Il Canto 17 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale all’interno della seconda cantica della Divina Commedia di Dante Alighieri. Collocato esattamente a metà dell’intero poema (considerando i 100 canti totali), questo canto segna un passaggio fondamentale nel percorso di purificazione del poeta.
La sua struttura bipartita unisce la conclusione dell’esperienza nel girone degli iracondi a una profonda riflessione teorica sull’amore come principio motore di ogni azione umana, costituendo la base filosofica per comprendere l’intera organizzazione morale della montagna del Purgatorio.
Indice:
- Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 17 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 17 del Purgatorio della Divina Commedia
- Temi principali del Canto 17 del Purgatorio della Divina Commedia
- Il Canto 17 del Purgatorio in pillole
Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe / ti colse nebbia per la qual vedessi / non altrimenti che per pelle talpe, | Ricordati, o lettore, se mai ti sorprese la nebbia in montagna, attraverso la quale tu potessi vedere non diversamente da come le talpe vedono attraverso la pelle, |
| come, quando i vapori umidi e spessi / a diradar cominciansi, la spera / del sol debilemente entra per essi; | come, quando i vapori umidi e densi cominciano a diradarsi, la sfera del sole penetra debolmente attraverso essi; |
| e fia la tua imagine leggera / in giugnere a veder com’io rividi / lo sole in pria, che già nel corcar era. | e la tua immaginazione sarà insufficiente a comprendere come io rividi il sole che stava già tramontando. |
| Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi / del mio maestro, usci’ fuor di tal nube / ai raggi morti già ne’ bassi lidi. | Così, adeguando i miei passi a quelli sicuri della mia guida, uscii da quella nube di fumo verso i raggi del sole già tramontati nelle basse regioni terrestri. |
| O imaginativa che ne rube / talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge / perché dintorno suonin mille tube, | O immaginazione, che talvolta ci astrai dal mondo esterno al punto che l’uomo non si accorgerebbe neanche se mille trombe suonassero intorno a lui, |
| chi move te, se ‘l senso non ti porge? / Moveti lume che nel ciel s’informa, / per sé o per voler che giù lo scorge. | chi ti mette in moto, se i sensi non ti offrono alcuno stimolo? Ti muove una luce che prende forma in cielo, o per sé stessa o per volontà divina che la guida verso il basso. |
| De l’empiezza di lei che mutò forma / ne l’uccel ch’a cantar più si diletta, / ne l’imagine mia apparve l’orma; | Nella mia immaginazione apparve l’impronta della crudeltà di colei (Progne) che fu trasformata nell’uccello che più si diletta nel canto (l’usignolo); |
| e qui fu la mia mente sì ristretta / dentro da sé, che di fuor non venìa / cosa che fosse allor da lei ricetta. | e a questo punto la mia mente fu così concentrata in sé stessa, che non vi entrava nulla dall’esterno che potesse essere percepito da essa. |
| Poi piovve dentro a l’alta fantasia / un crucifisso, dispettoso e fero / ne la sua vista, e cotal si moria; | Poi apparve nella mia facoltà immaginativa un uomo crocifisso, con aspetto sdegnoso e feroce, e così moriva; |
| intorno ad esso era il grande Assuero, / Estèr sua sposa e ‘l giusto Mardoceo, / che fu al dire e al far così intero. | intorno a lui c’era il grande re Assuero, sua moglie Ester e il giusto Mardocheo, che fu così integro nel parlare e nell’agire. |
| E come questa imagine rompeo / sé per sé stessa, a guisa d’una bulla / cui manca l’acqua sotto qual si feo, | E come questa visione svanì da sé stessa, come una bolla a cui viene a mancare l’acqua sotto la quale si è formata, |
| surse in mia visione una fanciulla / piangendo forte, e dicea: “O regina, / perché per ira hai voluto esser nulla? | sorse nella mia visione una fanciulla che piangeva disperatamente, e diceva: “O regina, perché per ira hai voluto annientarti? |
| Ancisa t’hai per non perder Lavina; / or m’hai perduta! Io son essa che lutto, / madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina”. | Ti sei uccisa per non perdere Lavinia; ora mi hai perduta! Io sono colei che piango, o madre, più per la tua rovina che per quella altrui”. |
| Come si frange il sonno ove di butto / nova luce percuote il viso chiuso, / che fratto guizza pria che muoia tutto; | Come si interrompe il sonno quando improvvisamente una nuova luce colpisce gli occhi chiusi, e il sonno spezzato si agita prima di svanire del tutto; |
