Il Canto XII del Paradiso rappresenta un momento fondamentale nell’ascesa celeste di Dante Alighieri attraverso la Divina Commedia. Collocato nella quarta sfera celeste, quella del Sole, questo canto completa il dittico dedicato agli ordini mendicanti, presentando la figura di San Domenico di Guzmán attraverso le parole di San Bonaventura da Bagnoregio. La struttura speculare rispetto al canto precedente crea un perfetto equilibrio teologico tra francescani e domenicani.
In questo cielo risplendono le anime di coloro che hanno illuminato il mondo con la loro sapienza teologica e filosofica, disposte in due corone concentriche che ruotano in direzioni opposte, simboleggiando l’armonia celeste e la complementarità tra i due ordini religiosi. L’intera architettura del canto rivela la maestria compositiva di Dante, che attraverso la danza delle anime beate rappresenta visivamente la concordia e l’unità di intenti che caratterizza questi spiriti.
Il punto focale del canto è l’elogio di San Domenico pronunciato dal francescano Bonaventura, in perfetta simmetria con l’elogio di San Francesco fatto dal domenicano Tommaso d’Aquino nel canto precedente. Questa costruzione a specchio sottolinea come i due ordini, spesso rivali nelle dispute teologiche del tempo di Dante, siano presentati qui in perfetta armonia, simbolo dell’unità della verità divina al di là delle diverse interpretazioni e tradizioni.
Indice:
- Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 12 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 12 Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del Canto 12 Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 12 del Paradiso in pillole
Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo originale | Parafrasi |
|---|---|
| Sì tosto come l’ultima parola / la benedetta fiamma per dir tolse, / a rotar cominciò la santa mola; | Non appena la beata anima (San Tommaso d’Aquino) ebbe pronunciato l’ultima parola, la santa corona di spiriti (la prima ghirlanda di dodici beati) iniziò a roteare; |
| e nel suo giro tutta non si volse / prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, / e moto a moto e canto a canto colse; | e non aveva ancora compiuto un giro completo quando un’altra corona (la seconda ghirlanda di beati) la circondò, accordando il proprio movimento e il proprio canto con quelli della prima corona; |
| canto che tanto vince nostre muse, / nostre serene in quelle dolci tube, / quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. | canto che supera le nostre poesie e le nostre sirene quanto la luce diretta supera quella riflessa. |
| Come si volgon per tenera nube / due archi paralelli e concolori, / quando Iunone a sua ancella iube, | Come si formano attraverso una nube sottile due arcobaleni paralleli e dello stesso colore, quando Giunone ordina alla sua ancella (Iride); |
| nascendo di quel d’entro quel di fori, / a guisa del parlar di quella vaga / ch’amor consunse come sol vapori, | nascendo quello esterno da quello interno, simili alla voce della ninfa Eco, che l’amore consumò come il sole consuma i vapori, |
| e fanno qui la gente esser presaga, / per lo patto che Dio con Noè puose, / del mondo che già mai più non s’allaga: | e fanno sì che la gente abbia un presentimento riguardo al patto che Dio stabilì con Noè, cioè che il mondo non sarà mai più sommerso dalle acque; |
| così di quelle sempiterne rose / volgiensi circa noi le due ghirlande, / e sì l’estrema a l’intima rispuose. | così quelle due ghirlande di beati (rose eterne) ruotavano intorno a noi, e la più esterna si accordava con quella interna. |
| Poi che ‘l tripudio e l’altra festa grande, / sì del cantare e sì del fiammeggiarsi / luce con luce gaudïose e blande, | Dopo che la danza gioiosa e la grande festa, sia del cantare sia dello scambiarsi luce con luce gioiose e amorevoli, |
| insieme a punto e a voler quetarsi, / pur come li occhi ch’al piacer che i move / conviene insieme chiudere e levarsi; | insieme allo stesso istante e per la stessa volontà si fermarono, così come gli occhi che si chiudono e si aprono insieme seguendo il piacere che li muove; |
