Divina Commedia, Canto 21 Inferno: testo, parafrasi e commento

Divina Commedia, Canto 21 Inferno: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta un momenti particolarmente dinamico del viaggio di Dante: ci introduce alla punizione dei barattieri, coloro che hanno commerciato con le cariche pubbliche per ottenere guadagni personali. La rappresentazione di questi peccatori immersi nella pece bollente sotto la sorveglianza dei demoni Malebranche costituisce un momento di forte contrasto tonale all’interno del poema, dove l’elemento grottesco e quasi comico si mescola con la serietà della condanna morale.

Indice:

Canto 21 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
Così di ponte in ponte, altro parlandoCosì, di ponte in ponte, parlando di altre cose
che la mia comedìa cantar non cura,che la mia opera non si preoccupa di raccontare,
venimmo; e tenavamo ‘l colmo, quandoprocedevamo; e quando eravamo sul punto più alto del ponte,
restammo per veder l’altra fessuraci fermammo per osservare l’altra fessura
di Malebolge e li altri pianti vani;di Malebolge e gli altri inutili lamenti;
e vidila mirabilmente oscura.e la vidi straordinariamente buia.
Quale ne l’arzanà de’ VinizianiCome nell’arsenale dei Veneziani
bolle l’inverno la tenace peceribolle d’inverno la pece tenace
a rimpalmare i legni lor non sani,per riparare le navi danneggiate,
ché navicar non ponno – in quella veceche non possono navigare – e invece
chi fa suo legno nuovo e chi ristoppachi costruisce una nuova nave e chi ristoppa
le coste a quel che più vïaggi fece;i fianchi di quella che ha fatto più viaggi;
chi ribatte da proda e chi da poppa;chi ribatte la prua e chi la poppa;
altri fa remi e altri volge sarte;altri fabbrica remi e altri attorce le corde;
chi terzeruolo e artimon rintoppa -:chi rattoppa la vela minore e quella maggiore -:
tal, non per foco, ma per divin’arte,tale, non per fuoco, ma per arte divina,
bollia là giuso una pegola spessa,ribolliva laggiù una pece densa,
che ‘nviscava la ripa d’ogne parte.che incollava la riva da ogni parte.
I’ vedea lei, ma non vedëa in essaIo la vedevo, ma non vedevo in essa
mai che le bolle che ‘l bollor levava,altro che le bolle sollevate dall’ebollizione,
e gonfiar tutta, e riseder compressa.e gonfiarsi tutta, e poi sgonfiarsi compressa.
Mentr’io là giù fisamente mirava,Mentre io guardavo fisso laggiù,
lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!»,la mia guida, dicendo «Guarda, guarda!»,
mi trasse a sé del loco dov’io stava.mi tirò a sé dal luogo dove stavo.
Allor mi volsi come l’uom cui tardaAllora mi voltai come l’uomo che è ansioso
di veder quel che li convien fuggiredi vedere ciò da cui deve fuggire
e cui paura sùbita sgagliarda,e che la paura improvvisa rende debole,
che, per veder, non indugia ‘l partire:che, per vedere, non ritarda la fuga:
e vidi dietro a noi un diavol neroe vidi dietro di noi un diavolo nero
correndo su per lo scoglio venire.che veniva correndo su per il ponte di pietra.
Ahi quant’elli era ne l’aspetto fero!Ah quanto era feroce nell’aspetto!
e quanto mi parea ne l’atto acerbo,e quanto mi sembrava crudele nell’atto,
con l’ali aperte e sovra i piè leggero!con le ali aperte e leggero sui piedi!
L’omero suo, ch’era aguto e superbo,La sua spalla, che era aguzza e alta,
carcava un peccator con ambo l’anche,reggeva un peccatore con entrambe le anche,
e quei tenea de’ piè ghermito ‘l nerbo.e quello gli teneva afferrato il nervo dei piedi.
Del nostro ponte disse: «O Malebranche,Dal nostro ponte disse: «O Malebranche,
ecco un de li anzïan di Santa Zita!ecco uno degli anziani di Santa Zita!
Mettetel sotto, ch’i’ torno per ancheMettetelo sotto, che io torno anche
a quella terra, che n’è ben fornita:a quella città, che ne è ben fornita:
ogn’uom v’è barattier, fuor che Bonturo;ogni uomo là è barattiere, eccetto Bonturo;
del no, per li denar, vi si fa ita».del no, per denaro, là si fa sì».
Là giù ‘l buttò, e per lo scoglio duroLaggiù lo gettò, e per il duro scoglio
