Divina Commedia, Canto 14 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 14 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XIV del Purgatorio rappresenta un momento significativo nel percorso di purificazione di Dante, esplorando l'invidia attraverso le anime in pena.

Il Canto XIV del Purgatorio rappresenta un momento significativo nel percorso di purificazione che Dante Alighieri intraprende nella seconda cantica della Divina Commedia. Siamo nella cornice degli invidiosi, dove le anime espiano i propri peccati con gli occhi cuciti da fil di ferro, simbolo del loro sguardo malevolo in vita. In questo canto, attraverso l’incontro con Guido del Duca e Rinieri da Calboli, Dante sviluppa una profonda riflessione sulla natura corrotta dell’umanità e sulla degenerazione morale delle regioni italiane.

La struttura del Purgatorio dantesco si configura come una montagna che si erge dall’emisfero australe, suddivisa in un Antipurgatorio, sette cornici corrispondenti ai sette peccati capitali, e il Paradiso Terrestre sulla cima. Mentre nell’Inferno le anime sono condannate eternamente, nel Purgatorio hanno la possibilità di purificarsi per poi accedere al Paradiso. Questa dimensione di speranza e redenzione permea tutto il canto, nonostante la severa critica sociale che Dante esprime.

Il tema centrale del Canto XIV riguarda l’invidia come peccato individuale e collettivo, esplorato attraverso le parole di Guido del Duca, che deplora la degenerazione morale della Romagna e della Toscana con un’invettiva che combina critica politica, riflessione etica e straordinaria potenza poetica.

Indice:

