Il Canto XVIII del Purgatorio si colloca nel quarto girone della montagna, destinato alla purificazione degli accidiosi, coloro che in vita peccarono di pigrizia spirituale. Questo canto riveste un’importanza particolare poiché si trova esattamente a metà dell’intera Divina Commedia e si divide in due parti ben distinte, offrendo sia una profonda riflessione filosofica che una vivida rappresentazione narrativa.
Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo originale | Parafrasi |
|---|---|
| Posto avea fine al suo ragionamento | Aveva terminato il suo ragionamento |
| l’alto dottore, e attento guardava | l’illustre maestro (Virgilio), e attentamente guardava |
| ne la mia vista s’io parea contento; | nel mio sguardo se io sembravo soddisfatto; |
| e io, cui nova sete ancor frugava, | e io, che ero tormentato da una nuova sete di conoscenza, |
| di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse | tacevo esteriormente, ma dentro di me pensavo: ‘Forse |
| lo troppo dimandar ch’io fo li grava’. | il mio eccessivo domandare lo infastidisce’. |
| Ma quel padre verace, che s’accorse | Ma quel sincero padre (Virgilio), che si accorse |
| del timido voler che non s’apriva, | del desiderio timido che non si manifestava, |
| parlando, di parlare ardir mi porse. | parlando, mi diede il coraggio di parlare. |
| Ond’io: “Maestro, il mio veder s’avviva | Perciò io dissi: “Maestro, la mia vista si ravviva |
| sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro | così nella tua luce, che io comprendo chiaramente |
| quanto la tua ragion parta o descriva. | tutto ciò che il tuo ragionamento espone o descrive. |
| Però ti prego, dolce padre caro, | Perciò ti prego, dolce padre caro, |
| che mi dimostri amore, a cui reduci | che mi spieghi l’amore, al quale riconduci |
| ogne buono operare e ‘l suo contraro”. | ogni buona azione e il suo contrario”. |
| “Drizza”, disse, “ver’ me l’agute luci | “Rivolgi”, disse, “verso di me gli occhi attenti |
| de lo ‘ntelletto, e fieti manifesto | dell’intelletto, e ti sarà chiaro |
| l’error de’ ciechi che si fanno duci. | l’errore dei ciechi che si fanno guide. |
| L’animo, ch’è creato ad amar presto, | L’animo, che è creato pronto ad amare, |
| ad ogne cosa è mobile che piace, | è attratto da ogni cosa che piace, |
| tosto che dal piacere in atto è desto. | non appena dal piacere viene stimolato all’azione. |
| Vostra apprensiva da esser verace | La vostra facoltà di percepire trae da un oggetto reale |
| tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, | un’immagine, e dentro di voi la dispiega, |
| sì che l’animo ad essa volger face; | così che fa volgere l’animo verso di essa; |
| e se, rivolto, inver’ di lei si piega, | e se, rivolto, verso di essa si piega, |
| quel piegare è amor, quell’è natura | quel piegarsi è amore, quella è natura |
| che per piacer di novo in voi si lega. | che per il piacere nuovamente in voi si lega. |
| Poi, come ‘l foco movesi in altura | Poi, come il fuoco si muove verso l’alto |
| per la sua forma ch’è nata a salire | per la sua natura che è portata a salire |
| là dove più in sua matera dura, | là dove più a lungo la sua materia permane, |
| così l’animo preso entra in disire, | così l’animo attratto entra in desiderio, |
| ch’è moto spiritale, e mai non posa | che è un moto spirituale, e mai non si ferma |
| fin che la cosa amata il fa gioire. | finché la cosa amata non lo fa gioire. |
| Or ti puote apparer quant’è nascosa | Ora ti può apparire quanto è nascosta |
| la veritate a la gente ch’avvera | la verità alla gente che afferma |
| ciascun amore in sé laudabil cosa, | che ogni amore è in sé cosa lodevole, |
| però che forse appar la sua matera | perché forse sembra che la sua materia |
| sempre esser buona; ma non ciascun segno | sia sempre buona; ma non ogni impronta |
| è buono, ancor che buona sia la cera”. | è buona, anche se buona sia la cera”. |
