Divina Commedia, Canto 16 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 16 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XVI del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel percorso purgatoriale di Dante, collocandosi nella terza cornice dove si espiano i peccati dell'ira.

Il Canto XVI del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel percorso purgatoriale di Dante, collocandosi nella terza cornice dove si espiano i peccati dell’ira. In questo contesto, il Poeta incontra Marco Lombardo con cui affronta tematiche fondamentali quali il libero arbitrio e la distinzione tra potere temporale e spirituale.

Dante e Virgilio si trovano avvolti in un denso fumo che simboleggia l’accecamento provocato dall’ira in vita. Questa nebbia offuscante non è solo un elemento scenografico, ma anche una potente metafora della confusione morale che regna nel mondo terreno. L’atmosfera cupa e opprimente fa da sfondo perfetto per la meditazione politico-filosofica che caratterizza l’intero canto.

Indice:

Canto 16 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Buio d’inferno e di notte privata
d’ogne pianeto, sotto pover cielo,
quant’esser può di nuvol tenebrata,
L’oscurità dell’inferno e della notte priva
di ogni stella, sotto un cielo povero di luce,
quanto più può essere oscurata dalle nuvole,
non fece al viso mio sì grossa velo
come quel fummo ch’ivi ci coperse,
né a sentir di così aspro pelo,
non creò davanti ai miei occhi un velo così spesso
come quel fumo che lì ci avvolse,
né di una consistenza così aspra da sopportare,
che l’occhio stare aperto non sofferse;
onde la scorta mia saputa e fida
mi s’accostò e l’omero m’offerse.
tanto che l’occhio non riusciva a restare aperto;
perciò la mia guida sapiente e fidata
mi si avvicinò e mi offrì la spalla.
Sì come cieco va dietro a sua guida
per non smarrirsi e per non dar di cozzo
in cosa che ‘l molesti, o forse ancida,
Così come un cieco segue la sua guida
per non perdersi e per non urtare
contro qualcosa che lo danneggi o forse lo uccida,
m’andava io per l’aere amaro e sozzo,
ascoltando il mio duca che diceva
pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo».
io procedevo attraverso quell’aria amara e sozza,
ascoltando la mia guida che continuava a dirmi:
«Bada di non separarti da me».
Io sentia voci, e ciascuna pareva
pregar per pace e per misericordia
l’Agnel di Dio che le peccata leva.
Io sentivo voci, e ciascuna sembrava
pregare per la pace e per la misericordia
l’Agnello di Dio che toglie i peccati.
Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia;
una parola in tutte era e un modo,
sì che parea tra esse ogne concordia.
‘Agnus Dei’ erano proprio le loro invocazioni iniziali;
una sola parola e un solo modo era in tutte,
così che sembrava esserci tra loro perfetta armonia.
«Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?»,
diss’io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi,
e d’iracundia van solvendo il nodo».
«Quelli che sento sono spiriti, maestro?»,
dissi io. Ed egli a me: «Tu hai compreso bene,
e stanno sciogliendo il nodo dell’ira».
«Or tu chi se’ che ‘l nostro fummo fendi,
e di noi parli pur come se tue
partissi ancor lo tempo per calendi?».
«Ma tu chi sei che tagli il nostro fumo,
e parli di noi proprio come se tu
dividessi ancora il tempo in mesi terreni?».
Così per una voce detto fue;
onde ‘l maestro mio disse: «Rispondi,
e domanda se quinci si va sùe».
Così fu detto da una voce;
per cui il mio maestro disse: «Rispondi,
e chiedi se di qui si può salire verso l’alto».
E io: «O creatura che ti mondi
per tornar bella a colui che ti fece,
maraviglia udirai, se mi secondi».
E io: «O creatura che ti purifichi
per tornare bella a colui che ti ha creata,
sentirai cose meravigliose, se mi ascolti».
