’iscrizione che indica la sepoltura di Papa Anastasio II, considerato eretico per aver accolto Fotino di Tessalonica, seguace dell’eresia di Acacio.
Storicamente, questa è un’inesattezza di Dante, che confonde Papa Anastasio II con l’imperatore Anastasio I, effettivamente coinvolto in controversie teologiche.
Virgilio propone di utilizzare il tempo necessario per abituarsi al fetore per spiegare a Dante l’ordinamento morale dei cerchi inferiori. Inizia così una dettagliata esposizione della struttura etica dell’Inferno, che rappresenta il nucleo concettuale dell’intero canto e una chiave interpretativa essenziale per comprendere il poema.
Il maestro latino illustra come nei tre cerchi più bassi siano puniti i peccatori colpevoli di malizia, il cui fine è l’ingiuria, ottenuta mediante violenza o frode. Virgilio spiega che la frode è più grave della violenza poiché è un male peculiare dell’uomo, che sfrutta l’intelletto per fini malvagi. La frode si può esercitare contro chi non si fida (ottavo cerchio) o contro chi si fida, ovvero i traditori (nono cerchio).
L’ordinamento morale dell’Inferno si basa su una sintesi tra la filosofia aristotelica, in particolare l’Etica Nicomachea, e la dottrina cristiana. Virgilio distingue tre categorie fondamentali di peccati:
- Incontinenza (cerchi dal secondo al quinto): lussuriosi, golosi, avari e prodighi, iracondi e accidiosi
- Violenza (settimo cerchio): violenti contro il prossimo, contro se stessi e contro Dio
- Frode (ottavo e nono cerchio): fraudolenti e traditori
Nella parte finale del canto, Dante pone una domanda specifica sull’usura, chiedendo perché sia considerata un’offesa a Dio. La risposta di Virgilio è particolarmente significativa: l’usura è una violenza contro la natura e contro l’arte umana (che è “nipote” di Dio). L’usuraio disprezza la natura e l’arte, poiché pone la sua speranza nel denaro che genera denaro, contravvenendo al principio divino espresso nel Genesi che l’uomo deve guadagnarsi da vivere con il suo lavoro.
Il Canto 11, pur essendo privo di incontri con anime dannate e di elementi narrativi drammatici, svolge una funzione cruciale nell’economia dell’opera. Rappresenta un momento di riflessione metapoetica in cui Dante autore rivela esplicitamente i principi filosofici e teologici che guidano la sua creazione poetica. La struttura morale dell’Inferno diventa così un’allegoria dell’ordine divino che regge l’universo secondo la visione cristiana medievale.
Canto 11 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto 11 dell’Inferno della Divina Commedia la presenza di personaggi è significativamente ridotta rispetto ad altri canti della Divina Commedia. Questa peculiarità è funzionale alla natura didascalica del canto, che Dante dedica principalmente alla spiegazione teorica della struttura morale dell’Inferno. I personaggi presenti, pur essendo pochi, svolgono ruoli cruciali nella costruzione del significato allegorico e didattico del canto.
Dante pellegrino appare in questo canto principalmente come discepolo attento e curioso. La sua funzione è quella di porre domande che permettono a Virgilio di spiegare l’ordinamento morale dell’Inferno. In particolare, Dante chiede chiarimenti sul peccato dell’usura, mostrando un genuino desiderio di apprendimento: “Ancor vo’ che mi ‘nsegni / e che di più parlar mi facci dono.” Questa postura umile e ricettiva simboleggia l’umanità in cerca di comprensione morale e teologica.
Virgilio emerge come maestro di etica e filosofia morale. In questo canto, la sua autorità intellettuale raggiunge l’apice, poiché gli viene affidato il compito di spiegare l’intero sistema etico che sottende la struttura infernale. Virgilio dimostra una profonda conoscenza della filosofia aristotelica, filtrandola attraverso una sensibilità cristiana nonostante la sua natura di pagano.
La sua spiegazione articolata e sistematica rivela come, pur essendo escluso dalla salvezza cristiana, egli possa comprendere razionalmente l’ordine morale divino.
Papa Anastasio II è l’unico personaggio storico citato esplicitamente nel canto, sebbene non compaia direttamente sulla scena. La sua presenza è evocata dall’iscrizione sulla tomba presso cui i poeti si fermano: “Anastasio papa guardo, / lo qual trasse Fotin de la via dritta”. Questo riferimento ha una duplice funzione simbolica: da un lato rappresenta l’eresia come deviazione intellettuale dalla verità teologica, dall’altro sottolinea come anche le più alte autorità ecclesiastiche possano cadere nell’errore.
Fotino di Tessalonica viene menzionato indirettamente come colui che avrebbe traviato il papa. Secondo la tradizione seguita da Dante, Fotino era un diacono di Tessalonica sostenitore dell’eresia monofisita. L’importanza del personaggio risiede nella sua funzione allegorica di tentatore e corruttore della verità teologica.
Analisi del Canto 11 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
L’undicesimo canto dell’Inferno rappresenta un momento fondamentale nell’architettura complessiva della Divina Commedia, caratterizzandosi come una pausa riflessiva che Dante sfrutta per esplicitare il fondamento morale e teologico dell’opera. I due poeti si fermano al margine del sesto cerchio, costretti a sostare per abituarsi all’orribile fetore che proviene dai cerchi inferiori, elemento simbolico della corruzione morale.
Centrale nel canto è la spiegazione dell’ordinamento morale: una sintesi tra filosofia aristotelica e teologia cristiana. Virgilio espone una tripartizione dei peccati: incontinenza (peccati derivanti dall’incapacità di controllare gli impulsi), violenza (peccati contro il prossimo, sé stessi o Dio/natura) e frode (peccati caratterizzati dall’abuso dell’intelletto). Il principio del contrappasso, dove ogni pena rispecchia il peccato commesso, rafforza il concetto di giustizia divina.
Il canto stabilisce anche un parallelo fra l’ordine morale dell’Inferno e l’ordine cosmico medievale, in cui la ragione e la fede si incontrano per spiegare il disegno divino. Con la ripresa del cammino, Dante unisce teoria e pratica in un movimento narrativo coerente.
Figure retoriche nel Canto 11 della Divina Commedia
Il canto utilizza un registro elevato e numerose figure retoriche per veicolare il suo intento didascalico. Tra queste, la metafora olfattiva trasforma il fetore in simbolo della corruzione morale, mentre le perifrasi arricchiscono concetti complessi. L’anastrofe e il chiasmo, insieme all’interrogazione retorica, enfatizzano e strutturano il discorso, contribuendo alla chiarezza espositiva.
L’allegoria complessiva dell’Inferno, con ogni cerchio che rappresenta un aspetto dell’ordine morale, incarna la fusione fra tecnica retorica e contenuto dottrinale.
Temi principali del 11 canto della Divina Commedia
Nel canto 11 dell’inferno della Divina Commedia emergono temi come la giustizia divina, il contrappasso e l’ordine morale dell’universo, intesi come espressioni di un sistema retributivo ordinato. La critica all’usura, intesa come violazione dell’ordine naturale e divino, si pone accanto al dialogo tra fede e ragione, dove la sapienza filosofica spiega l’ordine morale.
Il canto evidenzia infine la funzione didascalica della Commedia, in cui la poesia diviene veicolo di una lezione etica e teologica fondamentale.
Il Canto 11 dell’Inferno in pillole
Aspetto | Descrizione |
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Ambientazione | Bordo del sesto cerchio, presso la tomba di Papa Anastasio II |
Situazione narrativa | Pausa del viaggio a causa del fetore che sale dai cerchi inferiori |
Funzione del canto | Didascalica: spiegazione della struttura morale dell’Inferno |
Personaggi principali | Dante, Virgilio, riferimento a Papa Anastasio II (eretico) |
Struttura morale | • Incontinenza (cerchi 2-5): eccesso di passioni • Violenza (cerchio 7): contro prossimo, sé stessi, Dio/natura • Frode (cerchi 8-9): contro chi non si fida e chi si fida |
Fondamenti filosofici | Aristotele (Etica Nicomachea) reinterpretato in chiave cristiana |
Focus teologico | Usura come peccato contro natura e arte divina |
Figure retoriche | Perifrasi, metafore, allegorie, enumerazioni, interrogazioni retoriche |
Stile | Didascalico, linguaggio tecnico-filosofico, tono esplicativo |
Temi principali | Giustizia divina, contrappasso, ordine morale cosmico, critica all’usura |