| del cor de l’una de le luci nove / si mosse voce, che l’ago a la stella / parer mi fece in volgermi al suo dove; | dal centro di uno degli spiriti nuovi si mosse una voce che, nel volgermi verso la sua direzione, mi fece sembrare l’ago della bussola che si orienta verso la stella polare; |
| e cominciò: «L’amor che mi fa bella / mi tragge a ragionar de l’altro duca / per cui del mio sì ben ci si favella. | e cominciò: «L’amore che mi rende splendente mi spinge a parlare dell’altro condottiero a proposito del quale si è parlato così bene del mio. |
| Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca: / sì che, com’ elli ad una militaro, / così la gloria loro insieme luca. | È giusto che dove si parla dell’uno si parli anche dell’altro: così come combatterono insieme, allo stesso modo la loro gloria risplenda insieme. |
| L’essercito di Cristo, che sì caro / costò a rïarmar, dopo la bandiera / si movea tardo, sospeccioso e raro, | L’esercito di Cristo (la Chiesa), che costò così caro a riarmare dopo la crocifissione, si muoveva dietro alla bandiera (di Cristo) lento, sospettoso e ridotto di numero, |
| quando lo ‘mperador che sempre regna / provide a la milizia, ch’era in forse, / per sola grazia, non per esser degna; | quando l’imperatore che sempre regna (Dio) provvide al suo esercito, che era in difficoltà, solo per grazia divina e non perché l’esercito ne fosse degno; |
| e, come è detto, a sua sposa soccorse / con due campioni, al cui fare, al cui dire / lo popol disvïato si raccorse. | e, come ho già detto, soccorse la sua sposa (la Chiesa) con due campioni (San Francesco e San Domenico), grazie alle cui azioni e alle cui parole il popolo smarrito si radunò. |
| In quella parte ove surge ad aprire / Zefiro dolce le novelle fronde / di che si vede Europa rivestire, | In quella regione da dove sorge Zefiro (vento occidentale) a far sbocciare le nuove foglie di cui si vede l’Europa rivestirsi, |
| non molto lungi al percuoter de l’onde / dietro a le quali, per la lunga foga, / lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, | non molto lontano dal battere delle onde dell’oceano Atlantico dietro alle quali, per il lungo percorso, il sole talvolta si nasconde a tutti gli uomini, |
| siede la fortunata Calaroga / sotto la protezion del grande scudo / in che soggiace il leone e soggioga: | si trova la fortunata Calaruega sotto la protezione del grande stemma nel quale il leone sta sotto e sovrasta: |
| dentro vi nacque l’amoroso drudo / de la fede cristiana, il santo atleta / benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; | qui nacque l’amoroso amante della fede cristiana, il santo atleta, benevolo con i suoi e severo con i nemici; |
| e come fu creata, fu repleta / sì la sua mente di viva vertute / che, ne la madre, lei fece profeta. | e non appena la sua anima fu creata, fu così piena di virtù vivificante che, quando era ancora nel grembo materno, rese la madre profetessa. |
| Poi che le sponsalizie fuor compiute / al sacro fonte intra lui e la Fede, / u’ si dotar di mutüa salute, | Dopo che furono celebrate le nozze al sacro fonte battesimale tra lui e la Fede, dove si donarono reciproca salvezza, |
| la donna che per lui l’assenso diede, / vide nel sonno il mirabile frutto / ch’uscir dovea di lui e de le rede; | la donna (madrina di battesimo) che diede l’assenso per lui, vide in sogno il meraviglioso frutto che doveva nascere da lui e dai suoi eredi; |
| e perché fosse qual era in costrutto, / quinci si mosse spirito a nomarlo / del possessivo di cui era tutto. | e affinché fosse nel nome ciò che era nella sostanza, da qui uno spirito si mosse a chiamarlo con il nome del possessivo di colui a cui apparteneva interamente. |
| Domenico fu detto; e io ne parlo / sì come de l’agricola che Cristo / elesse a l’orto suo per aiutarlo. | Fu chiamato Domenico; e io ne parlo come del contadino che Cristo scelse per aiutarlo nel suo orto. |
| Ben parve messo e famigliar di Cristo: / che ‘l primo amor che ‘n lui fu manifesto, / fu al primo consiglio che diè Cristo. | Ben si mostrò messo e familiare di Cristo: infatti il primo amore che manifestò fu verso il primo consiglio che Cristo diede. |
