Il Canto XIX del Purgatorio rappresenta un momento significativo nel percorso di purificazione di Dante Alighieri attraverso la seconda cantica della sua Divina Commedia. Questo canto si svolge sulla quinta cornice del monte del Purgatorio, dove vengono purificati gli avari e i prodighi, concludendo al contempo la sezione dedicata all’accidia nella cornice precedente. La narrazione si apre con un sogno allegorico di Dante, prosegue con l’incontro con l’angelo della sollecitudine, e culmina con l’arrivo nella quinta cornice e l’incontro con Papa Adriano V.
Il Purgatorio, a differenza dell’Inferno e del Paradiso, è una creazione originale di Dante, poiché la concezione di questo regno intermedio era meno definita nella tradizione teologica medievale. Questa originalità permette al poeta di strutturare la montagna del Purgatorio come un percorso di purificazione progressiva, dove le anime si liberano dai sette vizi capitali per prepararsi all’ascesa al Paradiso.
Indice:
- Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 19 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 19 del Purgatorio della Divina Commedia
- Temi principali del 19 canto del Purgatorio della Divina Commedia
- Il Canto 19 del Purgatorio in pillole
Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| TESTO ORIGINALE | PARAFRASI |
|---|---|
| Nell’ora che non può ‘l calor diurno / intepidar più ‘l freddo de la luna, / vinto da terra, e talor da Saturno | Nell’ora in cui il calore del giorno non può più intiepidire il freddo della luna, essendo vinto dal freddo della terra e talvolta da quello di Saturno |
| quando i geomanti lor Maggior Fortuna / veggiono in orïente, innanzi a l’alba, / surger per via che poco le sta bruna | quando i geomanti vedono sorgere ad oriente, prima dell’alba, la loro Maggior Fortuna (costellazione) per una via che rimane oscura per poco tempo |
| mi venne in sogno una femmina balba, / ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, / con le man monche, e di colore scialba. | mi apparve in sogno una donna balbuziente, con gli occhi storti, deforme nei piedi, con le mani mozzate e di colore pallido. |
| Io la mirava; e come ‘l sol conforta / le fredde membra che la notte aggrava, / così lo sguardo mio le facea scorta | Io la guardavo; e come il sole riscalda le fredde membra intorpidite dalla notte, così il mio sguardo la rendeva sciolta |
| la lingua, e poscia tutta la drizzava / in poco d’ora, e lo smarrito volto, / com’amor vuol, così le colorava. | nella lingua, e in poco tempo la raddrizzava completamente, e le colorava il volto pallido, così come vuole amore. |
| Poi ch’ell’avea ‘l parlar così disciolto, / cominciava a cantar sì, che con pena / da lei avrei mio intento rivolto. | Dopo che ella aveva così sciolto il parlare, cominciava a cantare in modo tale che a fatica avrei distolto la mia attenzione da lei. |
| «Io son», cantava, «io son dolce serena, / che’ marinari in mezzo mar dismago; / tanto son di piacere a sentir piena! | «Io sono», cantava, «io sono la dolce sirena, che distoglie i marinai in mezzo al mare; tanto sono piena di piacere a sentirmi! |
| Io volsi Ulisse del suo cammin vago / al canto mio; e qual meco s’ausa, / rado sen parte; sì tutto l’appago!». | Io feci deviare Ulisse dal suo vagabondare con il mio canto; e chi si abitua a me, raramente se ne allontana; a tal punto lo appago!». |
| Ancor non era sua bocca richiusa, / quand’una donna apparve santa e presta / lunghesso me per far colei confusa. | Non aveva ancora chiuso la bocca, quando una donna apparve santa e solerte accanto a me per confondere quella creatura. |
| «O Virgilio, Virgilio, chi è questa?», / fieramente dicea; ed el venìa / con li occhi fitti pur in quella onesta. | «O Virgilio, Virgilio, chi è costei?», diceva fieramente; ed egli veniva con gli occhi fissi solamente su quella donna onesta. |