si volse; e mai non fu mastino scioltosi voltò; e mai non fu mastino sciolto
con tanta fretta a seguitar lo furo.con tanta fretta a inseguire il ladro.
Quel s’attuffò, e tornò sù convolto;Quello si tuffò, e tornò su avvolto;
ma i demon che del ponte avean coperchio,ma i demoni che dal ponte avevano riparo,
gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto!gridarono: «Qui non ha luogo il Santo Volto!
qui si nuota altrimenti che nel Serchio!qui si nuota diversamente che nel Serchio!
Però, se tu non vuo’ di nostri graffi,Perciò, se tu non vuoi dei nostri graffi,
non far sopra la pegola soverchio».non sporgere sopra la pece».
Poi l’addentar con più di cento raffi,Poi lo addentarono con più di cento uncini,
disser: «Coverto convien che qui balli,dissero: «Conviene che qui tu balli nascosto,
sì che, se puoi, nascosamente accaffi».cosicché, se puoi, ruberai di nascosto».
Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalliNon diversamente i cuochi ai loro aiutanti
fanno attuffare in mezzo la caldaiafanno immergere nel mezzo della caldaia
la carne con li uncin, perché non galli.la carne con gli uncini, perché non galleggi.
Lo buon maestro «Acciò che non si paiaIl buon maestro «Affinché non si veda
che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquattache tu ci sia», mi disse, «giù accovacciati
dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia;dietro uno spuntone, che ti faccia da riparo;
e per nulla offension che mi sia fatta,e per nessuna offesa che mi sia fatta,
non temer tu, ch’i’ ho le cose conte,non temere tu, perché io ho familiarità con queste cose,
perch’altra volta fui a tal baratta».perché altre volte fui in simile baruffa».
Poscia passò di là dal co del ponte;Poi passò di là dalla testa del ponte;
e com’el giunse in su la ripa sesta,e come giunse sulla sesta ripa,
mestier li fu d’aver sicura fronte.gli fu necessario avere un’espressione sicura.
Con quel furore e con quella tempestaCon quel furore e con quella tempesta
ch’escono i cani a dosso al poverellocon cui i cani escono addosso al poverello
che di sùbito chiede ove s’arresta,che improvvisamente chiede dove si ferma,
usciron quei di sotto al ponticello,quelli uscirono da sotto il ponticello,
e volser contra lui tutt’i runcigli;e volsero contro di lui tutti i roncini;
ma el gridò: «Nessun di voi sia fello!ma egli gridò: «Nessuno di voi sia ostile!
Innanzi che l’uncin vostro mi pigli,Prima che il vostro uncino mi afferri,
traggasi avante l’un di voi che m’oda,si faccia avanti uno di voi che mi ascolti,
e poi d’arruncigliarmi si consigli».e poi decida se uncinare me».
Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»;Tutti gridarono: «Vada Malacoda!»;
per ch’un si mosse – e li altri stetter fermi –perciò uno si mosse – e gli altri rimasero fermi –
e venne a lui dicendo: «Che li approda?».e venne a lui dicendo: «Che gli giova?».
«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?»,«Ohimè, maestro, cos’è quello che vedo?»,
diss’io, «deh, sanza scorta andianci soli,dissi io, «deh, andiamocene soli, senza scorta,
se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio.se tu sai andare; ché io per me non la richiedo.
Se tu se’ sì accorto come suoli,Se tu sei così accorto come al solito,
non vedi tu ch’e’ digrignan li dentinon vedi tu che digrignano i denti
e con le ciglia ne minaccian duoli?».e con le sopracciglia ci minacciano dolori?».
Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi;Ed egli a me: «Non voglio che tu abbia paura;
lasciali digrignar pur a lor senno,lasciali digrignare pure a loro piacimento,
ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti».ché fanno ciò per i bolliti dolenti».
Per l’argine sinistro volta dienno;Volsero per l’argine sinistro;
ma prima avea ciascun la lingua strettama prima ciascuno aveva stretto la lingua
coi denti, verso lor duca, per cenno;coi denti, verso il loro capo, come segnale;
ed elli avea del cul fatto trombetta.ed egli aveva fatto trombetta del sedere.

