Divina Commedia, Canto 14 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 14 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XIV del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel viaggio spirituale di Dante, affrontando la resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale.

Il Canto XIV del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel viaggio spirituale di Dante, collocandosi a cavallo tra il cielo del Sole, dimora degli spiriti sapienti, e il cielo di Marte, dove risiedono le anime di coloro che hanno combattuto per la fede. Questo canto affronta una delle questioni teologiche più profonde della Divina Commedia: la resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale e la conseguente glorificazione dei beati.

Attraverso le spiegazioni di Beatrice e la visione della croce luminosa nel cielo di Marte, Dante intesse una straordinaria trama poetica in cui la complessità dottrinale si fonde con immagini di incomparabile bellezza, conducendo il lettore verso una progressiva elevazione spirituale.

Indice:

Canto 14 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi l’acqua in un ritondo vaso,
secondo ch’è percosso fuori o dentro:
Come l’acqua in un vaso rotondo si muove dal centro verso i bordi e dai bordi verso il centro, a seconda che venga colpita dall’esterno o dall’interno:
ne la mia mente fé súbito caso
questo ch’io dico, sì come si tacque
la gloriosa vita di Tommaso,
così subitamente avvenne nella mia mente questo che sto per dire, non appena tacque la gloriosa anima di San Tommaso,
per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:
a causa della somiglianza che vi fu tra il suo discorso e quello di Beatrice, alla quale dopo di lui piacque iniziare a parlare così:
«A costui fa mestieri, e nol vi dice
né con la voce né pensando ancora,
d’un altro vero andare a la radice.
«Costui (Dante) ha bisogno, e non ve lo dice né a parole né col pensiero, di andare alla radice di un’altra verità.
Diteli se la luce onde s’infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
etternalmente sì com’ell’è ora;
Ditegli se la luce con cui si adorna la vostra sostanza spirituale rimarrà con voi eternamente così com’è ora;
e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser porà ch’al veder non vi nòi».
e se rimane, ditegli come, dopo che sarete rivestiti dei vostri corpi, potrà accadere che non vi dia fastidio alla vista».
Come, da più letizia pinti e tratti,
a la fiata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,
Come talvolta coloro che danzano in cerchio, spinti e trascinati da maggiore allegria, alzano la voce e rendono più festosi i movimenti,
così, a l’orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.
così, a quella pronta e devota preghiera, i santi cerchi mostrarono nuova gioia nel girare e nel canto meraviglioso.
Qual si lamenta perché qui si moia
per viver colà sù, non vide quive
lo refrigerio de l’etterna ploia.
Chi si lamenta perché si muore sulla terra per vivere lassù in cielo, non ha visto qui il refrigerio della pioggia eterna (la grazia divina).
Quell’uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e ‘n due e ‘n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,
Quel Dio uno e trino che vive eternamente e regna sempre in tre, in due e in uno, non limitato ma che tutto limita,
tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch’ad ogne merto saria giusto muno.
era cantato tre volte da ciascuno di quegli spiriti con una melodia tale che sarebbe giusta ricompensa per ogni merito.
E io udi’ ne la luce più dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da l’angelo a Maria,
E io udii nella luce più divina del cerchio minore una voce modesta, simile forse a quella che l’angelo rivolse a Maria,
risponder: «Quanto fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà dintorno cotal vesta.
rispondere: «Per quanto durerà la festa del paradiso, tanto il nostro amore irradierà intorno tale veste luminosa.
La sua chiarezza séguita l’ardore;
l’ardor la visione, e quella è tanta,
quant’ha di grazia sovra suo valore.
La sua luminosità dipende dall’ardore; l’ardore dipende dalla visione di Dio, e questa è tanto maggiore quanto più grazia si ha oltre i propri meriti.
Come la carne gloriosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta;
Quando saremo rivestiti della carne gloriosa e santa (dopo la resurrezione), la nostra persona sarà più gradita per essere completa;
per che s’accrescerà ciò che ne dona
di gratuito lume il sommo bene,
lume ch’a lui veder ne condiziona;
perciò aumenterà la luce gratuita che ci dona il sommo bene (Dio), luce che ci mette in condizione di vederlo;
onde la vision crescer convene,
crescer l’ardor che di quella s’accende,
crescer lo raggio che da esso vene.
quindi è necessario che cresca la visione, che cresca l’ardore che da essa si accende, che cresca il raggio di luce che ne deriva.
Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;
Ma come un carbone ardente che emana fiamma, e con il suo vivo candore la supera in visibilità, così che la sua apparenza resta ben distinguibile;
così questo fulgor che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia;
così questo fulgore che già ci circonda sarà superato in apparenza dalla carne che ora ricopre la terra (i corpi sepolti);
né potrà tanta luce affaticarne:
ché li organi del corpo saran forti
a tutto ciò che potrà dilettarne».
né tanta luce potrà affaticarci, perché gli organi del corpo saranno rafforzati per tutto ciò che potrà procurarci diletto».
Tanto mi parver sùbiti e accorti
e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!»,
che ben mostrar disio d’i corpi morti:
Tanto mi parvero pronti e solleciti entrambi i cori a dire «Amen!», che ben mostrarono desiderio dei loro corpi morti:
forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.
forse non solo per se stessi, ma per le madri, i padri e gli altri che furono loro cari prima che diventassero fiamme eterne (anime beate).
Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v’era,
per guisa d’orizzonte che rischiari.
Ed ecco tutt’intorno, di uguale chiarezza, nascere un nuovo splendore sopra quello che già c’era, come l’orizzonte che si rischiara all’alba.
E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,
E come al calare della prima sera cominciano ad apparire in cielo nuove stelle, così che la vista sembra vera e non vera,
parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l’altre due circunferenze.
mi parve di cominciare a vedere lì nuove sostanze (anime), e formare un cerchio al di fuori delle altre due circonferenze.
Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece súbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!
Oh vero splendore dello Spirito Santo! Come divenne improvvisamente così luminoso ai miei occhi che, vinti, non poterono sostenerlo!
Ma Beatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.
Ma Beatrice si mostrò così bella e sorridente a me, che tra queste visioni si deve lasciare quella che la memoria non riesce a seguire.
Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.
Quindi i miei occhi ripresero forza per riaprirsi; e mi vidi trasportato solo con la mia donna (Beatrice) in un luogo di maggiore beatitudine.
Ben m’accors’io ch’io era più levato,
per l’affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l’usato.
Mi accorsi bene che ero salito più in alto, per l’infuocato splendere della stella (Marte), che mi sembrava più rosso del solito.
Con tutto ‘l core e con quella favella
ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.
Con tutto il cuore e con quel linguaggio che è uguale in tutti, feci sacrificio a Dio, come si conveniva alla nuova grazia ricevuta.
E non er’anco del mio petto essausto
l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;
E non si era ancora esaurito nel mio petto l’ardore del sacrificio, quando compresi che esso era stato accettato e gradito;
ché con tanto lucore e tanto robbi
m’apparvero splendor dentro a due raggi,
ch’io dissi: «O Eliòs che sì li addobbi!».
perché con tanto splendore e tanto rossi mi apparvero fulgori dentro due raggi, che io dissi: «O Sole (Dio) che così li abbellisci!».
Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;
Come la Via Lattea biancheggia tra i poli del mondo, distinta di luci minori e maggiori, tanto da far dubitare anche i sapienti sulla sua natura;
sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.
così costellati quei raggi formavano nel profondo di Marte il venerabile segno che le giunture dei quadranti fanno in cerchio (la croce).
Qui vince la memoria mia lo ‘ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch’io non so trovare essempro degno;
Qui la mia memoria supera la mia capacità espressiva; perché quella croce faceva lampeggiare Cristo, così che io non so trovare un paragone adeguato;
ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch’io lasso,
vedendo in quell’albor balenar Cristo.
ma chi prende la sua croce e segue Cristo, ancora mi scuserà di ciò che tralascio, vedendo in quel candore lampeggiare Cristo.
Di corno in corno e tra la cima e ‘l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:
Da un braccio all’altro della croce e tra la cima e il basso si muovevano luci, scintillando intensamente nell’incontrarsi e nel passare oltre:
così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d’i corpi, lunghe e corte,
così si vedono qui sulla terra, diritte e torte, veloci e lente, cambiando continuamente aspetto, le particelle dei corpi, lunghe e corte,
moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l’ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.
muoversi attraverso il raggio di sole con cui è attraversata talvolta l’ombra che la gente procura con ingegno e arte per sua difesa (dal caldo).
E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,
E come viola e arpa, con l’accordatura tesa di molte corde, producono un dolce suono per chi non distingue la melodia,
così da’ lumi che lì m’apparinno
s’accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l’inno.
così dalle luci che mi apparivano lì si raccoglieva attraverso la croce una melodia che mi rapiva, senza che io comprendessi l’inno.
Ben m’accors’io ch’elli era d’alte lode,
però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.
Ben mi accorsi che era un canto di alte lodi, poiché mi giungevano le parole «Risorgi» e «Vinci» come a colui che ode ma non intende.
Io m’innamorava tanto quinci,
che ‘nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci.
Io mi innamoravo tanto di questo, che fino ad allora non ci fu alcuna cosa che mi legasse con vincoli così dolci.
Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne’ quai mirando mio disio ha posa;
Forse il mio parlare sembra troppo audace, mettendo in secondo piano il piacere degli occhi belli (di Beatrice), nei quali guardando il mio desiderio trova pace;
ma chi s’avvede che i vivi suggelli
d’ogne bellezza più fanno più suso,
e ch’io non m’era lì rivolto a quelli,
ma chi si rende conto che i vivi modelli (le anime beate) di ogni bellezza diventano più potenti salendo verso l’alto, e che io non mi ero rivolto lassù a guardare gli occhi di Beatrice,
escusar puommi di quel ch’io m’accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché ‘l piacer santo non è qui dischiuso,
può scusarmi di ciò di cui mi accuso per scusarmi, e capire che dico il vero: che il piacere santo non è qui separato,
perché si fa, montando, più sincero.perché salendo diventa più puro e autentico.

