Il Canto XII del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel viaggio di Dante attraverso il secondo regno dell’aldilà. In questo canto della Divina Commedia, che conclude il percorso nella cornice dei superbi, il poeta fiorentino osserva sul pavimento esempi di superbia punita, contrapposti alle immagini di umiltà viste nel canto precedente.
Attraverso un raffinato gioco di simboli, figure retoriche e richiami biblici e mitologici, Dante completa la sua lezione morale sulla superbia, incontrando infine l’angelo dell’umiltà che gli cancella dalla fronte la prima delle sette P, simbolo del peccato capitale purificato.
Indice:
- Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 12 Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia
- Temi principali del Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia
- Il Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia in pillole
Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| Di pari, come buoi che vanno a giogo, m’andava io con quell’anima carca, fin che ‘l sofferse il dolce pedagogo. | Camminavo di pari passo, come buoi che procedono aggiogati, con quell’anima carica del peso della superbia, finché me lo permise Virgilio, mia dolce guida. |
| Ma quando disse: «Lascia lui e varca; ché qui è buono con l’ali e coi remi, quantunque può, ciascun pinger sua barca»; | Ma quando disse: «Lascialo e va’ avanti; perché qui è bene che ciascuno spinga la propria barca con le ali e con i remi, con tutta la forza possibile»; |
| dritto sì come andar vuolsi rife’mi con la persona, avvegna che i pensieri mi rimanessero e chinati e scemi. | mi raddrizzai come si deve camminare con la persona, sebbene i miei pensieri rimanessero abbassati e umili. |
| Io m’era mosso, e seguia volentieri del mio maestro i passi, e amendue già mostravam com’eravam leggieri; | Mi ero mosso e seguivo volentieri i passi della mia guida, ed entrambi mostravamo come eravamo leggeri; |
| ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe: buon ti sarà, per tranquillar la via, veder lo letto de le piante tue». | ed egli mi disse: «Volgi gli occhi in giù: ti sarà utile, per rendere più sereno il cammino, guardare dove metti i piedi». |
| Come, perché di lor memoria sia, sovra i sepolti le tombe terragne portan segnato quel ch’elli eran pria, | Come, affinché rimanga un ricordo di loro, sopra i sepolti le tombe a terra portano scolpito quello che essi erano in vita, |
| onde lì molte volte si ripiagne per la puntura de la rimembranza, che solo a’ pïi dà de le calcagne; | per cui spesso si piange di nuovo per lo stimolo del ricordo, che punge solo le persone pietose; |
| sì vid’io lì, ma di miglior sembianza secondo l’artificio, figurato quanto per via di fuor del monte avanza. | così vidi io lì, ma di aspetto migliore secondo l’arte, raffigurato quanto sporge dalla parete esterna del monte. |
| Vedea colui che fu nobil creato più ch’altra creatura, giù dal cielo folgoreggiando scender, da l’un lato. | Vedevo colui che fu creato più nobile di ogni altra creatura, Lucifero, cadere giù dal cielo come un fulmine, da una parte. |
| Vedëa Brïareo, fitto dal telo celestïal giacer, da l’altra parte, grave a la terra per lo mortal gelo. | Vedevo Briareo, trafitto dal dardo celeste giacere, dall’altra parte, pesante sulla terra per il freddo mortale. |
| Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, armati ancora, intorno al padre loro, mirar le membra d’i Giganti sparte. | Vedevo Apollo, vedevo Pallade e Marte, ancora armati, intorno al loro padre Giove, osservare le membra sparse dei Giganti. |
| Vedea Nembròt a piè del gran lavoro quasi smarrito, e riguardar le genti che ‘n Sennaàr con lui superbi fuoro. | Vedevo Nembrot ai piedi della grande opera, come smarrito, e guardare le genti che a Sennaar furono superbe insieme a lui. |
| O Nïobè, con che occhi dolenti vedea io te segnata in su la strada, tra sette e sette tuoi figliuoli spenti! | O Niobe, con che occhi addolorati io ti vedevo raffigurata sulla strada, tra i tuoi quattordici figli uccisi! |
| O Saùl, come in su la propria spada quivi parevi morto in Gelboè, che poi non sentì pioggia né rugiada! | O Saul, come sulla tua stessa spada lì sembravi morto sul Gilboa, che poi non sentì più pioggia né rugiada! |