Canto 14 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
«Chi è costui che ‘l nostro monte cerchia
prima che morte li abbia dato il volo,
e apre li occhi a sua voglia e coverchia?»
«Chi è costui che gira intorno al nostro monte
prima che la morte gli abbia dato la possibilità di volare (verso il Purgatorio),
e apre e chiude gli occhi a suo piacimento?»
«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo;
domandal tu che più li t’avvicini,
e dolcemente, sì che parli, acco’lo».
«Non so chi sia, ma so che non è solo;
domandalo tu che ti avvicini più di me a lui,
e accoglilo con dolcezza, così che parli».
Così due spirti, l’uno a l’altro chini,
ragionavan di me ivi a man dritta;
poi fer li visi, per dirmi, supini;
Così due spiriti, chinati l’uno verso l’altro,
parlavano di me lì a destra;
poi alzarono i visi per parlare con me;
e disse l’uno: «O anima che fitta
nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai,
per carità ne consola e ne ditta
e uno disse: «O anima che ancora
prigioniera nel corpo vai verso il cielo,
per carità, consolaci e dicci
onde vieni e chi se’; ché tu ne fai
tanto maravigliar de la tua grazia,
quanto vuol cosa che non fu più mai».
da dove vieni e chi sei; perché ci fai
tanto meravigliare della grazia a te concessa,
quanto può far cosa che non è mai accaduta prima».
E io: «Per mezza Toscana si spazia
un fiumicel che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso nol sazia.
E io: «Attraverso la Toscana scorre
un fiumicello che nasce in Falterona,
e cento miglia di corso non lo saziano.
Di sovr’esso rech’io questa persona:
dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno,
ché ‘l nome mio ancor molto non suona».
Da sopra di esso porto questo corpo;
dirvi chi io sia sarebbe parlare invano,
perché il mio nome ancora non è molto conosciuto».
«Se ben lo ‘ntendimento tuo accarno
con lo ‘ntelletto», allora mi rispuose
quei che diceva pria, «tu parli d’Arno».
«Se ben penetro il tuo pensiero
con l’intelletto», allora mi rispose
colui che aveva parlato prima, «tu parli dell’Arno».
E l’altro disse lui: «Perché nascose
questi il vocabol di quella riviera,
pur com’om fa de l’orribili cose?».
E l’altro disse a lui: «Perché ha nascosto
il nome di quel fiume,
come si fa con le cose orribili?».
E l’ombra che di ciò domandata era,
si sdebitò così: «Non so; ma degno
ben è che ‘l nome di tal valle pèra;
E l’ombra a cui era stata posta la domanda,
rispose così: «Non so; ma è giusto
che il nome di quella valle scompaia;
ché dal principio suo, ov’è sì pregno
l’alpestro monte ond’è tronco Peloro,
che ‘n pochi luoghi passa oltra quel segno,
perché dalla sua sorgente, dove è così ricco
il monte alpestre da cui è separato il Peloro,
che in pochi luoghi supera quel livello,
infin là ‘ve si rende per ristoro
di quel che ‘l ciel de la marina asciuga,
ond’hanno i fiumi ciò che va con loro,
fino là dove si riversa per compensare
ciò che il cielo asciuga dal mare,
da cui i fiumi traggono la loro acqua,
vertù così per nimica si fuga
da tutti come biscia, o per sventura
del luogo, o per mal uso che li fruga:
la virtù è fuggita da tutti come una biscia,
o per la maledizione
del luogo, o per i cattivi costumi che li spingono:
ond’hanno sì mutata lor natura
li abitator de la misera valle,
che par che Circe li avesse in pastura.
perciò hanno così mutato la loro natura
gli abitanti della misera valle,
che sembra che Circe li abbia al pascolo.
Tra brutti porci, più degni di galle
che d’altro cibo fatto in uman uso,
dirizza prima il suo povero calle.
Tra brutti porci, più degni di ghiande
che di altro cibo preparato per uso umano,
dirige prima il suo povero corso.
Botoli trova poi, venendo giuso,
ringhiosi più che non chiede lor possa,
e da lor disdegnosa torce il muso.
Poi, scendendo più in basso, trova botoli (cani piccoli),
più ringhiosi di quanto permetterebbe la loro forza,
e da loro con disprezzo volta la faccia.
Vassi caggendo; e quant’ella più ‘ngrossa,
tanto più trova di can farsi lupi
la maladetta e sventurata fossa.
Continua a scendere; e quanto più si ingrossa,
tanto più trova che i cani si trasformano in lupi
nella maledetta e sventurata valle.
Discesa poi per più pelaghi cupi,
trova le volpi sì piene di froda,
che non temono ingegno che le occùpi.
Discesa poi attraverso gorghi più profondi,
trova le volpi così piene di frode,
che non temono ingegno che le catturi.
Né lascerò di dir perch’altri m’oda;
e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta
di ciò che vero spirto mi disnoda.
Non cesserò di parlare perché altri mi ascoltano;
e sarà bene per costui, se ancora ricorda
ciò che uno spirito veritiero mi svela.
Io veggio tuo nepote che diventa
cacciator di quei lupi in su la riva
del fiero fiume, e tutti li sgomenta.
Io vedo tuo nipote che diventa
cacciatore di quei lupi sulla riva
del fiero fiume, e li spaventa tutti.
Vende la carne loro essendo viva;
poscia li ancide come antica belva;
molti di vita e sé di pregio priva.
Vende la loro carne mentre sono ancora vivi;
poi li uccide come una vecchia belva;
priva molti della vita e sé stesso dell’onore.
Sanguinoso esce de la trista selva;
lasciala tal, che di qui a mille anni
ne lo stato primaio non si rinselva».
Esce sanguinoso dalla triste selva;
la lascia in tale stato che nemmeno tra mille anni
tornerà alla sua condizione originaria».
Com’a l’annunzio di dogliosi danni
si turba il viso di colui ch’ascolta,
da qual che parte il periglio l’assanni,
Come all’annuncio di dolorosi danni
si turba il viso di colui che ascolta,
da qualunque parte il pericolo lo minacci,
così vid’io l’altr’anima, che volta
stava a udir, turbarsi e farsi trista,
poi ch’ebbe la parola a sé raccolta.
così vidi l’altra anima, che stava
volta ad ascoltare, turbarsi e rattristarsi,
dopo aver compreso le parole.
Lo dir de l’una e de l’altra la vista
mi fer voglioso di saper lor nomi,
e dimanda ne fei con prieghi mista;
Il parlare dell’una e l’espressione dell’altra
mi fecero desideroso di sapere i loro nomi,
