Il Canto XV del Purgatorio segna un momento cruciale nel pellegrinaggio ultraterreno di Dante nella Divina Commedia, collocandosi nella terza cornice dove si purificano le anime macchiate dal peccato dell’ira. In questo canto denso di significati allegorici, il poeta fiorentino esplora la tensione tra l’ira umana e la mansuetudine divina, presentando una complessa riflessione sulla natura dell’amore come forza motrice delle azioni umane.
La progressiva purificazione del pellegrino prosegue attraverso visioni esemplari e insegnamenti morali che illuminano il contrasto tra i beni terreni, che diminuiscono quando condivisi, e i beni spirituali, che invece si moltiplicano nella loro condivisione.
Indice:
- Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 15 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 15 del Purgatorio della Divina Commedia
- Temi principali del 15° canto del Purgatorio della Divina Commedia
- Il Canto 15 del Purgatorio in pillole
Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| Quanto tra l’ultimar de l’ora terza | Quanto tempo intercorre tra la fine dell’ora terza (le 9 del mattino) |
| e ‘l principio del dì par de la spera | e l’inizio del giorno nella sfera celeste |
| che sempre a guisa di fanciullo scherza, | che si muove continuamente come un fanciullo che gioca, |
| tanto pareva già inver’ la sera | tanto tempo sembrava ormai trascorso verso la sera |
| essere al sol del suo corso rimaso; | essere rimasto al sole per completare il suo percorso; |
| vespero là, e qui mezza notte era. | là era il vespro (le 18), e qui (in Italia) era mezzanotte. |
| E i raggi ne ferien per mezzo il naso, | E i raggi del sole ci colpivano dritti sul naso, |
| perché per noi girato era sì il monte, | poiché avevamo girato il monte in modo tale, |
| che già dritti andavamo inver’ l’occaso, | che ormai camminavamo diretti verso occidente, |
| quand’io senti’ a me gravar la fronte | quando io sentii che qualcosa mi appesantiva la fronte |
| a lo splendore assai più che di prima, | a causa di un bagliore molto più intenso di prima, |
| e stupor m’eran le cose non conte; | e mi stupivano le cose a me sconosciute; |
| ond’io levai le mani inver’ la cima | per cui alzai le mani verso la parte superiore |
| de le mie ciglia, e fecimi il solecchio, | delle mie sopracciglia, e mi feci schermo dal sole, |
| che del soverchio visibile lima. | che attenua l’eccesso di luce visibile. |
| Come quando da l’acqua o da lo specchio | Come quando dall’acqua o dallo specchio |
| salta lo raggio a l’opposita parte, | il raggio di luce rimbalza nella direzione opposta, |
| salendo su per lo modo parecchio | risalendo con un angolo uguale |
| a quel che scende, e tanto si diparte | a quello con cui discende, e si allontana tanto |
| dal cader de la pietra in igual tratta, | dalla perpendicolare in una distanza uguale, |
| sì come mostra esperïenza e arte; | come dimostrano l’esperienza e la scienza; |
| così mi parve da luce rifratta | così mi sembrò che da una luce riflessa |
| quivi dinanzi a me esser percosso; | lì davanti a me fossi colpito; |
| per che a fuggir la mia vista fu ratta. | per cui la mia vista fu rapida a fuggire. |
| «Che è quel, dolce padre, a che non posso | «Che cos’è quello, dolce padre, da cui non posso |
| schermar lo viso tanto che mi vaglia», | proteggere la vista tanto da giovarmi», |
| diss’io, «e pare inver’ noi esser mosso?» | dissi io, «e sembra muoversi verso di noi?» |
| «Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia | «Non meravigliarti se ancora ti abbaglia |
| la famiglia del cielo», a me rispuose: | la famiglia del cielo», mi rispose: |
| «messo è che viene ad invitar ch’om saglia. | «è un messaggero che viene a invitare l’uomo a salire. |
| Tosto sarà ch’a veder queste cose | Presto accadrà che a vedere queste cose |
| non ti fia grave, ma fieti diletto | non ti sarà difficile, ma ti sarà gradito |
| quanto natura a sentir ti dispose». | quanto la natura ti ha predisposto a sentire». |
| Poi giunti fummo a l’angel benedetto, | Poi giungemmo all’angelo benedetto, |
| con lieta voce disse: «Intrate quinci | con voce lieta disse: «Entrate qui |
| ad un scaleo vie men che li altri eretto». | in una scala molto meno ripida delle altre». |