| così l’imaginar mio cadde giuso / tosto che lume il volto mi percosse, / maggior assai che quel ch’è in nostro uso. | così la mia immaginazione svanì non appena una luce, molto più intensa di quella a cui siamo abituati, mi colpì il viso. |
| I’ mi volsi a destra con disio / di saper ciò che Dio volea ch’i’ facesse, / ma con la vista venni manco e tanta luce, / e ‘l mio disio e ‘l velle intanto fece | Mi voltai a destra con il desiderio di sapere che cosa Dio volesse che io facessi, ma la mia vista venne meno a tanta luce, e il mio desiderio e il volere intanto fece |
| come virtù che a ragion si discorda; / e drizzò l’occhio per risponder dritto, / ma la mia vista, vinta, non rispose. | come una facoltà che si discorda dalla ragione; e drizzai lo sguardo per rispondere correttamente, ma la mia vista, sopraffatta, non rispose. |
| Questo m’invorse più che non discorse, / e fecimi un disio tanto profondo / di vedere chi era che parlava, / che mai non posò infinch’i’ nol mirai. | Questo mi rese più dubbioso che informato, e mi fece nascere un desiderio così profondo di vedere chi fosse colui che parlava, che non ebbi pace finché non lo vidi. |
| Ma come al sol che nostra vista grava / e per soverchio sua figura vela, / così la mia virtù quivi mancava. | Ma come al sole che affatica la nostra vista e per la sua eccessiva luminosità nasconde la sua forma, così la mia facoltà visiva qui veniva meno. |
| “Questo è divino spirito, che ne la / via da ir sù ne drizza sanza prego, / e col suo lume sé medesmo cela. | “Questo è uno spirito divino che, senza essere pregato, ci dirige sulla via per salire, e con la sua stessa luce si nasconde. |
| Sì fa con noi, come l’uom si fa sego; / ché quale aspetta prego e l’uopo vede, / malignamente già si mette al nego. | Si comporta con noi come l’uomo fa con sé stesso; perché chi aspetta di essere pregato quando vede il bisogno, già si dispone malignamente al rifiuto. |
| Ora accordiamo a tanto invito il piede; / procacciam di salir pria che s’abbui, / ché poi non si poria, se ‘l dì non riede”. | Ora conformiamo i nostri passi a un invito così importante; affrettiamoci a salire prima che si faccia buio, perché poi non sarebbe possibile se non ritorna il giorno”. |
| Così disse il mio duca, e io con lui / volgemmo i nostri passi ad una scala; / e tosto ch’io al primo grado fui, | Così disse la mia guida, e io insieme a lui volgemmo i nostri passi verso una scala; e appena giunsi al primo gradino, |
| senti’mi presso quasi un muover d’ala / e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati / pacifici, che son sanz’ira mala!’. | sentii vicino a me quasi un movimento d’ala e un vento sul viso e udii dire: ‘Beati i pacifici, che sono privi di malvagia ira!’. |
| Già eran sovra noi tanto levati / li ultimi raggi che la notte segue, / che le stelle apparivan da più lati. | Già erano così alti sopra di noi gli ultimi raggi che precedono la notte, che le stelle apparivano da più parti. |
| ‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’, / fra me stesso dicea, ché mi sentiva / la possa de le gambe posta in triegue. | ‘O mia forza, perché così ti dissolvi?’, dicevo tra me stesso, poiché sentivo la forza delle gambe venire meno. |
| Noi eravam dove più non saliva / la scala sù, ed eravamo affissi, / pur come nave ch’a la piaggia arriva. | Eravamo giunti dove la scala non saliva più in alto, ed eravamo fermi, proprio come una nave che giunge alla spiaggia. |
| E io attesi un poco, s’io udissi / alcuna cosa nel novo girone; / poi mi volsi al maestro mio, e dissi: | E io attesi un poco, per udire qualcosa nel nuovo girone; poi mi voltai verso il mio maestro, e dissi: |
| “Dolce mio padre, dì, quale offensione / si purga qui nel giro dove semo? / Se i piè si stanno, non stea tuo sermone”. | “Dolce padre mio, dimmi, quale colpa si purga in questo girone dove ci troviamo? Se i piedi si fermano, non si fermi il tuo discorso”. |
| Ed elli a me: “L’amor del bene, scemo / del suo dover, quiritta si ristora; / qui si ribatte il mal tardato remo. | Ed egli a me: “L’amore del bene, insufficiente rispetto al suo dovere, qui si ripara; qui si recupera il tempo perduto con il remo della penitenza. |
| Ma perché più aperto intendi ancora, / volgi la mente a me, e prenderai / alcun buon frutto di nostra dimora”. | Ma affinché tu comprenda ancora più chiaramente, rivolgi la tua attenzione a me, e trarrai qualche buon frutto dalla nostra permanenza qui”. |