e ne feci domanda mista a preghiere;
per che lo spirto che di pria parlòmi
ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca
nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi.
per cui lo spirito che per primo mi aveva parlato
ricominciò: «Tu vuoi che io faccia per te
ciò che tu non vuoi fare per me.
Ma da che Dio in te vuol che traluca
tanto sua grazia, non ti sarò scarso;
però sappi ch’io fui Guido del Duca.
Ma poiché Dio vuole che in te risplenda
tanto la sua grazia, non sarò avaro con te;
perciò sappi che io fui Guido del Duca.
Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso,
che se veduto avesse uom farsi lieto,
visto m’avresti di livore sparso.
Il mio sangue fu così riarso dall’invidia,
che se avessi visto un uomo diventare felice,
mi avresti visto coperto di livore.
Di mia semente cotal paglia mieto;
o gente umana, perché poni ‘l core
là ‘v’è mestier di consorte divieto?
Di ciò che ho seminato raccolgo tale paglia;
o genere umano, perché poni il cuore
là dove è necessario escludere ogni compagnia?
Questi è Rinier; questi è ‘l pregio e l’onore
de la casa da Calboli, ove nullo
fatto s’è reda poi del suo valore.
Questi è Ranieri; questi è il vanto e l’onore
della casata da Calboli, dove nessuno
si è fatto poi erede del suo valore.
E non pur lo suo sangue è fatto brullo,
tra ‘l Po e ‘l monte e la marina e ‘l Reno,
del ben richesto al vero e al trastullo;
E non solo la sua discendenza è rimasta priva,
tra il Po e l’Appennino e il mare e il Reno,
del bene necessario alla vita morale e ai piaceri;
ché dentro a questi termini è ripieno
di venenosi sterpi, sì che tardi
per coltivare omai verrebber meno.
perché dentro questi confini è pieno
di piante velenose, così che difficilmente
potrebbero esser estirpate con la coltivazione.
Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnuoli tornati in bastardi!
Dov’è il buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
Oh Romagnoli diventati bastardi!
Quando in Bologna un Fabbro si ralligna?
quando in Faenza un Bernardin di Fosco,
verga gentil di picciola gramigna?
Quando a Bologna si radica un Fabbro?
Quando a Faenza un Bernardino di Fosco,
nobile germoglio da piccola pianta?
Non ti maravigliar s’io piango, Tosco,
quando rimembro, con Guido da Prata,
Ugolin d’Azzo che vivette nosco,
Non meravigliarti se piango, o Toscano,
quando ricordo, insieme a Guido da Prata,
Ugolino d’Azzo che visse con noi,
Federigo Tignoso e sua brigata,
la casa Traversara e li Anastagi
(e l’una gente e l’altra è diretata),
Federico Tignoso e la sua compagnia,
la casata Traversara e gli Anastagi
(e entrambe le famiglie sono prive di eredi),
le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi
che ne ‘nvogliava amore e cortesia
là dove i cuor son fatti sì malvagi.
le donne e i cavalieri, le fatiche e gli agi
che ci ispiravano amore e cortesia
là dove i cuori sono diventati così malvagi.
O Bretinoro, ché non fuggi via,
poi che gita se n’è la tua famiglia
e molta gente per non esser ria?
O Bertinoro, perché non fuggi via,
poiché se n’è andata la tua famiglia
e molta gente per non diventare malvagia?
Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio,
che di figliar tai conti più s’impiglia.
Fa bene Bagnacavallo, che non genera più figli;
e male fa Castrocaro, e peggio Conio,
che si ostina a generare tali conti.
Ben faranno i Pagan, da che ‘l demonio
lor sen girà; ma non però che puro
già mai rimagna d’essi testimonio.
Bene faranno i Pagani, quando il demonio
se ne andrà via da loro; ma non così che rimanga
mai una testimonianza pura di essi.
O Ugolin de’ Fantolin, sicuro
è il nome tuo, da che più non s’aspetta
chi far lo possa, tralignando, scuro.
O Ugolino de’ Fantolini, sicuro
è il tuo nome, poiché non c’è più da aspettarsi
chi possa, degenerando, oscurarlo.
Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta
troppo di pianger più che di parlare,
sì m’ha nostra ragion la mente stretta».
Ma va’ via, Toscano, ormai; che ora mi piace
piangere più che parlare,
tanto il nostro discorso mi ha stretto il cuore».
Noi sapavam che quell’anime care
ci sentivano andar; però, tacendo,
facëan noi del cammin confidare.
Noi sapevamo che quelle anime care
ci sentivano andare; perciò, tacendo,
ci rassicuravano sul nostro cammino.
Poi fummo fatti soli procedendo,
folgore parve quando l’aere fende,
voce che giunse di contra dicendo:
Poi, mentre procedevamo da soli,
come un fulmine quando fende l’aria,
giunse di fronte a noi una voce che diceva:
‘Anciderammi qualunque m’apprende’;
e fuggì come tuon che si dilegua,
se sùbito la nuvola scoscende.
‘Mi ucciderà chiunque mi prende’;
e fuggì come tuono che si dilegua,
se subito la nuvola si squarcia.
Come da lei l’udir nostro ebbe triegua,
ed ecco l’altra con sì gran fracasso,
che somigliò tonar che tosto segua:
Non appena il nostro udito ebbe tregua da essa,
ecco l’altra con così grande fragore,
che sembrò un tuono che segue subito:
«Io sono Aglauro che divenni sasso»;
e allor, per ristrignermi al poeta,
in destro feci, e non innanzi, il passo.
«Io sono Aglauro che divenni pietra»;
e allora, per stringermi al poeta,
mossi il passo verso destra, e non in avanti.
Già era l’aura d’ogne parte queta;
ed el mi disse: «Quel fu ‘l duro camo
che dovria l’uom tener dentro a sua meta.
Già l’aria era quieta da ogni parte;
ed egli mi disse: «Quello fu il duro freno
che dovrebbe tenere l’uomo entro i suoi limiti.
Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo
de l’antico avversaro a sé vi tira;
e però poco val freno o richiamo.
Ma voi prendete l’esca, così che l’amo
dell’antico avversario vi tira a sé;
e perciò poco valgono freno o richiamo.
Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira,
mostrandovi le sue bellezze etterne,
e l’occhio vostro pur a terra mira;
Vi chiama il cielo e vi si gira intorno,
mostrandovi le sue bellezze eterne,
e il vostro occhio pure guarda a terra;
onde vi batte chi tutto discerne».perciò vi punisce colui che tutto discerne».