| “Le tue parole e ‘l mio seguace ingegno”, | “Le tue parole e il mio intelletto che ti segue”, |
| rispuos’io lui, “m’hanno amor discoverto, | risposi a lui, “mi hanno rivelato l’amore, |
| ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno; | ma ciò mi ha fatto essere più pieno di dubbi; |
| ché, s’amore è di fuori a noi offerto | perché, se l’amore è offerto a noi dall’esterno |
| e l’anima non va con altro piede, | e l’anima non procede con altro passo, |
| se dritta o torta va, non è suo merto”. | se va dritta o torta, non è suo merito”. |
| Ed elli a me: “Quanto ragion qui vede, | Ed egli a me: “Ciò che la ragione qui comprende, |
| dir ti poss’io; da indi in là t’aspetta | posso dirti; ma per ciò che va oltre aspettati |
| pur a Beatrice, ch’è opra di fede. | solo a Beatrice, che è opera di fede. |
| Ogne forma sustanzïal, che setta | Ogni forma sostanziale, che è separata |
| è da matera ed è con lei unita, | dalla materia ed è con lei unita, |
| specifica vertute ha in sé colletta, | ha in sé raccolta una specifica virtù, |
| la qual sanza operar non è sentita, | la quale senza operare non è percepita, |
| né si dimostra ma’ che per effetto, | né si manifesta mai se non attraverso l’effetto, |
| come per verdi fronde in pianta vita. | come la vita in una pianta si manifesta attraverso le verdi foglie. |
| Però, là onde venga lo ‘ntelletto | Perciò, da dove abbia origine l’intelletto |
| de le prime notizie, omo non sape, | delle prime nozioni, l’uomo non sa, |
| e de’ primi appetibili l’affetto, | e nemmeno l’affetto dei primi desideri, |
| che sono in voi sì come studio in ape | che sono in voi così come l’istinto nelle api |
| di far lo mele; e questa prima voglia | di fare il miele; e questa prima volontà |
| merto di lode o di biasmo non cape. | non è suscettibile di lode o di biasimo. |
| Or perché a questa ogn’altra si raccoglia, | Ora affinché a questa si aggiunga ogni altra volontà, |
| innata v’è la virtù che consiglia, | innata in voi è la virtù che consiglia, |
| e de l’assenso de’ tener la soglia. | e deve custodire la soglia dell’assenso. |
| Quest’è ‘l principio là onde si piglia | Questo è il principio da cui ha origine |
| ragion di meritare in voi, secondo | il merito in voi, a seconda |
| che buoni e rei amori accoglie e viglia. | che accoglie e separa amori buoni e cattivi. |
| Color che ragionando andaro al fondo, | Coloro che ragionando andarono a fondo, |
| s’accorser d’esta innata libertate; | si accorsero di questa innata libertà; |
| però moralità lasciaro al mondo. | perciò lasciarono al mondo la moralità. |
| Onde, poniam che di necessitate | Perciò, anche ammettendo che necessariamente |
| surga ogne amor che dentro a voi s’accende, | sorga ogni amore che dentro di voi si accende, |
| di ritenerlo è in voi la podestate. | di trattenerlo è in voi la facoltà. |
| La nobile virtù Beatrice intende | La nobile virtù Beatrice intende |
| per lo libero arbitrio, e però guarda | per il libero arbitrio, e perciò bada |
| che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende”. | che tu l’abbia a mente, se inizia a parlartene”. |
| La luna, quasi a mezza notte tarda, | La luna, quasi in ritardo rispetto alla mezzanotte, |
| facea le stelle a noi parer più rade, | faceva apparire le stelle a noi più rade, |
| fatta com’un secchion che tuttor arda; | formatasi come un secchio che ancora arde; |
| e correa contro ‘l ciel per quelle strade | e correva contro il cielo per quelle strade |
| che ‘l sole infiamma allor che quel da Roma | che il sole infiamma quando quello da Roma |
| tra ‘ Sardi e ‘ Corsi il vede quando cade. | lo vede tramontare tra i Sardi e i Corsi. |
| E quell’ombra gentil per cui si noma | E quell’ombra gentile per cui prende nome |
| Pietola più che villa mantoana, | Pietola più che ogni altra città mantovana, |
