Divina Commedia, Canto 19 Inferno: testo, parafrasi e commenti

Divina Commedia, Canto 19 Inferno: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia è dedicato alla punizione dei simoniaci, coloro che hanno commercializzato beni spirituali e cariche ecclesiastiche. La simonia, denominata così dal mago Simon Mago che tentò di acquistare da San Pietro il potere di conferire lo Spirito Santo, rappresenta nel sistema morale dantesco una grave corruzione della Chiesa, istituzione che dovrebbe essere custode dei valori spirituali più puri.

Indice:

Canto 19 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
O Simon mago, o miseri seguaciO Simon mago, o infelici seguaci
che le cose di Dio, che di bontateche le cose sacre, che dovrebbero essere
deon essere spose, e voi rapacispose della bontà, voi invece rapaci
per oro e per argento avolterate,le prostituite per oro e per argento,
or convien che per voi suoni la tromba,ora è necessario che per voi suoni la tromba del giudizio,
però che ne la terza bolgia state.poiché vi trovate nella terza bolgia.
Già eravamo, a la seguente tomba,Eravamo già giunti alla tomba seguente,
montati de lo scoglio in quella partesaliti su quella parte dello scoglio
ch’a punto sovra mezzo ‘l fosso piomba.che si trova esattamente sopra il centro della fossa.
O somma sapïenza, quanta è l’arteO somma sapienza divina, quanta arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,dimostri nel cielo, nella terra e nell’inferno,
e quanto giusto tua virtù comparte!e con quanta giustizia la tua potenza distribuisce le pene!
Io vidi per le coste e per lo fondoIo vidi per le pareti e per il fondo
piena la pietra livida di fóri,la pietra livida piena di fori,
d’un largo tutti e ciascun era tondo.tutti della stessa larghezza e ciascuno rotondo.
Non mi parean men ampi né maggioriNon mi sembravano né meno ampi né più grandi
che que’ che son nel mio bel San Giovanni,di quelli che si trovano nel mio bel Battistero di San Giovanni,
fatti per loco d’i battezzatori;fatti come luogo per i sacerdoti battezzatori;
l’un de li quali, ancor non è molt’anni,uno dei quali, non molti anni fa,
rupp’io per un che dentro v’annegava:ruppi io per salvare uno che vi stava annegando:
e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni.e questo sia prova che chiarisce la verità a tutti.
Fuor de la bocca a ciascun soperchiavaFuori dalla bocca di ciascun foro sporgeva
d’un peccator li piedi e de le gambei piedi e le gambe di un peccatore
infin al grosso, e l’altro dentro stava.fino al polpaccio, e il resto del corpo stava dentro.
Le piante erano a tutti accese intrambe;Le piante dei piedi erano a tutti infiammate entrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,per cui le articolazioni si agitavano così fortemente,
che spezzate averien ritorte e strambe.che avrebbero spezzato funi e corde.
Qual suole il fiammeggiar de le cose unteCome suole avvenire con il fiammeggiare delle cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,che si muove solo sulla superficie esterna,
tal era lì dai calcagni a le punte.così era lì dalle calcagna alle punte dei piedi.
«Chi è colui, maestro, che si cruccia«Chi è colui, maestro, che si tormenta
guizzando più che li altri suoi consorti»,agitandosi più degli altri suoi compagni»,
diss’io, «e cui più roggia fiamma succia?».dissi io, «e che è succhiato da una fiamma più rossa?».
Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti portiEd egli a me: «Se tu vuoi che io ti porti
là giù per quella ripa che più giace,laggiù per quella discesa che è più bassa,
da lui saprai di sé e de’ suoi torti».da lui saprai di sé e dei suoi peccati».
E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace:E io: «Mi piace tanto, quanto piace a te:
tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi partotu sei il mio signore, e sai che io non mi allontano
dal tuo volere, e sai quel che si tace».dal tuo volere, e sai anche ciò che non dico».
Allor venimmo in su l’argine quarto;Allora venimmo sull’argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stancaci voltammo e scendemmo dal lato sinistro
là giù nel fondo foracchiato e arto.laggiù nel fondo bucherellato e stretto.
Lo buon maestro ancor de la sua ancaIl buon maestro ancora non mi tolse
non mi dipuose, sì mi giunse al rottodal suo fianco, finché mi portò vicino al foro
di quel che si piangeva con la zanca.di colui che piangeva con la gamba.
«O qual che se’ che ‘l di sù tien di sotto,«O chiunque tu sia che tieni il di sopra di sotto,
anima trista come pal commessa»,anima dannata conficcata come un palo»,
comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».cominciai a dire, «se puoi, parla».
Io stava come ‘l frate che confessaIo stava come il frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,il perfido assassino che, dopo essere stato conficcato,
richiama lui per che la morte cessa.richiama il confessore per ritardare la morte.
Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto,Ed egli gridò: «Sei tu già qui in piedi,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?sei tu già qui in piedi, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto.Di parecchi anni mi ha mentito la profezia.
Se’ tu sì tosto di quell’aver sazioTi sei saziato così presto di quelle ricchezze
per lo qual non temesti tòrre a ‘ngannoper le quali non temesti di prendere con inganno
la bella donna, e poi di farne strazio?».la bella donna (la Chiesa), e poi di maltrattarla?».
Tal mi fec’io, quai son color che stanno,Io divenni tale, quali sono coloro che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,per non capire ciò che è stato loro risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno.quasi umiliati, e non sanno rispondere.
Allor Virgilio disse: «Dilli tosto:Allora Virgilio disse: «Digli subito:
“Non son colui, non son colui che credi”»;“Non sono colui, non sono colui che credi”»;
e io rispuosi come a me fu imposto.e io risposi come mi fu ordinato.
Per che lo spirto tutti storse i piedi;Per cui lo spirto contorse tutti i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: «Dunque che a me richiedi?mi disse: «Dunque che cosa chiedi a me?
Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,Se ti importa tanto sapere chi io sia,
che tu abbi però la ripa corsa,che tu abbia perciò percorso l’argine,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;sappi che io fui rivestito del gran manto papale;
e veramente fui figliuol de l’orsa,e veramente fui figlio dell’orsa (degli Orsini),
cupido sì per avanzar li orsatti,così cupido di far avanzare i miei figli (orsacchiotti),
che sù l’avere e qui me misi in borsa.che lassù misi l’avere e qui misi me stesso nella borsa.
Di sotto al capo mio son li altri trattiSotto il mio capo sono stipati gli altri
che precedetter me simoneggiando,che mi precedettero nella simonia,
per le fessure de la pietra piatti.piatti dentro le fessure della pietra.
Là giù cascherò io altresì quandoLaggiù cadrò anch’io similmente quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,verrà colui che credevo che tu fossi,
allor ch’i’ feci ‘l sùbito dimando.quando ti feci quella domanda improvvisa.
Ma più è ‘l tempo già che i piè mi cossiMa è già più il tempo che mi brucio i piedi
e ch’i’ son stato così sottosopra,e che sono stato così capovolto,
ch’el non starà piantato coi piè rossi:di quanto lui non starà piantato coi piedi rossi:
ché dopo lui verrà di più laida opra,perché dopo di lui verrà uno di azione più laida,
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,da occidente, un pastore senza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra.tale che è necessario che ricopra sia lui che me.
Nuovo Iasón sarà, di cui si leggeSarà un nuovo Giasone, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu mollenei Maccabei; e come a quello fu arrendevole
suo re, così fia lui chi Francia regge».il suo re, così sarà a lui chi governa la Francia».
Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,Io non so se fui qui troppo folle,
ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:ché gli risposi pure in questo modo:
«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle«Deh, ora dimmi: quanto tesoro volle
Nostro Segnore in prima da san PietroNostro Signore in principio da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?prima di mettere le chiavi in suo potere?
Certo non chiese se non “Viemmi retro”.Certamente non chiese se non “Vieni dietro a me”.
Né Pier né li altri tolsero a MatiaNé Pietro né gli altri apostoli tolsero a Mattia
oro od argento, quando fu sortitooro od argento, quando fu sorteggiato
al loco che perdé l’anima ria.per il posto che perdette l’anima malvagia (di Giuda).
Però ti sta, ché tu se’ ben punito;Perciò resta dove sei, ché sei ben punito;
e guarda ben la mal tolta monetae guarda bene il denaro mal acquistato
ch’esser ti fece contra Carlo ardito.che ti fece essere ardito contro Carlo d’Angiò.
E se non fosse ch’ancor lo mi vietaE se non fosse che me lo vieta ancora
la reverenza de le somme chiaviil rispetto per le somme chiavi (del papato)
che tu tenesti ne la vita lieta,che tu tenesti nella vita felice,
io userei parole ancor più gravi;io userei parole ancora più severe;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,poiché la vostra avarizia rattrista il mondo,
calcando i buoni e sollevando i pravi.calpestando i buoni e innalzando i malvagi.
Di voi pastor s’accorse il Vangelista,Di voi pastori si accorse l’Evangelista (San Giovanni),
quando colei che siede sopra l’acquequando colei che siede sopra le acque (la meretrice)
puttaneggiar coi regi a lui fu vista;fu vista da lui prostituirsi con i re;
quella che con le sette teste nacque,quella che nacque con le sette teste,
e da le diece corna ebbe argomento,e dalle dieci corna ebbe autorità,
fin che virtute al suo marito piacque.finché la virtù piacque al suo marito.
Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;Vi siete fatti un dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatre,e che differenza c’è tra voi e l’idolatra,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?se non che egli ne adora uno, e voi ne adorate cento?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,Ahi, Costantino, di quanto male fu madre,
non la tua conversion, ma quella dotenon la tua conversione, ma quella donazione
che da te prese il primo ricco patre!».che da te prese il primo padre (papa) ricco!».
E mentr’io li cantava cotai note,E mentre io gli cantavo tali note,
o ira o coscïenza che ‘l mordesse,o ira o rimorso che lo mordesse,
forte spingava con ambo le piote.scalciava forte con entrambi i piedi.
I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,Io credo bene che al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attesecon volto così soddisfatto sempre ascoltò
lo suon de le parole vere espresse.il suono delle parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese;Perciò mi prese con entrambe le braccia;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,e dopo che mi ebbe tutto al suo petto,
rimontò per la via onde discese.risalì per la via da cui era disceso.
Né si stancò d’avermi a sé distretto,Né si stancò di tenermi stretto a sé,
sì men portò sovra ‘l colmo de l’arcocosì mi portò sulla sommità dell’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto.che è passaggio dal quarto al quinto argine.
Quivi soavemente spuose il carco,Qui soavemente depose il carico,
soave per lo scoglio sconcio ed ertocarico soave per lo scoglio scomodo e ripido
che sarebbe a le capre duro varco.che sarebbe un passaggio difficile anche per le capre.
Indi un altro vallon mi fu scoperto.Di lì un’altra vallata mi fu mostrata.