| O folle Aragne, sì vedea io te già mezza ragna, trista in su li stracci de l’opera che mal per te si fé! | O folle Aracne, così ti vedevo già per metà trasformata in ragno, triste sui resti dell’opera che fu mal fatta da te! |
| O Roboàm, già non par che minacci quivi ‘l tuo segno; ma pien di spavento nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci. | O Roboamo, non sembra che minacci più la tua immagine; ma pieno di spavento ti porta via un carro, senza che nessuno lo spinga. |
| Mostrava ancor lo duro pavimento come Almeon a sua madre fé caro parer lo sventurato addornamento. | Mostrava ancora il duro pavimento come Alcmeone fece pagare cara a sua madre la sciagurata collana. |
| Mostrava come i figli si gittaro sovra Sennacherìb dentro dal tempio, e come, morto lui, quivi il lasciaro. | Mostrava come i figli si scagliarono contro Sennacherib dentro il tempio, e come, uccisolo, lo lasciarono lì. |
| Mostrava la ruina e ‘l crudo scempio che fé Tamiri, quando disse a Ciro: «Sangue sitisti, e io di sangue t’empio». | Mostrava la rovina e il crudele massacro che fece Tomiri, quando disse a Ciro: «Hai avuto sete di sangue, e io ti riempio di sangue». |
| Mostrava come in rotta si fuggiro li Assiri, poi che fu morto Oloferne, e anche le reliquie del martiro. | Mostrava come fuggirono in rotta gli Assiri, dopo che fu ucciso Oloferne, e anche i resti del martirio. |
| Vedea Troia in cenere e in caverne; o Ilïón, come te basso e vile mostrava il segno che lì si discerne! | Vedevo Troia ridotta in cenere e in caverne; o Ilio, come bassa e umiliata ti mostrava l’immagine che lì si distingue! |
| Qual di pennel fu maestro o di stile che ritraesse l’ombre e ‘ tratti ch’ivi mirar farieno uno ingegno sottile? | Quale maestro di pennello o di stilo avrebbe potuto ritrarre le ombre e i contorni che lì farebbero ammirare persino un ingegno sottile? |
| Morti li morti e i vivi parean vivi: non vide mei di me chi vide il vero, quant’io calcai, fin che chinato givi. | I morti sembravano morti e i vivi sembravano vivi: non vide meglio di me chi vide la realtà, quanto io calpestai, finché camminai chinato. |
| Or superbite, e via col viso altero, figliuoli d’Eva, e non chinate il volto sì che veggiate il vostro mal sentero! | Ora siate pure superbi, e procedete con viso altero, figli di Eva, e non abbassate lo sguardo così da vedere il vostro cattivo cammino! |
| Più era già per noi del monte vòlto e del cammin del sole assai più speso che non stimava l’animo non sciolto, | Avevamo già percorso del monte e del cammino del sole molto più di quanto stimasse l’animo non libero, |
| quando colui che sempre innanzi atteso andava, cominciò: «Drizza la testa; non è più tempo di gir sì sospeso. | quando colui che sempre procedeva attento davanti, cominciò: «Alza la testa; non è più tempo di camminare così pensoso. |
| Vedi colà un angel che s’appresta per venir verso noi; vedi che torna dal servigio del dì l’ancella sesta. | Vedi là un angelo che si prepara a venire verso di noi; vedi che torna dal servizio del giorno la sesta ancella. |
| Di reverenza il viso e li atti addorna, sì che i diletti lo ‘nvïarci in suso; pensa che questo dì mai non raggiorna!». | Adorna il viso e gli atti di reverenza, così che gli piaccia inviarci verso l’alto; pensa che questo giorno non tornerà mai più!». |
| Io era ben del suo ammonir uso pur di non perder tempo, sì che ‘n quella materia non potea parlarmi chiuso. | Io ero ben abituato ai suoi ammonimenti proprio per non perdere tempo, così che in quella materia non poteva parlarmi in modo oscuro. |
| A noi venìa la creatura bella, biancovestito e ne la faccia quale par tremolando mattutina stella. | Veniva verso di noi la creatura bella, vestita di bianco e con un volto come appare tremolando la stella del mattino. |
| Le braccia aperse, e indi aperse l’ale; disse: «Venite: qui son presso i gradi, e agevolemente omai si sale. | Aprì le braccia, e poi aprì le ali; disse: «Venite: qui vicino sono i gradini, e ormai si sale facilmente. |