| Spesse fïate fu tacito e desto / trovato in terra da la sua nutrice, / come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. | Spesso fu trovato dalla sua nutrice silenzioso e sveglio per terra, come se dicesse: ‘Io sono venuto al mondo per questo’. |
| Oh padre suo veramente Felice! / oh madre sua veramente Giovanna, / se, interpretata, val come si dice! | Oh suo padre veramente Felice! oh sua madre veramente Giovanna, se, interpretando il suo nome, vale come si dice (la graziata da Dio)! |
| Non per lo mondo, per cui mo s’affanna / di retro ad Ostïense e a Taddeo, / ma per amor de la verace manna / in picciol tempo gran dottor si feo; | Non per il mondo, per il quale oggi ci si affatica dietro allo studio di Enrico di Susa (cardinale d’Ostia) e di Taddeo Alderotti (famoso medico), ma per amore della vera manna (la dottrina divina) in poco tempo divenne un gran dottore; |
| tal che si mise a circüir la vigna / che tosto imbianca, se ‘l vignaio è reo. / E a la sedia che fu già benigna / più a’ poveri giusti, non per lei, / ma per colui che siede, che traligna, | tanto che si mise a vigilare sulla vigna che presto inaridisce, se il vignaiolo è cattivo. E alla sede papale che un tempo fu più benevola verso i poveri giusti, non per colpa sua, ma per colpa di colui che vi siede e che degenera, |
| non dispensare o due o tre per sei, / non la fortuna di prima vacante, / non decimas, quae sunt pauperum Dei, / addimandò, ma contro al mondo errante / licenza di combatter per lo seme / del qual ti fascian ventiquattro piante. | non chiese di dispensare due o tre per sei, non chiese di avere il primo beneficio vacante, non chiese le decime, che appartengono ai poveri di Dio, ma chiese contro il mondo che devia la licenza di combattere per la fede dalla quale ti circondano ventiquattro piante beate. |
| Poi, con dottrina e con volere insieme, / con l’officio appostolico si mosse / quasi torrente ch’alta vena preme; | Poi, con la dottrina e con la volontà insieme, con l’incarico apostolico si mosse quasi come un torrente che scaturisce da una sorgente alta; |
| e ne li sterpi eretici percosse / l’impeto suo, più vivamente quivi / dove le resistenze eran più grosse. | e negli sterpi eretici si abbatté il suo impeto, più vigorosamente laddove le resistenze erano più forti. |
| Di lui si fecer poi diversi rivi / onde l’orto catolico si riga, / sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. | Da lui nacquero poi diversi rivi con cui si irriga l’orto cattolico, così che i suoi arbusti sono più rigogliosi. |
| Se tal fu l’una rota de la biga / in che la Santa Chiesa si difese / e vinse in campo la sua civil briga, / ben ti dovrebbe assai esser palese / l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma / dinanzi al mio venir fu sì cortese. | Se tale fu una delle due ruote del carro (San Domenico) con cui la Santa Chiesa si difese e vinse sul campo la sua lotta civile, ben ti dovrebbe essere chiara l’eccellenza dell’altra (San Francesco), di cui Tommaso prima del mio arrivo parlò in modo così cortese. |
| Ma l’orbita che fé la parte somma / di sua circunferenza, è derelitta, / sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. | Ma l’orbita che tracciò la parte superiore della sua circonferenza è abbandonata, così che ora c’è muffa dove prima c’era il tartaro (che è pregiato). |
| La sua famiglia, che si mosse dritta / coi piedi a le sue orme, è tanto volta, / che quel dinanzi a quel di retro gitta; | La sua famiglia (dei domenicani), che si mosse diritta seguendo le sue orme, si è tanto rivoltata che mette la punta del piede dove lui metteva il tallone; |
| e tosto si vedrà de la ricolta / de la mala coltura, quando il loglio / si lagnerà che l’arca li sia tolta. | e presto si vedrà dalla raccolta della cattiva coltivazione, quando la zizzania si lamenterà che le sia tolto il granaio. |
| Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio / nostro volume, ancor troveria carta / u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; | Tuttavia dico che chi esaminasse foglio per foglio il nostro volume (l’ordine domenicano), troverebbe ancora qualche pagina dove leggerebbe “Io sono ancora quello che ero di solito”; |