Canto 14 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto XIV del Purgatorio si sviluppa interamente nella seconda cornice, quella degli invidiosi, anime che espiano il loro peccato con gli occhi cuciti da fil di ferro, simbolo eloquente del loro sguardo malevolo in vita. Quest’immagine richiama direttamente il contrappasso dantesco: chi ha usato gli occhi per covare sentimenti di invidia verso gli altri ora è condannato temporaneamente alla cecità.

La struttura compositiva del canto segue lo schema metrico tipico della Divina Commedia: terzine incatenate con schema ABA BCB CDC, che conferiscono musicalità e continuità narrativa all’intero percorso poetico. Il canto può essere suddiviso in tre sezioni principali che ne scandiscono lo sviluppo narrativo e tematico:

Prima sezione (versi 1-27): Il canto si apre con lo stupore di due anime penitenti che scorgono Dante ancora in vita mentre attraversa il monte del Purgatorio. Queste anime sono Guido del Duca e Rinieri da Calboli, due nobili romagnoli che, incuriositi dalla presenza insolita di un vivente, interrogano il poeta. Virgilio invita Dante a rispondere con umiltà, esortandolo ad identificarsi come un pellegrino che sta compiendo un viaggio ultraterreno per grazia divina.

Seconda sezione (versi 28-126): Questa parte centrale costituisce il cuore tematico del canto ed è dominata dall’aspra invettiva di Guido del Duca contro la degenerazione morale della Romagna e della Toscana. Guido descrive con toni nostalgici l’antica nobiltà d’animo ormai perduta, contrapponendola alla corruzione presente.

Particolarmente celebre è la metafora del fiume Arno, che Dante descrive come una “maledetta e sventurata fossa” che attraversa territori abitati da popolazioni rappresentate allegoricamente come animali: i casentinesi sono “brutti porci”, gli aretini “botoli ringhiosi”, i fiorentini “lupi” e i pisani “volpi piene di froda”. Questa progressione zoomorfa simboleggia la crescente corruzione morale che affligge la Toscana.

Terza sezione (versi 127-151): Nella parte conclusiva, Virgilio spiega a Dante la fondamentale differenza tra beni terreni e beni spirituali. I primi, quando condivisi, diminuiscono (“dove per compagnia parte si scema”), generando invidia; i secondi invece aumentano quanto più sono condivisi (“ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’, tanto possiede più di ben ciascuno”), producendo amore e carità. Questa riflessione filosofica e teologica chiarisce la natura del peccato dell’invidia e illustra la via per superarlo.