Canto 21 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia, composto in terzine incatenate come l’intera Divina Commedia, si articola in 139 versi che descrivono con vivacità narrativa l’arrivo di Dante e Virgilio nella quinta bolgia dell’ottavo cerchio. Qui, i barattieri sono immersi nella pece bollente, sorvegliati dai demoni Malebranche.

Il canto si apre con i due poeti che, proseguendo il loro cammino, raggiungono il culmine del ponte che sovrasta la quinta bolgia. Nei versi iniziali (1-6), Dante ci informa che stavano parlando di cose che la sua “comedìa non cura”, suggerendo una conversazione non rilevante al viaggio spirituale. Osservando la bolgia, Dante la descrive come “mirabilmente oscura”.

Segue una delle similitudini più estese e tecniche dell’intera Commedia (versi 7-18), in cui la pece bollente viene paragonata all’Arsenale di Venezia durante l’inverno. Qui, i lavoratori riparano le navi danneggiate con pece tenace, mentre altri costruiscono nuove imbarcazioni o sistemano quelle che hanno compiuto più viaggi. Questa similitudine tecnica e realistica permette ai lettori medievali di visualizzare concretamente la scena infernale attraverso un’immagine familiare.

Nella parafrasi di questi versi, si comprende come Dante voglia rendere tangibile l’immagine della punizione attraverso un’analogia con un’attività umana: “Come nell’arsenale dei Veneziani bolle d’inverno la pece tenace per riparare le navi danneggiate, poiché non possono navigare – e intanto c’è chi costruisce nuove imbarcazioni e chi ripara le fiancate di quelle che hanno compiuto più viaggi; chi ribatte chiodi a prua e chi a poppa; altri prepara i remi e altri attorciglia le corde; chi rattoppa vele minori e maggiori”.

Proseguendo, Dante osserva la pece bollente dove sono immersi i dannati (versi 19-30), notando che la superficie si gonfia e si riabbassa continuamente. Mentre guarda attentamente, Virgilio lo avvisa di un pericolo imminente, esortandolo a nascondersi dietro uno scoglio. Dante scorge allora un demone nero che corre sul ponte portando sulle spalle un peccatore, tenendolo per i tendini dei piedi.

Il demone grida agli altri Malebranche: “O Malebranche, ecco uno degli anziani di Santa Zita! Mettetelo sotto, che io torno in quella città che ne è ben fornita: là, tranne Bonturo, tutti sono barattieri; per denaro del ‘no’ fanno ‘sì'” (versi 37-42). Il riferimento a Santa Zita e Bonturo rivela che il dannato proviene da Lucca, città che Dante considerava particolarmente corrotta.

I versi 43-57 descrivono con crudo realismo come il demone getta il dannato nella pece e torna indietro velocemente, come un mastino che insegue un ladro. Il dannato si immerge e riemerge subito, ma è raggiunto dai demoni che lo deridono dicendo: “Qui non c’è il Santo Volto! Qui si nuota diversamente che nel Serchio! Se non vuoi sperimentare i nostri raffi, non emergere dalla pece”. Poi lo uncinano come cuochi che immergono la carne nella pentola con i forconi.

Nei versi successivi (58-87), Virgilio ordina a Dante di nascondersi mentre lui va a parlamentare con i demoni. Virgilio affronta coraggiosamente i Malebranche, ricordando loro che il viaggio è voluto dal Cielo e chiedendo un passaggio sicuro. Il capo dei demoni, Malacoda, risponde con apparente disponibilità, ma le sue parole nascondono un inganno: informa che un ponte vicino è crollato, ma un altro è ancora intatto (informazione che si rivelerà falsa nel canto successivo).