| ma non fia da Casal né d’Acquasparta, / là onde vegnon tali a la scrittura, / ch’uno la fugge e altro la coarta. | ma non sarà da Casale né da Acquasparta, da dove vengono tali all’Ordine che uno (Ubertino da Casale) interpreta la regola in modo troppo largo e l’altro (Matteo d’Acquasparta) la restringe troppo. |
| Io son la vita di Bonaventura / da Bagnoregio, che ne’ grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura. | Io sono l’anima di San Bonaventura da Bagnoregio, che nei grandi incarichi religiosi sempre misi in secondo piano le preoccupazioni terrene. |
| Illuminato e Augustin son quici, / che fuor de’ primi scalzi poverelli / che nel capestro a Dio si fero amici. | Qui ci sono anche Illuminato e Agostino, che furono tra i primi frati francescani scalzi e poveri che con la corda al fianco si fecero amici di Dio. |
| Ugo da San Vittore è qui con elli, / e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, / lo qual giù luce in dodici libelli; | Ugo di San Vittore è qui con loro, e Pietro Comestore e Pietro Ispano, che sulla terra risplende in dodici libri; |
| Natán profeta e ‘l metropolitano / Crisostomo e Anselmo e quel Donato / ch’a la prim’ arte degnò porre mano. | il profeta Nathan e il metropolita (arcivescovo di Costantinopoli) Giovanni Crisostomo e Anselmo d’Aosta e quel Donato che si degnò di scrivere un manuale di grammatica. |
| Rabano è qui, e lucemi dallato / il calavrese abate Giovacchino / di spirito profetico dotato. | Rabano Mauro è qui, e mi brilla accanto l’abate calabrese Gioacchino da Fiore dotato di spirito profetico. |
| Ad inveggiar cotanto paladino / mi mosse l’infiammata cortesia / di fra Tommaso e ‘l discreto latino; / e mosse meco questa compagnia». | A elogiare un così grande difensore della fede (San Domenico) mi ha spinto l’infuocata cortesia di fra Tommaso e il suo misurato parlare; e ha mosso a far ciò insieme a me tutta questa compagnia». |
Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il Canto XII del Paradiso si apre con una straordinaria visione coreografica: non appena Tommaso d’Aquino termina il suo discorso, la corona di spiriti sapienti inizia a ruotare su se stessa. Prima che questa completi un giro intero, una seconda corona luminosa la circonda dall’esterno, muovendosi in direzione opposta ma accordando perfettamente il proprio canto a quello della prima schiera.
Dante ricorre a una splendida similitudine astronomica, paragonando queste corone a due arcobaleni concentrici e paralleli, simbolo dell’armonia celeste che regna tra i due ordini mendicanti.
Dopo questa danza celeste, prende la parola San Bonaventura da Bagnoregio, teologo francescano, che in un mirabile gioco di specchi con il canto precedente, si accinge a celebrare San Domenico, fondatore dell’ordine domenicano. Come nel Canto XI il domenicano Tommaso aveva elogiato Francesco, ora il francescano Bonaventura tesse le lodi di Domenico, manifestando quella perfetta carità che è propria del Paradiso.
Bonaventura colloca geograficamente la nascita di Domenico in Spagna, a Caleruega in Castiglia, utilizzando una raffinata perifrasi che evoca il vento Zefiro e il tramonto del sole nell’oceano. Racconta poi i segni premonitori che accompagnarono la nascita del santo: un sogno profetico della madre, che vide un cane con una fiaccola in bocca (simbolo dell’ordine domenicano, i “Domini canes”, cani del Signore).
Il francescano prosegue narrando l’educazione di Domenico, il suo disprezzo per i beni terreni e la sua dedizione agli studi teologici. Lo descrive come un “torrente” di sapienza divina e un “agricoltore” che lavora nella vigna del Signore, impegnato a combattere l’eresia con le armi della persuasione e della dottrina, non con la violenza.
Questa missione evangelizzatrice viene illustrata come complementare a quella di Francesco: se quest’ultimo è “serafico in ardore” (rappresentante dell’amore), Domenico è “cherubico in luce” (rappresentante della sapienza).