| “Né creator né creatura mai”, / cominciò el, “figliuol, fu sanza amore, / o naturale o d’animo; e tu ‘l sai. | “Né il creatore né alcuna creatura mai”, cominciò, “figlio mio, fu senza amore, sia naturale che d’animo; e tu lo sai. |
| Lo naturale è sempre sanza errore, / ma l’altro puote errar per malo obietto / o per troppo o per poco di vigore. | L’amore naturale è sempre senza errore, ma l’altro può errare per cattivo oggetto o per troppo o per poco vigore. |
| Mentre ch’elli è nel primo ben diretto, / e ne’ secondi sé stesso misura, / esser non può cagion di mal diletto; | Finché è diretto verso il bene primario, e nei beni secondari si mantiene nella giusta misura, non può essere causa di cattivo piacere; |
| ma quando al mal si torce, o con più cura / o con men che non dee corre nel bene, / contra ‘l fattore adovra sua fattura. | ma quando si volge al male, o con più attenzione o con meno di quanto dovrebbe corre verso il bene, la creatura agisce contro il suo creatore. |
| Quinci comprender puoi ch’esser convene / amor sementa in voi d’ogne virtute / e d’ogne operazion che merta pene. | Da ciò puoi comprendere che l’amore deve essere in voi il seme di ogni virtù e di ogni azione che merita punizione. |
| Or, perché mai non può da la salute / amor del suo suggetto tòrcer viso, / da l’odio proprio son le cose tute; | Ora, poiché l’amore non può mai distogliere lo sguardo dalla salvezza del suo oggetto, le cose sono protette dall’odio verso se stesse; |
| e perché intender non si può diviso, / e per sé stante, alcuno esser dal primo, / da quello odiare ogne effetto è deciso. | e poiché non si può concepire alcun essere separato e indipendente dal primo essere (Dio), è impossibile che qualcuno odi Dio. |
| Resta, se dividendo bene stimo, / che ‘l mal che s’ama è del prossimo; ed esso / amor nasce in tre modi in vostro limo. | Resta, se la mia distinzione è corretta, che il male che si ama è quello del prossimo; e questo amore nasce in tre modi nella vostra natura umana. |
| È chi, per esser suo vicin soppresso, / spera eccellenza, e sol per questo brama / ch’el sia di sua grandezza in basso messo; | C’è chi, per veder il suo vicino abbattuto, spera di eccellere, e solo per questo desidera che egli sia degradato dalla sua grandezza; |
| è chi podere, grazia, onore e fama / teme di perder perch’altri sormonti, / onde s’attrista sì che ‘l contrario ama; | c’è chi teme di perdere potere, favore, onore e fama perché altri si innalzi, per cui si rattrista al punto da amare il contrario (cioè il male altrui); |
| ed è chi per ingiuria par ch’aonti, / sì che si fa de la vendetta ghiotto, / e tal convien che ‘l male altrui impronti. | e c’è chi per un’ingiuria sembra disonorato, così che diviene avido di vendetta, e tale persona deve necessariamente desiderare il male altrui. |
| Questo triforme amor qua giù di sotto / si piange; or vo’ che tu de l’altro intende, / che corre al ben con ordine corrotto. | Questo triplice amore si espia quaggiù; ora voglio che tu comprenda l’altro tipo d’amore, quello che tende al bene con ordine distorto. |
| Ciascun confusamente un bene apprende / nel qual si queti l’animo, e disira; / per che di conseguir lui combatte e tende. | Ciascuno confusamente concepisce un bene nel quale l’animo si acquieti, e lo desidera; perciò lotta e si sforza per conseguirlo. |
| Se lento amore a lui veder vi tira / o a lui acquistar, questa cornice, / dopo giusto penter, ve ne martira. | Se un fiacco amore vi attira a contemplarlo o ad acquisirlo, questo cornicione, dopo un giusto pentimento, vi punisce per questo. |
| Altro ben è che non fa l’uom felice; / non è felicità, non è la buona / essenza, d’ogne ben frutto e radice. | Vi è un altro bene che non rende l’uomo felice; non è la felicità, non è la buona essenza, frutto e radice di ogni bene. |
| L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona, / di sovr’a noi si piange per tre cerchi; / ma come tripartito si ragiona, / tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi”. | L’amore che si abbandona troppo a questo bene, si espia sopra di noi in tre cerchi; ma come si suddivida in tre parti, lo taccio, affinché tu lo cerchi da te stesso”. |
Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il Canto 17 del Purgatorio presenta una struttura bipartita che segna un momento cruciale nel percorso di purificazione di Dante. Nella prima parte, il poeta conclude l’attraversamento del girone degli iracondi, mentre nella seconda Virgilio espone una fondamentale teoria sull’amore come motore di ogni azione umana.