| del mio carcar diposta avea la soma; | aveva deposto il peso del mio affanno; |
| per ch’io, che la ragione aperta e piana | perciò io, che avevo compreso il ragionamento chiaro e piano |
| sovra le mie quistioni avea ricolta, | sulle mie questioni, |
| stava com’om che sonnolento vana. | stavo come un uomo che sonnolento vaneggia. |
| Ma questa sonnolenza mi fu tolta | Ma questa sonnolenza mi fu tolta |
| subitamente da gente che dopo | improvvisamente da gente che dietro |
| le nostre spalle a noi era già volta. | le nostre spalle si era già rivolta verso di noi. |
| E quale Ismeno già vide e Asopo | E come l’Ismeno e l’Asopo già videro |
| lungo di sè di notte furia e calca, | lungo le loro rive di notte furia e calca, |
| pur che i Teban di Bacco avesser uopo, | purché i Tebani avessero bisogno di Bacco, |
| cotal per quel giron suo passo falca, | così per quel girone muove il suo passo, |
| per quel ch’io vidi di color, venendo, | per quello che io vidi di coloro, venendo, |
| cui buon volere e giusto amor cavalca. | che buona volontà e giusto amore guida. |
| Tosto fur sovr’a noi, perché correndo | Presto furono sopra di noi, perché correndo |
| si movea tutta quella turba magna; | si muoveva tutta quella grande turba; |
| e due dinanzi gridavan piangendo: | e due davanti gridavano piangendo: |
| “Maria corse con fretta a la montagna; | “Maria corse in fretta alla montagna; |
| e Cesare, per soggiogare Ilerda, | e Cesare, per soggiogare Ilerda, |
| punse Marsilia e poi corse in Ispagna”. | assalì Marsiglia e poi corse in Spagna”. |
| “Ratto, ratto, che ‘l tempo non si perda | “Presto, presto, che il tempo non si perda |
| per poco amor”, gridavan li altri appresso, | per poco amore”, gridavano gli altri appresso, |
| “che studio di ben far grazia rinverda”. | “che lo zelo di far bene rinnovi la grazia”. |
| “O gente in cui fervore aguto adesso | “O gente in cui fervore acuto adesso |
| ricompie forse negligenza e indugio | ricompensa forse negligenza e indugio |
| da voi per tepidezza in ben far messo, | da voi commessi per tiepidezza nel far bene, |
| questi che vive, e certo i’ non vi bugio, | questi che vive, e certo non vi mento, |
| vuole andar sù, pur che ‘l sol ne riluca; | vuole andare su, non appena il sole ci illumini; |
| però ne dite ond’è presso il pertugio”. | perciò diteci dov’è vicino il passaggio”. |
| Parole furon queste del mio duca; | Queste furono le parole della mia guida; |
| e un di quelli spirti disse: “Vieni | e uno di quegli spiriti disse: “Vieni |
| di retro a noi, e troverai la buca. | dietro a noi, e troverai l’apertura. |
| Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, | Noi siamo così pieni di volontà di muoverci, |
| che restar non potem; però perdona, | che non possiamo fermarci; perciò perdona, |
| se villania nostra giustizia tieni. | se consideri villania la nostra costante attività. |
| Io fui abate in San Zeno a Verona | Io fui abate in San Zeno a Verona |
| sotto lo ‘mperio del buon Barbarossa, | sotto l’impero del valoroso Barbarossa, |
| di cui dolente ancor Milan ragiona. | di cui ancora Milano parla con dolore. |
| E tale ha già l’un piè dentro la fossa, | E c’è tale che ha già un piede nella fossa, |
| che tosto piangerà quel monastero, | che presto piangerà quel monastero, |
| e tristo fia d’avere avuto possa; | e sarà triste di aver avuto potere; |
| perché suo figlio, mal del corpo intero, | perché suo figlio, malato nel corpo intero, |
| e de la mente peggio, e che mal nacque, | e peggio nella mente, e che nacque illegittimamente, |
| ha posto in loco di suo pastor vero”. | ha posto al posto del vero pastore”. |
| Io non so se più disse o s’ei si tacque, | Io non so se disse di più o se tacque, |
| tant’era già di là da noi trascorso; | tanto era già trascorso oltre noi; |
| ma questo intesi, e ritener mi piacque. | ma questo intesi, e mi piacque ricordarlo. |