| Noi montavam, già partiti di linci, | Noi salivamo, già partiti da lì, |
| e ‘Beati misericordes!’ fue | e ‘Beati misericordes!’ fu |
| cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’. | cantato dietro di noi, e ‘Gioisci tu che vinci!’. |
| Lo mio maestro e io soli amendue | Il mio maestro e io soli entrambi |
| suso andavamo; e io pensai, andando, | andavamo su; ed io pensai, mentre camminavamo, |
| prode acquistar ne le parole sue; | di trarre profitto dalle sue parole; |
| e dirizza’mi a lui sì dimandando: | e mi rivolsi a lui così domandando: |
| «Che volse dir lo spirto di Romagna, | «Che cosa volle dire lo spirito di Romagna, |
| e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». | nominando ‘divieto’ e ‘consorte’?». |
| Per ch’elli a me: «D’i suoi maggior difetti, | Per cui egli a me: «Dei suoi maggiori difetti, |
| e del rimedio suo, sa le parole; | e del rimedio per essi, conosce le parole; |
| però t’astiemmi a dimandarne prieghi. | perciò astieniti dal fargli domande. |
| Ma da c’ha sì la tua voglia invoglia, | Ma poiché ha così spronato il tuo desiderio, |
| ch’io non poss’ ire al fondo di mia promessa, | che io non posso astenermi dal mantenere la mia promessa, |
| così com’ella sa, la dolce lingua. | così come sa fare la dolce lingua. |
| Perché lo spirito che pria parlommi, | Perché lo spirito che prima mi parlò, |
| nel seder e nel mirar fa più assai | nello stare fermo e nel guardare fa molto di più |
| la colpa dell’invidia, e quindi viene | per espiare la colpa dell’invidia, e da qui proviene |
| il martiro a purgar; però quindi | il martirio che purifica; perciò quindi |
| fuor li sospiri, e ‘l duol che si decerne | uscivano da lui i sospiri, e il dolore che si percepisce |
| contra miglior voler voler mal pugna. | contro un miglior volere un cattivo volere lotta male. |
| Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo | Ma voi prendete l’esca, così che l’amo |
| de l’antico avversaro a sé vi tira; | dell’antico avversario a sé vi attira; |
| e però poco val freno o richiamo. | e perciò poco valgono freno o richiamo. |
| Chiamavi ‘l cielo e ‘ntorno vi si gira, | Vi chiama il cielo e intorno a voi si muove, |
| mostrandovi le sue bellezze etterne, | mostrandovi le sue bellezze eterne, |
| e l’occhio vostro pur a terra mira; | e il vostro occhio guarda solo a terra; |
| onde vi batte chi tutto discerne». | per cui vi punisce colui che tutto vede e giudica». |
| Come quando colombi si radunano | Come quando i colombi si riuniscono |
| a la pastura, queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, | al pasto, quieti, senza mostrare la solita alterigia, |
| se cosa appare ond’elli abbian paura, | se appare qualcosa per cui essi provino paura, |
| subitamente lasciano star l’esca, | subito abbandonano il cibo, |
| perch’assaliti son da maggior cura; | perché sono assaliti da una preoccupazione maggiore; |
| così vid’io quella masnada fresca | così vidi io quella schiera nuova |
| lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, | abbandonare il canto, e fuggire verso la costa del monte, |
| com’om che va, né sa dove rïesca: | come una persona che va, ma non sa dove arriverà: |
| né la nostra partita fu men tosta. | né la nostra partenza fu meno rapida. |
Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il canto si apre con una precisa indicazione astronomica che colloca l’azione nel pomeriggio del secondo giorno di viaggio nel Purgatorio. Dante utilizza un complesso riferimento astronomico per calcolare l’ora: è il vespro nel Purgatorio (circa le tre pomeridiane), mentre a Gerusalemme è mezzanotte.
Il sole, già inclinato verso occidente, ferisce gli occhi dei pellegrini, costringendo Dante a ripararsi con le mani. Questo particolare astronomico non è puramente descrittivo ma simboleggia il progressivo avvicinamento alla luce divina.
Mentre procedono, i due viandanti incontrano un angelo dalla luce abbagliante, tanto intensa che Dante è costretto a schermarsi gli occhi. L’angelo, manifestazione della grazia divina, cancella dalla fronte di Dante una delle sette P (simbolo dei peccati capitali) precedentemente incise dall’angelo portinaio.