Canto 14 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 14 del Paradiso si sviluppa attraverso due momenti fondamentali: la discussione teologica sulla resurrezione dei corpi nel cielo del Sole e l’ascesa di Dante al cielo di Marte con la visione della croce luminosa.

La prima parte del canto si apre con una voce proveniente dal centro della corona di spiriti sapienti che pone un quesito teologico profondo. Attraverso una suggestiva similitudine acquatica, Dante descrive come questa voce si propaghi tra gli spiriti beati: così come l’acqua in un vaso circolare si muove concentricamente quando viene percossa al centro, in modo analogo le parole si diffondono tra le due corone di anime sapienti.

La domanda riguarda la condizione dei beati dopo la resurrezione dei corpi: lo splendore che ora li circonda rimarrà anche quando riavranno i loro corpi fisici? E come potranno questi corpi sostenere l’intensità di tale luminosità senza esserne sopraffatti?

È Beatrice a rispondere a questa complessa questione teologica. La sua spiegazione rappresenta uno dei momenti più alti della teologia dantesca nel poema. Ella chiarisce che dopo il Giudizio Universale, quando le anime si ricongiungeranno ai loro corpi, la perfezione dell’essere umano sarà completa. In questa nuova condizione, aumenterà anche la capacità di percepire e riflettere la luce divina.

I corpi risorti, glorificati e potenziati, saranno pienamente in grado di sostenere questa visione beatifica senza alcun disagio, anzi, con accresciuto diletto. La glorificazione dei corpi non sarà quindi soltanto esteriore, ma si manifesterà in una potenziata capacità percettiva.