| A questo invito vegnon molto radi: o gente umana, per volar sù nata, perché a poco vento così cadi?». | A questo invito vengono molto di rado: o gente umana, nata per volare in alto, perché cadi così per un piccolo vento?». |
| Menocci ove la roccia era tagliata; quivi mi batté l’ali per la fronte; poi mi promise sicura l’andata. | Ci condusse dove la roccia era tagliata; lì mi batté le ali sulla fronte; poi mi promise sicuro il cammino. |
| Come a man destra, per salire al monte dove siede la chiesa che soggioga la ben guidata sopra Rubaconte, | Come a destra, per salire al monte dove si trova la chiesa che domina la ben governata Firenze sopra il ponte Rubaconte, |
| si rompe del montar l’ardita foga per le scalee che si fero ad etade ch’era sicuro il quaderno e la doga; | si attenua l’ardore della salita grazie alle scalinate che furono costruite in un’epoca in cui erano sicuri i registri pubblici e le misure; |
| così s’allenta la ripa che cade quivi ben ratta da l’altro girone; ma quinci e quindi l’alta pietra rade. | così si addolcisce la parete che scende qui molto ripida dall’altra cornice; ma da una parte e dall’altra la roccia alta rasenta. |
| Noi volgendo ivi le nostre persone, «Beati pauperes spiritu!» voci cantaron sì, che nol diria sermone. | Noi volgendo lì le nostre persone, «Beati i poveri di spirito!» voci cantarono in modo tale che non lo potrebbe dire un discorso. |
| Ahi quanto son diverse quelle foci da l’infernali! ché quivi per canti s’entra, e là giù per lamenti feroci. | Ah quanto sono diverse quelle entrate dalle infernali! poiché qui si entra attraverso canti, e laggiù attraverso lamenti feroci. |
| Già montavam su per li scaglion santi, ed esser mi parea troppo più lieve che per lo pian non mi parea davanti. | Già salivamo su per i gradini santi, e mi sembrava di essere molto più leggero di quanto mi sembrasse prima nella pianura. |
| Ond’io: «Maestro, dì, qual cosa greve levata s’è da me, che nulla quasi per me fatica, andando, si riceve?». | Perciò io: «Maestro, dimmi, quale cosa pesante è stata tolta da me, che quasi nessuna fatica ricevo, camminando?». |
| Rispuose: «Quando i P che son rimasi ancor nel volto tuo presso che stinti, saranno, com’è l’un, del tutto rasi, | Rispose: «Quando le P che sono rimaste ancora sulla tua fronte quasi cancellate, saranno, come una di esse, del tutto eliminate, |
| fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, che non pur non fatica sentiranno, ma fia diletto loro esser sù pinti». | i tuoi piedi saranno così vinti dal buon volere, che non solo non sentiranno fatica, ma sarà per loro un piacere essere spinti in alto». |
| Allor fec’io come color che vanno con cosa in capo non da lor saputa, se non che ‘ cenni altrui sospecciar fanno; | Allora io feci come coloro che vanno con qualcosa sulla testa da loro non conosciuta, se non che i cenni degli altri fanno sospettare; |
| per che la mano ad accertar s’aiuta, e cerca e truova e quello officio adempie che non si può fornir per la veduta; | per cui la mano aiuta a sincerarsi, e cerca e trova e compie quella funzione che non si può svolgere con la vista; |
| e con le dita de la destra scempie trovai pur sei le lettere che ‘ncise quel da le chiavi a me sovra le tempie: | e con le dita della destra distese trovai solo sei le lettere che incise l’angelo portiere a me sopra le tempie: |
| a che guardando, il mio duca sorrise. | guardando le quali, la mia guida sorrise. |
Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il dodicesimo canto del Purgatorio conclude il percorso di Dante attraverso la prima cornice, dove si purificano le anime dei superbi. Questo canto rappresenta un importante momento di transizione e di apprendimento morale per il poeta pellegrino, che completa la sua riflessione sulla superbia prima di procedere verso la seconda cornice.
Il canto si apre con Dante che cammina “a collo chino” accanto a Oderisi da Gubbio, in un’immagine di umiltà che il poeta paragona a “buoi che vanno a giogo”. Quando Virgilio lo esorta a proseguire più spedito, Dante inizia a osservare il pavimento della cornice, sul quale sono scolpiti esempi di superbia punita, contrapposti alle immagini di umiltà viste sulle pareti nel canto precedente.