| L’altra prendea, e dinanzi l’apria / fendendo i drappi, e mostravami ‘l ventre; / quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. | L’altra afferrava la sirena, e davanti a me la squarciava fendendo le vesti, e mi mostrava il ventre; quel puzzo che ne usciva mi svegliò. |
| Io mossi li occhi, e ‘l buon maestro: «Almen tre / voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni; / troviam l’aperta per la qual tu entre». | Io spostai gli occhi, e il buon maestro: «Almeno tre volte ti ho chiamato!», diceva, «Alzati e vieni; troviamo l’apertura attraverso la quale tu possa entrare». |
| Sù mi levai, e tutti eran già pieni / de l’alto dì i giron del sacro monte, / e andavam col sol novo a le reni. | Mi alzai, e tutti i gironi del sacro monte erano già pieni della piena luce del giorno, e camminavamo con il sole nuovo alle spalle. |
| Seguendo lui, portava la mia fronte / come colui che l’ha di pensier carca, / che fa di sé un mezzo arco di ponte; | Seguendolo, tenevo la mia fronte come colui che l’ha carica di pensieri, che forma con se stesso un mezzo arco di ponte; |
| quand’io udi’ «Venite; qui si varca» / parlare in modo soave e benigno, / qual non si sente in questa mortal marca. | quando udii «Venite; qui si passa» parlare in modo soave e benevolo, quale non si sente in questa regione mortale. |
| Con l’ali aperte, che parean di cigno, / volseci in sù colui che sì parlonne / tra due pareti del duro macigno. | Con le ali aperte, che sembravano di cigno, ci guidò verso l’alto colui che ci aveva parlato così tra due pareti di dura roccia. |
| Mosse le penne poi e ventilonne, / ‘Qui lugent’ affermando esser beati, / ch’avran di consolar l’anime donne. | Mosse le penne poi e ci ventilò, affermando che sono beati ‘Qui lugent’ (coloro che piangono), perché avranno anime dotate di consolazione. |
| «Che hai che pur inver’ la terra guati?», / la guida mia incominciò a dirmi, / poco amendue da l’angel sormontati. | «Che hai che guardi sempre verso terra?», la mia guida cominciò a dirmi, dopo che entrambi avevamo oltrepassato da poco l’angelo. |
| E io: «Con tanta sospeccion fa irmi / novella visïon ch’a sé mi piega, / sì ch’io non posso dal pensar partirmi». | E io: «Una nuova visione mi fa procedere con tanto sospetto che mi attrae a sé, così che non posso allontanarmi dal pensarci». |
| «Vedesti», disse, «quell’antica strega / che sola sovr’a noi omai si piagne; / vedesti come l’uom da lei si slega. | «Hai visto», disse, «quell’antica strega che sola ormai si piange sopra di noi; hai visto come l’uomo si libera da lei. |
| Bastiti, e batti a terra le calcagne; / li occhi rivolgi al logoro che gira / lo rege etterno con le rote magne». | Ti basti, e affretta il passo; rivolgi gli occhi al richiamo che fa girare il re eterno con le grandi ruote celesti». |
| Quale ‘l falcon, che prima a’ pié si mira, / indi si volge al grido e si protende / per lo disio del pasto che là il tira, | Come il falcone, che prima si guarda i piedi, poi si volge al richiamo e si protende per il desiderio del cibo che lo attira là, |
| tal mi fec’io; e tal, quanto si fende / la roccia per dar via a chi va suso, / n’andai infin dove ‘l cerchiar si prende. | così feci io; e così, per quanto si fende la roccia per dare via a chi sale, andai fino al punto dove si inizia a girare intorno. |
| Com’io nel quinto giro fui dischiuso, / vidi gente per esso che piangea, / giacendo a terra tutta volta in giuso. | Quando fui introdotto nel quinto girone, vidi gente che piangeva, giacendo a terra completamente voltata verso il basso. |
| ‘Adhaesit pavimento anima mea’ / sentia dir lor con sì alti sospiri, / che la parola a pena s’intendea. | Sentivo che dicevano ‘La mia anima è attaccata alla terra’ con sospiri così profondi, che la parola si capiva a malapena. |
| «O eletti di Dio, li cui soffriri / e giustizia e speranza fa men duri, / drizzate noi verso li alti saliri». | «O eletti di Dio, i cui soffriri giustizia e speranza rendono meno duri, indirizzateci verso le alte salite». |
