Canto 17 dell'inferno della Divina Commedia

Divina Commedia, Canto 17 Inferno: testo, parafrasi e figure retoriche

Nella struttura complessiva della Divina Commedia, il Canto 17 dell’Inferno occupa una posizione strategica, collocandosi esattamente a metà dell’Inferno. La minuziosa descrizione del volo su Gerione, con le sue atmosfere di terrore e vertigine, prepara il lettore all’ingresso nel mondo delle Malebolge, dove vengono puniti coloro che hanno usato l’intelletto per ingannare il prossimo. Tale transizione diventa emblematica del percorso di purificazione del poeta, chiamato ad affrontare e riconoscere forme sempre più sottili e insidiose di male per poter proseguire verso la salvezza.

Indice:

Canto 17 Inferno Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
«Ecco la fiera con la coda aguzza,
che passa i monti e rompe i muri e l’armi!
Ecco colei che tutto ‘l mondo appuzza!».
«Ecco il mostro dalla coda appuntita,
che supera i monti e può abbattere mura e armi!
Ecco colei che diffonde il suo puzzo in tutto il mondo!».
Sì cominciò lo mio duca a parlarmi;
e accennolle che venisse a proda,
vicino al fin d’i passeggiati marmi.
Così cominciò a parlarmi la mia guida;
e fece cenno a quel mostro di avvicinarsi alla riva,
presso l’estremità di quella via lastricata di marmo che avevamo percorso.
E quella sozza imagine di froda
sen venne, e arrivò la testa e ‘l busto,
ma ‘n su la riva non trasse la coda.
E quella sozza immagine della frode
si avvicinò, e portò la testa e il busto sulla riva,
ma non vi trascinò la coda.
La faccia sua era faccia d’uom giusto,
tanto benigna avea di fuor la pelle,
e d’un serpente tutto l’altro fusto;
Il suo volto era quello di un uomo onesto,
tanto benevola era l’apparenza esteriore della sua pelle,
ma tutto il resto del corpo era simile a un serpente;
due branche avea pilose insin l’ascelle;
lo dosso e ‘l petto e ambedue le coste
dipinti aveva di nodi e di rotelle.
aveva due zampe pelose fino alle ascelle;
il dorso, il petto ed entrambi i fianchi
erano decorati con nodi e piccoli scudi rotondi.
Con più color, sommesse e sovraposte
non fer mai drappi Tartari né Turchi,
né fuor tai tele per Aragne imposte.
Con più colori, disposti a strati inferiori e superiori
non fecero mai tessuti i Tartari né i Turchi,
né furono mai tessuti tali tele da Aracne.
Come talvolta stanno a riva i burchi,
che parte sono in acqua e parte in terra,
e come là tra li Tedeschi lurchi
Come talvolta stanno attraccate le barche,
che in parte sono in acqua e in parte a terra,
e come là presso i Tedeschi golosi
lo bivero s’assetta a far sua guerra,
così la fiera pessima si stava
su l’orlo che di pietra il sabbion serra.
il castoro si posiziona per cacciare,
così la pessima fiera si posava
sul bordo che separa con pietra la sabbia.
Nel vano tutta sua coda guizzava,
torcendo in sù la venenosa forca
ch’a guisa di scorpion la punta armava.
Nel vuoto guizzava tutta la sua coda,
torcendo all’insù la biforcazione velenosa
che come quella di uno scorpione aveva la punta armata.
Lo duca disse: «Or convien che si torca
la nostra via un poco insino a quella
bestia malvagia che colà si corca».
La mia guida disse: «Ora è necessario che devii
un po’ il nostro cammino fino a quella
bestia malvagia che là si accovaccia».
Però scendemmo a la destra mammella,
e diece passi femmo in su lo stremo,
per ben cessar la rena e la fiammella.
Perciò scendemmo sul lato destro,
e facemmo dieci passi sull’estremità,
per evitare bene la sabbia infuocata e le fiammelle.
E quando noi a lei venuti semo,
poco più oltre veggio in su la rena
gente seder propinqua al loco scemo.
E quando fummo arrivati vicino a lei,
poco più oltre vedo sulla sabbia
della gente seduta vicino al bordo del burrone.
Quivi ‘l maestro «Acciò che tutta piena
esperïenza d’esto giron porti»,
mi disse, «va, e vedi la lor mena.
Qui il maestro mi disse: «Affinché tu porti