«Io ti seguirò quanto mi lece»,
rispuose; «e se veder fummo non lascia,
l’udir ci terrà giunti in quella vece».
«Ti seguirò per quanto mi è concesso»,
rispose; «e se il fumo non ci permette di vederci,
l’udito ci terrà uniti in sostituzione della vista».
Allora incominciai: «Con quella fascia
che la morte dissolve men vo suso,
e venni qui per l’infernale ambascia.
Allora iniziai: «Con quel corpo
che solo la morte dissolve sto salendo verso l’alto,
e sono arrivato qui attraverso le pene infernali.
E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso,
tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte
per modo tutto fuor del moderno uso,
E se Dio mi ha accolto nella sua grazia,
tanto da voler che io veda la sua corte
in un modo del tutto inusuale per i nostri tempi,
non mi celar chi fosti anzi la morte,
ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco;
e tue parole fier le nostre scorte».
non nascondermi chi fosti prima della morte,
ma dimmelo, e dimmi se sto andando nella giusta direzione;
e le tue parole saranno la nostra guida».
Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!»,
mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate,
lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui.
Un profondo sospiro, che il dolore strinse in un «ahimè!»,
emise prima; e poi iniziò: «Fratello,
il mondo è cieco, e tu vieni proprio da lì.
Voi che vivete ogne cagion recate
pur suso al cielo, pur come se tutto
movesse seco di necessitate.
Voi che vivete attribuite ogni causa
solamente al cielo, come se tutto
si muovesse con esso per necessità.
Se così fosse, in voi fora distrutto
libero arbitrio, e non fora giustizia
per ben letizia, e per male aver lutto.
Se così fosse, in voi sarebbe distrutto
il libero arbitrio, e non sarebbe giusto
gioire per il bene e soffrire per il male.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
non dico tutti, ma, posto ch’i’ ‘l dica,
lume v’è dato a bene e a malizia,
Il cielo inizia i vostri movimenti;
non dico tutti, ma, posto che lo dica,
vi è data la luce per distinguere il bene e il male,
e libero voler; che, se fatica
ne le prime battaglie col ciel dura,
poi vince tutto, se ben si notrica.
e il libero volere; che, se fatica
nelle prime battaglie con le influenze celesti,
poi vince su tutto, se ben si nutre.
A maggior forza e a miglior natura
liberi soggiacete; e quella cria
la mente in voi, che ‘l ciel non ha in sua cura.
A una forza maggiore e a una natura migliore
liberamente soggiacete; e quella crea
la mente in voi, che il cielo non ha in suo potere.
Però, se ‘l mondo presente disvia,
in voi è la cagione, in voi si cheggia;
e io te ne sarò or vera spia.
Perciò, se il mondo presente devia dal retto cammino,
in voi è la causa, in voi si cerchi;
e io ora te ne sarò una vera testimonianza.
Esce di mano a lui che la vagheggia
prima che sia, a guisa di fanciulla
che piangendo e ridendo pargoleggia,
Esce dalle mani di colui che la contempla
prima che esista, a modo di una fanciulla
che piangendo e ridendo si comporta infantilmente,
l’anima semplicetta che sa nulla,
salvo che, mossa da lieto fattore,
volontier torna a ciò che la trastulla.
l’anima semplice che non sa nulla,
se non che, mossa dal creatore gioioso,
volentieri torna a ciò che le dà piacere.
Di picciol bene in pria sente sapore;
quivi s’inganna, e dietro ad esso corre,
se guida o fren non torce suo amore.
Dapprima sente il sapore di un piccolo bene;
lì si inganna, e dietro ad esso corre,
se una guida o un freno non distoglie il suo amore.
Onde convenne legge per fren porre;
convenne rege aver, che discernesse
de la vera cittade almen la torre.
Perciò fu necessario imporre la legge come freno;
fu necessario avere un re, che discernesse
della vera città almeno la torre.
Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?
Nullo, però che ‘l pastor che procede,
rugumar può, ma non ha l’unghie fesse;
Le leggi ci sono, ma chi le applica?
Nessuno, perché il pastore che guida,
può ruminare, ma non ha l’unghia fessa;
per che la gente, che sua guida vede
pur a quel ben fedire ond’ella è ghiotta,
di quel si pasce, e più oltre non chiede.
per cui la gente, che vede la sua guida
mirare proprio a quel bene di cui è avida,
di quello si nutre, e non chiede di più.
Ben puoi veder che la mala condotta
è la cagion che ‘l mondo ha fatto reo,
e non natura che ‘n voi sia corrotta.
Ben puoi vedere che la cattiva guida
è la causa che ha reso malvagio il mondo,
e non la natura che in voi sia corrotta.
Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
Un tempo Roma, che rese buono il mondo,
aveva due soli, che l’una e l’altra via
facevano vedere, quella del mondo e quella di Dio.
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
per viva forza mal convien che vada;
L’uno ha spento l’altro; ed è unita la spada
con il pastorale, e l’uno con l’altro insieme
per viva forza è inevitabile che vada male;
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
ch’ogn’erba si conosce per lo seme.
perché, uniti, l’uno non teme l’altro:
se non mi credi, osserva la spiga,
che ogni erba si riconosce dal seme.
In sul paese ch’Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
prima che Federigo avesse briga;
Nel territorio che l’Adige e il Po bagnano,
si soleva trovare valore e cortesia,
prima che Federico avesse contrasti;
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna,
di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
ora si può tranquillamente passare di lì
per chiunque evitasse, per vergogna,
di parlare con i buoni o di avvicinarsi loro.
Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l’antica età la nova, e par lor tardo
che Dio a miglior vita li ripogna:
Ci sono ancora tre vecchi in cui
l’antica età rimprovera la nuova, e sembra loro tardi
che Dio li riporti a miglior vita:
Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma,
francescamente, il semplice Lombardo.
Corrado da Palazzo e il buon Gherardo
e Guido da Castel, che meglio si chiama,
alla maniera francese, il semplice Lombardo.
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
cade nel fango, e sé brutta e la soma».
Di’ ormai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due poteri,
cade nel fango, e sporca sé e il peso che porta».
«O Marco mio», diss’io, «bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
li figli di Levì furono essenti.
«O mio Marco», dissi io, «argomenti bene;
e ora comprendo perché dall’eredità
i figli di Levi furono esenti.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
in rimprovèro del secol selvaggio?».
Ma quale Gherardo è quello che tu dici
che è rimasto, come saggio, della generazione estinta,
a rimprovero del secolo selvaggio?».
«O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta»,
rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
par che del buon Gherardo nulla senta.
«O il tuo parlare m’inganna, o mi mette alla prova»,
mi rispose; «perché, parlandomi in toscano,
sembra che tu non sappia nulla del buon Gherardo.
Per altro sopranome io nol conosco,
s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
Con altro soprannome io non lo conosco,
se non lo prendessi da sua figlia Gaia.
Dio sia con voi, ché non vengo più con voi.
Vedi l’albor che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi
l’angelo è ivi, prima ch’io li paia».
Vedi il chiarore che attraverso il fumo risplende
già biancheggiare, e mi conviene partire
(l’angelo è lì) prima che io gli appaia».
Così tornò, e più non volle udirmi.Così tornò indietro, e non volle più ascoltarmi.