Il canto si apre con un’apostrofe al lettore, tecnica retorica che Dante utilizza nei momenti più significativi del poema:
Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
Dante invita chi legge a ricordare l’esperienza di trovarsi avvolto dalla nebbia montana, quando i raggi del sole iniziano a penetrare debolmente attraverso la foschia. Questa immagine naturalistica serve a descrivere metaforicamente l’uscita dal fumoso girone dell’ira e il graduale ritorno alla visione chiara.
Uscito dalla nebbia, Dante vede il sole che sta tramontando e segue Virgilio per salire il più possibile prima del calare della notte. Il poeta viene poi colpito da alcune visioni estatiche che rappresentano esempi negativi dell’ira punita:
Poi piovve dentro a l’alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;
Le visioni includono la crocifissione di Cristo osservata con odio dai persecutori, la storia biblica di Aman e Assuero, e l’episodio di Progne che uccide il figlio per vendicarsi del marito. Queste immagini fungono da esempi negativi dell’ira e delle sue conseguenze.
Dopo queste visioni appare l’angelo che custodisce il passaggio verso il quarto girone. Questo angelo, rappresentante della virtù della pace (contraria al vizio dell’ira), cancella dalla fronte di Dante la terza P (simbolo del peccato d’ira) e indica ai pellegrini la scala per salire al girone superiore.
La seconda parte del canto è dominata dall’esposizione filosofica di Virgilio sull’amore, che costituisce il fondamento teorico dell’intera struttura morale del Purgatorio:
«Né creator né creatura mai»,
cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d’animo; e tu ‘l sai.Lo naturale è sempre sanza errore,
ma l’altro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.
Virgilio distingue due tipi di amore:
- L’amore naturale: istintivo e sempre privo di errore, comune a tutte le creature
- L’amore d’animo (o elettivo): proprio dell’essere umano, che può errare in tre modi:
- Per “malo obietto” (oggetto sbagliato)
- Per “troppo vigore” (eccesso)
- Per “poco vigore” (difetto)
Questa classificazione è fondamentale per comprendere l’organizzazione morale del Purgatorio, dove i peccati vengono distribuiti in base a come l’amore si manifesta in modo distorto. I primi tre gironi (superbia, invidia e ira) puniscono peccati derivanti da un amore distorto verso il male altrui (“malo obietto”). Il quarto girone (accidia) punisce l’amore debole verso il bene (“poco vigore”), mentre gli ultimi tre gironi (avarizia, gola e lussuria) puniscono l’amore eccessivo verso beni materiali (“troppo vigore”).
Virgilio spiega che mentre l’amore è diretto ai beni primari e con giusta misura verso quelli secondari, non può essere causa di male; ma quando si orienta verso il male, o si impegna nel bene con sproporzione (in eccesso o in difetto), l’anima agisce contro il volere divino. Conclude affermando che l’amore è il seme sia di ogni virtù sia di ogni azione che merita punizione.