Alle parole di Beatrice segue un momento di intensa emozione: le anime rispondono con un “Amen” corale, che esprime il loro ardente desiderio di ricongiungersi ai corpi terreni. Questo rappresenta uno dei rari casi nel Paradiso in cui le anime manifestano un desiderio non ancora appagato, sottolineando l’importanza della dottrina della resurrezione corporea nella visione cristiana medievale.

La seconda parte del canto segna un passaggio decisivo nel viaggio ascensionale di Dante: il poeta e Beatrice si trasferiscono dal cielo del Sole al cielo di Marte. Questo spostamento avviene in modo istantaneo, tanto che Dante non si accorge del movimento, ma solo del cambio di atmosfera. Il poeta percepisce infatti un mutamento nella qualità della luce, che passa dal bianco-dorato del Sole al rosso intenso di Marte:

“Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra i poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi”

In questo nuovo cielo, Dante contempla una straordinaria visione: una croce luminosa che si estende attraverso il pianeta. All’interno di questa croce risplendono le anime dei combattenti per la fede, che si muovono come scintille. Il poeta tenta di descrivere questa visione, ma confessa l’inadeguatezza del linguaggio umano di fronte a tale spettacolo. La croce emana anche una melodia ineffabile che rapisce completamente Dante, superando persino il piacere visivo della contemplazione.

La descrizione della croce di Marte rappresenta uno dei momenti visivamente e simbolicamente più potenti dell’intero Paradiso. In essa si fondono molteplici significati: quello cristologico, legato al sacrificio di Cristo; quello militante, connesso alla lotta per la fede che caratterizza gli spiriti di questo cielo; e quello cosmico, che vede nella croce un simbolo dell’ordine divino imposto all’universo.

Dante, consapevole dell’impossibilità di rendere adeguatamente la bellezza di questa visione, si serve di elaborate similitudini: paragona la disposizione degli spiriti luminosi alla Via Lattea e il loro movimento alle scintille che si vedono in un raggio di luce che penetra in una stanza buia. La musica che accompagna l’apparizione della croce viene paragonata al suono di un’arpa, ma anche in questo caso il poeta ammette che nessuna comparazione terrena può rendere giustizia a ciò che percepisce.

Il canto si conclude con Dante rapito dalla contemplazione di questa visione celeste, preparando il lettore agli incontri che seguiranno nei canti successivi, in particolare quello con Cacciaguida, antenato del poeta, che apparirà proprio in questo cielo come spirito combattente per la fede.

Il passaggio dal cielo del Sole a quello di Marte segna anche un’evoluzione significativa nella rappresentazione della luce paradisiaca, che diventa sempre più intensa e significativa, riflettendo la progressiva ascesa spirituale di Dante verso la visione finale di Dio.

Canto 14 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi

Il viaggio di Dante nel Canto XIV del Paradiso è caratterizzato dall’interazione con figure di straordinaria importanza teologica e simbolica, che guidano l’autore nella comprensione di profondi misteri della fede cristiana.

Beatrice emerge come personaggio centrale, confermando il suo ruolo di guida spirituale e intellettuale per il pellegrino. In questo canto, la sua funzione si arricchisce di una dimensione teologica fondamentale, poiché è proprio lei a rispondere al quesito sulla resurrezione dei corpi. Con autorevolezza dottrinale e chiarezza espositiva, Beatrice spiega come, dopo il Giudizio Universale, i beati riacquisteranno i propri corpi glorificati, aumentando così la loro perfezione e capacità di accogliere la luce divina.

La sua spiegazione rivela una profonda conoscenza della teologia tomistica, dimostrando come questo personaggio sia ormai completamente trasfigurato rispetto alla donna amata della giovinezza: Beatrice è diventata simbolo della Rivelazione e della Sapienza divina, capace di illuminare l’intelletto di Dante sui misteri più elevati della fede.