Canto 19 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia si svolge nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, dove sono puniti i simoniaci, coloro che hanno mercificato cariche ecclesiastiche e beni spirituali. La narrazione si apre con una potente invettiva contro Simon Mago e i suoi seguaci, che hanno trasformato i doni divini in oggetto di commercio. Dante esordisce apostrofando direttamente i peccatori: “O Simon mago, o miseri seguaci / che le cose di Dio, che di bontate / déono essere spose, e voi rapaci / per oro e per argento avolterate”. Questa condanna iniziale stabilisce il tono di sdegno morale che pervade l’intero canto.

La bolgia si presenta come una distesa di fori circolari scavati nella roccia, simili ai pozzetti battesimali del Battistero di San Giovanni a Firenze. Questa similitudine non è casuale ma crea un parallelo sacrilego tra il luogo di purificazione spirituale e lo spazio infernale, sottolineando la perversione del sacramento operata dai simoniaci. Da ciascun foro emergono i piedi di un dannato, mentre il resto del corpo rimane conficcato nella pietra, con le piante dei piedi infiammate che si contorcono violentemente.

Questa punizione incarna perfettamente il principio del contrappasso: i simoniaci, che in vita hanno capovolto i valori spirituali mercificandoli, sono ora capovolti fisicamente; chi ha “affondato” la Chiesa nel materialismo è letteralmente affondato nella pietra; chi è stato consumato dall’avidità vede ora i propri piedi consumati dalle fiamme. La posizione invertita simboleggia il sovvertimento dell’ordine divino, mentre le fiamme rappresentano il fuoco della cupidigia.

Proseguendo nella narrazione, Dante si avvicina a uno dei dannati e gli chiede chi sia. Questi è Papa Niccolò III della famiglia Orsini (“figlio dell’orsa”), pontefice dal 1277 al 1280, noto per il nepotismo e l’accumulo di ricchezze. Niccolò, scambiando Dante per Bonifacio VIII, manifesta sorpresa per il suo arrivo anticipato all’Inferno. Questo equivoco permette a Dante di rivelare, attraverso le parole di Niccolò stesso, la futura dannazione di Bonifacio VIII e, successivamente, di Clemente V, creando così una sequenza di papi simoniaci.

