Il Canto XI del Paradiso rappresenta una tappa fondamentale nel viaggio ultraterreno di Dante Alighieri attraverso la Divina Commedia. Collocato nel quarto cielo, quello del Sole, questo canto è dedicato agli spiriti sapienti e si distingue per l’ampio elogio di San Francesco d’Assisi, pronunciato da San Tommaso d’Aquino. Il canto si inserisce perfettamente nella struttura teologica e didascalica dell’opera dantesca, offrendo al lettore non solo un ritratto agiografico del santo di Assisi, ma anche una profonda riflessione sulla spiritualità e sui valori autentici della Chiesa.
Nel quarto cielo, Dante e Beatrice incontrano una corona di anime beate, tra cui spiccano i più grandi teologi e filosofi della cristianità. Queste anime formano una “ghirlanda” luminosa attorno ai due pellegrini e si manifestano come luci splendenti. La struttura allegorica di questo canto è particolarmente significativa: attraverso l’elogio di San Francesco pronunciato da San Tommaso (domenicano), Dante vuole sottolineare l’armonia e la complementarità tra gli ordini mendicanti, in un’epoca in cui le rivalità tra francescani e domenicani erano assai accese.
Il Canto XI si apre con una condanna delle preoccupazioni terrene e prosegue con la celebrazione della figura di San Francesco, presentato come sposo della Povertà e riformatore della Chiesa. La narrazione è ricca di figure retoriche e di simbolismi che contribuiscono a elevare il linguaggio poetico e a trasmettere il messaggio teologico e morale che Dante intende comunicare.
Indice:
- Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 11 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 11 della Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del Canto 11 della Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 11 della Paradiso in pillole
Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| O insensata cura de’ mortali, | Oh, sciocche preoccupazioni dei mortali, |
| quanto son difettivi silogismi | quanto sono difettosi i ragionamenti logici |
| quei che ti fanno in basso batter l’ali! | quelli che ti fanno volare in basso! |
| Chi dietro a iura e chi ad amforismi | Chi si dedicava alle leggi e chi agli aforismi [di medicina], |
| sen giva, e chi seguendo sacerdozio, | chi si dedicava alla carriera ecclesiastica, |
| e chi regnar per forza o per sofismi, | e chi a governare con la forza o con inganni, |
| e chi rubare e chi civil negozio, | chi a rubare e chi agli affari civili, |
| chi nel diletto de la carne involto | chi immerso nei piaceri della carne |
| s’affaticava e chi si dava a l’ozio, | si affaticava e chi si abbandonava all’ozio, |
| quando, da tutte queste cose sciolto, | mentre io, libero da tutte queste cose terrene, |
| con Beatrice m’era suso in cielo | ero salito in cielo con Beatrice |
| cotanto gloriosamente accolto. | e così gloriosamente accolto. |
| Poi che ciascuno fu tornato ne lo | Dopo che ciascuno degli spiriti beati fu tornato nel |
| punto del cerchio in che avanti s’era, | punto del cerchio in cui si trovava prima, |
| fermossi, come a candellier candelo. | si fermò, come una candela sul candeliere. |
| E io senti’ dentro a quella lumera | E io sentii dentro a quella luce splendente |
| che pria m’avea parlato, sorridendo | che prima mi aveva parlato, sorridendo |
| incominciar, faccendosi più mera: | cominciare, facendosi più luminosa: |
| «Così com’io del suo raggio resplendo, | “Come io risplendo del suo raggio [divino], |
| sì, riguardando ne la luce etterna, | così, guardando nella luce eterna, |
| li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. | comprendo da dove nascono i tuoi pensieri. |
| Tu dubbi, e hai voler che si ricerna | Tu dubiti, e desideri che si spieghi |
| in sì aperta e ‘n sì distesa lingua | in un linguaggio così chiaro e dettagliato |
| lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, | il mio discorso, che si adatti alla tua comprensione, |