Particolarmente significativa è la presenza di San Tommaso d’Aquino, identificabile come la voce che pone il quesito teologico all’inizio del canto. Sebbene non venga esplicitamente nominato, gli studiosi riconoscono in lui l’autore della domanda che apre la discussione sulla resurrezione dei corpi. Tommaso, già protagonista dei canti precedenti nel cielo del Sole, rappresenta l’autorità teologica per eccellenza, la cui dottrina costituisce il fondamento del pensiero dantesco su questioni metafisiche.

La sua presenza sottolinea l’importanza del tema trattato, centrale nella riflessione scolastica medievale.

Le anime beate che formano le due corone concentriche nel cielo del Sole rappresentano collettivamente un personaggio corale di grande importanza. La loro risposta unanime («Amen») alla spiegazione di Beatrice esprime il desiderio ardente di ricongiungersi ai propri corpi, sottolineando la centralità di questa dottrina nella concezione cristiana della salvezza. Queste anime, che includono i grandi sapienti della storia cristiana, fungono da conferma autorevole alle verità esposte, creando un consenso teologico che rafforza la validità dell’insegnamento.

Nel passaggio al cielo di Marte, emergono nuovi personaggi: gli spiriti combattenti per la fede che formano la croce luminosa. Questi beati, pur non ancora individualizzati (Dante li incontrerà singolarmente nei canti successivi), costituiscono una presenza collettiva di grande impatto visivo e simbolico. Rappresentano l’ideale del miles Christi, il soldato di Cristo che ha lottato per difendere e diffondere la fede, fino al martirio in alcuni casi.

La loro disposizione a formare una croce luminosa nel cielo rosso di Marte sintetizza visivamente il legame tra sacrificio di Cristo e sacrificio del credente che «prende la sua croce» per seguirlo.

Nello sfondo del canto agisce, infine, una presenza invisibile ma costantemente percepibile: Cristo stesso, evocato attraverso il simbolo della croce luminosa che balena nel cielo di Marte. Sebbene non appaia direttamente, il Redentore rappresenta il riferimento ultimo di ogni discorso teologico e di ogni visione simbolica del canto, confermando la cristocentricità dell’intero universo dantesco.

Analisi del Canto 14 del Paradiso: elementi tematici e narrativi

Il Canto 14 del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel percorso ascensionale di Dante, articolandosi attorno a due nuclei narrativi fondamentali: la discussione teologica sulla resurrezione dei corpi e il passaggio dal cielo del Sole a quello di Marte. Questi due momenti, apparentemente distinti, sono in realtà profondamente interconnessi nella struttura concettuale del canto e nell’economia generale della cantica.

La questione della resurrezione dei corpi, posta all’inizio del canto, costituisce uno dei punti più alti della riflessione teologica dantesca. Il poeta affronta, attraverso la voce di Beatrice, il mistero dell’unione tra anima e corpo dopo il Giudizio Universale, elaborando una visione che rispecchia fedelmente la dottrina tomistica ma che viene trasfigurata poeticamente.

La concezione dell’unità psicofisica dell’essere umano rappresenta un superamento della visione dualistica di matrice platonica: per Dante, l’uomo è inscindibilmente anima e corpo, e la perfezione dell’essere si realizzerà pienamente solo quando, alla fine dei tempi, queste due dimensioni si ricongiungeranno.

La spiegazione di Beatrice si sviluppa secondo una logica rigorosa ma accessibile. Dopo la resurrezione, le anime riacquisteranno i loro corpi glorificati, dotati di capacità superiori a quelle terrene. L’intensificarsi della perfezione dell’essere porterà a un’accresciuta capacità di percepire e riflettere la luce divina. Questo aumento di luminosità, lungi dall’essere doloroso per i sensi corporei, sarà fonte di diletto, poiché gli organi fisici saranno potenziati per sostenere ogni forma di beatitudine.

Si delinea così una visione positiva della corporeità, destinata non all’annullamento ma alla trasfigurazione gloriosa.