Durante il percorso purgatoriale, le anime espiano l’invidia attraverso tre elementi di purificazione: la penitenza fisica (occhi cuciti), la preghiera continua e l’ascolto di esempi contrari all’invidia che vengono proclamati da voci divine. Questi esempi includono storie di generosità e amore fraterno, contrapposte a casi negativi come quello di Caino e Abele o di Aglauro, trasformata in pietra per la sua invidia.

Il monte del Purgatorio, diversamente dall’Inferno, rappresenta un luogo di speranza e redenzione. Se nell’Inferno le anime sono condannate eternamente, qui le sofferenze sono temporanee e finalizzate alla purificazione. La topografia morale del Purgatorio riflette questa progressione spirituale: salendo la montagna, l’anima si avvicina alla perfezione morale necessaria per accedere al Paradiso.

L’architettura narrativa di questo canto si inserisce perfettamente nella struttura generale della seconda cantica, dove Dante esplora il tema della redenzione attraverso l’espiazione dei sette peccati capitali. Il Purgatorio rappresenta quel regno intermedio dove l’anima, attraverso la sofferenza consapevole e la preghiera, si purifica dai vizi terreni per prepararsi alla beatitudine celeste.

Canto 14 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Il Canto XIV del Purgatorio presenta alcuni personaggi di notevole rilevanza storica e simbolica che incarnano la riflessione dantesca sulla virtù decaduta e sul peccato dell’invidia. I protagonisti di questo episodio sono principalmente due anime penitenti che Dante incontra nella cornice degli invidiosi.

Guido del Duca emerge come figura centrale del canto. Nobile romagnolo originario di Bertinoro, vissuto nel XIII secolo, rappresenta l’esempio paradigmatico dell’invidioso pentito. La sua confessione è straordinariamente sincera quando ammette: “Fu il sangue mio d’invidia sì riarso, che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore sparso”. Questa ammissione rivela il profondo processo di consapevolezza e pentimento che caratterizza le anime del Purgatorio.

Attraverso Guido, Dante sviluppa una riflessione sulla vera nobiltà che non dipende dal sangue ma dalle virtù morali. Il personaggio pronuncia una potente invettiva contro la degenerazione della Romagna, mostrando un profondo amore per la sua terra d’origine unito alla dolorosa consapevolezza della sua corruzione. La nostalgia con cui ricorda figure esemplari come Lizio da Valbona, Arrigo Mainardi e Pier Traversaro evidenzia il contrasto tra un passato virtuoso e un presente degradato.

Rinieri da Calboli, l’altro interlocutore, compare come nobile romagnolo che fu podestà di varie città italiane. Sebbene meno prominente nel dialogo rispetto a Guido, la sua figura serve a Dante per introdurre una profezia sul nipote Fulcieri da Calboli, destinato a diventare podestà di Firenze nel 1303, distinguendosi per la sua crudeltà contro i Bianchi (la fazione politica di Dante stesso).

Attraverso la coppia Rinieri-Fulcieri, il poeta sviluppa il tema della degenerazione dei lignaggi nobiliari: da un nonno rispettabile a un nipote crudele, simbolo di come i discendenti possano tradire i valori dei loro antenati. Dante descrive Rinieri come “il pregio e l’onore de la casa da Calboli”, sottolineando come nessuno dopo di lui abbia ereditato il suo valore morale.

Virgilio mantiene nel canto il suo fondamentale ruolo di guida e maestro spirituale. Il suo intervento è particolarmente significativo nella parte finale, dove spiega a Dante la natura dell’invidia e la cruciale distinzione tra beni terreni e beni spirituali. La sua riflessione sui beni che aumentano quando sono condivisi (i beni spirituali) in contrapposizione ai beni materiali (che diminuiscono nella condivisione) contiene uno dei messaggi centrali del canto: “ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’, tanto possiede più di ben ciascuno, e più di caritate arde in quel chiostro”. In questo passaggio Virgilio incarna la ragione umana che, pur non potendo accedere alla verità rivelata, comprende i principi fondamentali dell’etica cristiana e li trasmette al pellegrino Dante.