| ove dinanzi dissi: ‘U’ ben s’impingua’, | dove prima dissi: ‘Dove ci si impingua bene’, |
| e là ‘u’ dissi: ‘Non nacque il secondo’; | e là dove dissi: ‘Non nacque il secondo’; |
| e qui è uopo che ben si distingua. | e qui è necessario che si distingua bene. |
| La provedenza, che governa il mondo | La provvidenza divina, che governa il mondo |
| con quel consiglio nel quale ogne aspetto | con quel disegno nel quale ogni sguardo |
| creato è vinto pria che vada al fondo, | creato è sopraffatto prima che ne comprenda il fondo, |
| però che andasse ver’ lo suo diletto | affinché la sposa [la Chiesa] andasse verso il suo diletto [Cristo] |
| la sposa di colui ch’ad alte grida | sposo che la sposò con alte grida |
| disposò lei col sangue benedetto, | [sulla croce] col suo sangue benedetto, |
| in sé sicura e anche a lui più fida, | sicura in sé stessa e anche più fedele a Lui, |
| due principi ordinò in suo favore, | ordinò due prìncipi in suo favore, |
| che quinci e quindi le fosser per guida. | che da una parte e dall’altra le fossero di guida. |
| L’un fu tutto serafico in ardore; | L’uno [Francesco] fu tutto ardente d’amore come un serafino; |
| l’altro per sapienza in terra fue | l’altro [Domenico] fu in terra per sapienza |
| di cherubica luce uno splendore. | uno splendore di luce cherubica. |
| De l’un dirò, però che d’amendeu | Dell’uno parlerò, perché di entrambi |
| si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, | si parla lodandone uno, qualunque si scelga, |
| perch’ad un fine fur l’opere sue. | perché ad un unico fine furono rivolte le loro opere. |
| Intra Tupino e l’acqua che discende | Tra il Tupino e l’acqua [Chiascio] che discende |
| del colle eletto dal beato Ubaldo, | dal colle scelto dal beato Ubaldo, |
| fertile costa d’alto monte pende, | pende fertile costa d’alto monte, |
| onde Perugia sente freddo e caldo | da dove Perugia sente freddo e caldo |
| da Porta Sole; e di rietro le piange | dalla Porta Sole; e dietro ad essa piange |
| per grave giogo Nocera con Gualdo. | per il grave giogo [dei monti] Nocera con Gualdo. |
| Di questa costa, là dov’ella frange | Di questa costa, là dove essa riduce |
| più sua rattezza, nacque al mondo un sole, | la sua ripidità, nacque al mondo un sole, |
| come fa questo talvolta di Gange. | come fa talvolta questo [sole] dal Gange. |
| Però chi d’esso loco fa parole, | Perciò chi parla di questo luogo, |
| non dica Ascesi, ché direbbe corto, | non dica Ascesi, perché direbbe poco, |
| ma Oriente, se proprio dir vole. | ma Oriente, se vuole parlare propriamente. |
| Non era ancor molto lontan da l’orto, | Non era ancora molto lontano dalla nascita, |
| ch’el cominciò a far sentir la terra | quando egli cominciò a far sentire alla terra |
| de la sua gran virtute alcun conforto; | qualche conforto della sua grande virtù; |
| ché per tal donna, giovinetto, in guerra | poiché per tale donna [la Povertà], giovinetto, in guerra |
| del padre corse, a cui, come a la morte, | con il padre corse, a cui, come alla morte, |
| la porta del piacer nessun diserra; | nessuno apre la porta del piacere; |
| e dinanzi a la sua spirital corte | e davanti alla sua corte spirituale |
| et coram patre le si fece unito; | e alla presenza del padre [il vescovo] si unì a lei; |
| poscia di dì in dì l’amò più forte. | poi di giorno in giorno l’amò più fortemente. |
| Questa, privata del primo marito, | Questa, privata del primo marito [Cristo], |
| millecent’anni e più dispetta e scura | millecento anni e più disprezzata e sconosciuta |
| fino a costui si stette sanza invito; | fino a costui [Francesco] rimase senza invito [da parte di nessuno]; |
| né valse udir che la trovò sicura | né valse sentire che la trovò sicura |
| con Amiclate, al suon de la sua voce, | insieme ad Amiclate, al suono della sua voce [di Cesare], |