| E quei che m’era ad ogne uopo soccorso | E colui che mi era di soccorso ad ogni bisogno |
| disse: “Volgiti qua: vedine due | disse: “Volgiti qua: vedine due |
| venir dando a l’accidia di morso”. | venire dando all’accidia dei morsi”. |
| Di retro a tutti dicean: “Prima fue | Dietro a tutti dicevano: “Prima fu |
| morta la gente a cui il mar s’aperse, | morto il popolo al quale il mare si aprì, |
| che vedesse Iordan le rede sue. | prima che il Giordano vedesse i suoi eredi. |
| E quella che l’affanno non sofferse | E quella gente che non sopportò la fatica |
| fino a la fine col figlio d’Anchise, | fino alla fine con il figlio di Anchise (Enea), |
| sé stessa a vita sanza gloria offerse”. | si offrì a una vita senza gloria”. |
| Poi quando fuor da noi tanto divise | Poi quando furono tanto allontanate da noi |
| quell’ombre, che veder più non potiersi, | quelle ombre, che non si potevano più vedere, |
| nuovo pensiero dentro a me si mise, | un nuovo pensiero mi venne in mente, |
| del qual più altri nacquero e diversi; | dal quale ne nacquero molti altri e diversi; |
| e tanto d’uno in altro vaneggiai, | e tanto vaneggiavo da uno all’altro, |
| che li occhi per vaghezza ricopersi, | che chiusi gli occhi per il vagare della mente, |
| e ‘l pensamento in sogno trasmutai. | e il pensiero trasformai in sogno. |
Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Nella prima sezione del canto 4 del Purgatorio (versi 1-75), Dante prosegue il dialogo con Virgilio iniziato nel canto precedente, chiedendo chiarimenti sulla natura dell’amore. Il poeta latino risponde con una complessa disquisizione filosofica che rappresenta uno dei momenti più alti della riflessione dantesca sul libero arbitrio. Virgilio spiega che l’animo umano è naturalmente predisposto ad amare e si muove verso ciò che lo attrae: “L’animo, ch’è creato ad amar presto, / ad ogne cosa è mobile che piace, / tosto che dal piacere in atto è desto“.
La guida distingue due tipi fondamentali di amore: l’amore naturale, istintivo e sempre corretto, e l’amore d’animo, frutto di scelta e quindi soggetto a errore. Quest’ultimo è particolarmente importante perché è legato al libero arbitrio: sebbene l’uomo sia naturalmente incline ad amare ciò che gli piace, possiede la facoltà razionale che può guidare le sue scelte. Virgilio afferma: “Quest’è ‘l principio là onde si piglia / ragion di meritare in voi, secondo / che buoni e rei amori accoglie e viglia“, stabilendo che il merito morale dipende dalla capacità di discernere tra amori buoni e cattivi.
La seconda parte del canto (versi 76-145) mostra un cambiamento di tono e contenuto. Dante passa dalla riflessione filosofica alla descrizione delle anime degli accidiosi che espiano la loro colpa. Queste anime corrono senza sosta, contrappeso alla pigrizia che le caratterizzò in vita. Due gruppi di penitenti si muovono in direzioni opposte, gridando esempi di sollecitudine per contrastare il vizio dell’accidia.
Il primo gruppo ricorda Maria che “corse con fretta alla montagna” per visitare Elisabetta, mentre il secondo menziona Giulio Cesare che rapidamente conquistò Marsiglia prima di dirigersi in Spagna. Questi exempla positivi servono a stimolare le anime verso il bene, bilanciando con zelo la loro passata negligenza. Altri esempi vengono poi citati: i primi ricordano coloro che restarono nel deserto invece di seguire Mosè nella Terra Promessa, mentre i secondi menzionano i compagni di Enea che scelsero di rimanere in Sicilia anziché proseguire la missione verso l’Italia.
La concitazione della corsa è espressa con efficacia nei versi: “Ratto, ratto, che ‘l tempo non si perda / per poco amor, gridavan li altri appresso, / che studio di ben far grazia rinverda“. Le anime corrono velocemente perché comprendono che il tempo non deve essere sprecato per scarso amore, e che l’impegno nel fare il bene ravviva la grazia divina.