Canto 16 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Centralmente posizionato nella Divina Commedia, il Canto XVI diventa lo spazio ideale per articolare teorie dantesche fondamentali. Attraverso il dialogo con Marco Lombardo, Dante esplora l’importante questione dell’origine della corruzione del mondo, distinguendo tra le influenze celesti e la responsabilità umana.

Il tema della libertà di scelta e della separazione dei poteri emerge con forza, anticipando concetti che saranno pienamente sviluppati nel De Monarchia, e rivelando la profonda visione politica dell’autore sul rapporto tra Chiesa e Impero.

Il sedicesimo canto del Purgatorio si svolge nella terza cornice, dove vengono puniti gli iracondi, avvolti in un denso fumo che simboleggia l’accecamento provocato dall’ira durante la vita terrena. Questo ambiente opprimente costringe Dante a procedere guidato dalla mano di Virgilio, incapace di vedere oltre pochi passi. La condizione fisica diventa immediatamente metafora della cecità morale causata dalle passioni, in particolare dall’ira che offusca la ragione.

Il canto può essere suddiviso in tre sezioni principali. Nella prima parte (versi 1-45), viene descritta l’atmosfera soffocante della terza cornice, dove Dante e Virgilio ascoltano le anime degli iracondi che recitano l’Agnus Dei, preghiera che invoca la pace divina in contrasto con l’ira che caratterizzò la loro vita terrena. In questo contesto avviene il primo incontro con Marco Lombardo, personaggio storico ma poco documentato, che riconosce Dante come vivente.

Nella seconda parte (versi 46-114), si sviluppa il dialogo tra Dante e Marco Lombardo sul tema della corruzione del mondo e la sua origine. Dante chiede se la causa del male nel mondo sia da attribuire agli astri (determinismo astrologico) o alla natura umana.

Marco risponde con un’appassionata difesa del libero arbitrio, spiegando che gli influssi celesti possono inclinare l’animo umano, ma non determinarne le scelte morali: “Se così fosse, in voi fora distrutto / libero arbitrio, e non fora giustizia / per ben letizia, e per male aver lutto” (vv. 70-72).

Nella terza parte (versi 115-145), Marco Lombardo espone la sua visione politica, elaborando la celebre teoria dei “due soli”. Afferma che in passato Roma aveva “due soli” – l’Impero e la Chiesa – che illuminavano rispettivamente la via terrena e quella spirituale. La crisi morale contemporanea deriva dalla confusione tra questi due poteri: “L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada / col pasturale” (vv. 109-110).

La Chiesa, assumendo potere temporale, ha perso la sua purezza spirituale, mentre l’autorità imperiale è stata indebolita.

Il canto si conclude con l’uscita di Dante e Virgilio dalla densa nube di fumo, simbolo del superamento dell’offuscamento mentale attraverso la comprensione delle verità filosofiche e politiche esposte da Marco Lombardo. Questa progressione dalla tenebra alla luce riflette il percorso conoscitivo di Dante, che acquisisce una più profonda consapevolezza delle cause della corruzione umana e della necessità di un ordine politico giusto, basato sulla chiara separazione tra potere temporale e spirituale.

Canto 16 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Nel sedicesimo canto del Purgatorio dantesco incontriamo pochi ma significativi personaggi che contribuiscono allo sviluppo narrativo e tematico di questa importante sezione della Commedia.

Dante pellegrino si muove nella terza cornice del Purgatorio, quella degli iracondi, avvolto in un denso fumo che rappresenta simbolicamente l’accecamento provocato dall’ira. In questa situazione di disorientamento, il poeta si affida completamente alla guida di Virgilio, che lo conduce tenendolo per mano attraverso l’oscurità.

Il rapporto tra i due sottolinea l’importanza della ragione (rappresentata da Virgilio) come guida necessaria per superare le passioni che offuscano l’intelletto.

Il personaggio più rilevante del canto è indubbiamente Marco Lombardo, figura storica sulla quale abbiamo limitate informazioni biografiche. Probabilmente fu un gentiluomo veneziano o lombardo vissuto nel XIII secolo, noto per la sua saggezza e liberalità. Dante lo sceglie come portavoce di alcune delle sue più importanti riflessioni filosofiche e politiche, affidandogli il compito di spiegare la causa della corruzione del mondo e il rapporto tra libero arbitrio e influenze celesti.

Marco Lombardo rappresenta la saggezza politica e morale, e la sua condizione di anima purgante che espia il peccato dell’ira conferisce maggiore autorevolezza alle sue parole. La sua esperienza personale di purificazione lo qualifica per guidare Dante nella comprensione della natura umana e della corruzione sociale.

Il suo discorso pacato e razionale contrasta significativamente con la natura impetuosa dell’ira, dimostrando il percorso di redenzione già compiuto.

Insieme a Marco, nel fumo della terza cornice, si trovano altre anime di iracondi che procedono in processione recitando l’Agnus Dei, preghiera che invoca la pace e la misericordia divina. Queste anime formano un coro collettivo che rappresenta la comunità dei penitenti. La loro preghiera, che chiede pace («pace, pace, pace»), contrasta con la natura violenta dell’ira che hanno manifestato in vita e simboleggia il processo di purificazione in corso.