| colui ch’a tutto ‘l mondo fé paura; | colui che a tutto il mondo fece paura; |
| né valse esser costante né feroce, | né le valse essere costante né feroce, |
| sì che, dove Maria rimase giuso, | così che, mentre Maria rimase giù [ai piedi della croce], |
| ella con Cristo pianse in su la croce. | ella [la Povertà] con Cristo pianse sulla croce. |
| Ma perch’io non proceda troppo chiuso, | Ma affinché io non proceda troppo oscuramente, |
| Francesco e Povertà per questi amanti | Francesco e Povertà come questi amanti |
| prendi oramai nel mio parlar diffuso. | considera ormai nel mio parlare diffuso. |
| La lor concordia e i lor lieti sembianti, | La loro concordia e i loro lieti sembianti, |
| amore e maraviglia e dolce sguardo | amore e maraviglia e dolce sguardo |
| facean esser cagion di pensier santi; | facevano nascere santi pensieri [negli altri]; |
| tanto che ‘l venerabile Bernardo | tanto che il venerabile Bernardo |
| si scalzò prima, e dietro a tanta pace | si scalzò per primo, e seguendo tanta pace |
| corse e, correndo, li parve esser tardo. | corse e, correndo, gli sembrò di essere tardo. |
| Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! | Oh ricchezza sconosciuta! oh bene fecondo! |
| Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro | Si scalza Egidio, si scalza Silvestro |
| dietro a lo sposo, sí la sposa piace. | dietro allo sposo [Francesco], tanto la sposa [Povertà] piaccia. |
| Indi sen va quel padre e quel maestro | Quindi se ne va quel padre e quel maestro |
| con la sua donna e con quella famiglia | con la sua donna [Povertà] e con quella famiglia [i frati] |
| che già legava l’umile capestro. | che già cingeva l’umile corda. |
| Né li gravò viltà di cuor le ciglia | Né abbassò le ciglia per viltà di cuore |
| per esser fi’ di Pietro Bernardone, | per essere figlio di Pietro Bernardone, |
| né per parer dispetto a maraviglia; | né per sembrare incredibilmente spregevole; |
| ma regalmente sua dura intenzione | ma regalmente la sua dura decisione |
| ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe | espose ad Innocenzo, e da lui ebbe |
| primo sigillo a sua religione. | il primo sigillo [l’approvazione] per il suo ordine religioso. |
| Poi che la gente poverella crebbe | Dopo che la gente poverella crebbe |
| dietro a costui, la cui mirabil vita | dietro a costui, la cui mirabile vita |
| meglio in gloria del ciel si canterebbe, | meglio si canterebbe nella gloria del cielo, |
| di seconda corona redimita | di seconda corona fu cinta |
| fu per Onorio da l’Etterno Spiro | per opera di Onorio dallo Spirito Eterno |
| la santa voglia d’esto archimandrita. | la santa volontà di questo archimandrita [capo di un monastero]. |
| E poi che, per la sete del martiro, | E dopo che, per la sete del martirio, |
| ne la presenza del Soldan superba | nella presenza del Sultano superba |
| predicò Cristo e li altri che ‘l seguiro, | predicò Cristo e gli altri che lo seguirono, |
| e per trovare a conversione acerba | e per trovare troppo acerba alla conversione |
| troppo la gente e per non stare indarno, | quella gente e per non rimanere inattivo, |
| redissi al frutto de l’italica erba, | ritornò al frutto dell’italica erba [in Italia], |
| nel crudo sasso intra Tevero e Arno | nel crudo sasso tra il Tevere e l’Arno |
| da Cristo prese l’ultimo sigillo, | da Cristo prese l’ultimo sigillo [le stimmate], |
| che le sue membra due anni portarno. | che le sue membra portarono per due anni. |
| Quando a colui ch’a tanto ben sortillo | Quando a colui [Dio] che lo destinò a tanto bene |
| piacque di trarlo suso a la mercede | piacque di trarlo su alla ricompensa |
| ch’el meritò nel suo farsi pusillo, | che meritò nel suo farsi umile, |
| a’ frati suoi, sí com’a giuste rede, | ai frati suoi, come a giusti eredi, |
| raccomandò la donna sua più cara, | raccomandò la donna sua più cara [la Povertà], |