L’ambientazione temporale è significativa: mentre nella prima parte del canto il cielo è ancora illuminato, nella seconda parte giunge il crepuscolo, creando un’atmosfera di transizione che riflette il passaggio dai concetti filosofici alla rappresentazione concreta della pena. Il canto si chiude con Dante che, sopraffatto dalla stanchezza, si abbandona ai suoi pensieri mentre scende la notte, preparando così la transizione al canto successivo.
Questa struttura bipartita del Canto XVIII rappresenta efficacemente il metodo dantesco di alternare riflessione teorica e rappresentazione narrativa, offrendo al lettore sia una comprensione intellettuale dell’amore e del libero arbitrio, sia una visualizzazione emotiva delle conseguenze morali dell’accidia, dimostrando come la pigrizia spirituale possa essere superata attraverso l’amore attivo e consapevole.
Canto 18 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XVIII del Purgatorio, i personaggi assumono un ruolo cruciale nella trasmissione del messaggio filosofico e teologico dantesco. Al centro della scena troviamo naturalmente Dante pellegrino, che rappresenta l’umanità in cerca di verità e purificazione. In questo canto, il poeta fiorentino manifesta una particolare disposizione all’apprendimento, ponendo a Virgilio domande precise sulla natura dell’amore e del libero arbitrio. La sua curiosità intellettuale riflette il desiderio universale dell’uomo di comprendere i meccanismi profondi che regolano l’esistenza e determinano la salvezza o la dannazione.
Virgilio incarna la guida razionale per eccellenza, assumendo il ruolo di maestro filosofico che espone una complessa dottrina sull’amore. La sua spiegazione, radicata nella tradizione aristotelico-tomistica, dimostra i limiti ma anche la grandezza della ragione umana. In quanto rappresentante della saggezza pagana, Virgilio può guidare Dante fino a un certo punto nel suo percorso di comprensione: non a caso, nel canto stesso si anticipa che sarà Beatrice a completare l’insegnamento sul libero arbitrio, simboleggiando il passaggio dalla filosofia alla teologia rivelata.
Le anime dei pigri costituiscono un elemento fondamentale del canto. Queste anime espiano il peccato dell’accidia correndo incessantemente nel quarto girone, in un contrappasso che trasforma la loro passata indolenza in attività frenetica. A differenza delle anime incontrate nell’Inferno, queste sono destinate alla salvezza e la loro pena è purificatrice, non punitiva. Le anime sono divise in due gruppi che corrono in direzioni opposte, gridando esempi di zelo e sollecitudine per contrastare la memoria del loro peccato.
Tra gli esempi di virtù citati emergono figure storiche e bibliche di grande rilevanza. Maria, madre di Gesù, viene ricordata per la sua sollecitudine nell’andare “con fretta alla montagna” a visitare la cugina Elisabetta dopo l’Annunciazione. Questo esempio, tratto dal Vangelo di Luca, rappresenta l’antitesi perfetta dell’accidia: un’azione rapida motivata da amore sincero.
Dal mondo storico viene invece citato Giulio Cesare, ricordato per la velocità con cui, dopo aver lasciato una parte del suo esercito ad assediare Marsiglia, si recò in Spagna per combattere contro i sostenitori di Pompeo. La figura di Cesare, pur pagana, viene qui utilizzata come esempio di energia e determinazione.
In contrasto con questi esempi positivi, vengono menzionati anche casi negativi. Gli Ebrei nel deserto sono ricordati per la loro pigrizia spirituale e mancanza di fede durante l’Esodo: “Prima morì la gente a cui si aprì il mare, che vedesse il Giordano”. Questo riferimento biblico sottolinea come l’accidia spirituale conduca alla morte senza aver completato il percorso verso la salvezza.
È significativo che tutti i personaggi, sia quelli presenti fisicamente che quelli evocati attraverso gli esempi, rappresentino diverse sfaccettature del rapporto tra scelta umana e destino. Attraverso questo intreccio di figure, Dante illustra come l’azione virtuosa sia il risultato di una volontà libera guidata dall’amore rettamente inteso, mentre l’inerzia spirituale derivi da un amore mal diretto o insufficiente.
La funzione dei personaggi in questo canto è dunque duplice: da un lato, Dante e Virgilio conducono una riflessione intellettuale e filosofica; dall’altro, le anime e gli esempi citati incarnano concretamente le conseguenze morali della teoria esposta. Questo duplice registro, tipico dello stile dantesco, permette al lettore di comprendere i concetti astratti attraverso immagini concrete e personaggi memorabili.