Questa galleria di bassorilievi è organizzata in tre gruppi di quattro figure ciascuno:
- Figure bibliche: Lucifero precipitato dal cielo, Briareo colpito da Giove, i Giganti ribelli e Nembrot confuso alle pendici della torre di Babele.
- Figure mitologiche: Niobe pietrificata per aver sfidato Latona, Aracne trasformata in ragno, Roboamo in fuga e Erifile uccisa dal figlio per avidità.
- Figure storiche: Sennacherib assassinato dai figli, Ciro decapitato dalla regina Tamiri, Oloferne ucciso da Giuditta e Troia ridotta in cenere.
Ognuna di queste figure rappresenta la punizione della hybris, l’orgoglio smisurato che porta alla rovina. Il fatto che queste immagini siano scolpite sul pavimento ha un forte valore simbolico: i superbi, che in vita guardavano gli altri dall’alto in basso, ora devono camminare chini, contemplando esempi che mostrano le conseguenze dell’orgoglio.
La descrizione delle immagini è realizzata con straordinaria maestria poetica attraverso la tecnica dell’ekphrasis, la vivida rappresentazione verbale di opere d’arte visiva. Dante non si limita a elencare le figure, ma le rende vive e dinamiche, come se il lettore potesse vederle materializzarsi davanti ai suoi occhi.
Particolarmente raffinata è la costruzione di un acrostico: le prime lettere di tre terzine consecutive formano la parola “VOM” (uomo), sottolineando come la superbia sia radicata nella natura umana e rappresenti una tentazione universale.
Dopo aver contemplato questi esempi ammonitori, Dante e Virgilio incontrano l’Angelo dell’Umiltà, descritto come una figura luminosa che cancella dalla fronte di Dante la prima delle sette P (simbolo dei sette peccati capitali) che gli erano state incise all’ingresso del Purgatorio. Questo gesto simboleggia la purificazione dalla superbia che Dante ha raggiunto attraverso la contemplazione degli esempi di umiltà e superbia punita.
L’angelo intona la beatitudine evangelica “Beati pauperes spiritu” (Beati i poveri in spirito), che esalta l’umiltà come virtù contrapposta alla superbia. Poi indica ai poeti una scala che conduce alla seconda cornice, meno ripida della precedente. Virgilio spiega a Dante che man mano che verranno cancellate le P dalla sua fronte, la salita diventerà sempre più facile, fino a trasformarsi in un piacere.
Il canto si chiude con i due poeti che iniziano a salire la scala, mentre Dante avverte una misteriosa sensazione di leggerezza. Virgilio gli spiega che questo sollievo deriva dalla cancellazione della prima P e che la sua salita diventerà progressivamente più agevole con la purificazione dagli altri peccati.
Questo canto rappresenta perfettamente la natura del Purgatorio come luogo di purificazione attraverso la sofferenza, ma anche di progressiva liberazione e speranza. A differenza dell’Inferno, dove le pene sono eterne e senza scopo redentivo, qui ogni sofferenza ha un valore pedagogico e conduce alla purificazione. La superbia, considerata nella teologia medievale come il primo e più grave dei peccati capitali (radice di tutti gli altri), è anche il primo vizio da cui Dante deve liberarsi nel suo cammino di redenzione.
Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XII del Purgatorio, Dante Alighieri introduce un numero relativamente limitato di personaggi viventi, ma arricchisce il canto con numerose figure storiche, bibliche e mitologiche rappresentate nei bassorilievi, ciascuna delle quali incarna esempi memorabili di superbia punita.
I protagonisti reali del canto sono essenzialmente due: Dante pellegrino e Virgilio. Dante si presenta all’inizio del canto in un atteggiamento significativo, camminando “a collo chino”, simbolicamente curvo come i superbi puniti nella prima cornice. Questo posizionamento fisico riflette l’interiorizzazione della lezione morale che sta apprendendo: l’umiltà come antidoto alla superbia. Il personaggio-Dante mostra qui una trasformazione interiore, assumendo fisicamente la postura che rappresenta la virtù opposta al peccato che sta osservando.