Il dialogo con Papa Niccolò III costituisce il momento centrale del canto. Il pontefice confessa il suo peccato di avidità e simonia, ammettendo di aver utilizzato il potere ecclesiastico per arricchire sé stesso e la propria famiglia. Dante non contiene la sua indignazione e pronuncia una delle sue invettive più severe contro la corruzione ecclesiastica: “Dì, quanto tesoro volle / Nostro Segnore in prima da san Pietro / che li ponesse le chiavi in sua balìa?”. Con questa domanda retorica, il poeta sottolinea come il potere spirituale conferito da Cristo a Pietro poggiasse sulla fede e non sul denaro.

L’invettiva culmina con l’accusa alla Chiesa corrotta, paragonata alla meretrice apocalittica dell’Apocalisse di Giovanni: “Di voi pastor s’accorse il Vangelista, / quando colei che siede sopra l’acque / puttaneggiar coi regi a lui fu vista”. Dante identifica nella Donazione di Costantino l’origine storica della corruzione ecclesiastica: “Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, / non la tua conversion, ma quella dote / che da te prese il primo ricco patre!”.

Dopo questa veemente condanna, Virgilio approva le parole di Dante e lo prende tra le braccia, riportandolo sul ponte per proseguire il cammino verso la quarta bolgia. Questo gesto di Virgilio ha un profondo valore simbolico: rappresenta il sostegno della ragione umana nel percorso di crescita morale, segnando la conclusione dell’episodio e la transizione verso il canto successivo.

La struttura narrativa del canto riflette una progressione da un’osservazione esterna alla partecipazione emotiva diretta, culminando in una presa di posizione morale. Questo movimento corrisponde al percorso spirituale di Dante, che attraverso l’indignazione contro la simonia affronta e supera la tentazione della corruzione materiale, rafforzando così la propria consapevolezza morale.

Canto 19 Inferno della Divina Commedia: i personaggi

Nel canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante presenta un numero limitato ma significativo di personaggi, ciascuno scelto strategicamente per veicolare la sua critica alla corruzione ecclesiastica.

Il primo personaggio evocato è Simon Mago, che non appare fisicamente ma viene citato nell’apostrofe iniziale. Figura biblica tratta dagli Atti degli Apostoli (8:9-24), Simon Mago tentò di acquistare da San Pietro il potere di conferire lo Spirito Santo, dando origine al termine “simonia”. Dante lo utilizza come archetipo del peccato, rendendolo emblema di tutti coloro che mercificano i beni spirituali.

Il protagonista effettivo dell’incontro è Papa Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini), pontefice dal 1277 al 1280, appartenente alla potente famiglia romana degli Orsini. Niccolò è presentato in una posizione degradante: conficcato a testa in giù in un foro, con solo le gambe e i piedi visibili e lambiti dalle fiamme. Quando parla, si autoidentifica come “figlio dell’orsa” (riferimento araldico alla famiglia Orsini) e confessa apertamente le proprie colpe di nepotismo e avidità. La sua caratterizzazione è quella di un peccatore consapevole ma non pentito, che attende l’arrivo dei suoi successori altrettanto corrotti.

Particolarmente interessante è il ruolo di Bonifacio VIII (Benedetto Caetani), pontefice dal 1294 al 1303, che pur non essendo fisicamente presente nel canto, viene evocato attraverso un equivoco: Niccolò III, vedendo l’ombra di Dante, crede che sia giunto in anticipo Bonifacio, destinato alla stessa punizione. Questo espediente narrativo permette a Dante di condannare un papa ancora vivente all’epoca del viaggio ultraterreno (1300), esprimendo così il suo giudizio negativo su un pontificato che considerava particolarmente corrotto e nemico personale.

Similmente, viene profetizzata la dannazione di Clemente V (Bertrand de Got), che sarà papa dal 1305 al 1314. Definito “pastor sanza legge”, Clemente rappresenta per Dante l’ultimo stadio della degenerazione ecclesiastica, essendo il pontefice che trasferirà la sede papale ad Avignone sotto l’influenza della corona francese.

Virgilio mantiene il suo ruolo di guida morale, approvando silenziosamente l’indignazione di Dante contro i simoniaci. Il suo gesto finale di sollevare Dante tra le braccia per portarlo oltre la bolgia simboleggia il sostegno della ragione umana nel percorso di crescita morale.

Infine, Dante personaggio assume in questo canto un ruolo particolarmente attivo. Non si limita ad osservare e interrogare come in altri episodi, ma si fa portavoce di una dura invettiva contro la corruzione ecclesiastica. La sua indignazione morale lo trasforma da semplice pellegrino a giudice, anticipando il ruolo profetico che assumerà pienamente nel Paradiso. Questo sdegno, approvato da Virgilio, rappresenta una tappa importante nel suo percorso di purificazione spirituale e di comprensione del disegno divino.