Analisi del Canto 18 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il Canto 18 del Purgatorio costituisce un punto cruciale nell’architettura della Divina Commedia, collocandosi esattamente a metà dell’intera opera. Questa posizione non è casuale: il canto rappresenta infatti un momento di profonda riflessione sui principi che governano l’agire umano, segnando una svolta nell’itinerario spirituale del pellegrino Dante.
La struttura narrativa del canto si articola in due parti ben distinte ma complementari. Nella prima sezione (versi 1-75), prevale una dimensione filosofico-dottrinale, con Virgilio che espone una complessa teoria sull’amore e sul libero arbitrio. Questa parte costituisce il completamento del ragionamento iniziato nel canto precedente, come suggerisce la metafora tessile dei primi versi: “Posto avea fine al suo ragionamento / l’alto dottore, e attento guardava / nella mia vista s’io parea contento“. Il dialogo che ne segue ha un carattere maieutico: Dante pone domande e Virgilio, con pazienza didattica, costruisce un’articolata riflessione filosofica.
Nella seconda parte (versi 76-145), il registro cambia radicalmente, passando dalla speculazione teoretica alla rappresentazione narrativa. Dante osserva le anime dei pigri che corrono senza sosta per purificarsi della loro antica accidia. Il contrasto tra la staticità della discussione precedente e il movimento frenetico delle anime crea un effetto drammatico che amplifica il messaggio morale: l’opposizione tra contemplazione e azione, tra teoria e prassi.
Un elemento tematico fondamentale è la dottrina dell’amore come principio universale che muove l’intero cosmo. Virgilio distingue tra “amore naturale”, sempre privo di errore, e “amore d’animo” o elettivo, che può essere diretto verso oggetti degni o indegni. Questa distinzione è cruciale per comprendere la concezione dantesca del peccato: non è l’amore in sé a essere colpevole, ma il suo traviamento verso beni inadeguati o la sua insufficienza verso il bene supremo.
Il tema del libero arbitrio emerge come cardine della riflessione morale. Nei versi “Però là onde vegna lo ‘ntelletto / de le prime notizie, omo non sape, / né de’ primi appetibili l’affetto” (vv. 55-57), Dante riconosce che mentre l’origine dell’istinto e delle prime nozioni intellettuali rimane misteriosa, l’uomo possiede la “virtù che consiglia” (v. 62), ovvero la facoltà di discernere tra beni e mali. Questo potere decisionale è il fondamento della responsabilità morale e della possibilità di merito o colpa.
La tensione tra determinismo e libertà costituisce un nodo concettuale del canto. Da un lato, l’amore è presentato come una forza naturale che nasce spontaneamente nell’animo umano; dall’altro, la ragione e la volontà hanno il compito di guidare questa inclinazione. Il verso “e questa è quell’innata libertate” (v. 68) sintetizza la posizione dantesca: la libertà non consiste nell’assenza di inclinazioni, ma nella capacità di valutarle e governarle.
La rappresentazione delle anime penitenti nella cornice dei pigri assume un valore simbolico profondo. Le anime corrono gridando esempi di sollecitudine (Maria che “corse con fretta alla montagna”) e richiamando casi di accidia punita (gli ebrei che morirono nel deserto senza vedere la Terra Promessa). Questo contrappasso, che oppone all’antica pigrizia un’attività incessante, illustra la natura trasformativa del Purgatorio: ogni pena è finalizzata a correggere la disposizione interiore che ha generato il peccato.
Il canto si caratterizza per una progressiva intensificazione emotiva. Se la prima parte è dominata dalla pacatezza della discussione filosofica, la seconda culmina nella vivida descrizione dell’abate di San Zeno che denuncia la corruzione del suo monastero sotto la guida di Alberto della Scala. Questo crescendo narrativo riflette il passaggio dalla comprensione teorica del male alla sua concreta manifestazione storica.
La dimensione temporale assume particolare rilevanza nel canto. Le anime corrono di notte, quando il sole è tramontato, e il narratore sottolinea che “la notte già s’avvolge” (v. 140). L’oscurità non è solo un dato fisico ma acquista valenza allegorica: rappresenta il tempo della prova, quando la virtù deve esercitarsi senza il conforto della piena luce della grazia.