| «Se voi venite dal giacer sicuri, / e volete trovar la via più tosto, / le vostre destre sien sempre di fori». | «Se voi venite sicuri dal giacere a terra, e volete trovare la via più rapidamente, le vostre destre siano sempre verso l’esterno». |
| Così pregò ‘l poeta, e sì risposto / poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io / nel parlare avvisai l’altro nascosto, | Così pregò il poeta, e così gli fu risposto poco più avanti rispetto a noi; per cui io nel parlare compresi l’altro significato nascosto, |
| e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: / ond’elli m’assentì con lieto cenno / ciò che chiedea la vista del disio. | e rivolsi gli occhi agli occhi del mio signore: onde egli mi assentì con lieto cenno ciò che chiedeva la vista del desiderio. |
| Poi ch’io potei di me fare a mio senno, / trassimi sovra quella creatura / le cui parole pria notar mi fenno, | Dopo che potei fare di me a mio piacimento, mi avvicinai a quella creatura le cui parole prima mi fecero fare attenzione, |
| dicendo: «Spirto in cui pianger matura / quel sanza ‘l quale a Dio tornar non pòssi, / sosta un poco per me tua maggior cura. | dicendo: «Spirito in cui il pianto matura ciò senza il quale non si può tornare a Dio, sospendi un po’ per me la tua somma cura. |
| Chi fosti e perché vòlti avete i dossi / al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri / cosa di là ond’io vivendo mossi». | Chi fosti e perché avete le schiene rivolte al cielo, dimmi, e se vuoi che io ti ottenga qualcosa di là donde io mi sono mosso da vivo». |
| Ed elli a me: «Perché i nostri diretri / rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima / scias quod ego fui successor Petri. | Ed egli a me: «Perché il cielo rivolga a sé le nostre schiene, lo saprai; ma prima sappi che io fui successore di Pietro. |
| Intra Sïestri e Chiaveri s’adima / una fiumana bella, e del suo nome / lo titol del mio sangue fa sua cima. | Tra Sestri e Chiavari scorre un bel fiume, e dal suo nome il titolo della mia famiglia trae il suo vertice. |
| Un mese e poco più prova’io che pesa / il gran manto a chi dal fango il guarda, / che piuma sembran tutte l’altre some. | Un mese e poco più sperimentai quanto pesa il gran manto a chi lo preserva dal fango, ché tutte le altre some sembrano piume. |
| La mia conversïone, omè!, fu tarda; / ma, come fatto fui roman pastore, / così scopersi la vita bugiarda. | La mia conversione, ahimè!, fu tardiva; ma, come diventai papa, così scoprii la vita ingannevole. |
| Vidi che lì non si quetava il core, / né più salir potiesi in quella vita; / per che di questa in me s’accese amore. | Vidi che lì non si placava il cuore, né si poteva salire più in alto in quella vita; per cui in me si accese l’amore di questa vita ultraterrena. |
| Fino a quel punto misera e partita / da Dio anima fui, del tutto avara; / or, come vedi, qui ne son punita. | Fino a quel punto fui anima misera e separata da Dio, del tutto avara; ora, come vedi, qui ne sono punita. |
| Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara / in purgazion de l’anime converse; / e nulla pena il monte ha più amara. | Ciò che l’avarizia provoca, qui si manifesta nella purificazione delle anime convertite; e nessuna pena nel monte è più amara. |
| Sì come l’occhio nostro non s’aderse / in alto, fisso a le cose terrene, / così giustizia qui a terra il merse. | Come il nostro occhio non si sollevò in alto, fisso alle cose terrene, così la giustizia qui lo immerse a terra. |
| Come avarizia spense a ciascun bene / lo nostro amore, onde operar perdési, / così giustizia qui stretti ne tene, | Come l’avarizia spense il nostro amore verso ogni bene, per cui si perse la capacità di operare, così la giustizia qui ci tiene stretti, |
| ne’ piedi e ne le man legati e presi; / e quanto fia piacer del giusto Sire, / tanto staremo immobili e distesi». | legati e presi nei piedi e nelle mani; e quanto sarà volontà del giusto Signore, tanto rimarremo immobili e distesi». |