Analisi del Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi

Il Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta uno dei momenti più incisivi del poema dantesco, caratterizzato da un’intensa carica polemica e da una struttura narrativa sapientemente orchestrata. L’indignazione di Dante nei confronti della corruzione ecclesiastica emerge con particolare veemenza, rivelando il suo profondo disappunto verso coloro che hanno mercificato i beni spirituali.

La struttura narrativa

La progressione narrativa del canto segue uno schema ben definito che si articola in cinque momenti fondamentali:

  1. L’investitura iniziale (vv. 1-6): Dante apre con una potente apostrofe contro Simon Mago e i suoi seguaci, stabilendo immediatamente il tono morale del canto.
  2. Descrizione della bolgia (vv. 7-30): Il poeta osserva attentamente la configurazione fisica dello spazio infernale e la natura della pena, stabilendo un parallelo sacrilego con i pozzetti battesimali di Firenze.
  3. Incontro dialogico (vv. 31-87): Si sviluppa il dialogo con Papa Niccolò III, che erroneamente scambia Dante per Bonifacio VIII, rivelando attraverso questo equivoco la futura dannazione di altri papi simoniaci.
  4. Invettiva morale (vv. 88-117): Dante abbandona il ruolo di osservatore per pronunciare una feroce condanna contro la corruzione ecclesiastica, invocando la giustizia divina.
  5. Conclusione e transizione (vv. 118-133): Virgilio approva l’indignazione di Dante e lo guida verso la bolgia successiva, segnando la chiusura dell’episodio.

Questa struttura riflette la tecnica compositiva tipica di Dante, che procede dall’osservazione all’interazione, per culminare nella riflessione morale e teologica.

Figure retoriche nel Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia

Il Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia è caratterizzato da un linguaggio ricco di figure retoriche che amplificano la forza espressiva e il valore didascalico del testo dantesco. L’uso sapiente di questi strumenti linguistici consente a Dante di costruire un’architettura retorica che enfatizza la condanna morale verso i simoniaci.

La prima figura retorica che colpisce il lettore è l’apostrofe iniziale rivolta direttamente a Simon Mago e ai suoi seguaci: “O Simon mago, o miseri seguaci” (v. 1). Questa invocazione diretta conferisce immediatamente un tono solenne e accusatorio al canto, caratterizzandolo come un’invettiva morale.

Particolarmente efficace è la similitudine tra i fori della bolgia e i pozzetti battesimali del Battistero di San Giovanni a Firenze: “Non mi parean men ampi né maggiori / che que’ che son nel mio bel San Giovanni, / fatti per loco d’i battezzatori” (vv. 13-15). Questa comparazione crea un contrasto sacrilego tra il luogo di purificazione spirituale e lo spazio infernale, sottolineando la perversione del sacramento operata dai simoniaci.

Dante utilizza numerose metafore significative: la Chiesa viene definita “sposa di Cristo” (v. 106), mentre i papi corrotti sono paragonati a “lupi rapaci” che divorano il gregge. Particolarmente potente è la metaforizzazione della Chiesa corrotta come “meretrice” che siede sulle acque (vv. 106-108), alludendo alla prostituta di Babilonia dell’Apocalisse.

L’ironia pervade il dialogo con Niccolò III, specialmente quando Dante gli chiede sarcasticamente: “Dì, quanto tesoro volle / Nostro Segnore in prima da san Pietro / che li ponesse le chiavi in sua balìa?” (vv. 90-92). Questa domanda retorica sottolinea il contrasto tra la povertà apostolica e l’avidità dei papi simoniaci.

Si notano anche efficaci anafore, come la ripetizione di “O” nelle invettive (vv. 104-105) che scandiscono il ritmo accusatorio del discorso, e iperboli che enfatizzano l’indignazione morale di Dante.

Il contrappasso stesso, che governa la punizione dei simoniaci, si articola attraverso una complessa rete metaforica: la posizione capovolta simboleggia l’inversione dei valori spirituali, mentre le fiamme sui piedi alludono al fuoco della cupidigia che ha consumato i peccatori in vita.