Particolarmente significativa è la risposta corale delle anime beate, che esprimono con un “Amen” unanime il loro ardente desiderio di ricongiungersi ai corpi terreni. Questo momento rivela un aspetto fondamentale della condizione dei beati: pur nella beatitudine perfetta, essi aspirano alla completezza dell’essere che solo l’unione con il corpo può garantire. Si tratta di uno dei rari momenti nel Paradiso in cui le anime manifestano un desiderio non ancora appagato, sottolineando l’importanza della resurrezione corporea nell’economia della salvezza cristiana.

Il secondo nucleo narrativo del canto è costituito dal passaggio dal cielo del Sole a quello di Marte, che segna un’ulteriore tappa nell’ascesa spirituale di Dante. Questo movimento rappresenta simbolicamente il progresso dell’anima nella contemplazione divina, dal piano della sapienza intellettuale (Sole) a quello della fede militante (Marte). La transizione avviene con immediatezza, senza che Dante ne percepisca il movimento fisico, ma solo attraverso la mutazione cromatica della luce, che passa dal bianco-dorato solare al rosso marziale.

La novità più rilevante di questo nuovo cielo è la visione della croce luminosa, formata dagli spiriti dei combattenti per la fede. Questa immagine, di straordinaria potenza visiva, condensa molteplici livelli di significato: è simbolo cristologico, emblema della militanza cristiana e figura dell’ordine cosmico imposto da Dio. La descrizione della croce è caratterizzata da un linguaggio che sottolinea l’ineffabilità dell’esperienza, ricorrendo a similitudini che attingono sia al mondo naturale che a quello artistico.

Accanto alla dimensione visiva, assume particolare rilevanza quella sonora: dalla croce si diffonde una melodia ineffabile che rapisce completamente Dante, superando in dolcezza persino il piacere della contemplazione visiva. Questa musica celeste rappresenta un ulteriore livello dell’esperienza mistica, che trascende non solo la capacità espressiva del linguaggio ma anche quella della memoria.

Un elemento narrativo fondamentale è la progressiva intensificazione della luce, che caratterizza l’intero Paradiso ma che in questo canto assume particolare rilievo. Il passaggio dal Sole a Marte comporta non solo un cambiamento cromatico ma anche un incremento della luminosità, prefigurando la crescente difficoltà di Dante nel descrivere ciò che vede. Il poeta ricorre ripetutamente a dichiarazioni di inadeguatezza linguistica, sottolineando l’impossibilità di rendere adeguatamente la straordinaria bellezza della visione paradisiaca.

La struttura narrativa del canto riflette la duplicità tematica: la prima parte è dominata dal dialogo e dalla riflessione teologica, con un andamento più disteso e argomentativo; la seconda è caratterizzata invece dalla descrizione estatica e dalla contemplazione, con un ritmo più incalzante e un linguaggio più immaginoso. Questa bipartizione corrisponde ai due diversi cieli attraversati e alle diverse esperienze spirituali che essi comportano.

Il canto si configura anche come momento di preparazione alle esperienze successive. La discussione sulla resurrezione dei corpi anticipa il tema del desiderio di immortalità e di completezza dell’essere umano, che sarà fondamentale nei canti seguenti. Allo stesso modo, la visione della croce prelude all’incontro con l’antenato Cacciaguida, che avverrà proprio nel cielo di Marte e che rappresenterà un momento decisivo nel percorso di autoconsapevolezza di Dante.

Figure retoriche nel Canto 14 del Paradiso della Divina Commedia

Il Canto XIV del Paradiso rappresenta uno dei vertici stilistici della terza cantica, dove Dante dispiega un ricchissimo repertorio di figure retoriche per tentare di esprimere l’ineffabile esperienza paradisiaca. L’apparato retorico diventa fondamentale per comunicare realtà che trascendono il linguaggio umano.