Analisi del Canto 14 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il quattordicesimo canto del Purgatorio si distingue per la ricchezza dei suoi elementi tematici e narrativi, offrendo una profonda riflessione sulla condizione morale dell’Italia del tempo di Dante. La narrazione si sviluppa attorno a tre nuclei principali che si intrecciano in una complessa rete simbolica.

Il primo elemento tematico fondamentale è la critica alla corruzione morale delle regioni italiane. Attraverso le parole di Guido del Duca, Dante costruisce una potente invettiva contro la degenerazione dei valori cavallereschi e cortesi che un tempo caratterizzavano la nobiltà romagnola. “Non ti maravigliar s’io piango, Tosco” esclama Guido, ricordando con nostalgia figure esemplari come Lizio da Valbona, Arrigo Mainardi e Pier Traversaro, rappresentanti di virtù ormai scomparse. Questa nostalgia per un passato virtuoso si contrappone drammaticamente a un presente corrotto, in cui i discendenti delle nobili famiglie hanno abbandonato le virtù dei loro antenati.

Particolarmente significativa è la metafora dell’Arno, che rappresenta il secondo elemento narrativo portante del canto. Il fiume diventa simbolo della progressiva degradazione morale della Toscana: “Tra brutti porci, più degni di galle / che d’altro cibo fatto in uman uso, / dirizza prima il suo povero calle”. In questa potente allegoria zoomorfa, Dante descrive il percorso dell’Arno dalla sorgente alla foce, associando a ogni tratto una popolazione toscana caratterizzata da vizi specifici: gli abitanti del Casentino sono paragonati a porci per la loro grossolanità, gli aretini a cagnetti ringhiosi (“botoli”), i fiorentini a lupi rapaci e i pisani a volpi fraudolente. L’Arno, descritto come “maladetta e sventurata fossa”, diventa così specchio della corruzione che attraversa l’intera regione.

Il terzo elemento tematico cruciale è il contrasto tra beni terreni e beni spirituali. Nella parte conclusiva del canto, Virgilio spiega a Dante la differenza fondamentale tra queste due categorie di beni: “Perché s’appuntano i vostri disiri / dove per compagnia parte si scema, / invidia move il mantaco a’ sospiri”. I beni materiali, quando sono condivisi, diminuiscono per ciascuno (causando invidia), mentre i beni spirituali aumentano quanto più sono condivisi (generando amore). L’invidia nasce dunque dall’attaccamento ai beni terreni, mentre l’amore per i beni celesti libera l’uomo da questo peccato.

La struttura narrativa del canto è sapientemente costruita per amplificare questi messaggi. Dante utilizza efficacemente il dialogo come strumento di esplorazione morale, alternando le voci dei personaggi per creare un dinamico confronto di prospettive. La voce di Guido del Duca, in particolare, si eleva con toni profetici per denunciare la degenerazione morale del presente, mentre quella di Virgilio assume toni didascalici per spiegare la natura dell’invidia.

Significativo è anche l’uso della profezia come elemento narrativo. L’annuncio del comportamento crudele di Fulcieri da Calboli, nipote di Rinieri, che “Sanguinoso esce de la trista selva; / lasciala tal, che di qui a mille anni / ne lo stato primaio non si rinselva”, introduce un elemento di drammatica attualità politica. Questa tecnica consente a Dante di collegare la riflessione morale alle concrete vicende storiche del suo tempo, conferendo alla narrazione una dimensione di urgenza civile.

Il canto è inoltre caratterizzato da una forte tensione tra passato e presente, espressa attraverso il contrasto tra l’evocazione nostalgica di un’epoca di virtù e la denuncia spietata della corruzione contemporanea. Questo contrasto temporale riflette la visione dantesca della storia come progressivo allontanamento da un ideale originario di perfezione morale.

L’elemento geografico assume anch’esso una valenza narrativa fondamentale. La descrizione del paesaggio toscano e romagnolo non è mai puramente descrittiva, ma sempre carica di significati morali. I fiumi, le montagne, le valli diventano elementi di una “geografia etica” in cui lo spazio fisico riflette lo spazio morale.

In conclusione, il Canto XIV del Purgatorio si presenta come un complesso intreccio di elementi tematici e narrativi che convergono verso un unico obiettivo: la denuncia della corruzione morale e l’invito a una rigenerazione etica fondata sul distacco dai beni terreni e sull’amore per i beni spirituali.