| e comandò che l’amassero a fede; | e comandò che l’amassero con fede; |
| e del suo grembo l’anima preclara | e dal suo grembo l’anima illustre |
| mover si volle, tornando al suo regno, | volle muoversi, tornando al suo regno [il Paradiso], |
| e al suo corpo non volle altra bara. | e per il suo corpo non volle altra bara [se non la terra nuda]. |
| Pensa oramai qual fu colui che degno | Pensa ormai quale fu colui [Domenico] che degno |
| collega fu a mantener la barca | collega fu nel mantenere la barca |
| di Pietro in alto mar per dritto segno; | di Pietro in alto mare sulla retta via; |
| e questo fu il nostro patriarca; | e questo fu il nostro patriarca; |
| per che qual segue lui, com’el comanda, | per cui chi segue lui, come egli comanda, |
| discerner puoi che buone merce carca. | puoi discernere che carica buone merci. |
| Ma ‘l suo pecuglio di nova vivanda | Ma il suo gregge di nuova vivanda |
| è fatto ghiotto, sí ch’esser non puote | è diventato ghiotto, così che non può essere |
| che per diversi salti non si spanda; | che non si disperda per diversi pascoli; |
| e quanto le sue pecore remote | e quanto più le sue pecore si allontanano |
| e vagabunde più da esso vanno, | e vagabonde da esso, |
| più tornano a l’ovil di latte vòte. | più tornano all’ovile vuote di latte. |
| Ben son di quelle che temono ‘l danno | Ci sono certo quelle che temono il danno |
| e stringonsi al pastor; ma son sí poche, | e si stringono al pastore; ma sono così poche, |
| che le cappe fornisce poco panno. | che poco panno basta per fare le cappe. |
| Or, se le mie parole non son fioche, | Ora, se le mie parole non sono deboli, |
| se la tua audienza è stata attenta, | se la tua attenzione è stata attenta, |
| se ciò ch’è detto a la mente revoche, | se richiami alla mente ciò che ho detto, |
| in parte fia la tua voglia contenta, | in parte sarà il tuo desiderio soddisfatto, |
| perché vedrai la pianta onde si scheggia, | perché vedrai la pianta da cui si stacca [il legno], |
| e vedra’ il corrègger che argomenta | e vedrai la correzione che argomenta |
| ‘U’ ben s’impingua, se non si vaneggia’». | ‘Dove ben ci si impingua, se non ci si perde in vanità’. |
Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il Canto XI del Paradiso si colloca nel quarto cielo, quello del Sole, dove risiedono gli spiriti sapienti che in vita hanno illuminato l’umanità con la loro dottrina. Dante e Beatrice, giunti in questo regno di luce, vengono accolti da una corona di anime beate che formano una ghirlanda luminosa attorno ai due pellegrini. Tra queste anime splendenti spiccano i più grandi teologi e filosofi della cristianità, con San Tommaso d’Aquino che emerge come guida e interlocutore principale.
Il canto si apre con una potente invettiva contro le vane preoccupazioni terrene degli uomini:
O insensata cura de’ mortali,
quanto son difettivi sillogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!
In questa apostrofe iniziale, Dante condanna i ragionamenti errati (“difettivi sillogismi”) che mantengono gli esseri umani legati ai beni materiali piuttosto che elevarsi verso le verità celesti. Il poeta elenca le occupazioni mondane – lo studio del diritto, la medicina, il sacerdozio, la politica, la ricerca di ricchezze illegittime, gli affari pubblici, i piaceri carnali e l’ozio – contrapponendole alla beatitudine che lui stesso sta sperimentando nel cielo del Sole.
Terminata questa introduzione, prende la parola San Tommaso d’Aquino che inizia chiarendo un dubbio non espresso da Dante, dimostrando la capacità delle anime beate di leggere i pensieri del pellegrino. San Tommaso spiega che la Provvidenza divina, di fronte alla crisi spirituale della Chiesa, ha suscitato due campioni per guidarla e riformarla: San Francesco d’Assisi e San Domenico, fondatori di due ordini mendicanti che avrebbero dovuto riportare la sposa di Cristo (la Chiesa) sulla retta via.