Nella parte finale del suo discorso, Bonaventura passa a criticare i francescani contemporanei che, a suo dire, hanno tradito l’ideale di povertà e semplicità del fondatore. Denuncia le divisioni interne all’ordine e il rilassamento della disciplina religiosa, creando così un parallelismo con la critica che Tommaso, nel canto precedente, aveva rivolto ai domenicani.
Il canto si configura dunque come il secondo pannello di un dittico dedicato ai due grandi ordini mendicanti, e mostra come la sapienza divina operi attraverso diverse vie (quella dell’amore e quella della conoscenza) per raggiungere lo stesso fine: la salvezza delle anime e la difesa della verità cristiana.
Canto 12 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XII del Paradiso, Dante presenta una schiera di personaggi fondamentali per comprendere l’equilibrio teologico e spirituale che caratterizza la quarta sfera celeste. Protagonista indiscusso è San Bonaventura da Bagnoregio, figura storicamente rilevante nella tradizione francescana, che assume il ruolo narrativo di guida per questa sezione del poema.
Bonaventura, che si presenta direttamente a Dante, rappresenta l’ideale del teologo illuminato dalla grazia divina. Francescano, cardinale e Dottore della Chiesa (1221-1274), egli incarna la perfetta fusione tra sapienza intellettuale e ardore spirituale. La sua funzione principale nel canto è quella di celebrare San Domenico, creando così una struttura speculare rispetto al canto precedente, dove il domenicano Tommaso d’Aquino aveva elogiato San Francesco.
Questa scelta narrativa sottolinea l’armonia e la complementarità tra i due ordini mendicanti, pilastri della Chiesa medievale.
Il ritratto di San Domenico di Guzmán (1170-1221) occupa la parte centrale del canto. Bonaventura ne traccia un’agiografia idealizzata, presentandolo come un predestinato fin dalla nascita. Il suo nome viene interpretato etimologicamente come “appartenente al Signore” (dal latino Dominicus), mentre il celebre sogno della madre – che vide un cane con una fiaccola in bocca – viene interpretato come presagio della sua missione: illuminare il mondo con la predicazione della verità (i domenicani verranno infatti chiamati simbolicamente Domini canes, “cani del Signore”).
Domenico viene descritto come “cherubico in luce”, complementare al “serafico in ardore” Francesco. Se Francesco incarnava principalmente l’amore e la carità, Domenico rappresenta la sapienza e la dottrina. Bonaventura ne esalta le qualità intellettuali e spirituali: la precoce rinuncia ai beni terreni, la dedizione allo studio della teologia, l’acume nella lotta contro le eresie (particolarmente quella catara) e la fondazione dell’ordine dei Predicatori.
Accanto a questi due protagonisti, Dante presenta la seconda corona di spiriti sapienti, composta da dodici anime beate. Oltre a Bonaventura, che funge da portavoce, troviamo:
- Illuminato da Rieti e Agostino d’Assisi, primi compagni di San Francesco, che rappresentano l’autenticità dell’ideale francescano delle origini;
- Ugo di San Vittore, teologo e filosofo mistico, esponente della scuola vittoriana, celebre per aver armonizzato misticismo e razionalità;
- Pietro Mangiadore (Petrus Comestor), teologo e storico francese, autore della Historia Scholastica;
- Pietro Ispano, logico e medico portoghese, identificato con Papa Giovanni XXI, autore delle Summulae Logicales;
- Natan, profeta biblico che ebbe il coraggio di rimproverare re Davide per il suo peccato;
- Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli e Padre della Chiesa greca, famoso per la sua eloquenza (il nome significa infatti “bocca d’oro”);
- Anselmo d’Aosta, teologo e filosofo, considerato il padre della Scolastica;
- Donato, grammatico romano, maestro di San Girolamo;
- Rabano Mauro, teologo e letterato tedesco, abate di Fulda;
- Gioacchino da Fiore, abate calabrese, teologo visionario e mistico.
Questa eterogenea assemblea di spiriti rappresenta l’universalità della sapienza divina, manifestata attraverso diverse culture, epoche e approcci intellettuali. La varietà dei personaggi – che include biblisti, grammatici, mistici, filosofi e teologi – sottolinea come la verità divina possa esprimersi in molteplici forme di conoscenza, tutte ugualmente illuminate dalla grazia.