Un elemento interessante è la presenza implicita di figure storiche menzionate nel discorso di Marco Lombardo: l’imperatore Federico II e papa Gregorio VII, emblemi del conflitto tra potere temporale e spirituale che costituisce uno dei temi centrali del canto. Pur non comparendo direttamente nella scena, questi personaggi storici contribuiscono a contestualizzare la riflessione politica e a darle concretezza storica.

Nel complesso, i personaggi del Canto XVI creano un delicato equilibrio tra narrazione e dissertazione filosofica, permettendo a Dante autore di sviluppare alcuni dei temi più importanti dell’intero poema attraverso incontri personali carichi di significato allegorico.

Analisi del Canto 16 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto XVI del Purgatorio presenta una struttura narrativa tripartita che combina magistralmente elementi descrittivi, dialogici e dottrinali. Nella prima parte (vv. 1-45), Dante costruisce il drammatico scenario della terza cornice attraverso la potente descrizione del fumo accecante che avvolge i pellegrini. La seconda parte (vv. 46-114) è dominata dal dialogo con Marco Lombardo sulla corruzione del mondo, mentre la terza (vv. 115-145) si concentra sulla necessità di separare potere spirituale e temporale.

La narrazione si apre con un’immagine di straordinaria efficacia: il buio denso e opprimente del fumo, paragonato a una «notte privata d’ogne pianeto». Questa scelta narrativa non è meramente descrittiva, ma introduce immediatamente la dimensione allegorica del canto.

Il fumo rappresenta infatti l’accecamento provocato dall’ira, ma anche la confusione morale che impedisce all’umanità di distinguere il bene dal male.

Particolarmente rilevante è l’evoluzione del dialogo tra Dante e Marco Lombardo. La conversazione si sviluppa secondo una progressione logica che parte da una domanda fondamentale – qual è l’origine della corruzione del mondo? – per arrivare a una risposta articolata che tocca i pilastri del pensiero dantesco.

Questa tecnica narrativa permette al poeta di trasformare una questione filosofica astratta in un vivido scambio umano, rendendo accessibili concetti complessi.

La centralità del tema del libero arbitrio emerge con straordinaria chiarezza nei versi 67-78. Marco Lombardo respinge con fermezza la tesi del determinismo astrologico: «Voi che vivete ogne cagion recate / pur suso al cielo, pur come se tutto / movesse seco di necessitate». L’uomo non è soggetto a un destino predeterminato dagli astri, ma possiede la libertà di scegliere tra bene e male. Questa affermazione non è solo una posizione teologica, ma il fondamento stesso della giustizia divina e umana.

Parallelamente, il canto sviluppa una profonda riflessione politica, culminando nella teoria dei “due soli” (vv. 106-114). La corruzione della società contemporanea viene attribuita alla confusione tra potere spirituale e temporale: «Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo, / due soli aver, che l’una e l’altra strada / facean vedere, e del mondo e di Deo».

L’immagine dei “due soli” – l’Impero e il Papato – che dovrebbero guidare rispettivamente la vita terrena e spirituale dell’umanità rappresenta la visione politica ideale di Dante, in netta contrapposizione con la realtà storica del suo tempo.

Da notare come questa collocazione del canto, esattamente a metà dell’intero poema, ne sottolinei l’importanza strutturale e concettuale. Il Canto XVI si trova infatti nel punto di equilibrio tra la prima metà del viaggio dantesco e la seconda, simboleggiando il momento cruciale di comprensione e riflessione sul rapporto tra destino e libero arbitrio.

Il valore narrativo del canto è ulteriormente arricchito dall’uso sapiente dei contrasti: luce e ombra, libertà e necessità, ordine ideale e caos reale. Questi elementi contrastanti non sono solo ornamenti stilistici, ma strumenti narrativi che riflettono la tensione centrale tra la condizione corrotta dell’umanità e la possibilità di redenzione attraverso il corretto uso della ragione e della libertà.

Alla fine del canto, l’uscita graduale dal fumo verso la luce rappresenta simbolicamente il percorso conoscitivo compiuto da Dante. La comprensione dei concetti esposti da Marco Lombardo corrisponde a un’illuminazione non solo intellettuale ma anche spirituale, che prepara il poeta al proseguimento del suo cammino di purificazione.