La parte centrale e più estesa del canto è dedicata all’elogio di San Francesco, pronunciato significativamente dal domenicano Tommaso – una scelta che sottolinea il superamento delle rivalità tra ordini religiosi nel regno celeste. San Tommaso traccia una biografia spirituale di Francesco, descrivendone la nascita ad Assisi (presentata attraverso una perifrasi geografica che situa la città tra il Tupino e il Chiascio), la rottura con il padre per seguire la sua vocazione, e soprattutto le mistiche nozze con Madonna Povertà.
L’immagine delle nozze tra Francesco e la Povertà personificata costituisce il cuore simbolico del canto. La Povertà viene descritta come una donna rimasta vedova del suo primo sposo, Cristo, e rifiutata da tutti per undici secoli. Francesco, nuovo sposo, la abbraccia con amore ardente:
Ma perch’io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facean esser cagion di pensier santi.
Il racconto prosegue con l’approvazione dell’ordine francescano da parte di Papa Innocenzo III, la predicazione di Francesco in Oriente e il suo tentativo di convertire il Sultano, il ritiro sul monte della Verna dove riceve le stimmate (“l’ultimo sigillo”) che lo rendono perfettamente conforme a Cristo, e infine la morte, descritta come un ritorno dell’anima al “miglior regno”.
Nelle terzine conclusive, San Tommaso volge il suo discorso verso una critica severa dei francescani contemporanei che si sono allontanati dall’esempio del loro fondatore, anticipando una tendenza che sarà approfondita nei canti successivi. L’ordine dei minori, nato dalla scelta radicale della povertà, è ormai degenerato tanto da suscitare l’amaro commento: “Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio, / nostro volume, ancor troveria carta / u’ leggerebbe ‘I’ mi son quel ch’i’ soglio’; / ma non fia da Casal né d’Acquasparta…”.
La struttura del canto è sapientemente costruita per creare un parallelismo con il canto successivo, dove il francescano San Bonaventura elogierà San Domenico, completando così un perfetto esempio di armonia celeste che supera le divisioni terrene. Il linguaggio poetico si innalza in questo canto a vette di straordinaria bellezza, con un uso sapiente di metafore, allegorie e perifrasi che trasfigurano il racconto agiografico in un’elevata meditazione sulla spiritualità autentica e sulla missione della Chiesa.
Attraverso questo canto, Dante non solo celebra la figura di San Francesco e il valore della povertà evangelica, ma offre anche una riflessione profonda sulla corruzione del suo tempo e sul bisogno di una riforma spirituale che riporti la Chiesa alla purezza delle origini apostoliche.
Canto 11 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XI del Paradiso, Dante costruisce una fitta rete di personaggi che interagiscono in modo significativo, ciascuno con un preciso ruolo simbolico e teologico all’interno della narrazione.
Dante pellegrino, protagonista del viaggio ultraterreno, si trova nel quarto cielo, quello del Sole, sede degli spiriti sapienti. Il poeta si presenta come osservatore privilegiato della realtà celeste, ormai distaccato dalle “insensate cure dei mortali” che aveva condannato nell’incipit del canto. La sua ascesa spirituale è evidenziata dal contrasto tra la sua condizione attuale e quella degli uomini ancora legati alle preoccupazioni terrene.
Beatrice, sua guida nel Paradiso, mantiene un ruolo fondamentale anche se in questo canto non interviene direttamente. La sua presenza silenziosa rappresenta l’illuminazione teologica e la grazia divina che permettono a Dante di comprendere le verità celesti. Il sorriso e lo sguardo di Beatrice, spesso menzionati nei canti precedenti, sono lo strumento attraverso cui il poeta può sostenere la visione delle realtà divine.
Il personaggio centrale del canto è San Francesco d’Assisi, presentato attraverso l’elogio di San Tommaso. Francesco è descritto come figura cristologica, un alter Christus che ripercorre simbolicamente la vita di Cristo attraverso la sua scelta di povertà radicale. La narrazione della sua biografia assume toni agiografici: dalla nascita ad Assisi (descritta con una perifrasi geografica) fino alle stimmate sul monte della Verna, passando per le mistiche nozze con Madonna Povertà. Quest’ultimo elemento allegorico è particolarmente significativo: Francesco sposa la Povertà, rimasta vedova dopo la morte di Cristo, ristabilendo così un legame spirituale interrotto per secoli.