Questo atto simbolico rappresenta l’avvenuta purificazione dal peccato dell’invidia, mentre la beatitudine pronunciata dall’angelo («Beati misericordes») introduce già la virtù contraria all’ira, che sarà espiata nella cornice successiva.
Dopo l’incontro con l’angelo, Virgilio e Dante iniziano a salire verso la terza cornice, quella degli iracondi. Durante l’ascesa, Dante esprime un dubbio riguardo alle parole udite nel canto precedente da Guido del Duca: cosa significano i termini «divieto» e «consorte»? Questo interrogativo offre a Virgilio l’occasione per una fondamentale lezione sulla natura dell’amore come principio di ogni azione umana.
Virgilio spiega che tutti i beni terreni, quando sono condivisi tra più persone, diminuiscono di valore per ciascun possessore, generando invidia. Al contrario, i beni spirituali e celesti aumentano di valore quanto più sono condivisi, poiché l’amore divino si moltiplica nella condivisione, come la luce che, riflettendosi su più superfici, non perde intensità ma si intensifica.
Questa distinzione tra beni materiali e spirituali costituisce un elemento cardine della concezione dantesca dell’amore e della felicità umana.
Il canto occupa una posizione strategica nella struttura del Purgatorio: segna il passaggio dai peccati derivanti dall’amore rivolto al male altrui (superbia, invidia, ira) ai peccati derivanti dall’amore eccessivo per i beni terreni (accidia, avarizia, gola, lussuria). La transizione è sottolineata dal discorso di Virgilio sull’amore, che introduce il tema centrale dei canti successivi.
La struttura narrativa del canto riflette un movimento ascendente tipico del Purgatorio: dall’incontro con l’angelo che purifica, attraverso l’insegnamento dottrinale di Virgilio, fino alle visioni estatiche che mostrano esempi di virtù. Questo movimento rappresenta il processo stesso della purificazione dell’anima, che procede attraverso la cancellazione del peccato, la comprensione intellettuale e l’assimilazione di modelli virtuosi.
Canto 15 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XV del Purgatorio, Dante costruisce un sistema di personaggi essenziali, ciascuno con un preciso valore simbolico e una funzione narrativa nel percorso di purificazione del pellegrino.
Dante personaggio riveste il duplice ruolo di protagonista e simbolo dell’umanità in cammino verso la salvezza. In questo canto, lo vediamo mentre affronta il passaggio dalla cornice degli invidiosi a quella degli iracondi, manifestando una crescente consapevolezza morale. La sua reazione di fronte all’angelo – “sovra miei occhi fece schermo de le sue mani” – evidenzia il suo stato di imperfezione, ancora inadeguato a sostenere direttamente la luce divina.
Le domande che rivolge a Virgilio sulle parole di Guido del Duca dimostrano la sua ansia conoscitiva e la progressiva maturazione spirituale.
Virgilio conferma il suo ruolo di guida razionale e maestro dottrinale. In questo canto, la sua funzione pedagogica raggiunge uno dei momenti più alti dell’intero poema quando spiega la natura dell’amore come principio fondamentale di ogni comportamento umano. Attraverso un discorso filosoficamente elaborato, Virgilio illustra come l’amore possa essere diretto verso il bene o verso il male, anticipando concetti che strutturano l’intero sistema morale del Purgatorio.
La sua spiegazione rappresenta il massimo sforzo della ragione umana per comprendere le verità divine, pur riconoscendone i limiti intrinseci.
L’angelo della misericordia appare come figura luminosa e abbagliante, simbolo della grazia divina che purifica. Il suo splendore, impossibile da sostenere direttamente per gli occhi mortali di Dante, rappresenta allegoricamente la distanza tra perfezione divina e imperfezione umana. Il gesto di cancellare una delle sette P dalla fronte del pellegrino visualizza concretamente il processo di purificazione dai peccati capitali.
Le sue parole “Beati misericordes” (Beati i misericordiosi) stabiliscono un ponte tematico tra la purificazione dall’invidia e la preparazione per affrontare l’ira.
I personaggi delle visioni esemplari – Maria che ritrova Gesù nel tempio, Pisistrato che perdona chi ha baciato pubblicamente la loro figlia, e Santo Stefano che perdona i suoi lapidatori – pur non interagendo direttamente con Dante, svolgono una funzione didattica fondamentale. Rappresentano modelli di mansuetudine contrapposti all’ira, mostrando come la virtù si manifesti attraverso comportamenti concreti.