La lezione filosofica si interrompe quando sopraggiunge la notte, e Dante, pur avendo altre domande, si adagia per riposare prima di continuare il cammino verso i gironi successivi del Purgatorio. Questa pausa notturna sottolinea l’importanza della riflessione e della meditazione nel processo di purificazione dell’anima.
Canto 17 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto 17 del Purgatorio, la presenza dei personaggi è ridotta ma altamente significativa dal punto di vista simbolico e funzionale. I protagonisti di questo fondamentale passaggio della Cantica sono principalmente tre: Dante personaggio, Virgilio e l’Angelo della Pace.
Dante personaggio si presenta in una duplice veste: come pellegrino in cammino verso la purificazione e come testimone delle visioni esemplari dell’ira. La sua condizione psicologica è caratterizzata dal graduale passaggio dall’oscurità (rappresentata dal fumo del girone degli iracondi) alla chiarezza intellettuale.
Nei versi iniziali, Dante descrive questa transizione paragonandola all’esperienza di chi, avvolto nella nebbia montana, vede gradualmente ricomparire i raggi solari. Il poeta si mostra particolarmente ricettivo alle visioni che gli vengono inviate dalla “divina virtù”, manifestando la sua crescente capacità di interiorizzare gli insegnamenti morali del viaggio. Dante è anche colui che riceve la cancellazione della terza P (simbolo del peccato d’ira) dalla fronte, segno tangibile della sua progressiva purificazione.
Virgilio assume in questo canto uno dei suoi ruoli più significativi all’interno dell’intera Commedia: quello di maestro di filosofia morale. Se nei canti precedenti la sua funzione era prevalentemente quella di guida fisica e protettore, qui si trasforma in vero e proprio docente, esponendo una complessa teoria etica sull’amore come principio motore di ogni azione umana.
Nei versi centrali del canto, Virgilio pronuncia un vero e proprio trattato filosofico che rivela la profondità della sua comprensione razionale degli ordinamenti morali. La sua spiegazione distingue tra “amore naturale” (istintivo e privo di errore) e “amore d’animo” (elettivo e soggetto a errare). Questa distinzione costituirà la base per comprendere l’intera struttura morale del Purgatorio. Virgilio incarna qui pienamente il simbolo della ragione umana che, pur nei suoi limiti (non potrà infatti condurre Dante fino al Paradiso), è capace di illuminare l’intelletto sul funzionamento delle leggi morali che governano l’universo.
L’Angelo della Pace rappresenta il terzo personaggio significativo di questo canto, sebbene la sua apparizione sia breve ma intensa. Custode del passaggio tra il terzo e il quarto girone, questo angelo incarna la virtù opposta al vizio dell’ira appena superato. La sua figura è descritta con attributi di dolcezza e serenità che contrastano nettamente con la violenta passione dell’ira:
“Io senti’ voce che cantava: ‘Beati / pacifici, que son sanz’ira mala!'” (vv. 68-69)
L’angelo esegue un gesto rituale fondamentale: cancella dalla fronte di Dante la terza P, segnando concretamente la purificazione del poeta dal peccato dell’ira. La sua funzione è duplice: attestare il superamento della prova da parte di Dante e indicare la via per proseguire il cammino verso l’alto. La presenza dell’angelo, figura luminosa e pacifica, segna anche il confine strutturale tra la prima parte narrativa del canto e la seconda parte didascalica.
Al di là di questi tre personaggi principali, nel Canto 17 compaiono anche alcune figure indirettamente evocate attraverso le visioni che Dante riceve. Tra queste: il Cristo crocifisso visto con odio dai suoi persecutori; il re Assuero con la moglie Ester e il giusto Mardocheo; Progne che uccide il figlio per vendicarsi del marito. Questi personaggi, pur non interagendo direttamente con Dante, svolgono un ruolo emblematico fondamentale, incarnando esempi di ira punita che completano l’insegnamento morale del girone.
La connotazione simbolica dei personaggi è particolarmente significativa in questo canto centrale: Dante rappresenta l’uomo in cammino verso la purificazione; Virgilio simboleggia la ragione illuminante; l’Angelo incarna la virtù divina che assiste l’uomo nel suo percorso di elevazione. Insieme, queste figure costruiscono un complesso sistema allegorico che riflette la visione dantesca del processo di purificazione dell’anima umana.