Significativa è anche la presenza di figure controverse come Gioacchino da Fiore, le cui teorie millenaristiche erano state in parte condannate dalla Chiesa, ma che Dante riabilita collocandolo tra i beati. Questa scelta rivela l’indipendenza di giudizio del poeta, che riconosce il valore spirituale dell’abate calabrese al di là delle condanne ufficiali.
La composizione della corona di beati riflette inoltre l’ideale dantesco di una sapienza che unisce ragione e fede, autorità classiche e cristiane, tradizione occidentale e orientale, creando così un’immagine di universalità che trascende le divisioni storiche e dottrinali del suo tempo.
Analisi del Canto 12 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Il primo elemento tematico fondamentale è la simmetria strutturale tra i due canti. Se nel Canto XI era stato San Tommaso d’Aquino, domenicano, a celebrare le virtù di San Francesco, ora è San Bonaventura da Bagnoregio, francescano, a tessere l’elogio di San Domenico. Questa inversione non è casuale, ma risponde alla precisa volontà dantesca di mostrare l’unità profonda che dovrebbe caratterizzare la Chiesa, al di là delle differenze tra ordini religiosi.
Le due corone di spiriti sapienti che danzano armoniosamente rappresentano visivamente questa concordia ideale.
La narrazione si sviluppa attraverso un doppio registro, celebrativo e critico insieme. Da un lato, Bonaventura esalta le virtù eroiche di San Domenico, presentandolo come «campione della fede» e «torrente di sapienza», dall’altro non risparmia aspre critiche ai francescani del suo tempo che hanno tradito l’ideale di povertà predicato dal fondatore. Questo parallelo tra l’ideale originario e la degenerazione successiva costituisce uno dei temi ricorrenti della Commedia.
Particolarmente significativa è la costruzione narrativa della biografia di San Domenico. Bonaventura inizia con una precisa collocazione geografica della nascita del santo (Caleruega in Spagna), prosegue con il racconto dei segni premonitori (il sogno della madre), e culmina con la descrizione della sua missione evangelica e la fondazione dell’ordine dei Predicatori.
Il santo viene presentato come predestinato sin dalla nascita a diventare difensore della fede, come suggerisce l’etimologia del suo nome («Dominicus» = appartenente al Signore).
Un elemento narrativo di grande importanza è il parallelismo complementare tra Francesco e Domenico, descritti come «due principi» stabiliti dalla Provvidenza per guidare la Chiesa in un momento di crisi. Francesco è presentato come «serafico in ardore» (rappresentante dell’amore), mentre Domenico come «cherubico in luce» (rappresentante della sapienza).
Questa complementarità riflette la concezione dantesca dell’unità nella diversità che dovrebbe caratterizzare la Chiesa ideale.
Il canto presenta anche una progressione ascendente nella rappresentazione della santità. Partendo dagli elementi concreti e terreni (nascita, educazione), Bonaventura guida il lettore verso una comprensione sempre più elevata della missione spirituale di Domenico, fino a presentarlo come strumento della Provvidenza nel piano divino di salvezza.
La dimensione profetica costituisce un altro aspetto fondamentale del canto. La critica alla corruzione degli ordini religiosi si inserisce nella più ampia denuncia dantesca della decadenza della Chiesa, ma contiene anche l’implicita speranza di una riforma e di un ritorno agli ideali originari. In questo senso, il canto non è solo commemorazione di un passato glorioso, ma anche monito per il presente e visione per il futuro.
Sul piano narrativo, è interessante notare come Dante personaggio rimanga silente in tutto il canto, lasciando la parola a Bonaventura. Questo espediente permette al poeta di esprimere giudizi severi sulla degenerazione degli ordini religiosi senza assumere direttamente la responsabilità di tali critiche.
La voce di Bonaventura, beato e quindi partecipe della verità divina, conferisce autorevolezza al messaggio.
Il canto si conclude con la presentazione delle altre anime che compongono la seconda corona di beati, creando una galleria di figure eccellenti che hanno contribuito alla sapienza cristiana: teologi, mistici, profeti e grammatici. Questa varietà sottolinea come la verità divina possa manifestarsi attraverso diverse forme di sapere e diverse tradizioni culturali, sempre mantenendo la sua essenziale unità.