Il percorso dantesco nel Purgatorio rappresenta un cammino di progressiva illuminazione spirituale. La riflessione sull’amore e sul libero arbitrio nel Canto 18 prepara il terreno per le tappe successive dell’ascesa, quando il pellegrino, purificato dall’errore morale, potrà accedere alla contemplazione delle verità celesti nel Paradiso. L’equilibrio tra teoria filosofica e rappresentazione narrativa riflette la concezione dantesca della conoscenza come unione di ragione ed esperienza, di verità intellettuale e verità vissuta.
Figure retoriche nel Canto 18 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto XVIII del Purgatorio rivela la maestria retorica di Dante, che utilizza varie figure stilistiche per rendere comprensibili concetti filosofici complessi relativi all’amore e al libero arbitrio.
La metafora della tela e della trama apre il canto con versi di straordinaria efficacia: «Posto avea fine al suo ragionamento / l’alto dottore, e attento guardava / ne la mia vista s’io parea contento; / e io, cui nova sete ancor frugava, / di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse / lo troppo dimandar ch’io fo li grava’». Qui Dante rappresenta il discorso iniziato da lui (l’ordito) e completato da Virgilio (la trama), creando un’immagine tessile che illustra perfettamente la costruzione dialogica del pensiero.
Fondamentale è la similitudine delle foglie verdi (versi 28-30), dove il poeta paragona il manifestarsi dell’amore nelle azioni umane alla vita che si rivela nelle foglie di una pianta: «la qual sanza operar non è sentita, / né si dimostra ma’ che per effetto, / come per verdi fronde in pianta vita». Questa immagine botanica rende tangibile il concetto astratto della virtù che si rivela solo attraverso gli atti concreti.
La metafora dell’ape rappresenta uno dei momenti più intensi del canto: «E come l’api che d’inverno stanno / chiuse ne’ lor alveari, e s’affacciano / solo al primo tepor che ‘l sole dà loro». Con questa immagine Dante descrive come l’anima, simile alle api che escono dall’alveare al primo calore, si volga all’amore quando stimolata dal piacere.
Nel passaggio alle anime degli accidiosi emerge la potente antitesi tra accidia e zelanza, espressa attraverso il movimento frenetico delle anime che corrono ripetendo «’Ratto, ratto, che ‘l tempo non si perda / per poco amor’», in contrasto con la loro pigrizia terrena. Questa contrapposizione rappresenta visivamente la purificazione attraverso il contrario del peccato commesso.
Dante utilizza anche l’anafora con la ripetizione della parola «Amor» all’inizio di versi successivi, enfatizzando il tema centrale del canto e creando un ritmo incalzante che riflette l’importanza del concetto.
Il linguaggio si adatta ai diversi momenti del canto: nella prima parte filosofica predominano termini tecnici della scolastica come «sustanzial», «virtù specifica», e «intelletto possibile», mentre nella descrizione delle anime si passa a uno stile più narrativo e immediato, con frasi brevi ed esclamazioni che riproducono l’urgenza della corsa purificatrice.
L’iperbole caratterizza gli esempi virtuosi citati, come la corsa di Maria «in fretta alla montagna» o la rapidità fulminea di Cesare, amplificando il contrasto con la lentezza degli accidiosi.
Notevole è l’uso di allegorie nel canto: la corsa delle anime simboleggia il recupero del tempo perduto in vita, mentre gli esempi di sollecitudine (Maria, Cesare) e negligenza (gli Ebrei nel deserto) rappresentano polarità opposte che educano attraverso esempi concreti.
La scelta di strutture sintattiche complesse nella prima parte, contrapposte a frasi più dirette nella seconda, riflette il passaggio dalla speculazione teorica all’esperienza diretta, dimostrando come la forma stessa del testo incarni il messaggio filosofico che Dante vuole trasmettere. In questo modo, le figure retoriche non sono mero ornamento, ma strumenti essenziali per elevare la comprensione del lettore sui temi complessi dell’amore come forza cosmica e della libertà umana come fondamento della responsabilità morale.
Temi principali del 18 canto del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto XVIII del Purgatorio presenta una straordinaria architettura tematica che lo rende centrale nell’economia dell’intera Divina Commedia. Posizionato esattamente a metà dell’opera, questo canto affronta questioni fondamentali che risuonano attraverso l’intero poema dantesco.