| Io m’era inginocchiato e volea dire; / ma com’io cominciai ed el s’accorse, / solo ascoltando, del mio reverire, | Io mi ero inginocchiato e volevo parlare; ma non appena iniziai ed egli si accorse, solo ascoltando, del mio atto di reverenza, |
| «Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?». / E io a lui: «Per vostra dignitate / mia coscïenza dritto mi rimorse». | «Quale motivo», disse, «ti ha fatto piegare così in giù?». E io a lui: «Per la vostra dignità la mia coscienza giustamente mi rimproverò». |
| «Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», / rispuose; «non errar: conservo sono / teco e con li altri a una podestate. | «Raddrizza le gambe, alzati, fratello!», rispose; «non sbagliarti: sono un servo insieme a te e agli altri di un’unica autorità. |
| Se mai quel santo evangelico suono / che dice ‘Neque nubent’ intendesti, / ben puoi veder perch’io così ragiono. | Se mai hai inteso quel suono del santo Vangelo che dice ‘Non prenderanno moglie’, puoi ben vedere perché io ragiono così. |
| Vattene omai: non vo’ che più t’arresti; / ché la tua stanza mio pianger disagia, / col qual maturo ciò che tu dicesti. | Vattene ormai: non voglio che ti trattenga ancora; perché la tua presenza ostacola il mio pianto, con il quale maturo ciò che tu hai detto. |
| Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, / buona da sé, pur che la nostra casa / non faccia lei per essempro malvagia; / e questa sola di là m’è rimasta». | Ho una nipote di là che si chiama Alagia, buona di natura, purché la nostra casata non la renda malvagia con il suo esempio; e questa sola di là m’è rimasta». |
Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Nel Canto XIX, Dante affronta specificamente i temi dell’accidia, dell’avarizia e della prodigalità, esplorando come questi peccati distolgano l’anima umana dal vero bene. Il canto si distingue per la ricchezza di figure retoriche, simbolismi e per la profonda introspezione morale che lo caratterizza.
Il canto si apre all’alba, quando Dante, immerso in un sonno profondo, ha un sogno allegorico di fondamentale importanza. Gli appare una femmina balba, deforme e balbuziente, che gradualmente si trasforma in una figura seducente, presentandosi come una sirena in grado di distogliere i marinai dalla retta via. L’apparizione rappresenta i beni terreni ingannevoli che seducono l’uomo allontanandolo dalla virtù.
Il sogno prosegue con l’intervento di una donna santa e presta che chiama Virgilio, il quale svela la vera natura corrotta della sirena squarciandone le vesti e mostrando il ventre fetido della creatura. Questo gesto simboleggia il ruolo della ragione illuminata dalla grazia nel discernere la vera natura ingannevole dei piaceri mondani.
Al risveglio, Dante trova Virgilio che lo esorta a proseguire il cammino, abbandonando la quarta cornice degli accidiosi per salire verso la quinta. Durante l’ascesa, i due poeti incontrano l’angelo della sollecitudine, che indica loro la via per procedere e cancella dalla fronte di Dante una delle sette “P” incise dall’angelo portinaio all’ingresso del Purgatorio, simboleggiando la purificazione dal peccato di accidia.
L’angelo pronuncia la beatitudine “Beati qui lugent” (Beati coloro che piangono), sottolineando che il dolore per i propri peccati è il primo passo verso la redenzione.
Giunti sulla quinta cornice, Dante e Virgilio incontrano le anime degli avari e dei prodighi, distese a terra con il volto rivolto al suolo mentre recitano il Salmo “Adhaesit pavimento anima mea” (La mia anima è prostrata nella polvere). La posizione prostrata rappresenta l’attaccamento eccessivo che in vita queste anime hanno avuto verso i beni materiali, configurando un perfetto contrappasso: chi non ha saputo distogliere lo sguardo dalle ricchezze terrene ora è costretto a fissare la pietra, immobilizzato e impossibilitato a muoversi.