Analisi del Canto 17 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il Canto 17 del Purgatorio occupa una posizione strategica nell’architettura della Divina Commedia, trovandosi esattamente a metà dell’intero poema. Questa collocazione non è casuale ma rispecchia la funzione del canto come fulcro concettuale dell’opera dantesca. Se consideriamo i 100 canti totali della Commedia (incluso il primo dell’Inferno), il diciassettesimo del Purgatorio rappresenta un punto di svolta fondamentale nel viaggio ultraterreno di Dante.
La struttura del canto è bipartita: nella prima sezione assistiamo al completamento dell’esperienza nel terzo girone, dedicato all’ira, mentre nella seconda parte Virgilio offre una fondamentale lezione filosofica sull’amore come principio motore di ogni azione umana. Questa divisione riflette il passaggio dal momento purificatorio a quello didascalico, tipico dell’alternanza ritmica che caratterizza l’intera cantica.
Particolarmente significativa è l’apertura del canto, con la celebre apostrofe al lettore che crea un legame diretto tra l’esperienza del poeta e quella di chi legge. Invitando il lettore a ricordare la sensazione di trovarsi nella nebbia montana, Dante costruisce un ponte empatico che trasforma la lettura in un’esperienza condivisa. Questo strumento retorico, utilizzato nei momenti più significativi del poema, sottolinea l’importanza di quanto sta per essere narrato.
Il progressivo diradarsi della nebbia che permette la visione del sole rappresenta metaforicamente il passaggio dall’oscurità intellettuale alla chiarezza della comprensione. Non è solo un espediente narrativo, ma una perfetta trasposizione visiva del processo di purificazione che l’anima attraversa nel suo cammino verso la salvezza. L’immagine del sole che penetra debolmente attraverso i vapori che si diradano può essere interpretata come l’illuminazione graduale dell’intelletto che si apre alla verità divina.
Un elemento tematico centrale è la transizione dalle visioni esemplari dell’ira alla trattazione teorica dell’amore. Le tre visioni che si manifestano a Dante – la crocifissione di Cristo, la storia di Aman e Assuero, e l’episodio di Progne – fungono da esempi negativi delle conseguenze dell’ira. Il passaggio successivo all’angelo della pace, che cancella la P dalla fronte di Dante, segna il definitivo superamento di questo peccato e prepara il poeta alla riflessione filosofica che segue.
La seconda parte del canto, dominata dalla lezione virgiliana sull’amore, rappresenta uno dei momenti più alti di elaborazione dottrinale dell’intero poema. La distinzione tra amore naturale e amore d’animo fornisce la chiave interpretativa per comprendere l’organizzazione morale dell’intera montagna del Purgatorio. Questa classificazione tripartita degli errori dell’amore è la base concettuale che giustifica la distribuzione dei peccati nei sette gironi.
Il Canto 17 stabilisce inoltre importanti collegamenti con altre parti del poema, fungendo da cerniera tematica tra i peccati di “malo obietto” (superbia, invidia, ira) e quelli di “troppo vigore” o “poco vigore” (accidia, avarizia, gola, lussuria). In questo modo, Dante non solo completa l’esperienza nei primi tre gironi, ma fornisce anche la base teorica per comprendere i quattro successivi.
Sul piano narrativo, il canto segna un’evoluzione nel rapporto tra Dante e Virgilio. La guida assume qui pienamente il suo ruolo di maestro, esponendo una complessa teoria morale con chiarezza didattica. Il linguaggio tecnico-filosofico, derivato dalla tradizione scolastica medievale, si intreccia con immagini poetiche di grande potenza evocativa, creando quella sintesi di rigore concettuale e bellezza espressiva che è tipica dello stile dantesco.
Non si può trascurare, infine, il valore simbolico del tempo narrativo: il tramonto che accompagna l’uscita dal girone dell’ira prefigura la notte imminente, che costringerà i poeti a fermarsi. Questo limite temporale accentua l’urgenza della lezione filosofica di Virgilio, che deve essere compresa prima che l’oscurità interrompa il cammino. La luce crepuscolare diventa così metafora della condizione umana, sospesa tra conoscenza e ignoranza, tra illuminazione razionale e limiti della comprensione.
Il Canto 17 si configura quindi come un momento di sintesi e rilancio nell’economia narrativa della Commedia: chiude la prima fase del percorso purgatoriale e apre la strada alla comprensione dei peccati successivi, offrendo al lettore gli strumenti concettuali per interpretare non solo la geografia morale del Purgatorio, ma l’intera visione etica dantesca.