Figure retoriche nel Canto 14 Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 14 del Purgatorio si distingue per un uso particolarmente ricco e incisivo di figure retoriche, attraverso le quali Dante riesce a trasmettere con forza il messaggio morale e politico del testo.

Le metafore ricoprono un ruolo centrale nell’architettura retorica del canto. La più celebre è senza dubbio quella dell’Arno, descritto come una “maledetta e sventurata fossa” che attraversa una Toscana moralmente degradata. Il fiume diventa simbolo tangibile della corruzione che permea la regione.

Particolarmente potente è la metafora zoomorfa che caratterizza gli abitanti delle diverse zone attraversate dall’Arno: gli Aretini sono paragonati a “brutti porci”, i Fiorentini a “botoli ringhiosi”, i Pisani a “lupi” e gli abitanti della Maremma a “volpi” piene di frode. Questa progressiva bestializzazione evidenzia il crescente degrado morale lungo il corso del fiume.

Le apostrofi costituiscono un altro elemento retorico fondamentale. L’esclamazione di Guido del Duca “O Romagnuoli tornati in bastardi!” rappresenta una diretta invocazione carica di sdegno verso i suoi compatrioti che hanno abbandonato le virtù degli antenati. Altrettanto significativa è l’apostrofe “O gente umana”, con cui il personaggio si rivolge all’intera umanità per ammonirla contro l’attaccamento ai beni terreni.

Dante fa ampio uso di perifrasi, figure retoriche che permettono di designare qualcosa attraverso una descrizione indiretta. L’Arno viene inizialmente chiamato “un fiumicel che nasce in Falterona”, ritardando la rivelazione diretta del nome per creare un effetto di suspense e dare maggior peso alla successiva critica. Anche i personaggi sono spesso introdotti attraverso perifrasi che ne sottolineano le qualità morali o la provenienza.

Le allitterazioni contribuiscono alla musicalità del verso dantesco creando effetti sonori che rinforzano il contenuto semantico. Un esempio notevole è nel verso “le donne e ‘ cavalier, li affanni e li agi”, dove la ripetizione dei suoni crea un’atmosfera nostalgica che amplifica il rimpianto per i valori cavallereschi perduti.

L’iperbole caratterizza molti passaggi del canto, soprattutto nelle invettive contro la corruzione delle regioni italiane. La descrizione della totale assenza di virtù nella Romagna e in Toscana è volutamente esagerata per enfatizzare la gravità della situazione morale.

Il canto presenta numerosi esempi di antitesi, contrapposizioni che evidenziano conflitti morali. Particolarmente significativa è l’opposizione tra il passato virtuoso e il presente corrotto della Romagna, o tra i beni terreni che diminuiscono quando condivisi e i beni spirituali che invece aumentano.

Significativo è anche l’uso di similitudini, come quando il comportamento delle popolazioni toscane viene comparato a quello degli animali, rendendo immediatamente comprensibile la natura dei loro vizi.

Il simbolismo permea l’intero canto: gli occhi cuciti degli invidiosi simboleggiano la cecità morale di chi in vita ha guardato con livore i beni altrui; i fiumi rappresentano il fluire della vita morale delle regioni; gli animali incarnano specifici vizi umani.

L’uso sapiente di queste figure retoriche non è un semplice ornamento, ma uno strumento essenziale attraverso cui Dante costruisce un complesso sistema di significati, fondendo la critica sociale e politica con l’insegnamento morale in un linguaggio poetico di straordinaria efficacia espressiva.

Temi principali del 14 canto del Purgatorio della Divina Commedia

Il XIV canto del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel percorso di purificazione dantesco, sviluppando temi fondamentali che rispecchiano la visione morale e politica dell’autore. Al centro della narrazione troviamo l’invidia, peccato che viene espiato nella seconda cornice attraverso un contrappasso esemplare: le anime degli invidiosi hanno gli occhi cuciti con fil di ferro, poiché in vita usarono lo sguardo per covare sentimenti malevoli verso la felicità e i successi altrui.

Il tema dell’invidia viene esplorato attraverso la confessione di Guido del Duca, che ammette apertamente: “Fu il sangue mio d’invidia sì riarso, che se veduto avesse uom farsi lieto, visto m’avresti di livore sparso”. Questa ammissione diventa occasione per una profonda riflessione sulla natura di questo peccato, presentato come desiderio perverso che si rallegra del male altrui e si rattrista per la felicità del prossimo. L’invidia viene contrapposta alla carità cristiana, virtù che invece gioisce del bene comune.