Virgilio mantiene il suo ruolo di guida saggia e paziente, “dolce pedagogo” come lo definisce Dante stesso. In questo canto, la sua funzione didattico-morale emerge chiaramente quando invita il poeta a raddrizzarsi e procedere, ricordandogli che nel Purgatorio ciascuno deve sforzarsi di “pinger sua barca” (spingere la propria barca) con ali e remi, metafora dell’impegno personale necessario per la purificazione.
Un personaggio fondamentale che appare nella parte finale del canto è l’Angelo dell’Umiltà. Questa figura celeste, descritta con straordinaria luminosità, accoglie i pellegrini al termine della cornice cancellando dalla fronte di Dante la prima P (simbolo della superbia). L’angelo rappresenta la grazia divina che interviene dopo lo sforzo umano, intonando la beatitudine “Beati pauperes spiritu” che riassume l’insegnamento morale dell’intero percorso.
Particolarmente significativi sono i personaggi raffigurati nei bassorilievi, organizzati in tre gruppi di quattro figure ciascuno:
- Figure bibliche e angeliche:
- Lucifero, descritto come “colui che fu nobil creato”, precipitato dal cielo per la sua ribellione
- Briareo, uno dei Giganti che sfidarono gli dei dell’Olimpo
- I Giganti della Bibbia, sconfitti da Dio
- Nembrot, costruttore della torre di Babele
- Figure mitologiche e bibliche:
- Niobe, regina di Tebe che si vantò della propria fertilità sfidando Latona
- Aracne, sfidante di Minerva nell’arte della tessitura
- Roboamo, figlio di Salomone che fuggì dal popolo ribelle
- Erifile, che tradì il marito Anfiarao per un gioiello
- Figure storiche:
- Sennacherib, re assiro ucciso dai figli nel tempio
- Ciro, re persiano sconfitto da Tamiri
- Oloferne, decapitato da Giuditta
- Troia, distrutta per l’orgoglio dei suoi abitanti
Queste figure non sono semplici ornamenti letterari ma costituiscono un catalogo didattico di superbia punita, essenziale alla funzione pedagogica del canto. Ogni personaggio rappresenta una specifica manifestazione dell’orgoglio e la sua inevitabile punizione, creando una galleria di exempla che Dante calpesta fisicamente, simboleggiando così il necessario superamento del peccato della superbia nel percorso di purificazione.
Analisi del Canto 12 Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il Canto XII del Purgatorio rappresenta un momento fondamentale nel percorso di purificazione di Dante, in quanto conclude la prima tappa della salita verso la montagna della redenzione. L’intreccio di elementi tematici e narrativi costruisce un potente messaggio morale incentrato sulla contrapposizione tra superbia e umiltà.
La struttura narrativa del canto si sviluppa attraverso tre momenti chiave: l’osservazione dei bassorilievi sul pavimento, l’incontro con l’angelo dell’umiltà e la riflessione sul processo di purificazione. Questa progressione non è casuale, ma rispecchia il percorso interiore che Dante stesso compie, passando dall’osservazione esterna del peccato alla sua interiorizzazione, fino al superamento attraverso la grazia divina.
Il contrappasso, elemento narrativo fondamentale nella logica punitiva dantesca, assume qui una dimensione particolarmente raffinata: i superbi, che in vita hanno tenuto “li occhi […] al cielo levati”, sono ora costretti a guardare in basso, contemplando esempi di orgoglio punito. C’è quindi una doppia punizione: fisica, con il peso che piega i loro corpi, e morale, con l’obbligo di riflettere sulle conseguenze della superbia. Questa logica speculare è potenziata dalla disposizione stessa delle immagini: gli esempi di umiltà sono scolpiti sulle pareti verticali (canto precedente), mentre quelli di superbia punita giacciono sul pavimento, calpestati dai penitenti.
Particolarmente significativa è l’organizzazione tripartita degli esempi di superbia punita, che richiama la struttura trinitaria cara al poeta. I tredici esempi sono divisi in tre categorie (biblici, mitologici e storici) e riflettono diversi ambiti dell’esperienza umana. Questa organizzazione non è solo estetica, ma anche concettuale: suggerisce come la superbia contamini universalmente l’esperienza umana, in ogni tempo e contesto.
La svolta narrativa avviene con l’apparizione dell’angelo dell’umiltà, figura luminosa che simboleggia la grazia divina necessaria per completare il processo di purificazione. L’angelo cancella la prima P dalla fronte di Dante, gesto che rappresenta visivamente la liberazione dal primo dei sette vizi capitali. È importante notare come questa liberazione non avvenga automaticamente: è il risultato del cammino compiuto, della comprensione acquisita e della volontà di cambiamento. Il percorso di purificazione è quindi presentato come un processo attivo che richiede partecipazione e consapevolezza.