Tra queste anime penitenti, Dante incontra Papa Adriano V (Ottobuono Fieschi), che si identifica come successore di Pietro e confessa di essere stato avaro in vita. Il pontefice racconta di aver compreso la vanità dei beni terreni solo quando fu eletto papa, momento in cui si rese conto che nessun bene materiale poteva soddisfare il cuore umano: “La mia conversïone, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda“.
Questa confessione ha un duplice significato: a livello personale rappresenta il pentimento dell’anima che riconosce l’errore dell’avidità, mentre sul piano politico-ecclesiastico costituisce una critica di Dante alla corruzione della Chiesa del suo tempo.
Quando Dante, riconoscendo in lui un pontefice, si inginocchia in segno di rispetto, Papa Adriano lo invita a rialzarsi, ricordandogli che nel Purgatorio sono tutti servi di Dio allo stesso modo: “Non sunt monarchae hic, omnes servi Dei” (Qui non ci sono monarchi, tutti siamo servi di Dio). Prima di congedarsi, il pontefice menziona la nipote Alagia, unica parente virtuosa che potrà pregare per la sua salvezza, lanciando un’ulteriore critica ai suoi familiari avidi.
Canto 19 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XIX del Purgatorio, Dante mette in scena un numero limitato di personaggi, ciascuno con un preciso ruolo simbolico e formativo nel percorso di purificazione del pellegrino.
Dante pellegrino si presenta in questo canto con una consapevolezza più matura rispetto ai canti precedenti. Il suo risveglio dal sogno della sirena rappresenta metaforicamente un risveglio spirituale dalla tentazione dei beni terreni. La sua reazione di disgusto al fetore emanato dal ventre della sirena rivela la sua crescente capacità di discernimento morale.
Nel dialogo con Papa Adriano V, Dante mostra inizialmente riverenza per la figura papale, inginocchiandosi davanti a lui, ma viene invitato a rialzarsi, in un gesto che simboleggia l’uguaglianza di tutte le anime di fronte al processo di purificazione.
Virgilio continua a svolgere il ruolo di guida razionale e morale. Nel sogno allegorico, è lui che, su richiamo della donna santa, squarcia le vesti della sirena per rivelare il suo ventre fetido, azione che simboleggia la capacità della ragione di smascherare l’inganno dei piaceri mondani.
Al risveglio di Dante, con tono paterno ma fermo, lo esorta a proseguire il cammino, dicendo: “Surge, che l’è tardi“, frase che evidenzia l’urgenza del percorso spirituale e il pericolo dell’indugio. In questo canto, Virgilio rappresenta la ragione illuminata che aiuta a superare le tentazioni terrene.
L’angelo della sollecitudine appare brevemente ma significativamente nel passaggio dalla quarta alla quinta cornice. Figura luminosa e radiante, rappresenta la virtù opposta all’accidia appena superata. Con un gesto simbolico, batte le ali sul volto di Dante, cancellando la quarta P dalla sua fronte, segnale della purificazione dal peccato dell’accidia.
Pronuncia la beatitudine evangelica “Beati qui lugent” (Beati coloro che piangono), parole che sottolineano come il dolore per i propri peccati sia il primo passo verso la redenzione.
Papa Adriano V (Ottobuono Fieschi) è il personaggio più complesso del canto. Pontefice per soli trentotto giorni nel 1276, si presenta come un’anima penitente tra gli avari della quinta cornice. La sua confessione è emblematica: “La mia conversione, omè!, fu tarda; ma, come fatto fui roman pastore, così scopersi la vita bugiarda”.
Queste parole rivelano come solo nell’assumere il più alto ufficio ecclesiastico egli comprese la vanità dei beni terreni. La brevità del suo pontificato diventa simbolo della fugacità dei beni mondani rispetto all’eternità. Attraverso questo personaggio, Dante critica implicitamente l’avidità del clero contemporaneo.
Papa Adriano rappresenta anche un esempio positivo di conversione, seppur tardiva, dimostrando che la redenzione è sempre possibile. Nel suo dialogo con Dante, rivela una nuova umiltà, rifiutando l’omaggio del poeta con le parole: “Drizza le gambe, levati su, frate!“.