Altro tema centrale è la differenza tra beni terreni e beni spirituali. Dante, attraverso la voce di Virgilio, sviluppa una riflessione sui beni materiali che diminuiscono quando sono condivisi, generando invidia, in contrasto con i beni spirituali che aumentano quanto più sono condivisi, generando amore. L’ammonimento “O gente umana, perché poni ‘l core là ‘v’è mestier di consorte divieto?” racchiude questa distinzione, esortando l’umanità a rivolgere i propri desideri verso beni che non richiedono esclusività di possesso.

La decadenza morale costituisce un altro elemento tematico dominante, presentato attraverso la potente invettiva contro la Romagna e la Toscana. Guido del Duca deplora la degenerazione dei valori cavallereschi e delle virtù civiche un tempo fiorenti nella sua terra natale, contrapponendo un passato virtuoso a un presente corrotto. L’esclamazione “O Romagnuoli tornati in bastardi!” sintetizza questa visione nostalgica di un’epoca ormai tramontata.

Parallelamente si sviluppa il tema della vera nobiltà, che secondo Dante non deriva dal sangue ma dalle virtù morali. Il poeta, attraverso l’elenco di nobili romagnoli virtuosi del passato (Lizio da Valbona, Arrigo Mainardi, Pier Traversaro), contrapposti ai loro degeneri discendenti, esprime una concezione aristocratica della virtù che trascende l’appartenenza familiare.

La critica politica e sociale si manifesta con particolare intensità nella celebre allegoria dell’Arno, rappresentato come “maledetta e sventurata fossa” che attraversa territori popolati da creature sempre più degeneri: dai “brutti porci” del Casentino, ai “botoli ringhiosi” di Arezzo, fino ai “lupi” di Firenze e alle “volpi piene di froda” di Pisa. Questa rappresentazione zoomorfa costituisce una delle critiche più aspre che Dante rivolge alla società toscana del suo tempo.

Infine, il canto sviluppa il tema della redenzione e della speranza, caratteristica distintiva del Purgatorio rispetto all’Inferno. Le anime incontrate, pur soffrenti, sono animate dalla certezza della salvezza finale, dimostrando come il pentimento sincero e l’espiazione possano condurre al perdono divino, anche per un peccato grave come l’invidia. La conversazione tra Dante e le anime penitenti sottolinea la possibilità di riscatto morale, tema centrale dell’intera cantica.

Il Canto 14 Purgatorio in pillole

SezionePunti ChiaveDettagli di Supporto
Riassunto e spiegazione• Tre momenti strutturali
• Cornice degli invidiosi
• Dialogo tra anime penitenti
• Versi 1-27: Incontro con Guido del Duca e Rinieri da Calboli
• Versi 28-126: Invettiva contro Romagna e Toscana
• Versi 127-151: Riflessione sui beni terreni e spirituali
Personaggi• Guido del Duca
• Rinieri da Calboli
• Virgilio
• Guido: nobile romagnolo, anima pentita per l’invidia
• Rinieri: esponente della famiglia Calboli, esempio di nobiltà decaduta
• Virgilio: guida morale che spiega la differenza tra beni terreni e spirituali
Elementi tematici• Allegoria del fiume Arno
• Corruzione morale dell’Italia
• Contrappasso degli invidiosi
• Arno come percorso di degenerazione morale
• Occhi cuciti come punizione per lo sguardo invidioso
• Critica della decadenza delle virtù cavalleresche
Figure retoriche• Metafore zoomorfe
• Apostrofi
• Perifrasi
• Toscani paragonati a porci, botoli, lupi, volpi
• “O Romagnuoli tornati in bastardi!”
• Arno definito “maledetta e sventurata fossa”
Temi principali• Invidia vs carità
• Beni terreni vs beni spirituali
• Nostalgia dei valori perduti
• I beni materiali diminuiscono se condivisi, generando invidia
• I beni spirituali aumentano se condivisi, generando amore
• Contrapposizione tra il virtuoso passato e il corrotto presente

Ti potrebbe interessare

Link copiato negli appunti