La loro disposizione tripartita (figura biblica, figura storica, figura biblica) riflette la struttura tipica degli esempi virtuosi nelle cornici purgatoriali.
I personaggi del Canto XV, dunque, non sono semplici attori di una narrazione, ma elementi di un complesso sistema allegorico che rappresenta l’evoluzione morale dell’anima nel suo percorso verso la perfezione. Attraverso le loro interazioni e funzioni simboliche, Dante trasmette al lettore un messaggio di trasformazione interiore e di progressiva elevazione spirituale.
Analisi del Canto 15 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il Canto 15 del Purgatorio si distingue per una struttura narrativa tripartita che sviluppa temi fondamentali nel percorso di purificazione dantesco. La prima parte introduce l’incontro con l’angelo che cancella una delle P dalla fronte di Dante, simboleggiando la progressiva liberazione dai peccati capitali. Questa sezione è caratterizzata da precise indicazioni astronomiche che ancorano l’esperienza ultraterrena a una dimensione concreta e misurabile, tipica dello stile dantesco che unisce trascendenza e immanenza.
Il tema centrale del canto emerge nella seconda parte, dove Virgilio espone la sua dottrina sull’amore, fondamento teoretico dell’intero Purgatorio. L’amore viene presentato come forza motrice universale che può manifestarsi in due forme: l’amore naturale, istintivo e sempre diretto verso il bene, e l’amore d’animo, frutto della scelta libera e quindi potenzialmente soggetto a errore. Questa distinzione è cruciale per comprendere la struttura morale del Purgatorio, dove tutti i peccati sono interpretati come forme distorte di amore.
Particolarmente significativa è l’analisi del concetto di beni spirituali contrapposti ai beni materiali: mentre questi ultimi diminuiscono quando condivisi generando invidia, i beni celesti si moltiplicano con la partecipazione. Virgilio afferma: “Perché s’appuntano i vostri disiri / dove per compagnia parte si scema, / invidia move il mantaco a’ sospiri”, illustrando come l’attaccamento ai beni terreni generi conflitto e rivalità.
È proprio questo attaccamento distorto che causa l’ira, peccato purificato nella terza cornice.
La terza parte del canto presenta una serie di visioni estatiche di esempi di mansuetudine che contrastano l’ira. Attraverso queste visioni – Maria che ritrova Gesù nel tempio, Pisistrato che risponde con mitezza alla moglie che chiedeva vendetta, e Santo Stefano che perdona i suoi lapidatori – Dante costruisce un trittico esemplare che illustra l’antidoto spirituale all’ira: la mansuetudine come virtù cristiana fondamentale.
Sul piano narrativo, il canto rappresenta un momento di transizione fondamentale nel viaggio purgatoriale. Se nei gironi precedenti Dante ha affrontato peccati legati all’amore rivolto al male altrui (superbia e invidia), ora si confronta con l’ira, ultimo dei peccati che derivano dall’odio. Questa progressione non è casuale ma riflette un percorso ascetico strutturato secondo la teologia morale medievale, dove la purificazione procede dai peccati più gravi verso quelli meno gravi.
La narrazione è arricchita da un sistema di corrispondenze simboliche tra luce e ombra: la luminosità abbagliante dell’angelo contrasta con il fumo denso che caratterizza la cornice degli iracondi, rappresentando visivamente l’opposizione tra chiarezza razionale e offuscamento provocato dall’ira. Questo gioco di contrasti luminosi riflette la concezione medievale dell’ira come “accecamento” della ragione, tema ripreso da Dante anche a livello lessicale con termini appartenenti al campo semantico della visione.
Particolarmente rilevante è anche il sottotesto politico del canto, dove la mansuetudine non è solo virtù individuale ma anche civile. L’esempio di Pisistrato, figura politica che rifiuta la vendetta privata privilegiando la giustizia pubblica, richiama l’ideale dantesco di governo illuminato, capace di temperare le passioni individuali con la ragione collettiva. Questo aspetto collega il canto alla più ampia riflessione politica della Commedia sulla necessità di un ordine terreno guidato dalla ragione.