Figure retoriche nel Canto 16 della Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 16 del Purgatorio è caratterizzato da un linguaggio particolarmente ricco di figure retoriche che Dante utilizza per amplificare sia il valore poetico che il significato allegorico del testo. Queste figure non sono semplici ornamenti stilistici, ma strumenti essenziali attraverso cui il poeta veicola i complessi concetti teologici e politici del canto.

Tra le figure più significative troviamo innanzitutto le metafore, elemento centrale della poetica dantesca. Il fumo denso che avvolge la cornice degli iracondi rappresenta metaforicamente l’accecamento provocato dall’ira, che in vita offusca la ragione impedendo di vedere chiaramente la realtà.

Altrettanto potente è la metafora dei “due soli” (v. 107), utilizzata per simboleggiare l’Impero e la Chiesa, le due guide dell’umanità. La “spada” e il “pasturale” (v. 109) diventano metonimie efficaci del potere temporale e di quello spirituale.

Le similitudini abbondano soprattutto nella parte iniziale del canto:

Buio d’inferno e di notte privata / d’ogne pianeto, sotto pover cielo, / quant’esser può di nuvol tenebrata

In questi versi, Dante paragona il fumo della cornice a un’oscurità più fitta di quella infernale, creando un’immagine vivida che amplifica la sensazione di smarrimento. La similitudine si estende per sei versi, costruendo un’immagine stratificata che intensifica l’effetto descrittivo.

L’anafora viene impiegata in diversi passaggi, come nella ripetizione di “se” ai versi 83-84 che sottolinea la condizione ipotetica del ragionamento sul libero arbitrio. Significativa anche l’anafora di “voi” nei versi dedicati alla responsabilità umana, che enfatizza il richiamo diretto all’umanità.

Gli enjambement sono particolarmente frequenti nei versi iniziali (come tra i versi 1-2, 3-4, 5-6), riproducendo poeticamente il movimento faticoso e incerto dei pellegrini nel fumo, e creando un ritmo spezzato che riflette la difficoltà del percorso.

Le antitesi sono fondamentali nel trasmettere i contrasti concettuali al centro del canto: cielo/terra, libertà/determinismo, bene/male, potere spirituale/potere temporale. Particolarmente efficace l’antitesi tra luce e tenebre, che percorre tutto il canto dal buio iniziale fino alla progressiva comprensione filosofica.

Rilevante è anche l’uso dell’apostrofe, come quando Marco Lombardo si rivolge direttamente al mondo contemporaneo: “O gente umana, perché poni ‘l core / là ‘v’è mestier di consorto divieto?” (vv. 83-84), conferendo maggiore intensità drammatica al suo discorso morale.

L’allegoria, figura retorica fondamentale dell’intera Commedia, trova in questo canto una delle sue manifestazioni più potenti: il viaggio fisico attraverso il fumo diventa allegoria del percorso conoscitivo che dall’ignoranza conduce alla verità filosofica.

Le figure retoriche nel Canto 16 non sono quindi meri abbellimenti formali, ma costituiscono la struttura profonda del testo, integrando perfettamente forma e contenuto nell’espressione del pensiero dantesco sulla libertà umana e sull’ordine politico ideale.

Temi principali del 16 canto della Purgatorio della Divina Commedia

Nel XVI canto del Purgatorio, Dante sviluppa alcuni dei temi fondamentali dell’intero poema, posizionandoli strategicamente al centro esatto della Commedia. Questo posizionamento non è casuale: qui vengono affrontate le questioni più profonde della visione teologica, filosofica e politica dell’autore.

Il libero arbitrio emerge come il tema dominante in questo canto. Marco Lombardo lo difende con vigore contro ogni forma di determinismo astrologico: “Se così fosse, in voi fora distrutto / libero arbitrio, e non fora giustizia / per ben letizia, e per male aver lutto“.