Figure retoriche nel Canto 17 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto 17 del Purgatorio è caratterizzato da un ricco apparato retorico che Dante utilizza per rendere più efficace il suo messaggio poetico e filosofico. L’uso sapiente di figure retoriche permette al poeta di illustrare concetti complessi attraverso immagini concrete e coinvolgenti.
La figura retorica che inaugura il canto è una potente apostrofe al lettore, tecnica che Dante impiega nei momenti più significativi del poema per creare un legame diretto con chi legge: “Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe / ti colse nebbia per la qual vedessi / non altrimenti che per pelle talpe“. Questa apostrofe serve a coinvolgere attivamente il lettore nell’esperienza narrata, invitandolo a richiamare una sensazione familiare per meglio comprendere lo stato d’animo del poeta.
Subito dopo segue una magistrale similitudine naturalistica che paragona l’esperienza di uscire dal fumo del girone dell’ira alla sensazione di trovarsi in montagna quando la nebbia si dirada e i raggi solari iniziano a penetrare debolmente. Questa similitudine è particolarmente efficace perché trasforma un’esperienza ultraterrena in un’immagine concreta e quotidiana.
Al centro del canto troviamo un’altra figura di grande importanza: la metafora del sole come “spera”. Il termine “spera” richiama sia la forma sferica dell’astro sia il concetto di speranza, creando così un legame tra la luce fisica e l’illuminazione spirituale che guida Dante nel suo cammino.
Particolarmente rilevante è anche la metafora dell’amore come seme (“ogni buono operare e ‘l suo contraro / di che si fa l’amor nostro germoglio“), che presenta l’amore come principio generativo di tutte le azioni umane, virtuose o peccaminose. Questa immagine organica del germogliare sottende l’intera teoria morale esposta nel canto.
Il linguaggio filosofico della seconda parte del canto è ricco di tecnicismi derivati dalla teologia scolastica, come “obietto” (oggetto), “vigore” (intensità) e “torcer” (distorcere), che Dante integra armoniosamente nel tessuto poetico, creando una sorta di ossimoro strutturale tra il rigore filosofico e la bellezza della poesia.
Le visioni estatiche descritte nella prima parte del canto costituiscono una forma di allegoria narrativa, in cui episodi biblici e mitologici (la crocifissione vista con odio, la storia di Aman e la vicenda di Progne) diventano emblemi visivi del peccato dell’ira e delle sue conseguenze.
È presente anche un efficace chiasmo concettuale quando Virgilio afferma che l’amore può sbagliare “per malo obietto / o per troppo o per poco di vigore“, dove le due coppie di concetti si incrociano in una struttura che riflette la complessità dell’animo umano.
L’intero canto è inoltre pervaso da un sottile simbolismo numerico legato alla sua posizione centrale nel poema, rafforzato dall’immagine della scala che i pellegrini devono salire, simbolo della progressione spirituale verso l’alto.
Infine, non manca l’iperbole nell’evocazione delle conseguenze dell’ira divina e umana, figura che serve a sottolineare la gravità del peccato e l’importanza della purificazione che Dante sta attraversando nel suo viaggio ultraterreno.
Questo ricco repertorio retorico non è mai fine a se stesso, ma è sempre funzionale all’intento didascalico e morale che anima l’intera Commedia, rendendo accessibili anche i concetti più astratti attraverso immagini vivide che colpiscono l’immaginazione dei lettori.
Temi principali del Canto 17 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto 17 del Purgatorio è particolarmente significativo per la profondità e la rilevanza dei temi trattati, che costituiscono il nucleo filosofico dell’intera concezione morale dantesca. Attraverso la voce di Virgilio, Dante sviluppa una teoria dell’amore che diventa chiave di lettura fondamentale per comprendere l’organizzazione etica dell’intero Purgatorio.
Il tema centrale è indubbiamente l’amore come motore di ogni azione umana. Virgilio espone una visione dell’amore come forza universale che muove sia le creature che il creatore: “Né creator né creatura mai fu sanza amore”. Questa concezione riflette l’influenza del pensiero tomistico e agostiniano, presentando l’amore come principio di ogni azione, sia virtuosa che peccaminosa.