Le similitudini costituiscono la figura retorica predominante, usate strategicamente per rendere comprensibili al lettore concetti teologici complessi. Nei versi iniziali, Dante paragona la propagazione delle voci tra le anime beate al movimento concentrico dell’acqua in un vaso circolare quando viene percossa: “Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro / movesi l’acqua in un ritondo vaso”. Questa similitudine idraulica, di straordinaria efficacia visiva, illustra la circolazione del pensiero e della conoscenza tra gli spiriti sapienti.

Un’altra similitudine potente si manifesta quando il poeta paragona la disposizione degli spiriti nella croce di Marte alla Via Lattea: “Come distinta da minori e maggi / lumi biancheggia tra’ poli del mondo / Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi”. L’immagine astronomica eleva ulteriormente la rappresentazione, collocandola in una dimensione cosmica.

Il linguaggio metaforico permea l’intero canto, particolarmente nella descrizione della luce. Le anime sono costantemente rappresentate come fonti luminose, “faville” o “luci”, metafore della loro partecipazione alla luce divina. La croce nel cielo di Marte diventa metafora visibile del sacrificio di Cristo e della militanza per la fede.

Significativo è l’uso dell’adynaton, figura dell’impossibilità, quando Dante afferma che anche se tutte le lingue nutrite dal “dolcissimo latte” delle Muse lo aiutassero, non riuscirebbe comunque a descrivere nemmeno un millesimo della realtà contemplata: “Se mo sonasser tutte quelle lingue / che Polimnia con le suore fero / del latte lor dolcissimo più pingue, / per aiutarmi, al millesimo del vero / non si verria”. Questa figura sottolinea il tema dell’ineffabilità, cruciale nell’economia espressiva del Paradiso.

Ricorrenti sono le allitterazioni e le assonanze che creano effetti sonori particolari, soprattutto nei versi dedicati alla melodia celeste. Ad esempio, nell’espressione “lampeggiava Cristo”, l’allitterazione della consonante “c” crea un effetto fonico che evoca lo stesso lampeggiare descritto.

Dante impiega inoltre numerosi ossimori e antitesi per esprimere la natura paradossale dell’esperienza paradisiaca, dove gli opposti terreni si conciliano. La sinestesia appare quando il poeta fonde percezioni visive e uditive nella descrizione della croce luminosa, i cui raggi “cantano” una melodia sublime.

Particolarmente significativo è l’uso dell’anafora nella ripetizione del nome “Cristo”, che ricorre tre volte in rapida successione alla fine di tre versi consecutivi, creando un potente effetto di enfasi che richiama la centralità del mistero cristologico.

Questa straordinaria ricchezza retorica non è mai fine a se stessa, ma funzionale all’elevazione spirituale e intellettuale che il canto intende comunicare. Attraverso queste figure, Dante riesce a costruire un linguaggio poetico che, pur riconoscendo i propri limiti, si spinge ai confini dell’espressione umana per suggerire realtà che la trascendono.

Temi principali del 14° canto del Paradiso della Divina Commedia

Il Canto XIV del Paradiso presenta alcuni temi teologici e simbolici di fondamentale importanza nel percorso ascensionale di Dante. Questi elementi non solo arricchiscono la narrazione poetica, ma costituiscono anche un momento cruciale di riflessione dottrinale all’interno dell’intera cantica.

La resurrezione dei corpi

Il tema dominante del canto è la resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale, questione centrale nella teologia cristiana medievale. Dante, attraverso il quesito posto dagli spiriti sapienti e la risposta di Beatrice, esplora la concezione tomistica dell’unità psicofisica dell’essere umano. La perfezione della natura umana si realizza pienamente solo nell’unione di anima e corpo; per questo le anime beate attendono con ardente desiderio il ricongiungimento con la loro corporeità.

La risposta corale “Amen” delle due corone di spiriti sapienti esprime proprio questa attesa, uno dei rari casi nel Paradiso in cui le anime manifestano un desiderio non ancora appagato. Nella visione dantesca, il corpo glorificato non rappresenta un limite per l’anima beata, ma un potenziamento della sua capacità di godere della visione divina. Questo concetto sovverte la concezione platonica che vedeva il corpo come prigione dell’anima, affermando invece la dignità della dimensione corporea destinata alla trasfigurazione eterna.