La beatitudine pronunciata dall’angelo, “Beati pauperes spiritu”, sottolinea la virtù contraria alla superbia. Questa contrapposizione dialettica tra vizio e virtù è uno degli elementi tematici portanti non solo di questo canto, ma dell’intera cantica del Purgatorio, dove ogni cornice propone un simile schema oppositivo.
Il dialogo finale tra Virgilio e Dante introduce un altro elemento tematico cruciale: la progressiva leggerezza che accompagna la purificazione. Quando Dante nota che la salita diventa meno faticosa, Virgilio spiega che questo alleggerimento fisico corrisponde all’alleggerimento spirituale dell’anima che si libera dal peso del peccato. Questo passaggio suggerisce una concezione della virtù non come rinuncia dolorosa, ma come liberazione che rende più agevole il cammino verso la beatitudine.
La cancellazione della P dalla fronte di Dante ha un profondo significato teologico. Nella tradizione cristiana, la superbia è considerata la radice di tutti i peccati, l’origine stessa della caduta dell’uomo. Non è quindi casuale che sia il primo vizio a essere purificato: rappresenta il primo passo indispensabile per ogni ulteriore progresso spirituale. La rimozione di questo peccato fondamentale prepara Dante ad affrontare le successive cornici con un’anima più leggera e un’accresciuta consapevolezza morale.
La dimensione didattica del canto emerge anche nell’atteggiamento di Dante personaggio, che cammina inizialmente “a collo chino” insieme ai penitenti, assumendo fisicamente la postura dell’umiltà. Questo elemento narrativo traduce visivamente l’idea che la comprensione del peccato passa anche attraverso l’immedesimazione con la condizione del penitente, in un processo empatico di apprendimento morale.
Figure retoriche nel Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto XII del Purgatorio è caratterizzato da un uso magistrale delle figure retoriche, che Dante impiega per enfatizzare i temi dell’umiltà e della superbia punita, creando un tessuto poetico di straordinaria efficacia espressiva.
Similitudini
La similitudine più celebre del canto appare già nei versi iniziali, dove Dante paragona il suo procedere accanto all’anima di Oderisi da Gubbio a una coppia di buoi aggiogati:
“Di pari, come buoi che vanno a giogo,
m’andava io con quell’anima carca,
fin che ‘l sofferse il dolce pedagogo.”
Questa potente immagine rappresenta visivamente l’atteggiamento di umiltà che il poeta sta apprendendo, contrapponendolo alla superbia punita in questa cornice. I buoi aggiogati simboleggiano la sottomissione e il chinarsi, attitudine opposta all’innalzarsi tipico del superbo.
Un’altra similitudine significativa compare quando Dante descrive l’apparizione dell’angelo dell’umiltà, paragonandolo al pianeta Marte che rosseggia all’alba:
“Ed ecco qual, sul presso del mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra ‘l suol marino.”
Metafore
Nel canto abbondano le metafore che traducono concetti astratti in immagini concrete. Il peso fisico dei massi che opprime i superbi diventa metafora del peso spirituale dell’orgoglio. Particolarmente efficace è la metafora nautica quando Virgilio esorta Dante:
“Lascia lui e varca;
ché qui è buono con l’ali e coi remi,
quantunque può, ciascun pinger sua barca.”
Qui il viaggio spirituale viene rappresentato come una navigazione in cui ciascuno deve spingere la propria imbarcazione con ogni mezzo disponibile, combinando lo sforzo umano (“remi”) e la grazia divina (“ali”).
Ekphrasis
L’ekphrasis, ovvero la descrizione poetica di opere d’arte visive, è la figura retorica dominante nel canto. Dante descrive con straordinaria vividezza i bassorilievi sul pavimento che raffigurano esempi di superbia punita:
“Vedea colui che fu nobil creato
più ch’altra creatura, giù dal cielo
folgoreggiando scender, da l’un lato.”
Attraverso queste descrizioni, il poeta trasforma immagini statiche in narrazioni dinamiche, creando un effetto di immediata visualizzazione che coinvolge il lettore, rendendo presente ciò che è assente.