L’intreccio tra dimensione individuale e collettiva, tra esperienza mistica e insegnamento razionale, tra narrazione e dottrina, fa del Canto 15 un momento di sintesi fondamentale nel percorso purgatoriale, dove il viaggio fisico di Dante si rivela sempre più chiaramente come allegoria di una trasformazione spirituale universale che coinvolge ogni lettore.
Figure retoriche nel Canto 15 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto 15 del Purgatorio è caratterizzato da un uso sapiente di figure retoriche che arricchiscono il testo sia dal punto di vista stilistico che concettuale, rendendo accessibili concetti teologici complessi attraverso immagini concrete e vivide.
Le similitudini giocano un ruolo fondamentale nell’apertura del canto. Nei primi versi, Dante paragona il movimento del sole a quello di un fanciullo che scherza: “Quanto tra l’ultimar de l’ora terza / e ‘l principio del dì par de la spera / che sempre a guisa di fanciullo scherza” (vv. 1-3). Questa similitudine umanizza il sole, conferendogli vitalità e imprevedibilità, e al contempo permette al lettore di visualizzare concretamente il calcolo astronomico.
Particolarmente significativa è anche la similitudine della luce riflessa (vv. 16-21), dove il poeta paragona i raggi solari che colpiscono i pellegrini alla luce che rimbalza quando incontra l’acqua o uno specchio. Questa immagine non è puramente decorativa, ma anticipa il tema centrale dell’amore che si moltiplica nella condivisione, come la luce che non perde intensità quando viene riflessa.
Le metafore abbondano nel discorso dottrinale di Virgilio. L’amore viene metaforicamente presentato come un “seme” (v. 76) da cui possono germogliare sia comportamenti virtuosi che peccaminosi. Questa metafora agricola sottolinea la natura potenziale dell’amore, che necessita di essere correttamente indirizzato.
Significativa è anche la metafora del “mantaco” (mantice, v. 51) che l’invidia muove per alimentare i sospiri di dolore, rendendo materiale e visibile un sentimento astratto.
L’inversione sintattica o anastrofe caratterizza diversi passaggi, come nei versi: “Che volse dir lo spirto di Romagna / e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?” (vv. 44-45). Questa figura retorica enfatizza l’ansia conoscitiva di Dante e crea una tensione che prepara la risposta illuminante di Virgilio.
Il linguaggio allegorico permea l’intero canto. L’angelo dalla luminosità accecante rappresenta allegoricamente l’inaccessibilità della verità divina alla sola ragione umana, mentre il fumo denso che avvolge gli iracondi simboleggia l’offuscamento del giudizio causato dall’ira.
Dante utilizza anche efficaci antitesi per contrapporre concetti opposti, come nella distinzione tra beni materiali che “quanto più vi son più gente v’asseta” (v. 58) e beni spirituali che si moltiplicano con la condivisione. Questa contrapposizione sottolinea la differenza qualitativa tra amore terreno e amore divino.
Dal punto di vista stilistico, è notevole il passaggio dal periodare complesso e articolato nelle parti dottrinali (il discorso di Virgilio sull’amore) a una sintassi più lineare e paratattica nelle sezioni narrative (le visioni di mansuetudine). Questa variazione stilistica adatta il linguaggio ai diversi contenuti, facilitando la comprensione di concetti teologici attraverso un uso sapiente di figure retoriche che concretizzano l’astratto e rendono sensibile il divino.
Temi principali del 15° canto del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto 15 del Purgatorio sviluppa diversi temi centrali per la teologia morale dantesca, rappresentando un momento cruciale nell’evoluzione spirituale del pellegrino. Il primo tema fondamentale è quello dell’ira come distorsione dell’amore naturale. Dante presenta l’ira non come semplice peccato, ma come perversione di un sentimento positivo che, deviato dalla sua finalità originaria, si trasforma in desiderio di male verso il prossimo.
Questa concezione si inserisce nella dottrina generale del Purgatorio, dove ogni vizio rappresenta una forma di amore mal diretto.
Particolarmente rilevante è il tema della mansuetudine come virtù opposta all’ira. Le tre visioni esemplari che Dante riceve – Maria che ritrova Gesù nel tempio, Pisistrato che perdona chi ha baciato sua figlia, Santo Stefano che perdona i suoi lapidatori – illustrano tre diverse manifestazioni di questa virtù. La scelta di questi esempi non è casuale: rappresentano rispettivamente la mansuetudine in ambito familiare (Maria), politico (Pisistrato) e religioso (Stefano), coprendo così tutte le sfere dell’esperienza umana.