Figure retoriche nel Canto 12 Paradiso della Divina Commedia
La similitudine degli arcobaleni concentrici apre il canto con un’immagine di rara bellezza. Ai versi 10-12, Dante paragona il movimento delle due corone di spiriti sapienti a «due archi paralleli e concolori» che si formano tra le nubi, evocando l’arcobaleno e il suo riflesso. Questa figura non è meramente decorativa, ma comunica visivamente l’armonia perfetta tra francescani e domenicani, rappresentando l’unità nella diversità che caratterizza la Chiesa ideale.
Altrettanto significativa è la metafora astronomica estesa che descrive il movimento circolare delle anime beate, paragonate a stelle che ruotano nel firmamento. Questo movimento, che Dante chiama «santa mola» (v. 3), richiama l’immagine di una macina, suggerendo un moto perfetto e incessante che simboleggia l’eternità della beatitudine celeste.
Nel ritratto di San Domenico, Bonaventura utilizza diverse metafore agricole di grande impatto: il santo è presentato come «agricoltore» scelto da Cristo per coltivare la «vigna» della Chiesa. Questa immagine evangelica sottolinea la missione di Domenico nel nutrire spiritualmente i fedeli e combattere le erbacce dell’eresia.
Le metafore belliche caratterizzano la descrizione dell’operato del santo contro gli eretici. Domenico è dipinto come «campione della fede» e «torrente che preme» contro gli sterpi eretici. Questa terminologia militare enfatizza la dimensione combattiva dell’ordine domenicano nella difesa della dottrina cattolica, ma sempre attraverso le armi della ragione e non della violenza fisica.
Particolarmente raffinata è l’antitesi tra luce e tenebra che percorre tutto il canto. La luminosità delle anime beate si contrappone all’oscurità dell’ignoranza e dell’eresia. Questa contrapposizione cromatica diventa simbolo della lotta tra verità e falsità, tra sapienza divina e errore umano. Non a caso, Domenico stesso viene definito «cherubico in luce», evidenziando la sua particolare associazione con la sapienza illuminante.
L’anafora è utilizzata efficacemente nei versi 58-60, dove la ripetizione dell’avverbio «Sì» («Sì fu la sua… / Sì ne’ suoi primi…») crea un ritmo incalzante che sottolinea l’eccezionalità delle virtù di Domenico sin dalla nascita. Questa figura conferisce al testo un andamento quasi liturgico, trasformando l’elogio del santo in una sorta di litania sacra.
Notevole è anche l’uso di metafore acquatiche, dove la sapienza di Domenico è paragonata a un «torrente» che disseta i «cattolici giardini». L’immagine dell’acqua che vivifica richiama la tradizione biblica della sapienza come fonte di vita e si contrappone alla siccità spirituale prodotta dall’eresia.
Il simbolismo onomastico arricchisce ulteriormente il testo: il nome «Domenico» viene etimologicamente interpretato come «appartenente al Signore» (dal latino «dominicus»). Questa interpretazione non è semplice gioco linguistico, ma rivela la vocazione intrinseca del santo, predestinato dal nome stesso alla sua missione divina.
Il sogno premonitore della madre di Domenico, che vede un cane con una fiaccola in bocca, costituisce un’allegoria complessa che anticipa la futura missione del figlio. Il cane (in latino «canis») richiama per assonanza i «Domini canes» (cani del Signore), come venivano chiamati i domenicani, mentre la fiaccola rappresenta la luce della predicazione che illumina le tenebre dell’ignoranza.
Dante costruisce anche un efficace chiasmo strutturale tra questo canto e il precedente: nel Canto XI un domenicano (Tommaso) elogia un francescano (Francesco), mentre qui un francescano (Bonaventura) celebra un domenicano (Domenico). Questa figura retorica a livello macrotestuale sottolinea l’unità profonda tra i due ordini, al di là delle apparenti differenze.
Temi principali del Canto 12 Paradiso della Divina Commedia
Il primo tema centrale è l’armonia nella diversità, rappresentata visivamente dalle due corone di spiriti sapienti che ruotano in direzioni opposte ma in perfetto accordo. Questo movimento circolare simboleggia l’unità degli ordini mendicanti nonostante le loro differenze carismatiche. Francescani e domenicani, spesso rivali nelle dispute teologiche dell’epoca, sono qui presentati come complementari e necessari entrambi alla missione della Chiesa.