Questo gesto esprime l’uguaglianza ultraterrena dove le gerarchie mondane perdono significato. Menziona inoltre la nipote Alagia come unica parente virtuosa, contrapponendola implicitamente agli altri familiari avidi.
Analisi del Canto 19 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il Canto 19 del Purgatorio si distingue per la ricchezza di elementi tematici e narrativi che rendono questo passaggio cruciale all’interno del percorso purificatorio dantesco. La struttura del canto si sviluppa attorno ad alcuni nuclei concettuali fondamentali che ne determinano la profondità allegorica e morale.
Il primo elemento centrale è la dicotomia tra apparenza e realtà. Il sogno della femmina balba, che da creatura deforme si trasforma in affascinante sirena, rappresenta la natura ingannevole dei piaceri terreni: ciò che appare desiderabile nasconde in realtà una natura corrotta, come rivela l’intervento della donna santa e di Virgilio che svela il ventre fetido della sirena.
Questa contrapposizione diventa metafora della cecità morale che impedisce all’uomo di discernere i falsi beni da quelli autentici.
La progressione spirituale costituisce un altro elemento narrativo fondamentale. Dante sta completando il passaggio dalla quarta cornice (accidia) alla quinta (avarizia), segnando una tappa significativa nel suo cammino di purificazione. Tale progressione non è solo fisica ma soprattutto morale: dall’indolenza spirituale si passa alla sollecitudine nel perseguire il bene.
La cancellazione della “P” dalla fronte di Dante simboleggia questo avanzamento spirituale, testimoniando la graduale liberazione dell’anima dai vizi capitali.
Particolarmente rilevante è il tema del contrappasso, principio cardine della giustizia divina nella Commedia. Gli avari e i prodighi sono immobilizzati a terra, incapaci di muoversi, in perfetta simmetria con l’avidità che li aveva spinti in vita. Questa punizione, oltre a essere punitiva, serve anche a educare, insegnando il giusto distacco dai beni materiali.
Un quarto elemento tematico è la critica alla corruzione ecclesiastica. Attraverso la figura di Papa Adriano V, Dante denuncia l’avidità del clero, particolarmente grave in quanto tradisce la missione spirituale della Chiesa. La confessione del pontefice riguardo alla “vita bugiarda” evidenzia come la consapevolezza del vizio giunse solo dopo il raggiungimento del potere temporale.
Infine, emerge il tema della redenzione possibile anche tardiva. La conversione, per quanto giunta in ritardo, testimonia che il pentimento sincero può condurre alla salvezza. Questo messaggio di speranza è centrale nel percorso purificatorio, dove il riconoscimento dei propri errori apre la via a una nuova vita spirituale.
La narrazione si configura così come un percorso di svelamento della verità, dove l’inganno dei beni terreni viene progressivamente superato dalla consapevolezza che solo il distacco e il rivolgersi a Dio possono appagare l’anima umana.
Figure retoriche nel Canto 19 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto XIX del Purgatorio è ricco di figure retoriche che amplificano il significato allegorico e morale della narrazione dantesca. Queste tecniche stilistiche sono fondamentali per comprendere la profondità del messaggio che Dante intende trasmettere ai lettori.
L’allegoria della femmina balba occupa un posto di primo piano nel canto. Questa figura femminile deforme che appare nel sogno di Dante incarna i piaceri terreni ingannevoli. La trasformazione graduale della femmina da creatura ripugnante a sirena seducente rappresenta una potente metafora di come i vizi, inizialmente ripugnanti, attraverso l’abitudine diventino attraenti.
Quando la sirena si presenta, utilizza un’efficace sinestesia: “Io son dolce sirena / che’ marinari in mezzo mar dismago“, dove il termine “dolce” applicato alla voce evoca sensazioni gustative trasposte in un contesto uditivo.
Il contrasto è un’altra figura frequentemente impiegata nel canto. L’antitesi tra la femmina balba e la donna “santa e presta” simboleggia la contrapposizione tra vizio e virtù. Analogamente, il contrasto tra l’apparenza seducente della sirena e il suo ventre fetido, rivelato da Virgilio, enfatizza il divario tra illusione e realtà dei piaceri mondani.