un’esperienza completa di questo girone,
vai, e osserva la loro condizione.
Li tuoi ragionamenti sian là corti;
mentre che torni, parlerò con questa,
che ne conceda i suoi omeri forti».
I tuoi discorsi siano là brevi;
mentre torni, parlerò con questa bestia,
affinché ci conceda le sue forti spalle».
Così ancor su per la strema testa
di quel settimo cerchio tutto solo
andai, dove sedea la gente mesta.
Così ancora camminando sull’estremo margine
di quel settimo cerchio, tutto solo
andai, dove sedeva la gente afflitta.
Per li occhi fora scoppiava lor duolo;
di qua, di là soccorrien con le mani
quando a’ vapori, e quando al caldo suolo:
Dagli occhi sgorgava fuori il loro dolore;
di qua e di là si aiutavano con le mani
ora a difendersi dai vapori infuocati, ora dal suolo ardente:
non altrimenti fan di state i cani
or col ceffo or col piè, quando son morsi
o da pulci o da mosche o da tafani.
non diversamente fanno d’estate i cani
ora col muso ora con le zampe, quando sono morsi
o dalle pulci o dalle mosche o dai tafani.
Poi che nel viso a certi li occhi porsi,
ne’ quali ‘l doloroso foco casca,
non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi
Dopo che fissai gli occhi sul volto di alcuni
sui quali cadeva quel doloroso fuoco,
non ne riconobbi alcuno; ma mi accorsi
che dal collo a ciascun pendea una tasca
ch’avea certo colore e certo segno,
e quindi par che ‘l loro occhio si pasca.
che dal collo di ciascuno pendeva una borsa
che aveva un certo colore e un certo stemma,
e sembrava che i loro occhi trovassero soddisfazione in essa.
E com’io riguardando tra lor vegno,
in una borsa gialla vidi azzurro
che d’un leone avea faccia e contegno.
E come, osservandoli, passo tra loro,
vidi in una borsa gialla un’insegna azzurra
che aveva l’aspetto e la postura di un leone.
Poi, procedendo di mio sguardo il curro,
vidine un’altra come sangue rossa,
mostrando un’oca bianca più che burro.
Poi, proseguendo con lo sguardo,
ne vidi un’altra rossa come il sangue,
che mostrava un’oca più bianca del burro.
E un che d’una scrofa azzurra e grossa
segnato avea lo suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che fai tu in questa fossa?
E uno che con una scrofa azzurra e grande
aveva segnato il suo sacchetto bianco,
mi disse: «Che cosa fai tu in questa fossa?
Or te ne va; e perché se’ vivo anco,
sappi che ‘l mio vicin Vitalïano
sederà qui dal mio sinistro fianco.
Ora vattene; e poiché sei ancora vivo,
sappi che il mio vicino Vitaliano
siederà qui al mio fianco sinistro.
Con questi Fiorentin son padoano:
spesse fiate mi ‘ntronan li orecchi
gridando: ‘Vegna ‘l cavalier sovrano,
Tra questi fiorentini io sono padovano:
spesso mi intronano le orecchie
gridando: ‘Venga il cavaliere sovrano,
che recherà la tasca con tre becchi!’».
Qui distorse la faccia e di fuor trasse
la lingua, come bue che ‘l naso lecchi.
che porterà la borsa con tre capri!’».
Qui distorse il viso e tirò fuori
la lingua, come fa il bue che si lecca il naso.
E io, temendo no ‘l più star crucciasse
lui che di poco star m’avea ‘mmonito,
torna’mi in dietro da l’anime lasse.
Ed io, temendo che un indugio maggiore irritasse
colui che mi aveva avvertito di stare poco,
tornai indietro da quelle anime spossate.
Trova’ il duca mio ch’era salito
già su la groppa del fiero animale,
e disse a me: «Or sie forte e ardito.
Trovai la mia guida che era già salita
sulla groppa del feroce animale,
e mi disse: «Ora sii forte e coraggioso.
Omai si scende per sì fatte scale;
monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo,
sì che la coda non possa far male».
Ormai si scende per scale come questa;
sali davanti, che io voglio stare in mezzo,
in modo che la coda non possa farti male».
Qual è colui che sì presso ha ‘l riprezzo
de la quartana, c’ha già l’unghie smorte,
e triema tutto pur guardando ‘l rezzo,
Come colui che ha così vicino l’accesso
di febbre quartana, che ha già le unghie pallide,
e trema tutto solo guardando l’ombra,
tal divenn’io a le parole porte;
ma vergogna mi fé le sue minacce,
che innanzi a buon segnor fa servo forte.
tale divenni io alle parole pronunciate;
ma la vergogna produsse in me l’effetto delle sue minacce,
che davanti a un buon signore rende il servo forte.
I’ m’assettai in su quelle spallacce;
sì volli dir, ma la voce non venne
com’io credetti: «Fa che tu m’abbracce».
Mi sistemai su quelle grandi spalle;
volli dire, ma la voce non uscì
come credevo: «Fa’ in modo che tu mi abbracci».
Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne
ad altro forse, tosto ch’i’ montai
con le braccia m’avvinse e mi sostenne;
Ma egli, che altre volte mi soccorse
in altre difficoltà, non appena salii
mi avvinse con le braccia e mi sostenne;
e disse: «Gerïon, moviti omai:
le rote larghe, e lo scender sia poco;
pensa la nova soma che tu hai».
e disse: «Gerione, muoviti ormai:
fai giri larghi, e la discesa sia lenta;
pensa al nuovo peso che porti».
Come la navicella esce di loco
in dietro in dietro, sì quindi si tolse;
e poi ch’al tutto si sentì a gioco,
Come la piccola nave esce dal porto
indietreggiando, così si allontanò da quel luogo;
e quando si sentì completamente libero,
là ‘v’era ‘l petto, la coda rivolse,
e quella tesa, come anguilla, mosse,
e con le branche l’aere a sé raccolse.
là dove era il petto, rivolse la coda,
e la mosse tesa, come un’anguilla,
e con le zampe spinse l’aria verso di sé.
Maggior paura non credo che fosse
quando Fetonte abbandonò li freni,
per che ‘l ciel, come pare ancor, si cosse;
Non credo che ci fu paura maggiore
quando Fetonte abbandonò le redini,
per cui il cielo, come ancora appare, si bruciò;
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui «Mala via tieni!»,
né quando il misero Icaro sentì
le spalle spogliarsi delle penne per la cera riscaldata,
mentre il padre gli gridava «Stai seguendo una via sbagliata!»,
che fu la mia, quando vidi ch’i’ era
ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta
ogne veduta fuor che de la fera.
di quella che fu la mia, quando vidi che ero
completamente sospeso nell’aria, e vidi scomparsa
ogni visuale tranne quella della fiera.
Ella sen va notando lenta lenta;
rota e discende, ma non me n’accorgo
se non che al viso e di sotto mi venta.
Essa se ne va nuotando molto lentamente;
gira e scende, ma non me ne accorgo
se non per il vento che mi soffia in viso e dal basso.
I’ sentia già da la man destra il gorgo
far sotto noi un orribile scroscio,
per che con li occhi ‘n giù la testa sporgo.
Sentivo già dalla parte destra la cascata
fare sotto di noi un orribile fragore,
per cui sporgo la testa in basso con gli occhi.
Allor fu’ io più timido a lo stoscio,
però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti;
ond’io tremando tutto mi raccoscio.
Allora fui più impaurito per il precipizio,
poiché vidi fuochi e sentii lamenti;
per cui, tremando, mi rannicchio tutto.
E vidi poi, ché nol vedea davanti,
lo scendere e ‘l girar per li gran mali
che s’appressavan da diversi canti.
E vidi poi, cosa che prima non vedevo,
la discesa e il giro tra i grandi mali
che si avvicinavano da diverse parti.
Come ‘l falcon ch’è stato assai su l’ali,
che sanza veder logoro o uccello
fa dire al falconiere «Omè, tu cali!»,
Come il falcone che è stato a lungo in volo,
che senza vedere il richiamo o un uccello
fa dire al falconiere «Ohimé, tu scendi!»,
discende lasso onde si move isnello,
per cento rote, e da lunge si pone
dal suo maestro, disdegnoso e fello;
scende stanco da dove si era mosso rapido,
compiendo cento giri, e si posa lontano
dal suo padrone, sdegnoso e ribelle;
così ne puose al fondo Gerïone
al piè al piè de la stagliata rocca,
e, discarcate le nostre persone,
si dileguò come da corda cocca.
così ci pose sul fondo Gerione
proprio ai piedi della roccia scoscesa,
e, scaricati i nostri corpi,
si dileguò come una freccia dalla corda dell’arco.

Canto 17 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

L’incontro con Gerione

Il canto si apre con l’annuncio drammatico di Virgilio che indica a Dante l’arrivo di Gerione, descritto come “la fiera con la coda aguzza, che passa i monti, e rompe i muri e l’armi”. Il mostro emerge dall’abisso che separa i due cerchi, avvicinandosi lentamente alla riva. Dante ne traccia un ritratto dettagliato, rivelando la natura ibrida e ingannevole della creatura:

  • Un volto d’uomo giusto e benevolo
  • Un corpo di serpente variopinto e screziato
  • Due branche pelose fino alle ascelle
  • Una coda di scorpione appuntita e velenosa

Questa descrizione non è casuale: Gerione incarna l’allegoria della frode, con un aspetto esteriore rassicurante che nasconde una natura pericolosa e letale. La sua triplice natura simboleggia la complessità dell’inganno e la sua capacità di nascondersi sotto apparenze benigne.

Gli usurai e la loro punizione

Mentre Virgilio tratta con Gerione, Dante si allontana momentaneamente per osservare gli ultimi peccatori del settimo cerchio: gli usurai. Questi siedono in disparte, tormentati dalla pioggia di fuoco, ciascuno con una borsa al collo recante stemmi familiari. Il poeta riconosce tra loro importanti esponenti di celebri famiglie fiorentine (i Gianfigliazzi, gli Obriachi e i Padovani Scrovegni), tutti colpevoli di aver praticato l’usura.

L’usura è considerata violenza contro l’arte, cioè contro l’attività produttiva umana che dovrebbe seguire la natura creata da Dio. Secondo la filosofia aristotelico-tomista, il denaro non può generare denaro naturalmente, perciò chi lo fa è in contrasto con i principi divini della creazione.

La discesa verso Malebolge

Su invito di Virgilio, Dante ritorna verso Gerione, pronto per l’incredibile discesa verso l’ottavo cerchio, Malebolge. Il poeta è terrorizzato (“Io divenni tal per paura qual è colui che ha il riprezzo della quartana”) ma, incoraggiato dalla guida, sale sul dorso del mostro. Virgilio si posiziona strategicamente tra Dante e la coda velenosa, proteggendolo dal pericolo più immediato.

La discesa stessa è narrata con straordinaria efficacia poetica, attraverso due celebri similitudini:

  1. Gerione che si allontana dalla riva viene paragonato a un “navicello che si muove all’indietro”, sottolineando il movimento lento e inquietante.
  2. Il volo circolare e discendente viene assimilato a quello del “falcon che, sanza veder logoro o uccello, fa dire al falconiere ‘Omè, tu cali!'” – un’immagine che sottolinea la traiettoria controllata ma pericolosa.

Dante percepisce il movimento attraverso il vento sul viso e sente il rumore “orribile” del Flegetonte che scorre sotto di loro. Infine, Gerione deposita i poeti “a piè a piè della stagliata rocca”, sul bordo dell’ottavo cerchio, e riparte veloce come “da corda cocca” (una freccia scoccata dall’arco).

Significato simbolico del viaggio su Gerione

Il volo su Gerione rappresenta un momento simbolico fondamentale nel viaggio dantesco. Affrontare e dominare il mostro della frode significa confrontarsi con l’inganno e superarlo attraverso la ragione (Virgilio) e il coraggio morale. È significativo che per scendere a Malebolge Dante debba letteralmente “cavalcare” l’inganno, suggerendo che per comprendere appieno la natura del peccato sia necessario affrontarlo direttamente.

La discesa a spirale anticipa anche la struttura circolare dell’ottavo cerchio, composto da dieci fosse concentriche (Malebolge). Questo movimento vorticoso rappresenta la natura avvolgente e insidiosa della frode, che cattura le sue vittime in un progressivo sprofondamento morale.

Il passaggio dal settimo all’ottavo cerchio segna quindi una svolta cruciale nell’Inferno dantesco: dalle colpe di violenza, in cui il male si manifesta apertamente, si passa ai peccati di frode, dove il male si nasconde sotto false apparenze, risultando più insidioso e, nella concezione etica medievale, più grave perché corrompe la facoltà razionale che distingue l’umanità.

Canto 17 Inferno della Divina Commedia: i personaggi

Nel canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante presenta personaggi emblematici che incarnano significati morali profondi, creando un intreccio di figure allegoriche e storiche che arricchiscono la narrazione poetica.

Gerione: il mostro della frode

Gerione domina la scena come una delle creature più memorabili dell’intera Commedia. Questo essere mostruoso rappresenta l’allegoria vivente della frode, manifestando nella sua anatomia ibrida la natura stessa dell’inganno. Dante lo descrive con straordinaria precisione:

  • Il volto umano: “La faccia sua era faccia d’uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle” (vv. 10-11). Questa apparenza benevola simboleggia la capacità dell’inganno di presentarsi inizialmente con sembianze oneste e rassicuranti.
  • Il corpo di serpente: “e d’un serpente tutto l’altro fusto” (v. 12). Il corpo rettile richiama il serpente edenico, simbolo biblico dell’inganno primordiale, suggerendo la natura subdola e strisciante della frode.
  • La coda di scorpione: “due branche avea pilose insin l’ascelle; lo dosso e ‘l petto e ambedue le coste dipinti avea di nodi e di rotelle […] nel vano tutta sua coda guizzava, torcendo in sù la venenosa forca che, come scorpion, la punta armava” (vv. 13-27). La coda velenosa rappresenta l’esito mortifero dell’inganno, che ferisce e avvelena le sue vittime.

La triplice natura di Gerione incarna perfettamente la frode: bella nell’apparenza, corrotta nell’essenza, letale nel suo effetto. Il mostro non è soltanto un personaggio, ma un vero e proprio nesso strutturale nell’architettura infernale, fungendo da traghettatore tra due mondi morali distinti.

Gli usurai: nobili decaduti

Nel terzo girone del settimo cerchio, Dante incontra gli usurai, rappresentanti della violenza contro l’arte. Questi peccatori appaiono seduti in cerchio sul sabbione ardente, tormentati dalla pioggia di fuoco e riconoscibili per le borse appese al collo recanti i loro stemmi familiari:

“E com’io riguardando tra lor vegno, in una borsa gialla vidi azzurro che d’un leone avea faccia e contegno” (vv. 58-60).

L’identità degli usurai non viene rivelata direttamente: Dante li presenta attraverso gli stemmi araldici delle loro famiglie, sottolineando come la loro identità sociale sia ormai ridotta al simbolo della loro ricchezza. Tra questi compaiono:

  • Un membro della famiglia Gianfigliazzi di Firenze (borsa gialla con leone azzurro)
  • Un esponente dei Padovani Scrovegni (borsa bianca con una scrofa azzurra)
  • Reginaldo degli Scrovegni, che profetizza l’arrivo all’inferno del suo concittadino Vitaliano
  • Un fiorentino che attende l’arrivo di “il cavalier sovrano” (probabilmente Giovanni Buiamonte)

Questi personaggi, ridotti a rappresentanti anonimi del loro peccato, manifestano la condanna dantesca verso chi, pur appartenendo alla nobiltà, tradisce la propria funzione sociale abbandonandosi all’avidità.

Virgilio: la guida razionale

In questo canto, Virgilio conferma il suo ruolo fondamentale di guida razionale nel viaggio dantesco. La sua funzione si articola in momenti significativi:

  • Riconoscimento e controllo: è lui a identificare immediatamente Gerione (“Ecco la fiera con la coda aguzza”) e a negoziare con il mostro.
  • Protezione: durante il volo, si posiziona strategicamente tra Dante e la coda velenosa, facendo scudo con il proprio corpo.
  • Sostegno psicologico: incoraggia il discepolo impaurito: “Omai si scende per sì fatte scale […] monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo, sì che la coda non possa far male” (vv. 82-84).
  • Direzione: guida l’intera discesa con comandi precisi a Gerione, garantendo un atterraggio sicuro nella nuova regione infernale.

Virgilio incarnazione della ragione umana, dimostra come l’intelletto possa riconoscere la frode, dominarla e persino utilizzarla come strumento di progresso nel cammino di crescita morale.

Dante personaggio: l’evoluzione emotiva

Il Dante-personaggio attraversa in questo canto un’intensa evoluzione emotiva che rispecchia in miniatura l’intero percorso della Commedia:

  • Timore iniziale: rimane paralizzato dalla paura alla vista del mostro, paragonandosi al malato di febbre quartana: “Qual è colui che sì presso ha il riprezzo della quartana, c’ha già l’unghie smorte, e triema tutto pur guardando il rezzo” (vv. 85-87).
  • Vergogna e coraggio: supera il timore grazie all’esempio di Virgilio: “ma vergogna mi fé le sue minacce, che innanzi a buon segnor fa servo forte” (vv. 89-90).
  • Angoscia durante il volo: si paragona ad Icaro nel momento della caduta, esprimendo il suo spaesamento.
  • Conquista della consapevolezza: al termine della discesa, ha acquisito una nuova comprensione, pronto ad affrontare il mondo della frode.

Questa progressione psicologica dimostra come il viaggio infernale non sia solo un percorso fisico attraverso i regni oltremondani, ma soprattutto un cammino interiore di crescita spirituale e morale.

Analisi del Canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi

Il canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia occupa una posizione strategica all’interno della struttura dell’Inferno, collocandosi esattamente a metà della prima cantica che conta complessivamente 34 canti. Questa collocazione non è affatto casuale, ma risponde alla precisa architettura numerologica che Dante ha sapientemente costruito per l’intera opera. Nel sistema simbolico medievale, il numero 17 era considerato infausto (XVII in numeri romani può essere anagrammato in VIXI, “ho vissuto”, che nell’epigrafia funeraria latina equivale a “sono morto”).

Il canto segna un momento cruciale nel viaggio dantesco: il passaggio dal settimo all’ottavo cerchio, ovvero dalla punizione dei peccati di violenza a quelli di frode. Questa transizione rispecchia fedelmente la gerarchia morale di matrice aristotelico-tomistica adottata da Dante, secondo cui ingannare è più grave che usare la forza, perché la frode rappresenta un abuso della facoltà più nobile dell’uomo: la ragione. L’architettura morale dell’Inferno si rivela dunque progressiva, dalle colpe di incontinenza (cerchi 2-5), alla violenza (cerchi 6-7), fino alla frode (cerchi 8-9).

La figura di Gerione, con la sua triplice natura, incarna perfettamente questo momento di transizione. Il mostro rappresenta il mezzo attraverso cui Dante e Virgilio possono superare il burrato che separa i due cerchi, ma è al contempo l’allegoria stessa della frode. La descrizione graduale delle sue parti (prima il volto, poi il busto, infine la coda velenosa) crea una tensione narrativa crescente che riflette il progressivo addentrarsi di Dante nel territorio della frode.

Il motivo del volo su Gerione costituisce uno dei passaggi più drammatici dell’intero poema e si configura come un vero e proprio rito di passaggio. La discesa in spirale verso Malebolge anticipa la struttura circolare dell’ottavo cerchio, caratterizzato da dieci bolge concentriche. Dante costruisce questa scena con maestria narrativa, alternando momenti di terrore (la similitudine con la febbre quartana), a istanti di meraviglia (il paragone con Fetonte e Icaro), fino al sollievo finale dell’atterraggio.

La progressione emotiva del poeta-personaggio durante il volo è particolarmente significativa: dal timore iniziale, alla vergogna stimolata dalle esortazioni di Virgilio, fino al coraggio di affrontare l’esperienza. Questo percorso psicologico rappresenta in miniatura l’intero viaggio dantesco: dal timore all’accettazione, dalla paura alla comprensione. Il superamento della paura davanti a Gerione simboleggia la capacità dell’anima di affrontare anche gli aspetti più terribili del male nel processo di purificazione spirituale.

Il canto stabilisce inoltre importanti collegamenti con altri momenti dell’opera: si lega al Canto 11, dove Virgilio aveva illustrato la struttura morale dell’Inferno, al Canto 16 che termina con l’arrivo di Gerione, e al Canto 18, dove inizia l’esplorazione di Malebolge. Questa fitta rete di rimandi interni conferma la coerenza strutturale della Commedia, dove ogni elemento narrativo è funzionale al disegno complessivo.

La funzione di Virgilio come guida razionale emerge con particolare evidenza in questo canto. È lui a riconoscere immediatamente Gerione, a negoziare con il mostro, a rassicurare Dante impaurito, a organizzare il volo sedendosi tra Dante e la coda velenosa per proteggerlo, e infine a dirigere con comandi precisi la discesa. La guida rappresenta qui la ragione umana che, pur riconoscendo la frode, è in grado di dominarla e utilizzarla come strumento di progresso nel cammino spirituale.

L’intera narrazione del canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia è permeata dal contrasto tra apparenza e realtà, tema centrale nella rappresentazione della frode. Gerione appare con “faccia d’uom giusto” ma nasconde una natura mostruosa e pericolosa. Allo stesso modo, gli usurai descritti nella prima parte del canto mostrano stemmi nobiliari sulle loro borse, simboli di un’apparente rispettabilità sociale che cela la corruzione morale della loro attività.

Figure Retoriche nel Canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia

Il canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia rivela la straordinaria maestria stilistica di Dante attraverso un ricco tessuto di figure retoriche, utilizzate non solo come ornamento letterario ma come strumento per rendere concreta e vivida l’esperienza dell’incontro con Gerione e la discesa verso Malebolge.

Similitudini

Le similitudini rappresentano il dispositivo retorico più potente e caratteristico di questo canto:

  • La similitudine del nuotatore (vv. 115-117): “Ella sen va notando lenta lenta / rota e discende, ma non me n’accorgo / se non che al viso e di sotto mi venta”. Gerione che si allontana dalla riva viene paragonato a un nuotatore che si immerge. Questa immagine sottolinea la natura ambigua e sfuggente della frode, che si muove con apparente lentezza ma inesorabile efficacia.
  • La similitudine del falcone (vv. 127-132): “Come ‘l falcon ch’è stato assai su l’ali, / che sanza veder logoro o uccello / fa dire al falconiere ‘Omè, tu cali!’…”. Gerione che scende in cerchi sempre più stretti è paragonato a un falcone stanco che, senza essere richiamato, plana lentamente. L’immagine enfatizza la maestosità inquietante della discesa verso il regno della frode.
  • La similitudine della febbre quartana (vv. 85-88): “Qual è colui che sì presso ha il riprezzo / della quartana, c’ha già l’unghie smorte, / e triema tutto pur guardando il rezzo…”. Dante paragona il proprio terrore ai brividi della malaria, rendendo fisicamente percepibile lo stato d’animo del poeta attraverso un’immagine medica concreta.

Metafore e altre figure

  • Metafora centrale: Gerione stesso è una grande metafora vivente della frode, con il suo volto umano che rappresenta l’aspetto ingannevole della menzogna e il corpo bestiale che ne rivela la natura corrotta.
  • Antitesi: “La faccia sua era faccia d’uom giusto, / tanto benigna avea di fuor la pelle, / e d’un serpente tutto l’altro fusto” (vv. 10-12). Il contrasto tra l’apparenza benevola del volto e la natura mostruosa del resto del corpo incarna la duplicità dell’inganno.
  • Iperbole: “Ecco la fiera con la coda aguzza, / che passa i monti, e rompe i muri e l’armi!” (vv. 1-2). L’esagerazione dei poteri distruttivi di Gerione amplifica la minaccia rappresentata dalla frode.
  • Metonimia: Le borse portate dagli usurai con i loro stemmi araldici (vv. 55-57) diventano simbolo dell’attività usuraia e dell’avidità che ha caratterizzato la loro vita.
  • Ossimori impliciti: La contrapposizione tra la “faccia d’uom giusto” e la natura fraudolenta rappresenta una contraddizione concettuale che evidenzia l’essenza ingannatrice della frode.

L’efficacia di queste figure retoriche risiede nella loro capacità di rendere tangibile l’astratto: Dante trasforma concetti teologici e morali in esperienze sensoriali vivide, permettendo al lettore di visualizzare e quasi sentire il terrore del volo su Gerione e la natura insidiosa della frode. Questo linguaggio figurato costituisce uno strumento indispensabile per rappresentare ciò che per sua natura è mostruoso e al limite dell’inimmaginabile, creando immagini indelebili che continuano a riverberare nella mente del lettore.

Temi Principali del 17 Canto dell’Inferno della Divina Commedia

Il  canto 17 dell’Inferno della Divina Commedia si distingue per la ricchezza tematica che ne amplia la portata simbolica oltre la semplice narrazione. Al centro dell’impalcatura concettuale troviamo il tema della frode, incarnato dalla figura emblematica di Gerione. Questo mostro rappresenta la quintessenza dell’inganno nella sua triplice natura: il volto umano e benevolo nasconde un corpo serpentino e una coda velenosa, simboleggiando perfettamente come la frode si presenti con un’apparenza rassicurante per celare la sua essenza distruttiva.

L’opposizione tra apparenza e realtà costituisce un tema portante dell’intero canto. Dante costruisce questa antitesi non solo attraverso la figura di Gerione, ma anche nella descrizione degli usurai, che portano al collo borse con stemmi nobiliari, simbolo dell’identità familiare e sociale che contrasta con la degradazione morale del loro peccato. Il poeta fiorentino evidenzia così la distanza tra l’apparente rispettabilità e la corruzione interiore, tema che risuona con particolare attualità anche per il lettore contemporaneo.

Il canto affronta anche il tema dell’usura, presentata come violenza contro l’arte umana e divina. Gli usurai, seduti ai margini del sabbione ardente, rappresentano coloro che hanno pervertito il naturale ordine economico: secondo la filosofia aristotelico-tomista, infatti, il denaro non dovrebbe generare altro denaro, poiché ciò contraddice il naturale processo produttivo voluto da Dio. Dante, seguendo questa visione, colloca gli usurai tra i violenti contro l’arte, elemento che sottolinea la gravità morale di questo peccato nella concezione medievale.

Un altro tema cruciale è il passaggio morale dal regno della violenza a quello della frode. Questo transito non è solo fisico, ma simboleggia un approfondimento nella comprensione del male da parte di Dante personaggio. La discesa vertiginosa su Gerione diventa così metafora dell’immersione nell’abisso morale della frode, peccato considerato più grave della violenza stessa poiché corrompe la facoltà razionale, prerogativa distintiva dell’essere umano.

Il contrasto tra ragione e paura emerge con forza attraverso l’interazione tra Virgilio e Dante. Se il poeta latino rappresenta la guida razionale, capace di dominare persino il mostro della frode, Dante incarna l’aspetto emotivo dell’uomo di fronte al male. Il suo terrore iniziale, paragonato ai brividi della febbre quartana, e il successivo superamento della paura grazie all’esempio e all’incoraggiamento di Virgilio, rivelano l’importanza della ragione come strumento per affrontare l’inganno.

Il tema del coraggio morale si sviluppa parallelamente all’evoluzione emotiva di Dante personaggio. La vergogna che prova dinnanzi all’esortazione di Virgilio diventa motore del suo coraggio, permettendogli di affrontare la discesa spaventosa. Questo processo psicologico rispecchia il percorso spirituale dell’intera Commedia: il superamento delle proprie paure come condizione necessaria per la crescita morale.

Influente è anche il tema del viaggio aereo come esperienza trasformativa. Il volo su Gerione rappresenta uno dei rari momenti in cui Dante sperimenta una modalità di spostamento diversa dal cammino pedestre, sottolineando l’eccezionalità del passaggio tra i due cerchi. L’immagine della caduta controllata, descritta attraverso la similitudine con il falcone, suggerisce come anche l’esperienza del male possa essere trasformata in occasione di apprendimento quando guidata dalla ragione.

Infine, il canto esplora il tema della colpa e della punizione divina. La precisione con cui Dante descrive il contrappasso degli usurai, costretti a fissare eternamente le borse che rappresentano la loro avidità passata, riflette la concezione medievale della giustizia divina come perfettamente proporzionata al peccato commesso. Questo equilibrio tra colpa e pena costituisce uno dei fondamenti teologici dell’intero impianto infernale dantesco.

Il Canto 17 della Divina Commedia in Pillole

ElementoDescrizioneEsempi Significativi
CollocazioneSettimo cerchio (terzo girone) con passaggio all’ottavo cerchioPosizione centrale dell’Inferno, canto 17 su 34
PeccatoriUsurai (violenti contro l’arte)Famiglie nobili identificate attraverso gli stemmi sulle borse
Personaggio principaleGerione, mostro dalla triplice natura“Ecco la fiera con la coda aguzza, che passa i monti, e rompe i muri e l’armi!”
Descrizione di Gerione• Volto d’uomo onesto
• Corpo di serpente
• Coda di scorpione
“La faccia sua era faccia d’uom giusto, tanto benigna avea di fuor la pelle, e d’un serpente tutto l’altro fusto”
SimbolismoAllegoria della frodeAspetto benevolo che nasconde natura pericolosa
Ruolo narrativoTrasportatore verso MalebolgeDiscesa a spirale dall’orlo del settimo all’ottavo cerchio
Similitudini principali• Nuotatore che si immerge
• Falcone che scende in cerchi
• Malato di febbre quartana
“Sì come torna colui che va giuso / talora a solver l’àncora ch’aggrappa” (vv. 133-134)
Stato d’animo di DanteProgressione dalla paura al coraggio“Qual è colui che sì presso ha il riprezzo / della quartana, c’ha già l’unghie smorte” (vv. 85-86)
Funzione di VirgilioGuida razionale che domina la frodeOrganizza il viaggio proteggendo Dante dalla coda velenosa
Temi principali• Frode come perversione della ragione
• Contrasto apparenza/realtà
• Superamento della paura
• Usura come violenza contro l’arte
“Quell’imagine di froda” (v. 7)
Struttura del canto• Incontro con Gerione (vv. 1-27)
• Descrizione del mostro (vv. 28-45)
• Gli usurai (vv. 46-78)
• Volo su Gerione (vv. 79-136)
Movimento circolare che anticipa la struttura di Malebolge
Figure retoriche• Similitudini
• Metafore
• Antitesi
• Iperboli
• Metonimia
Antitesi: volto umano vs natura mostruosa
Significato moraleLa frode come peccato che corrompe la caratteristica umana per eccellenza: la ragioneGerione come simbolo del male che seduce con apparenza onesta

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