La loro sequenza suggerisce un crescendo di difficoltà, culminando nel perdono cristiano dei propri carnefici, massima espressione della mansuetudine evangelica.
Centrale nel canto è il discorso di Virgilio sull’amore come fondamento di ogni azione umana. Questa lezione, collocata strategicamente al centro del canto, riveste un’importanza strutturale per l’intera cantica: l’amore è presentato come la forza che muove l’universo morale, capace di generare sia virtù che vizi a seconda della sua direzione e misura.
La distinzione tra “amore naturale” (sempre privo di colpa) e “amore d’animo” (soggetto al libero arbitrio) introduce la responsabilità morale dell’individuo nelle sue scelte affettive.
Il tema della carità come amore condiviso che si moltiplica emerge chiaramente quando Virgilio spiega a Dante il significato delle parole di Guido del Duca nel canto precedente: “Perché poni il cuore a quei ben che non possono essere condivisi?”. Mentre i beni materiali diminuiscono quando vengono suddivisi tra più persone, i beni spirituali paradossalmente aumentano con la condivisione. Questa distinzione fondamentale rappresenta la chiave per comprendere la differenza tra l’economia terrena, basata sulla scarsità, e l’economia celeste, fondata sull’abbondanza.
Un altro tema rilevante è quello della purificazione progressiva dell’anima. La cancellazione della seconda P dalla fronte di Dante simboleggia la liberazione dal peccato dell’invidia, mentre il passaggio alla terza cornice rappresenta l’inizio della purificazione dall’ira. Questo processo graduale di ascensione morale riflette la concezione dantesca della redenzione come cammino progressivo, dove ogni tappa è necessaria per avvicinarsi alla perfezione spirituale.
Il contrasto tra percezione umana e realtà divina viene illustrato attraverso l’immagine dell’angelo così luminoso che Dante deve distogliere lo sguardo. Questa esperienza sensoriale simboleggia i limiti della conoscenza umana di fronte alle verità trascendenti, tema ricorrente nella Commedia. La necessità di “abbassare gli occhi” rappresenta l’umiltà intellettuale richiesta per accedere alla saggezza superiore.
Il tema del perdono come strumento di redenzione attraversa tutto il canto, dalle visioni esemplari alla spiegazione teorica dell’amore. Dante suggerisce che il superamento dell’ira passa necessariamente attraverso la capacità di perdonare, virtù che richiede non solo controllo delle emozioni ma anche un’autentica trasformazione interiore. È significativo che gli esempi di mansuetudine culminino con Santo Stefano che, morendo, perdona i suoi assassini, riecheggiando il perdono di Cristo sulla croce.
Il Canto 15 del Purgatorio in pillole
| Aspetto | Punti principali | Elementi simbolici e didattici |
|---|---|---|
| Posizione | Terza cornice del Purgatorio (iracondi) | Rappresenta il passaggio dai peccati derivanti dall’amore rivolto al male altrui verso quelli dell’amore eccessivo per i beni terreni |
| Tempo narrativo | Pomeriggio del secondo giorno di viaggio nel Purgatorio | La precisa scansione temporale e i riferimenti astronomici sottolineano l’ordine divino dell’universo |
| Struttura | Tre parti: incontro con l’angelo, spiegazione sull’amore, visioni di mansuetudine | La struttura tripartita riflette il percorso di purificazione e apprendimento morale |
| Personaggi | Dante pellegrino, Virgilio, angelo della misericordia | Rappresentano rispettivamente l’umanità in cammino, la ragione umana e la grazia divina |
| Temi centrali | Natura dell’amore, contrasto tra ira e mansuetudine, differenza tra beni terreni e spirituali | Il canto esplora come l’amore sia alla base di tutte le azioni umane e debba essere guidato dalla ragione |
| Figure retoriche | Similitudini astronomiche, metafora dell’amore come seme, costruzioni sintattiche elaborate | Dante usa il linguaggio poetico per rendere accessibili complessi concetti teologici |
| Visioni di mansuetudine | Maria che ritrova Gesù, Pisistrato che perdona, Santo Stefano martire | Esempi di comportamenti virtuosi da seguire per contrastare l’ira |
| Messaggio morale | L’amore ben diretto conduce alla virtù, mentre quello distorto al peccato | L’intero canto è un insegnamento sulla necessità di purificare le passioni per ascendere spiritualmente |