Anafora e strutture parallele
Nella descrizione degli esempi di superbia, Dante utilizza ripetutamente strutture sintattiche parallele, creando un effetto ritmico che sottolinea la sequenzialità delle immagini. La ripetizione di “Mostrava” e “Vedea” all’inizio di diverse terzine costituisce un’anafora che scandisce la progressione degli esempi:
“Mostrava ancor lo duro pavimento
come Almeon a sua madre fe’ caro
parer lo sventurato adornamento.”
“Mostrava come i figli si gittaro
sovra Sennacherib dentro dal tempio…”
Acrostico
Una delle figure retoriche più sofisticate del canto è l’acrostico formato dalle prime lettere di tre terzine consecutive nella descrizione delle sculture, che compongono la parola “VOM” (uomo). Questo artificio sottolinea come la superbia sia intrinsecamente legata alla natura umana, evidenziando che è un peccato contro cui tutti devono vigilare.
Antitesi
L’intero canto è strutturato sull’antitesi fondamentale tra superbia e umiltà. Questa contrapposizione viene espressa anche nel contrasto tra i “canti” purificatori del Purgatorio e i “lamenti feroci” dell’Inferno:
“Ahi quanto son diverse quelle foci
da l’infernali! ché quivi per canti
s’entra, e là giù per lamenti feroci”.
Perifrasi
Dante utilizza spesso la perifrasi per riferirsi ai personaggi, evitando di nominarli direttamente ma descrivendoli attraverso le loro caratteristiche o azioni. Lucifero viene descritto come “colui che fu nobil creato più ch’altra creatura”, evidenziando il contrasto tra la sua originaria grandezza e la caduta dovuta alla superbia.
Allitterazioni
Le allitterazioni arricchiscono il tessuto sonoro del canto, come nell’espressione “pauperes spiritu”, dove la ripetizione del suono “p” evoca il battito d’ali dell’angelo e rimanda fonicamente alle “P” incise sulla fronte di Dante, simbolo dei peccati capitali.
L’uso sapiente di queste figure retoriche non è mero ornamento stilistico, ma strumento essenziale attraverso cui Dante comunica la complessità del suo messaggio teologico e morale, rendendo accessibili concetti astratti attraverso immagini concrete e memorabili che si imprimono nella mente del lettore, trasformando la lettura in un’esperienza di apprendimento spirituale.
Temi principali del Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia
Nel Canto XII del Purgatorio, Dante Alighieri intesse una fitta rete di temi morali e teologici attorno al percorso di purificazione dalla superbia. L’elemento tematico dominante è indubbiamente il contrasto tra superbia e umiltà, rappresentato attraverso un raffinato sistema di immagini che invitano alla riflessione morale.
La superbia, considerata nella tradizione cristiana medievale il più grave dei peccati capitali, viene presentata come radice di tutti gli altri vizi. Dante, seguendo l’insegnamento teologico di Sant’Agostino e San Tommaso d’Aquino, la identifica come il peccato originario che causò la caduta degli angeli ribelli e il peccato primordiale dell’uomo. La superbia si manifesta come un desiderio eccessivo di eccellenza, che porta l’individuo a considerarsi superiore agli altri e a rifiutare la propria condizione di dipendenza da Dio.
I bassorilievi scolpiti sul pavimento della cornice costituiscono un elemento centrale per la comprensione tematica del canto. Queste raffigurazioni di superbi puniti non sono semplici decorazioni, ma formano un vero e proprio “exemplum visivo” con funzione didascalica. Organizzati in tre gruppi di quattro figure ciascuno, questi esempi abbracciano storie bibliche, mitologiche e storiche, dimostrando l’universalità del peccato e i suoi effetti devastanti in ogni ambito dell’esperienza umana.
Particolarmente significativa è la disposizione spaziale di questi esempi: mentre nei canti precedenti Dante osservava esempi di umiltà scolpiti sulle pareti e rivolti verso l’alto, qui le immagini di superbia punita sono poste sul pavimento, richiedendo ai penitenti di abbassare lo sguardo. Questo dettaglio spaziale racchiude una profonda simbologia: chi ha peccato di superbia, elevandosi indebitamente, deve ora abbassare gli occhi per contemplare le conseguenze della propria colpa. Il gesto fisico si fa emblema di un atteggiamento morale.