L’immagine di Francesco che emerge è quella di un riformatore della Chiesa, un “principe” inviato dalla Provvidenza per ricondurre la sposa di Cristo (la Chiesa stessa) verso il suo sposo. La sua vita esemplare di rinuncia e umiltà rappresenta l’ideale evangelico in opposizione alla corruzione ecclesiastica contemporanea. La descrizione delle stimmate (“l’ultimo sigillo”) sottolinea la conformazione totale di Francesco a Cristo crocifisso.
Particolarmente significativa è la scelta dell’oratore che pronuncia questo elogio: San Tommaso d’Aquino, il grande teologo domenicano. Dante opera qui una deliberata inversione rispetto alle aspettative: un domenicano che elogia il fondatore dell’ordine francescano rivale. Questa scelta retorica ha un profondo significato teologico e morale: in Paradiso le divisioni terrene sono superate nell’armonia celeste, e i due ordini mendicanti (domenicani e francescani) appaiono complementari nella loro missione evangelica.
Tommaso parla con autorità teologica, rappresentando la sapienza illuminata dalla fede. Il suo discorso non è solo un’agiografia di Francesco, ma una riflessione sulla Provvidenza divina e sulla missione della Chiesa. Quando critica i francescani contemporanei che hanno deviato dall’esempio del fondatore, la sua voce assume toni profetici, anticipando il tema della degenerazione degli ordini religiosi che sarà sviluppato nei canti successivi.
Attraverso questi personaggi, Dante illustra la complementarietà tra vita attiva e contemplativa, tra sapienza teologica e santità vissuta. Francesco e Tommaso, storicamente esponenti di tradizioni diverse, sono presentati come aspetti complementari di un’unica verità spirituale, in una sintesi perfetta che riflette l’armonia celeste.
Analisi del Canto 11 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Il Canto XI del Paradiso presenta una struttura narrativa complessa che si sviluppa attorno ad alcuni elementi tematici fondamentali. Dante costruisce il canto su una serie di contrapposizioni che rivelano il suo intento didascalico e la sua visione teologica.
Il canto si apre con una potente invettiva contro le vanità umane, rappresentata dall’apostrofe «O insensata cura de’ mortali». Questa introduzione stabilisce immediatamente il contrasto tra le preoccupazioni mondane (diritto, medicina, politica, ricchezza, piaceri carnali) e le verità spirituali che caratterizzeranno il resto del canto. Dante utilizza questa contrapposizione per evidenziare come gli uomini siano spesso ingannati da «difettivi sillogismi» che li inducono a rivolgere le proprie aspirazioni verso il basso anziché verso l’alto. Questa critica iniziale prepara il terreno per l’esaltazione della povertà evangelica incarnata da San Francesco.
La struttura narrativa del canto segue poi un modello circolare: dall’invettiva iniziale si passa al discorso di San Tommaso, che chiarisce un dubbio inespresso di Dante e introduce la figura di San Francesco; dopo l’elogio del santo, il canto si chiude con una critica ai francescani contemporanei che hanno deviato dall’esempio del loro fondatore, ricollegandosi così tematicamente all’invettiva iniziale contro le vanità umane.
Uno degli elementi tematici centrali è la provvidenzialità della storia. San Tommaso presenta Francesco e Domenico come «due principi» ordinati dalla «Provvidenza» divina per guidare la Chiesa in un momento di crisi. Questo tema della Provvidenza che governa il mondo «con quel consiglio nel quale ogne aspetto / creato è vinto pria che vada al fondo» sottolinea la visione teologica di Dante secondo cui la storia umana, pur nella sua apparente casualità, è guidata da un disegno divino imperscrutabile ma perfetto.
Particolarmente significativo è il tema delle nozze mistiche tra Francesco e Madonna Povertà, allegoria che rappresenta la scelta radicale del santo di abbracciare la vita evangelica. La Povertà è descritta come una donna «a cui, com’a la morte, / la porta del piacer nessun diserra», rimasta vedova di Cristo per più di mille anni. Attraverso questa potente immagine, Dante evidenzia la corruzione della Chiesa, che ha abbandonato l’ideale di povertà predicato da Cristo.