Dante utilizza ripetutamente la personificazione per rendere tangibili concetti astratti. Non solo la sirena e la donna santa, ma anche l’avarizia viene personificata quando Papa Adriano V afferma: “Come avarizia spense a ciascun bene / lo nostro amore“. Questa tecnica trasforma il vizio in un’entità concreta che agisce attivamente sull’anima umana.
Le similitudini abbondano, particolarmente nella descrizione della punizione degli avari. Notevole è quella ai versi: “Sì come l’occhio nostro non s’aderse in alto, fisso a le cose terrene, così giustizia qui a terra il merse“, che stabilisce un parallelismo tra il comportamento peccaminoso e il contrappasso purgatoriale.
La metonimia appare quando il poeta si riferisce ai penitenti attraverso parti del loro corpo: “vidi gente per esso che piangea, giacendo a terra tutta volta in giuso”. Questa figura enfatizza la riduzione dell’individuo alla propria colpa.
L’uso del latinismo arricchisce il tessuto linguistico, come quando Papa Adriano si presenta con l’espressione: “Scias quod ego fui successor Petri“, conferendo solennità e autorevolezza alle sue parole.
La climax si manifesta nella progressiva rivelazione dell’identità di Papa Adriano, creando un crescendo emotivo culminante nella confessione del suo passato.
L’iperbole caratterizza la descrizione della posizione delle anime, enfatizzando la severità della punizione per accentuare la gravità del peccato dell’avarizia.
L’uso dell’anafora risulta particolarmente efficace nella descrizione della sirena: “Io son, cantava, io son dolce sirena“, dove la ripetizione di “io son” sottolinea l’orgoglio e la seduzione insita nel vizio.
Infine, il simbolismo pervade l’intero canto, dalla “P” cancellata dalla fronte di Dante (simbolo della purificazione dall’accidia) alla posizione prostrata delle anime, che rappresenta l’attaccamento ai beni terreni. Questa ricchezza retorica trasforma la narrazione in un’esperienza intensa e multilivello, capace di comunicare verità teologiche e morali in modo profondamente coinvolgente.
Temi principali del 19 canto del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto XIX del Purgatorio si distingue per la presenza di importanti temi morali e teologici che riflettono la visione dantesca della purificazione dell’anima. Attraverso una complessa struttura allegorica, Dante esplora vizi e virtù fondamentali per il cammino di redenzione umana.
L’avarizia e la prodigalità
Il tema dell’avarizia costituisce il fulcro centrale del canto. Nella quinta cornice, Dante incontra le anime degli avari e dei prodighi, accomunati dall’errato rapporto con i beni materiali. L’avarizia viene presentata come:
- Una forza che “spense a ciascun bene lo nostro amore”, capace di annichilire la carità e distogliere l’anima dal suo vero fine
- Un attaccamento morboso alle ricchezze terrene che impedisce l’elevazione spirituale
- Un vizio particolarmente grave quando colpisce il clero, come esemplificato dalla figura di Papa Adriano V
Le anime purganti giacciono prostrate con il volto a terra, recitando il Salmo “Adhaesit pavimento anima mea”, in una posizione che simboleggia perfettamente l’attaccamento ai beni terreni che ha caratterizzato la loro vita.