Il tema del contrappasso, già fondamentale nell’Inferno, assume qui una nuova dimensione: non è più solo punitivo, ma essenzialmente pedagogico. I superbi sono gravati da pesi che li costringono a piegarsi, ma questa posizione dolorosa diventa occasione di redenzione, inducendoli all’umiltà attraverso la sofferenza purificatrice. La punizione non è quindi fine a se stessa, ma strumento di correzione e miglioramento spirituale.
L’angelo dell’umiltà, figura luminosa che appare nella parte finale del canto, incarna la grazia divina che interviene nel processo di purificazione. Cancellando la prima P dalla fronte di Dante, l’angelo simboleggia la liberazione dal peccato, ma solo dopo che il poeta ha compiuto lo sforzo di attraversare la cornice e apprenderne la lezione morale. Questo equilibrio tra sforzo personale e grazia divina riflette la concezione teologica dantesca, in cui la salvezza richiede sia l’impegno umano sia l’intervento divino.
La beatitudine pronunciata dall’angelo – “Beati pauperes spiritu” (Beati i poveri in spirito) – richiama direttamente il Discorso della Montagna evangelico e pone l’umiltà come condizione necessaria per accedere al regno dei cieli. La povertà di spirito non indica ignoranza, ma piuttosto consapevolezza dei propri limiti e dipendenza da Dio, atteggiamento diametralmente opposto alla presunzione tipica del superbo.
Altra tematica rilevante è quella della trasformazione interiore di Dante personaggio. Il poeta non è solo osservatore esterno, ma partecipante attivo nel processo di purificazione. La leggerezza che avverte dopo la rimozione della P rappresenta l’alleggerimento spirituale che segue alla liberazione dal peccato. La scala che appare più agevole simboleggia come il cammino virtuoso, inizialmente arduo, diventi progressivamente più facile man mano che l’anima si purifica.
Per i lettori medievali, ma anche per quelli contemporanei, il messaggio morale del canto trascende la dimensione religiosa e tocca una verità universale: ogni costruzione umana fondata sull’orgoglio e sulla presunzione è destinata al fallimento. Le storie di Lucifero, Briareo, Niobe e degli altri superbi rappresentano un monito contro l’hybris, l’orgoglio smisurato che conduce alla rovina.
In ultima analisi, il Canto XII del Purgatorio non è solo un trattato morale sulla superbia, ma un’esplorazione artistica e teologica del processo di trasformazione interiore, in cui il riconoscimento dei propri limiti diventa il primo passo verso la vera dignità umana.
Il Canto 12 Purgatorio della Divina Commedia in pillole
| Aspetto | Descrizione |
|---|---|
| Ambientazione | Prima cornice del Purgatorio, dove vengono puniti i superbi |
| Struttura narrativa | Il canto si apre con Dante e Virgilio che osservano bassorilievi di superbia punita sul pavimento; prosegue con l’incontro con l’Angelo dell’Umiltà che cancella la prima P dalla fronte di Dante; si conclude con la salita verso la seconda cornice |
| Esempi di superbia punita | Tre gruppi di quattro figure ciascuno: bibliche (Lucifero, Briareo, Giganti, Nembrot), mitologiche (Niobe, Aracne, Roboamo, Erifile), storiche (Sennacherib, Ciro, Oloferne, Troia) |
| Personaggi principali | Dante, Virgilio, Angelo dell’Umiltà |
| Contrappasso | I superbi, che in vita guardavano gli altri dall’alto in basso, ora devono camminare guardando in basso e osservando esempi di orgoglio punito |
| Figure retoriche | Similitudine (“come buoi che vanno a giogo”), metafora (“pinger sua barca”), ekphrasis (descrizione dei bassorilievi), acrostico (le prime lettere di tre terzine formano “VOM”) |
| Simbolismo | Bassorilievi sul pavimento (umiltà nel guardare in basso), cancellazione della P (purificazione dal peccato), angelo luminoso (grazia divina) |
| Messaggio morale | La superbia è causa di rovina; l’umiltà è necessaria per la purificazione spirituale |
| Momento chiave | La cancellazione della prima P dalla fronte di Dante, simbolo del primo passo verso la purificazione completa |
| Beatitudine cantata | “Beati pauperes spiritu” (Beati i poveri in spirito) |
| Funzione nel percorso | Completa il ciclo didattico sulla superbia e prepara Dante ad affrontare il peccato dell’invidia nella seconda cornice |