Al cuore del canto vi è anche il tema della riforma della Chiesa. Presentando Francesco come nuovo sposo della Povertà, Dante suggerisce la necessità di un ritorno all’autenticità evangelica. La critica ai francescani degeneri («la sua famiglia che si mosse dritta / coi piedi alle sue orme, è tanto volta, / che quel dinanzi a quel di retro gitta») evidenzia la tensione tra l’ideale originario e la corruzione contemporanea.
Infine, la complementarità degli ordini mendicanti emerge come tema unificante. La scelta di far pronunciare l’elogio di San Francesco a San Tommaso (domenicano) sottolinea come in Paradiso le divisioni terrene siano superate nell’armonia celeste. Questo tema verrà completato nel canto successivo con l’elogio di San Domenico pronunciato dal francescano San Bonaventura, creando una perfetta simmetria strutturale che rispecchia l’ordine divino.
Figure retoriche nel Canto 11 della Paradiso della Divina Commedia
Il Canto XI del Paradiso si distingue per la ricchezza del tessuto retorico, che Dante impiega con straordinaria maestria per elevare il linguaggio poetico e trasmettere profonde verità teologiche.
L’apostrofe apre solennemente il canto con la celebre invocazione “O insensata cura de’ mortali”, rivolgendosi direttamente alle preoccupazioni mondane degli uomini. Questa figura conferisce immediatezza ed enfasi alla condanna delle vanità terrene, stabilendo sin dall’inizio il tono moralizzante del discorso.
L’enumerazione dei vari affanni umani nei versi successivi (“Chi dietro a iura, e chi ad aforismi”) crea un effetto di accumulazione che sottolinea la molteplicità delle distrazioni mondane, contrapposte all’elevazione spirituale rappresentata dal viaggio ultraterreno di Dante.
Particolarmente significativo è l’uso delle metafore. La rappresentazione di San Francesco come “sposo” della Povertà sviluppa un’elaborata metafora nuziale che attraversa l’intero elogio. Altrettanto efficace è l’immagine delle “ali” che battono verso il basso (“in basso batter l’ali”) per simboleggiare l’anima incapace di elevarsi verso Dio.
Numerose perifrasi geografiche arricchiscono la narrazione: Assisi viene evocata attraverso la menzione dei fiumi circostanti (“tra Tupino e l’acqua che discende”), mentre il monte della Verna è descritto come “nel crudo sasso intra Tevero e Arno”. Queste circonlocuzioni conferiscono solennità al racconto e ne amplificano la dimensione cosmica.
L’allegoria costituisce la spina dorsale del canto, con la personificazione della Povertà come dama abbandonata dopo la morte di Cristo (“privata del primo marito”). Quest’allegoria si sviluppa in un racconto cavalleresco spiritualizzato, dove Francesco diventa il cavaliere che sposa la dama rifiutata da tutti.
I parallelismi cristologici abbondano nella descrizione di Francesco come alter Christus, culminando nella metafora delle stimmate come “ultimo sigillo”. Questi parallelismi sono rafforzati da numerose antitesi che contrappongono povertà materiale e ricchezza spirituale, oscurità terrena e luce celeste.
Il discorso teologico di San Tommaso è impreziosito da interrogative retoriche (“u’ ben s’impingua, se non si vaneggia”) che non richiedono risposta ma intensificano il messaggio morale, mentre il climax nella progressione delle virtù di Francesco culmina nella descrizione delle stimmate.
Non mancano similitudini efficaci, come quella che paragona l’influenza benefica di Francesco alla primavera che rivitalizza la natura, e sineddochi che esprimono concetti complessi attraverso elementi concreti.
L’uso magistrale di queste figure retoriche non è mero ornamento stilistico, ma strumento essenziale attraverso cui Dante riesce a rendere accessibili concetti teologici complessi, trasformando l’astratto in concreto e l’ineffabile in esperienza poetica condivisa.
Temi principali del Canto 11 della Paradiso della Divina Commedia
Nel Canto XI del Paradiso emergono diversi temi fondamentali che rappresentano il nucleo del pensiero teologico e morale dantesco. Questi temi si intrecciano armonicamente, creando un tessuto poetico e concettuale di straordinaria complessità e bellezza.