Dante, attraverso Marco, sostiene che le influenze celesti possono incidere sulle inclinazioni umane, ma non determinano le scelte morali. Questa concezione permette di salvaguardare sia l’ordine cosmico (influenza degli astri) sia la responsabilità individuale. Il libero arbitrio diventa così il fondamento dell’intero impianto morale della Commedia, giustificando la distribuzione delle anime nei tre regni ultraterreni.

Strettamente connesso a questo è il tema della responsabilità umana nella corruzione del mondo. Marco Lombardo chiarisce che la causa del male non va cercata nelle stelle ma nell’uomo stesso: “se ‘l mondo presente disvia, / in voi è la cagione“.

Questo ribaltamento di prospettiva è rivoluzionario: l’uomo non è vittima passiva di forze esterne, ma artefice del proprio destino morale e sociale.

Particolarmente significativa è la teoria dei due soli, che rappresenta il nucleo della visione politica dantesca. Marco Lombardo illustra come Roma avesse un tempo “due soli” – l’Impero e il Papato – ciascuno destinato a illuminare una delle due vie umane: quella terrena e quella spirituale.

La confusione tra questi due poteri viene identificata come la causa principale della decadenza contemporanea: “la spada col pastorale, e l’un con l’altro insieme / per viva forza mal convien che vada“. Questa teoria, che trova ampio sviluppo nel trattato De Monarchia, offre la soluzione politica alla crisi morale del tempo: una netta separazione tra autorità imperiale e papale, entrambe di origine divina ma con ambiti di competenza distinti.

Il canto affronta inoltre il tema della corruzione ecclesiastica, criticando la tendenza della Chiesa a interferire negli affari temporali: “Di oggimai che la Chiesa di Roma, / per confondere in sé due reggimenti, / cade nel fango, e sé brutta e la soma“.

Questa critica, particolarmente audace considerando il contesto storico, rivela la profonda preoccupazione di Dante per la deriva mondana della Chiesa.

Infine, emerge il tema del buon governo e dell’ordine sociale. Secondo Marco Lombardo, le leggi ci sono ma nessuno le applica (“le leggi son, ma chi pon mano ad esse?“), e manca una guida che mostri la via della virtù. La visione dantesca propone un modello sociale organico in cui ciascuno svolge il proprio ruolo specifico sotto la duplice guida dell’Imperatore e del Papa.

L’attualità di questi temi è sorprendente: la riflessione sulla libertà e sulla responsabilità individuale, sulla separazione dei poteri e sull’etica nella vita pubblica continua a interpellare il lettore contemporaneo. Dante non si limita a elaborare una critica del suo tempo, ma propone una visione universale dell’uomo e della società che trascende il contesto storico medievale, offrendo spunti di riflessione ancora rilevanti nell’epoca moderna.

Il Canto 16 del Purgatorio in pillole

PillolaPunto ChiaveDettaglio
AmbientazioneIl fumo della terza corniceDenso fumo che avvolge Dante e Virgilio, simbolo dell’accecamento provocato dall’ira in vita e della confusione morale del mondo
IncontroMarco LombardoFigura storica ma poco documentata, espone a Dante le tesi fondamentali sulla libertà dell’uomo e sulla corruzione del mondo
Libero ArbitrioRifiuto del determinismo astrologicoGli astri possono influenzare le inclinazioni umane ma non determinano le scelte morali, che rimangono libere; l’uomo è responsabile delle proprie azioni
Teoria dei due soliSeparazione dei poteriRoma aveva due guide: l’Impero (potere temporale) e la Chiesa (potere spirituale). La loro confusione è causa della corruzione morale
Critica politicaCondanna della corruzione ecclesiasticaLa Chiesa, usurpando il potere temporale, ha causato la propria corruzione e quella dell’Impero
StrutturaTre sezioni principali1) Descrizione dell’ambiente fumoso; 2) Dialogo sul libero arbitrio; 3) Spiegazione della teoria dei due poteri
PosizioneCentro esatto della CommediaIl canto occupa una posizione simbolicamente centrale nell’opera, evidenziando l’importanza dei temi trattati
PreghieraAgnus DeiLe anime degli iracondi recitano l’Agnus Dei, preghiera che invoca la pace, in contrasto con l’ira che hanno manifestato in vita

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