Il simbolismo della croce luminosa

La croce formata dagli spiriti combattenti per la fede nel cielo di Marte costituisce uno dei simboli più potenti dell’intero Paradiso. Questa immagine racchiude molteplici significati:

  • Dimensione cristologica: la croce rimanda immediatamente al sacrificio redentivo di Cristo, fondamento della salvezza cristiana. Il lampeggiare di Cristo stesso all’interno della croce enfatizza questa connessione essenziale.
  • Dimensione militante: nel cielo di Marte, pianeta tradizionalmente associato alla guerra, la croce simboleggia la lotta per la fede. Gli spiriti che la compongono sono infatti coloro che hanno combattuto per difendere e diffondere la religione cristiana.
  • Dimensione cosmica: la croce che attraversa il pianeta rappresenta l’ordine divino imposto al cosmo, manifestando visivamente l’impronta del Creatore nell’universo.

Il colore rosso di Marte intensifica il simbolismo della croce, evocando sia il sangue versato da Cristo sia quello dei martiri che hanno seguito il suo esempio.

La progressione spirituale

Il passaggio dal cielo del Sole al cielo di Marte segna una tappa fondamentale nel percorso di elevazione spirituale di Dante. Questa transizione rappresenta il progresso dalla sapienza intellettuale (Sole) alla fede militante (Marte), evidenziando come la conoscenza teologica debba tradursi in impegno attivo per la fede.

L’evoluzione della percezione della luce divina, che dal bianco-dorato del Sole passa al rosso di Marte, sottolinea questa progressione spirituale. La molteplicità dei colori della luce paradisiaca riflette i diversi attributi divini che Dante gradualmente contempla nel suo cammino verso la visione di Dio.

L’ineffabilità dell’esperienza paradisiaca

Un tema ricorrente nell’intero Paradiso, ma particolarmente evidente in questo canto, è l’inadeguatezza del linguaggio umano di fronte alla magnificenza della visione celeste. Dante sottolinea ripetutamente l’impossibilità di descrivere adeguatamente ciò che vede e sente, utilizzando formule come “qui vince la memoria mia lo ‘ngegno”.

Questa tensione tra la necessità di narrare e l’impossibilità di esprimere pienamente l’esperienza mistica diventa essa stessa un tema poetico fondamentale. Il poeta si trova costretto a ricorrere a similitudini elaborate e a dichiarazioni di inadeguatezza che paradossalmente arricchiscono il tessuto poetico del canto.

Il Canto 14 del Paradiso in pillole

SezionePunti ChiaveParole Chiave
Struttura• Prima parte: discussione teologica sulla resurrezione dei corpi
• Seconda parte: transizione dal cielo del Sole al cielo di Marte
Resurrezione, transizione, ascesa
Quesito teologico• Domanda sulla permanenza della luce nei corpi risorti
• Risposta di Beatrice sulla perfezione dell’unità anima-corpo
Corpi glorificati, beatitudine, perfezione
Simbolismo• La croce luminosa nel cielo di Marte
• Il colore rosso associato al sacrificio e al martirio
• Anime dei combattenti per la fede
Croce, martirio, sacrificio
Elementi poetici• Similitudine dell’acqua nel vaso circolare
• Paragone con la Via Lattea
• Ineffabilità dell’esperienza paradisiaca
Similitudini, metafore, ineffabilità
Temi fondamentali• Resurrezione dei corpi dopo il Giudizio Universale
• Progressione spirituale di Dante
• Relazione tra dimensione corporea e spirituale
Unità anima-corpo, visione beatifica, glorificazione
Aspetti stilistici• Ricco uso di figure retoriche
• Linguaggio teologico combinato con espressione poetica
• Dichiarazioni di inadeguatezza espressiva
Similitudini, allitterazioni, linguaggio dottrinale

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti