Il Canto 17 del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante, segnando l’incontro del poeta con il suo antenato Cacciaguida nel cielo di Marte. In questo fondamentale passaggio della terza cantica della Divina Commedia, Dante riceve la profezia sul proprio esilio e sulla missione poetica che gli è stata affidata, elevando il suo percorso da vicenda personale a universale.
La dimensione terrena della sofferenza si trasfigura nella prospettiva celeste, rivelando il disegno provvidenziale che governa le vicende umane e conferendo un significato trascendente alle future tribolazioni del poeta fiorentino.
Indice:
- Canto 17 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 17 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Analisi del Canto 17 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 17 del Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del 17 canto del Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 17 del Paradiso in pillole
Canto 17 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo originale | Parafrasi |
|---|---|
| Qual venne a Climenè, per accertarsi di ciò ch’avëa incontro a sé udito, quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; | Come Fetonte, andò da Climene per accertarsi di ciò che aveva sentito dire contro di sé, lui che ancora oggi rende i padri cauti nei confronti dei figli; |
| tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito. | così ero io, e così ero stato percepito sia da Beatrice sia dalla santa luce che prima aveva cambiato posizione per me. |
| Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca segnata bene de la interna stampa: | Perciò la mia donna mi disse: “Esprimi l’ardore del tuo desiderio, in modo che esca ben impresso da ciò che senti dentro: |
| non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t’ausi a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». | non perché la nostra conoscenza aumenti grazie alle tue parole, ma perché tu ti abitui a esprimere la tua sete, così che altri possano dissetarti”. |
| «O cara piota mia che sì t’insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi, | “O mia cara radice ancestrale che tanto in alto ti elevi, che come le menti terrene vedono che in un triangolo non possono esserci due angoli ottusi, |
| così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; | così tu vedi gli eventi contingenti prima che accadano, contemplando il punto dove tutti i tempi sono compresenti; |
| mentre ch’io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l’anime cura e discendendo nel mondo defunto, | mentre ero insieme a Virgilio salendo per il monte che purifica le anime e scendendo nel mondo dei morti, |
| dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch’io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; | mi furono dette parole pesanti sul mio futuro, benché io mi senta ben saldo di fronte ai colpi della sorte; |
| per che la voglia mia saria contenta d’intender qual fortuna mi s’appressa: ché saetta previsa vien più lenta». | perciò il mio desiderio sarebbe appagato se sapessi quale destino mi attende: infatti una freccia prevista arriva più lenta”. |
| Così diss’ io a quella luce stessa che pria m’avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. | Così dissi a quella stessa luce che prima mi aveva parlato; e come Beatrice voleva, il mio desiderio fu espresso. |
| Né per ambage, in che la gente folle già s’inviscava pria che fosse anciso l’Agnel di Dio che le peccata tolle, | Non con parole ambigue, nelle quali la gente stolta si impigliava prima che fosse ucciso l’Agnello di Dio che toglie i peccati, |
| ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: | ma con parole chiare e con linguaggio preciso rispose quell’amore paterno, racchiuso e risplendente nella sua propria luce: |
| «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno; | “La contingenza, che non si estende oltre i confini della vostra materia, è tutta rappresentata nella visione eterna di Dio; |
| necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende. | tuttavia da ciò non deriva necessità, come non ne deriva per lo sguardo in cui si rispecchia una nave che scende per il torrente. |
| Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s’apparecchia. | Da lì, come all’orecchio giunge dolce armonia da un organo, così alla mia vista appare il tempo che ti si prepara. |
| Qual si partio Ipolito d’Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene. | Come Ippolito fu cacciato da Atene per colpa della spietata e perfida matrigna, così tu dovrai partire da Firenze. |
| Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca. | Questo si vuole e questo già si sta cercando, e presto sarà compiuto da chi lo pensa là dove Cristo è mercanteggiato ogni giorno. |
| La colpa seguirà la parte offesa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa. | La colpa seguirà la parte offesa nel grido pubblico, come avviene sempre; ma la vendetta sarà testimone della verità che la distribuisce. |
| Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l’arco de lo essilio pria saetta. | Tu lascerai ogni cosa amata più caramente; e questa è la freccia che l’arco dell’esilio scaglia per prima. |
| Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale. | Tu proverai quanto sa di sale il pane altrui, e quanto è duro cammino lo scendere e il salire per le scale altrui. |
| E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle; | E ciò che più ti peserà sulle spalle sarà la compagnia malvagia e stolta con cui cadrai in questa sventura; |
| che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr’ a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. | che tutta ingrata, pazza ed empia si farà contro di te; ma poco dopo ella, non tu, ne avrà vergogna. |
| Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch’a te fia bello averti fatta parte per te stesso. | Il loro comportamento dimostrerà la loro bestialità; così sarà per te motivo d’onore esserti fatto parte da solo. |
| Lo primo tuo refugio e ‘l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che ‘n su la scala porta il santo uccello; | Il tuo primo rifugio e il primo alloggio sarà la cortesia del gran Lombardo che porta sullo stemma la scala e l’aquila santa; |
| ch’in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo. | che avrà per te riguardo così benevolo, che tra voi due il dare precederà il chiedere, mentre tra gli altri avviene il contrario. |
| Con lui vedrai colui che ‘mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l’opere sue. | Con lui vedrai colui che alla nascita fu impresso così fortemente da questa stella, che notevoli saranno le sue opere. |
| Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte; | La gente non se ne è ancora accorta per la giovane età, poiché solo nove anni questi cieli hanno ruotato intorno a lui; |
| ma pria che ‘l Guasco l’alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d’argento né d’affanni. | ma prima che il Guascone inganni l’imperatore Arrigo, appariranno scintille della sua virtù nel non curarsi di denaro né di fatiche. |
| Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ‘ suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. | Le sue magnificenze saranno così riconosciute, che persino i suoi nemici non potranno tenere le lingue mute. |
| A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici; | Affidati a lui e ai suoi benefici; per merito suo molte persone cambieranno condizione, scambiandosi ricchi e mendicanti; |
| e portera’ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente. | e ne porterai scritto nella mente riguardo a lui, ma non lo dirai”; e disse cose incredibili anche a chi le vedrà realizzarsi. |
| Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le ‘nsidie che dietro a pochi giri son nascose. | Poi aggiunse: “Figlio, queste sono le spiegazioni di ciò che ti fu detto; ecco le insidie che si nascondono dietro a pochi anni. |
| Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, poscia che s’infutura la tua vita vie più là che ‘l punir di lor perfidie». | Non voglio però che tu invidii i tuoi concittadini, poiché la tua vita si protrarrà ben oltre il tempo della punizione delle loro perfidie”. |
| Poi che, tacendo, si mostrò spedita l’anima santa di metter la trama in quella tela ch’io le porsi ordita, | Dopo che, tacendo, l’anima santa mostrò di aver terminato di tessere la trama su quella tela che io le avevo preparato con l’ordito, |
| io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: | io cominciai, come chi desidera, nel dubbio, consiglio da una persona che vede, vuole rettamente e ama: |
| «Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; | “Vedo bene, padre mio, come il tempo incalza verso di me per darmi un colpo che è più grave per chi più si abbandona; |
| per che di provedenza è buon ch’io m’armi, sì che, se loco m’è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi. | perciò è bene che mi armi di prudenza, così che se mi viene tolto il luogo più caro, io non perda anche gli altri a causa dei miei versi. |
| Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro, | Giù per lo mondo eternamente amaro, e per il monte dalla cui bella cima gli occhi della mia donna mi sollevarono, |
| e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s’io ridico, a molti fia sapor di forte agrume; | e poi attraverso il cielo, di luce in luce, ho appreso cose che se le riferisco sembreranno a molti di sapore molto amaro; |
| e s’io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico». | e se io sarò amico timido della verità, temo di perdere fama tra coloro che chiameranno antico questo tempo”. |
| La luce in che rideva il mio tesoro ch’io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d’oro; | La luce in cui risplendeva il mio tesoro che trovai lì si fece dapprima lucente, come uno specchio d’oro colpito dal raggio di sole; |
| indi rispuose: «Coscïenza fusca o de la propria o de l’altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca. | poi rispose: “Una coscienza offuscata dalla propria o dall’altrui vergogna certamente sentirà come aspre le tue parole. |
| Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua visïon fa manifesta; e lascia pur grattar dov’ è la rogna. | Ma tuttavia, tolta ogni menzogna, rendi manifesta tutta la tua visione; e lascia pure che si gratti chi ha la rogna. |
| Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta. | Perché se la tua voce sarà spiacevole al primo assaggio, lascerà poi nutrimento vitale quando sarà digerita. |
| Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d’onor poco argomento. | Questo tuo grido farà come il vento, che colpisce più forte le cime più alte; e questo non è piccolo motivo d’onore. |
| Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l’anime che son di fama note, | Perciò ti sono state mostrate in questi cieli, nel monte e nella valle dolorosa solo le anime che sono note per fama, |
| che l’animo di quel ch’ode, non posa né ferma fede per essempro ch’aia la sua radice incognita e ascosa, | perché l’animo di chi ascolta non si acquieta né si convince per un esempio che abbia la sua origine sconosciuta e nascosta, |
| né per altro argomento che non paia». | né per altra argomentazione che non appaia evidente”. |
Canto 17 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Nel Canto 17 del Paradiso, Dante si trova nel Cielo di Marte, dove risiedono gli spiriti dei combattenti per la fede. Qui avviene uno degli incontri più significativi dell’intera Commedia: quello con il suo trisavolo Cacciaguida, già presentato nel canto precedente. Se nel Canto 16 Cacciaguida aveva narrato le virtù dell’antica Firenze, ora il beato si sofferma sul destino personale di Dante e sulla sua missione poetica.
Il poeta, incoraggiato da Beatrice, decide di chiedere a Cacciaguida chiarimenti sul proprio futuro, avendo già udito oscure profezie sul suo esilio durante il viaggio. Con umiltà ma determinazione, Dante domanda al suo antenato di rivelargli quali sventure lo attendono, poiché “saetta previsa vien più lenta”, ovvero un colpo previsto ferisce meno.
Cacciaguida risponde con una profezia chiara e inesorabile: Dante sarà costretto all’esilio da Firenze, abbandonerà “ogni cosa diletta più caramente” e proverà quanto sia amaro il “sapore di sale” del “pane altrui” e quanto sia duro “lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Il beato predice che il poeta dovrà separarsi dalla sua fazione politica (i Bianchi) a causa della loro “bestialitate” e sarà costretto a “far parte per sé stesso”, diventando estraneo a entrambe le fazioni in lotta.
La profezia prosegue indicando i primi protettori di Dante durante l’esilio: gli Scaligeri di Verona, in particolare Cangrande della Scala, descritto con toni messianici come colui che “farà la pruova / sì ch’a forti e a debili fia caro”. Il linguaggio usato per descrivere Cangrande è deliberatamente elevato e ricco di allusioni bibliche, sottolineando l’importanza che Dante attribuiva a questo suo mecenate.
Dopo queste rivelazioni dolorose ma necessarie, Cacciaguida affronta il tema centrale del canto: la missione poetica di Dante. Il beato esorta il poeta a rivelare al mondo tutto ciò che ha visto nel suo viaggio ultraterreno, nonostante questo possa risultare scomodo per i potenti. Gli dice esplicitamente: “tutta tua vision fa manifesta”, incoraggiandolo a non temere l’ostilità di chi si sentirà colpito dalle sue parole, poiché la sua opera sarà “vital nodrimento” per le generazioni future.
Questa investitura poetica rappresenta un momento fondamentale dell’intera Commedia: Dante riceve la legittimazione divina della sua opera attraverso il suo antenato. Il poeta non è più solo un pellegrino che attraversa i regni ultraterreni per la propria salvezza personale, ma diventa un profeta con la missione di testimoniare al mondo la verità divina e la giustizia celeste.
Il canto si chiude con Dante che medita sulle parole del suo avo, ormai consapevole delle difficoltà che lo attendono ma anche della grandezza della propria missione. La profezia di Cacciaguida ha un duplice effetto sul poeta: se da un lato gli conferma le sofferenze dell’esilio, dall’altro gli offre la consolazione di sapere che la sua opera avrà un valore eterno.
In questo canto si compie una perfetta fusione tra dimensione personale e universale: la vicenda biografica di Dante, con il suo esilio e le sue sofferenze terrene, viene elevata a emblema del destino dell’uomo giusto in un mondo corrotto, mentre la sua poesia si configura come strumento di redenzione morale per l’umanità. La profezia di Cacciaguida trasforma così l’esilio da condanna ingiusta a condizione necessaria per la realizzazione della missione affidata a Dante dalla Provvidenza divina.
Analisi del Canto 17 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Il Canto 17 del Paradiso rappresenta un momento cruciale nell’ascensione spirituale di Dante, caratterizzato da una profonda riflessione sulla provvidenza divina e sul destino personale del poeta. In questo canto, ambientato nel Cielo di Marte, Dante incontra il suo antenato Cacciaguida, che gli rivela le future sofferenze dell’esilio e la missione poetica che lo attende.
La struttura narrativa del canto si sviluppa attorno a tre nuclei tematici fondamentali: la profezia dell’esilio, la missione poetica di Dante e il tema della Provvidenza divina. Questi elementi si intrecciano in una complessa architettura che riflette la progressiva illuminazione spirituale del protagonista.
Il primo elemento tematico riguarda la profezia dell’esilio. Cacciaguida predice a Dante le difficoltà che dovrà affrontare dopo essere stato cacciato da Firenze, descrivendo con dolorosa precisione l’amarezza dell’esilio: “Tu proverai sì come sa di sale / lo pane altrui, e come è duro calle / lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale”. Questa profezia non è solo una previsione di eventi futuri, ma rappresenta anche un momento di confronto tra la contingenza umana e l’eternità divina, tra la sofferenza terrena e la giustizia celeste.
Il secondo nucleo tematico concerne la missione poetica affidata a Dante. Cacciaguida esorta il poeta a rivelare ciò che ha visto durante il suo viaggio ultraterreno, nonostante la consapevolezza che le sue parole potranno risultare sgradite ai potenti: “Tutta tua vision fa manifesta;/e lascia pur grattar dov’è la rogna”. La poesia diventa così strumento di verità e testimonianza, superando la dimensione puramente estetica per assumere una funzione profetica e morale.
Dante è chiamato a trasformare la sua esperienza personale in un messaggio universale di redenzione e rinnovamento spirituale.
Il terzo elemento tematico è rappresentato dalla riflessione sulla Provvidenza divina. Il canto introduce una profonda meditazione sul rapporto tra libertà umana e disegno divino, tra contingenza storica ed eternità. La rivelazione delle future sofferenze non diminuisce la libertà di Dante, ma la illumina di un significato più profondo, inserendola nel piano provvidenziale di salvezza. Il dolore dell’esilio viene così trasfigurato in un’opportunità di crescita spirituale e di adempimento della missione poetica.
Dal punto di vista narrativo, il canto presenta una struttura dialogica che facilita lo sviluppo di questi temi complessi. Il dialogo tra Dante e Cacciaguida non è una semplice conversazione, ma un momento di rivelazione e di trasmissione di sapienza. La voce dell’antenato assume una funzione profetica che richiama i modelli biblici, conferendo al canto una dimensione sacrale.
L’uso sapiente delle immagini luminose costituisce un altro elemento narrativo fondamentale. La luce che permea il Cielo di Marte non è solo un attributo fisico, ma un simbolo della verità divina che illumina l’intelletto umano. L’intensificarsi della luce corrisponde all’approfondirsi della comprensione spirituale di Dante, in un parallelismo che attraversa l’intera cantica.
Infine, la presenza di richiami intertestuali alla tradizione classica e biblica arricchisce il tessuto narrativo del canto. I riferimenti a figure come Fetonte, Ippolito e altri personaggi storici e mitologici creano una rete di significati che amplia la portata semantica del testo, collegando l’esperienza individuale di Dante a un orizzonte universale di significati.
Figure retoriche nel Canto 17 del Paradiso della Divina Commedia
Il Canto 17 del Paradiso rappresenta un capolavoro di tecnica retorica, dove Dante impiega numerosi artifici stilistici per amplificare l’impatto emotivo e concettuale della profezia di Cacciaguida sul suo esilio e sulla missione poetica.
La metafora della luce pervade l’intero canto, simboleggiando la verità divina che si rivela gradualmente al poeta. Quando Cacciaguida si manifesta, Dante scrive che il suo antenato «a l’etterna fontana» si rivolge prima di parlare, alludendo metaforicamente a Dio come fonte di ogni conoscenza. Questa metafora acquista particolare rilevanza quando Cacciaguida predice il futuro di Dante, suggerendo che la luce divina illumina anche gli eventi futuri.
Notevole è l’uso delle similitudini, che Dante impiega per rendere comprensibili concetti astratti e teologici. Memorabile quella in cui paragona il manifestarsi della verità sul suo destino a ciò che accade quando «da un drappo si figura l’imago nostra»: come un’immagine emerge gradualmente da un tessuto, così la verità sul futuro si rivela nella mente del poeta.
L’allegoria è figura portante del canto, specialmente nel passaggio in cui Cacciaguida descrive l’esilio di Dante come un «scendere e ‘l salir per l’altrui scale», dove le scale altrui rappresentano allegoricamente l’umiliazione e la dipendenza che il poeta dovrà sperimentare.
L’iperbole emerge con forza quando Cacciaguida predice che la fama di Dante sopravviverà: «La tua voce… lascerà la penna come vento». L’esagerazione retorica sottolinea l’importanza storica che avrà l’opera dantesca, destinata a durare oltre il tempo umano.
Fondamentale è la presenza dell’antitesi, che contrappone condizioni opposte evidenziando il contrasto tra la gloria poetica futura e le sofferenze dell’esilio. Questo contrasto è sintetizzato nei versi «Tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente; e questo è quello strale / che l’arco de lo essilio pria saetta», dove l’amore per le cose care si contrappone drammaticamente al dolore dell’abbandono.
Particolarmente efficace è l’uso dell’anafora nella sezione in cui Cacciaguida ripete «Tu» all’inizio di più versi consecutivi, enfatizzando la centralità di Dante nella profezia e creando un ritmo incalzante che amplifica l’impatto emotivo della rivelazione.
La perifrasi è impiegata frequentemente, come quando Cacciaguida si riferisce a Cangrande della Scala come «colui / ch’è primo tra’ signori», evitando di nominarlo direttamente e aumentando così il senso di solennità della profezia.
Nel canto troviamo anche esempi di chiasmo, figura retorica in cui gli elementi sono disposti secondo uno schema incrociato, come nei versi «la colpa seguirà la parte offensa / in grido, come suol; ma la vendetta / fia testimonio al ver che la dispensa», dove si crea una struttura simmetrica che enfatizza il concetto di giustizia divina.
L’ossimoro emerge quando Dante parla del «dolce assenzio» dei vaticini, unendo in un’unica espressione la dolcezza della verità rivelata e l’amarezza del destino predetto, figura che sintetizza perfettamente l’ambivalenza del messaggio di Cacciaguida.
Temi principali del 17 canto del Paradiso della Divina Commedia
Il Canto 17 del Paradiso rappresenta un momento cruciale nell’ascesa spirituale di Dante, condensando alcuni dei temi più profondi dell’intera Commedia. L’incontro con Cacciaguida, trisavolo del poeta, diventa occasione per esplorare tematiche esistenziali e spirituali di straordinaria potenza.
La profezia dell’esilio costituisce il nucleo tematico centrale del canto. Attraverso le parole del suo avo, Dante affronta il dolore della condizione dell’esule e la sofferenza dell’ingiustizia subita. Questo tema si intreccia con quello universale del rapporto tra destino individuale e disegno divino: la sofferenza personale del poeta viene inquadrata in una prospettiva provvidenziale che le conferisce senso e dignità. Le tribolazioni terrene diventano così strumento di elevazione spirituale e occasione di testimonianza morale.
La missione profetica emerge come secondo tema fondamentale. Cacciaguida esorta Dante a rivelare ciò che ha visto nel suo viaggio ultraterreno, senza timori o compromessi. Il poeta è investito di un compito che trascende la dimensione personale: la sua poesia diventa veicolo di verità e strumento di conversione per l’umanità smarrita. Il coraggio della verità, seppur scomoda e dolorosa, viene presentato come imperativo morale inderogabile.
Il contrasto tra temporalità ed eternità permea l’intero canto. La visione sub specie aeternitatis consente di comprendere le vicende umane nella loro giusta prospettiva: ciò che appare tragico o ingiusto nell’orizzonte limitato della vita terrena acquista significato alla luce del piano divino. Il tema della giustizia divina si manifesta così nella sua complessità: Dio permette il male e l’ingiustizia, ma li orienta verso un fine più alto, inaccessibile alla comprensione umana.
La nobiltà d’animo costituisce un altro tema portante. Di fronte all’ingiustizia dell’esilio, Dante è chiamato a mantenere integra la propria dignità morale, facendosi “parte per se stesso”. Il distacco dalle fazioni terrene diventa condizione per l’autenticità della testimonianza e per la fedeltà alla missione affidatagli.
Infine, la consolazione della gloria futura rappresenta il contrappeso alla sofferenza presente. La fama che Dante acquisirà attraverso la sua opera poetica viene presentata come ricompensa parziale delle ingiustizie subite, in attesa della vera giustizia che si compirà nell’eternità.
Il Canto 17 del Paradiso in pillole
| Aspetto | Dettagli |
|---|---|
| Ambientazione | Cielo di Marte, dove risiedono gli spiriti dei combattenti per la fede |
| Personaggio chiave | Cacciaguida, trisavolo di Dante che profetizza il suo esilio |
| Struttura | Tripartita: incontro con Cacciaguida, profezia dell’esilio, missione poetica affidata a Dante |
| Temi centrali | Esilio, giustizia divina, missione profetica del poeta, corruzione di Firenze |
| Profezia | Cacciaguida predice l’esilio di Dante da Firenze e le sofferenze che dovrà affrontare |
| Missione affidata | Testimoniare la verità della visione ultraterrena senza timore, per la salvezza dell’umanità |
| Figure retoriche | Metafore luminose, similitudini belliche, allegorie politiche, antitesi tra giusto e ingiusto |
| Versi memorabili | “Tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente; e questo è quello strale / che l’arco de lo essilio pria saetta” |
| Rilevanza storica | Documento autobiografico dell’esilio di Dante e della sua visione politica per l’Italia |
| Significato | Trasformazione del dolore personale in missione universale attraverso la poesia |