La contrapposizione tra preoccupazioni terrene e valori spirituali costituisce il primo tema cardine, sviluppato fin dall’incipit con la celebre apostrofe: “O insensata cura de’ mortali”. Dante condanna la vanità delle occupazioni umane (diritto, medicina, politica, affari) che distolgono l’uomo dalla vera meta spirituale. Questa critica alle vanità mondane rappresenta un invito all’elevazione dello spirito, tema ricorrente nella Commedia ma che qui assume particolare enfasi per introdurre, per contrasto, la genuina spiritualità francescana.
Il valore della povertà evangelica emerge come secondo tema portante. La personificazione della Povertà come sposa di San Francesco riprende la tradizione del “Sacrum Commercium” francescano, elevandola a simbolo di perfezione spirituale. Le nozze mistiche con Madonna Povertà rappresentano l’ideale di una vita spoglia di beni materiali ma ricca di valori spirituali, in perfetta imitazione di Cristo. Dante sottolinea come la Povertà, dopo la morte di Cristo, fosse rimasta “disprezzata e scura” per oltre mille anni, finché Francesco non la scelse come sposa, sfidando le convenzioni sociali e persino l’autorità paterna.
La Provvidenza divina costituisce il terzo tema fondamentale, presentata come forza ordinatrice che governa il mondo secondo un disegno imperscrutabile. Dante sottolinea come Dio abbia inviato Francesco e Domenico per soccorrere la Chiesa in un momento di crisi, chiarendo che nulla accade per caso nell’ordine cosmico. I due ordini mendicanti vengono descritti come “due principi” ordinati per guidare la “sposa” (la Chiesa) verso il suo “diletto” (Cristo).
La critica alla degenerazione degli ordini religiosi rappresenta un quarto tema cruciale. Attraverso le parole di San Tommaso, Dante deplora l’allontanamento dei francescani dai principi del fondatore: “Ma ‘l suo peculio di nova vivanda / è fatto ghiotto”. Questo tema si ricollega alla più ampia critica dantesca alla corruzione ecclesiastica, evidenziando lo stridente contrasto tra l’ideale originario e la realtà contemporanea.
Infine, la complementarità degli ordini mendicanti emerge come tema unificante. La scelta di far pronunciare l’elogio di San Francesco a San Tommaso (domenicano) sottolinea come in Paradiso le divisioni terrene siano superate nell’armonia celeste. Questo tema verrà completato nel canto successivo con l’elogio di San Domenico pronunciato dal francescano San Bonaventura, creando una perfetta simmetria strutturale che rispecchia l’ordine divino.
Il Canto 11 della Paradiso in pillole
| Elemento | Descrizione | Punti Salienti |
|---|---|---|
| Collocazione | Quarto cielo del Paradiso (Sole) | Cielo dedicato agli spiriti sapienti, incontro con una corona di anime beate |
| Struttura | Articolato in tre sezioni principali | Invettiva contro le vanità terrene, spiegazione teologica, elogio di San Francesco |
| Personaggi principali | Dante, Beatrice, San Tommaso d’Aquino, San Francesco | San Tommaso (domenicano) celebra San Francesco, superando rivalità tra ordini religiosi |
| Temi fondamentali | Povertà evangelica, corruzione degli ordini religiosi | Contrasto tra ideale francescano originario e degenerazione contemporanea |
| Figure retoriche | Metafora delle nozze mistiche, allegoria della Povertà | San Francesco come “sposo” della Povertà, parallelismi cristologici |
| Elementi biografici | Nascita ad Assisi, rinuncia ai beni terreni | Rottura col padre, fondazione dell’ordine, stigmate sul monte della Verna |
| Aspetti stilistici | Linguaggio elevato e solenne | Ricco di simbolismi, perifrasi geografiche, allegorie |
| Contesto teologico | Provvidenza divina, missione riformatrice | Francesco e Domenico come “principi” inviati da Dio per guidare la Chiesa |
| Critica sociale | Denuncia della mondanizzazione religiosa | Confronto tra purezza originaria e deviazione contemporanea dell’ordine |
| Valore strutturale | Parallelismo con il Canto XII | Complementarità tra San Francesco e San Domenico nell’economia del poema |