Temi principali del 19 canto dell’Inferno della Divina Commedia

Il Canto 19 dell’Inferno della Divina Commedia si caratterizza per la straordinaria forza ideologica e morale con cui Dante affronta alcuni dei temi più rilevanti della sua opera. Nel tessuto narrativo si intrecciano motivi teologici, politici e morali che rivelano la complessità del pensiero dantesco.

Il tema dominante è sicuramente la corruzione ecclesiastica, denunciata con un’invettiva tra le più severe dell’intera Commedia. Dante non risparmia parole durissime verso i papi simoniaci, accusandoli di aver tradito la missione spirituale della Chiesa per avidità di potere e ricchezza. Significativo è il passaggio in cui il poeta contrappone la povertà originaria di San Pietro alla ricchezza dei suoi successori corrotti, chiedendo retoricamente quanto oro Cristo avesse richiesto all’apostolo per conferirgli le chiavi del Regno dei Cieli.

Strettamente collegato è il tema del rovesciamento dei valori, rappresentato simbolicamente dalla posizione capovolta dei dannati. I simoniaci hanno invertito la gerarchia dei valori, anteponendo i beni materiali a quelli spirituali, e così sono puniti con un contrappasso che li vede letteralmente capovolti. Questa inversione posizionale riflette l’inversione morale che hanno operato in vita.

Il contrappasso stesso costituisce un tema fondamentale del canto. La punizione dei simoniaci è costruita con una precisione geometrica che rivela la perfezione della giustizia divina: i fori simili ai pozzetti battesimali rappresentano una parodia sacrilega del sacramento, mentre le fiamme che bruciano i piedi simboleggiano l’ardore della cupidigia che li divorava in vita.

Un altro motivo centrale è la mercificazione del sacro, cioè la riduzione dei beni spirituali a merce di scambio. Dante utilizza un linguaggio economico-commerciale per sottolineare questa degradazione: termini come “avolterate” evocano l’idea della Chiesa prostituita per denaro, immagine che culmina nel paragone con la “meretrice” dell’Apocalisse.

Il tema del potere temporale della Chiesa emerge con forza nel riferimento alla Donazione di Costantino, ritenuta da Dante all’origine della corruzione ecclesiastica. Sebbene oggi sappiamo che si trattava di un documento falso, per il poeta rappresentava il momento in cui la Chiesa aveva deviato dalla sua missione spirituale per abbracciare interessi mondani.

L’indignazione morale rappresenta non solo un elemento emotivo ma un vero tema strutturale del canto. L’ira di Dante non è presentata come un peccato ma come una risposta virtuosa di fronte al male, tanto che Virgilio stesso la approva. Questa legittimazione dell’indignazione come forza morale positiva si inserisce nella concezione dantesca della giustizia come manifestazione dell’amore divino.

Infine, il tema della profezia attraversa il canto con le predizioni sulla dannazione futura di Bonifacio VIII e Clemente V. Queste profezie “post eventum” (scritte dopo gli avvenimenti ma presentate come previsioni) consentono a Dante di inserire la sua critica in una dimensione provvidenziale, dove la corruzione ecclesiastica appare come parte di un disegno divino che condurrà, attraverso la crisi, a un rinnovamento spirituale.

Il Canto 19 dell’Inferno in pillole

AspettoDettagli
CollocazioneTerza bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge)
Peccato punitoSimonia (compravendita di cariche ecclesiastiche e beni spirituali)
ContrappassoDannati conficcati a testa in giù in fori circolari con piedi avvolti da fiamme; posizione rovesciata simboleggia il sovvertimento dell’ordine divino
Personaggi principaliPapa Niccolò III (presente), Bonifacio VIII e Clemente V (profetizzati)
Incontro centraleDialogo con Papa Niccolò III, che scambia Dante per Bonifacio VIII
Figure retoricheApostrofe a Simon Mago, metafora della Chiesa come prostituta, similitudine tra i fori e i pozzetti battesimali, anafore nell’invettiva
SimbolismoFori simili a fonti battesimali (battesimo invertito), fuoco sui piedi (perversione delle lingue di fuoco della Pentecoste)
Temi principaliCorruzione ecclesiastica, mercificazione dei beni spirituali, critica alla Donazione di Costantino
Struttura narrativaApertura con invettiva, descrizione della bolgia, dialogo con Niccolò III, condanna morale di Dante, ripresa del cammino
Elementi stilisticiTono severo e indignato, linguaggio ricco di pathos, alternanza tra descrizioni concrete e riflessioni morali
Rilevanza storicaCritica alle pratiche simoniache della Chiesa medievale, riferimenti ai conflitti tra potere temporale e spirituale

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