L’accidia e la sollecitudine
Sebbene il canto si svolga principalmente nella cornice degli avari, esso si apre con il passaggio dalla quarta cornice (degli accidiosi) alla quinta, segnando la transizione dall’accidia alla sollecitudine. Quest’ultimo tema emerge attraverso:
- L’incontro con l’angelo della sollecitudine che cancella dalla fronte di Dante la “P” dell’accidia
- La beatitudine “Beati qui lugent” (Beati coloro che piangono), che sottolinea il valore redentore del dolore per i propri peccati
- L’esortazione di Virgilio a procedere con determinazione: “Surge, che l’è tardi”
Il contrappasso come principio punitivo e educativo
Il contrappasso, principio cardine dell’architettura morale dantesca, si manifesta con particolare efficacia in questo canto:
- Le anime degli avari e dei prodighi sono immobilizzate a terra, in perfetta analogia con l’attaccamento che li aveva condotti in vita al mondo dei beni materiali
- I loro volti sono rivolti verso una “pietra livida”, simbolo della rigidità e del peso dei beni terreni
- Le catene che li legano sottolineano in forma visiva il legame che in vita li ha imprigionati
La seduzione dei falsi beni
Il sogno allegorico della femmina balba/sirena introduce il tema della seduzione ingannevole dei beni terreni:
- La trasformazione della femmina da deforme a seducente simboleggia come i vizi possano abbellirsi col tempo, attirando l’anima verso falsi piaceri
- Il suo canto ammaliante, “io son dolce sirena”, rappresenta la promessa illusoria di felicità che però si rivela ingannevole
- Il gesto di Virgilio, che squarcia le vesti della sirena, smaschera la vera natura corrotta dei piaceri mondani
La critica alla corruzione ecclesiastica
Attraverso la figura di Papa Adriano V, Dante sviluppa una critica severa alla corruzione della Chiesa:
- La confessione del pontefice, “La mia conversïone, omè!, fu tarda”, evidenzia come la consapevolezza del vizio giunse solo dopo l’assunzione del potere
- Il contrasto tra l’umiltà delle anime purganti e l’avidità riscontrata nel clero sottolinea il tradimento dei valori spirituali
- La menzione della nipote Alagia come unica parente virtuosa serve a evidenziare la degenerazione dei legami familiari e i vizi che li contraddistinguono
La conversione e la speranza di redenzione
Nonostante la severità della condanna, il canto trasmette un messaggio di speranza:
- La conversione tardiva di Papa Adriano V dimostra che la redenzione è possibile, anche se il pentimento giunge in ritardo
- La presenza delle anime nel Purgatorio, contrapposta alla dannazione eterna, testimonia la misericordia divina
- La temporaneità della pena punisce ma allo stesso tempo prepara l’anima per l’ascesa verso il Paradiso
Il messaggio fondamentale è che solo il distacco dai beni terreni e la sincera ricerca di Dio possono condurre alla vera felicità, poiché nessun bene terreno può soddisfare il desiderio infinito dell’anima.
Il Canto 19 del Purgatorio in pillole
| Sezione | Punti Chiave |
|---|---|
| Contesto | Quinta cornice del Purgatorio, dove vengono purificati avari e prodighi; conclusione della purificazione dall’accidia |
| Riassunto | Dante ha un sogno allegorico della femmina balba/sirena; incontra l’angelo della sollecitudine; sale alla quinta cornice; incontra Papa Adriano V |
| I Personaggi | Dante: il pellegrino in cerca di purificazione Virgilio: guida razionale che svela la vera natura dei piaceri terreni Femmina balba/sirena: allegoria dei falsi beni terreni Donna santa: simbolo della grazia divina Angelo della sollecitudine: rappresenta la virtù opposta all’accidia Papa Adriano V: esempio di conversione tardiva dall’avarizia |
| Contrappasso | Gli avari e i prodighi sono distesi a terra con il volto rivolto al suolo, immobilizzati come in vita erano attaccati ai beni materiali; recitano il Salmo “Adhaesit pavimento anima mea” |
| Figure Retoriche | Allegoria: la sirena come simbolo dei piaceri ingannevoli Metafora: il ventre fetido della sirena rivela la corruzione dei beni terreni Antitesi: bellezza apparente / corruzione interiore Contrasto: luce / tenebre, sollecitudine / accidia Similitudine: parallelismo tra attaccamento terreno e punizione |
| Significato Teologico | I beni terreni sono ingannevoli e non possono soddisfare l’anima umana; ogni conversione, anche tardiva, permette la salvezza; necessità della purificazione dai vizi |
| Temi Principali | Accidia vs sollecitudine; inganno dei piaceri terreni; avarizia e prodigalità; critica alla corruzione ecclesiastica; necessità del distacco dai beni materiali |
| Elementi Simbolici | Sogno premonitore all’alba; cancellazione della “P” dalla fronte di Dante; posizione prostrata delle anime; beatitudine “Beati qui lugent” pronunciata dall’angelo |