La sapienza divina si manifesta attraverso diverse vie che, pur sembrando contrapposte, convergono verso la stessa verità.
Un secondo tema fondamentale è la complementarità tra azione e contemplazione. Se Francesco d’Assisi rappresentava principalmente l’amore attivo (il “serafico in ardore”), Domenico incarna la luce della sapienza (il “cherubico in luce”). Dante suggerisce che entrambe queste dimensioni sono essenziali alla vita cristiana: la fede senza conoscenza rischia di diventare fanatismo, mentre la conoscenza senza fede può trasformarsi in sterile intellettualismo.
Il valore della povertà evangelica costituisce un altro tema cruciale. Attraverso le parole di San Bonaventura, Dante sottolinea come Domenico, al pari di Francesco, avesse scelto la povertà come fondamento della sua missione. Il rifiuto dei beni materiali viene presentato come condizione necessaria per la vera predicazione e la difesa della verità.
La scelta della povertà non è solo una questione morale ma teologica: permette di testimoniare Cristo con maggiore autenticità.
La critica alla corruzione ecclesiastica emerge con forza nella parte finale del canto. Bonaventura denuncia la degenerazione dell’ordine francescano, parallela a quella domenicana criticata da Tommaso nel canto precedente. I frati che abbandonano l’esempio dei fondatori, cercando privilegi e ricchezze, tradiscono la loro missione originaria.
Evidente è il parallelismo con la più ampia critica dantesca alla decadenza della Chiesa del XIV secolo, che aveva smarrito la semplicità delle origini.
Il tema del rapporto tra fede e ragione permea l’intero canto. Gli spiriti beati del cielo del Sole rappresentano l’equilibrio perfetto tra conoscenza razionale e illuminazione divina. La vera sapienza, secondo Dante, non deriva solo dallo studio umano ma richiede l’illuminazione della grazia. Domenico viene celebrato come colui che unisce in sé l’ardore della carità e lo splendore dell’intelligenza teologica, diventando “torrente che deriva” dalla fonte divina.
Infine, il tema dell’ordine cosmico e provvidenziale si manifesta nell’articolata struttura del canto. La Provvidenza divina ha disposto l’avvento dei due santi fondatori in un momento critico per la Chiesa, inviando due “principi” con missioni complementari. La perfezione dell’ordine celeste, rappresentata dal movimento armonioso delle anime, riflette l’ordine divino che governa la storia umana, nonostante le apparenti contraddizioni e i momenti di crisi.
Il Canto 12 del Paradiso in pillole
| Elemento | Descrizione |
|---|---|
| Collocazione | Cielo del Sole, quarta sfera celeste |
| Protagonisti | San Bonaventura da Bagnoregio (narratore), San Domenico (celebrato) |
| Struttura | Speculare al Canto XI; crea un dittico con l’elogio di San Francesco |
| Movimento iniziale | Due corone concentriche di spiriti sapienti che ruotano in direzioni opposte |
| Similitudine principale | I due cerchi di beati sono paragonati a doppi arcobaleni paralleli e concolori |
| Elogio centrale | Vita di San Domenico: nascita in Spagna, segni profetici (il cane con la fiaccola), lotta contro le eresie |
| Simbologia | Domenico come “cherubico in luce”, complementare a Francesco “serafico in ardore” |
| Critica interna | Bonaventura rimprovera i francescani che hanno deviato dall’ideale di povertà |
| Figure retoriche | Metafore agricole (Domenico come “agricoltore”), metafore belliche (“campione della fede”), similitudini astronomiche |
| Seconda corona | Include Illuminato da Rieti, Agostino d’Assisi, Ugo di San Vittore, Pietro Mangiadore, Pietro Ispano e altri |
| Messaggio teologico | Unità nella diversità della Chiesa; complementarità tra sapienza (domenicani) e amore (francescani) |
| Lezione morale | Condanna della degenerazione degli ordini religiosi e invito al ritorno agli ideali originari |
| Significato cosmico | Armonia celeste rappresentata dal movimento sincronizzato e dalla danza circolare degli spiriti beati |