Il primo grande tema è quello dell’amore come forza universale. Virgilio, rispondendo ai quesiti di Dante, elabora una teoria complessa che descrive l’amore come principio cosmico che muove ogni creatura. Questa concezione si collega alla visione medievale dell’amore come forza motrice dell’universo, ma Dante la rinnova profondamente, inserendola in un contesto cristiano dove l’amore è sia origine che fine del percorso umano verso la salvezza.
Strettamente connessa è la distinzione tra amore naturale e amore d’animo. Il primo, istintivo e mai soggetto a errore, rappresenta l’inclinazione innata di ogni essere verso il proprio bene; il secondo, frutto di scelta razionale, può invece deviare verso oggetti impropri o manifestarsi con intensità inadeguata. Questa distinzione è cruciale per comprendere la gerarchia dei peccati nel Purgatorio, dove le anime espiano colpe legate proprio all’errata direzione dell’amore.
Centrale nel canto è il tema del libero arbitrio, presentato come facoltà distintiva dell’essere umano. Virgilio spiega: “Però se ‘l mondo presente disvia, / in voi è la cagione, in voi si cheggia“. La libertà di scelta emerge come presupposto indispensabile della responsabilità morale: senza libero arbitrio, non esisterebbe né merito né colpa. L’uomo, pur naturalmente inclinato all’amore, conserva la capacità di orientarlo secondo ragione.
Il tema della responsabilità morale si manifesta concretamente nella cornice dei pigri, le cui anime corrono incessantemente per purificarsi dall’accidia terrena. L’accidia, definibile come negligenza nell’amore del bene, rappresenta una deformazione dell’amore caratterizzata da insufficiente slancio verso gli autentici valori spirituali. La purificazione attraverso la corsa frenetica illustra come ogni colpa richieda un’espiazione specifica che ne inverta la natura.
Infine, il canto propone una riflessione sul percorso di redenzione come cammino attivo dell’anima. Gli esempi di sollecitudine gridati dalle anime (Maria che “corse con fretta alla montagna”, Cesare che conquistò rapidamente Marsiglia) rappresentano modelli positivi di amore zelante che contrastano l’inerzia spirituale. La purificazione non è solo punizione ma trasformazione interiore che prepara l’anima alla beatitudine.
Questa complessa tessitura tematica fa del Canto XVIII un momento di sintesi filosofica e teologica in cui Dante articola la sua visione del rapporto tra determinismo e libertà, tra natura umana e grazia divina, offrendo una risposta originale al grande interrogativo su come l’uomo possa conquistare la propria salvezza attraverso un amore orientato correttamente dalla ragione e illuminato dalla fede.
Il Canto 18 del Purgatorio in pillole
| Elemento | Descrizione |
|---|---|
| Posizione nel Purgatorio | Quarto girone, dedicato alla purificazione degli accidiosi |
| Struttura del canto | Diviso in due parti: discussione filosofica sull’amore e libero arbitrio (vv. 1-75); descrizione delle anime dei pigri in corsa (vv. 76-145) |
| Personaggi principali | Dante pellegrino, Virgilio come maestro filosofico, anime dei pigri in espiazione |
| Figure e anime citate | Maria (esempio di sollecitudine), Cesare (esempio di azione rapida), gli Ebrei nel deserto (esempio di accidia) |
| Concetti filosofici | Distinzione tra amore naturale (istintivo) e amore d’animo (elettivo), teoria del libero arbitrio, responsabilità morale |
| Figure retoriche | Metafora della tela e della trama (vv. 1-3), similitudine delle foglie verdi (vv. 28-30), metafora dell’ape (vv. 58-60), anafore sull’amore |
| Temi centrali | Natura dell’amore come forza universale, libero arbitrio come fondamento della responsabilità morale, purificazione dal peccato di accidia |
| Particolare rilevanza | Posto esattamente a metà dell’intera Divina Commedia, rappresenta una sintesi della visione teologica e morale dantesca |
| Pena degli accidiosi | Correre incessantemente per purificarsi dalla pigrizia spirituale avuta in vita |
| Anticipazioni | Virgilio preannuncia che Beatrice chiarirà ulteriormente la dottrina del libero arbitrio nei canti successivi |