La distinzione tra amore naturale e amore d’animo rappresenta un altro tema cruciale. L’amore naturale, istintivo e privo di errore, si contrappone all’amore d’animo, frutto di scelta razionale e dunque soggetto a possibili deviazioni. Questa distinzione è fondamentale per comprendere come l’amore possa essere origine sia della virtù che del peccato.
Particolarmente rilevante è l’analisi delle tre possibili deviazioni dell’amore che causano il peccato: l’amore per il male altrui (malo obietto), l’amore eccessivo per i beni terreni (troppo vigore) e l’amore insufficiente per il bene supremo (poco vigore). Questa classificazione fornisce la struttura concettuale dell’intera montagna del Purgatorio, dove i sette peccati capitali sono disposti secondo questa triplice tipologia di amore distorto.
Il tema della purificazione attraverso il contrasto tra vizi e virtù emerge chiaramente nel passaggio dal girone dell’ira a quello successivo. Le visioni di esempi negativi di ira punita che Dante sperimenta rappresentano l’ultimo stadio della purificazione da questo peccato, mentre l’angelo della pace incarna la virtù opposta che consente il progresso spirituale. Questo meccanismo di contrasto tra vizio e virtù costituisce l’essenza del processo purificatorio in tutto il Purgatorio.
Altro tema fondamentale è il passaggio dall’oscurità alla luce, metaforicamente rappresentato dall’uscita dalla nebbia fumosa dell’ira e dal graduale chiarirsi della visione. Questa progressione simbolica dalla confusione alla chiarezza corrisponde al percorso di illuminazione intellettuale e morale che Dante sta compiendo, guidato dalla ragione (Virgilio) verso una comprensione più profonda delle verità etiche.
Nel canto emerge anche il tema del ruolo dell’intelletto nella vita morale. La lezione filosofica di Virgilio sottolinea come la ragione umana sia capace di comprendere i principi fondamentali della moralità, anche se necessita poi della rivelazione (che verrà con Beatrice) per accedere alle verità più elevate. La complessità dell’argomentazione logica presentata riflette la fiducia nella capacità razionale dell’uomo di discernere il bene dal male.
Infine, il tema della centralità dell’esperienza personale nel processo conoscitivo viene evidenziato dall’appello al lettore con cui si apre il canto. Dante invita chi legge a richiamare alla memoria esperienze personali per comprendere meglio il suo stato d’animo, sottolineando come la conoscenza autentica passi attraverso l’integrazione tra esperienza vissuta e riflessione intellettuale.
Questa ricca articolazione tematica fa del Canto 17 un momento cruciale nel percorso spirituale e filosofico della Divina Commedia, in cui la riflessione morale sull’amore diventa chiave interpretativa dell’intero sistema etico dantesco.
Il Canto 17 del Purgatorio in pillole
| Aspetto | Descrizione |
|---|---|
| Posizione nell’opera | Canto centrale dell’intera Divina Commedia (50° su 100 canti); punto di svolta nel Purgatorio |
| Struttura del canto | Bipartita: conclusione del girone dell’ira e lezione filosofica sull’amore |
| Personaggi principali | Dante (protagonista in purificazione), Virgilio (guida razionale), Angelo della Pace (custode del passaggio) |
| Visioni esemplari | Esempi negativi dell’ira: crocifissione di Gesù vista con odio, storia di Aman e Assuero, episodio di Progne |
| Teoria dell’amore | Distinzione tra amore naturale (istintivo e privo di errore) e amore d’animo (elettivo, soggetto a errore) |
| Tipologie di errore nell’amore | Per “malo obietto” (oggetto sbagliato), per “troppo vigore” (eccesso), per “poco vigore” (difetto) |
| Incipit significativo | Apostrofe al lettore con similitudine della nebbia alpina che si dirada |
| Figure retoriche principali | Similitudini naturalistiche, metafore (sole come “spera”), allegorie e forte simbolismo |
| Elementi simbolici | La P cancellata dalla fronte di Dante, l’angelo della pace, il tramonto del sole |
| Significato morale | L’amore come “seme” di ogni virtù e ogni azione meritevole di punizione |
| Rilevanza nell’opera | Fornisce la chiave interpretativa per comprendere l’organizzazione morale dell’intero Purgatorio |