Malacoda designa una scorta di dieci demoni (versi 115-123) per accompagnare i due poeti: Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Barbariccia (nominato capo), Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello e Rubicante. Questi nomi grotteschi riflettono la natura bestiale e degradata dei demoni.

Il canto si chiude con una scena di tensione mentre la brigata demoniaca si prepara a partire, e con un gesto osceno di uno dei demoni (versi 136-139): “ed elli avea del cul fatto trombetta” (e lui aveva fatto trombetta con il sedere), segnando un forte contrasto con lo stile generalmente elevato del poema e sottolineando la degradazione morale di questo regno infernale.

L’episodio della quinta bolgia rappresenta un momento di particolare tensione nel viaggio di Dante, evidenziando il pericolo costante e la necessità della protezione divina per proseguire nell’itinerario spirituale. La rappresentazione vivida dei barattieri e dei loro guardiani demoniaci serve a Dante per condannare la corruzione politica, particolarmente diffusa nelle città italiane del suo tempo e causa, in parte, del suo stesso esilio.

Canto 21 Inferno della Divina Commedia: i personaggi

Nel Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia, Dante introduce una delle schiere di personaggi più memorabili dell’intera Commedia: i Malebranche, demoni guardiani della quinta bolgia dell’ottavo cerchio. Questi diavoli rappresentano un elemento narrativo centrale, caratterizzato da nomi grotteschi e comportamenti violenti che riflettono la corruzione e la bestialità a cui conduce il peccato della baratteria.

Malacoda emerge come il capo indiscusso dei Malebranche. Il suo nome, che significa letteralmente “coda malvagia”, è emblematico della sua natura ingannevole. Durante l’incontro con i poeti, Malacoda simula un’accoglienza apparentemente ragionevole, ma nella realtà tesse un inganno, mentendo sulla praticabilità dei ponti che attraversano le bolge. Questo personaggio incarna l’autorità corrotta e manipolatrice, capace di mascherare l’inganno sotto una parvenza di cooperazione.

Barbariccia viene nominato da Malacoda come capo della scorta per i poeti. Il suo nome evoca la barba irta e arruffata, simbolo di incuria e bestialità. Questo demone assume il ruolo di comandante e coordinatore delle azioni degli altri diavoli, manifestando un’autorità secondaria ma comunque rilevante nella gerarchia infernale della bolgia.

La brigata demoniaca include altri personaggi dai nomi altrettanto significativi ed evocativi: Scarmiglione (che richiama l’atto di scarmigliare, scompigliare), Alichino (probabile origine del nome dell’Arlecchino della commedia dell’arte), Calcabrina (che calpesta la brina), Cagnazzo (simile a un cane rabbioso), Libicocco (nome che suggerisce impulsi violenti), Draghignazzo (che richiama il drago), Ciriatto (con zanne simili a quelle di un cinghiale), Graffiacane (che graffia come un cane), Farfarello (che evoca l’idea di farfalla infernale) e Rubicante (rosso per la rabbia o per il sangue delle vittime).

Ogni nome è un’onomatopea o una parola composta che sintetizza caratteristiche fisiche o comportamentali, creando una galleria di personaggi tanto grotteschi quanto terrificanti. Il loro linguaggio è volgare, i loro gesti sono osceni e violenti, creando un forte contrasto con lo stile generalmente elevato del poema.

Un altro personaggio significativo è il barattiere lucchese, un dannato anonimo che viene catturato dai demoni mentre tenta di emergere dalla pece. Questo personaggio, che si saprà essere Martino Bottai solo nel canto successivo, rappresenta l’esempio concreto del peccatore punito per la sua corruzione. La scelta di Dante di non nominarlo immediatamente sottolinea come la baratteria fosse, ai suoi occhi, un male così diffuso da rendere quasi irrilevante l’identità del singolo corrotto.

Virgilio assume in questo canto un ruolo particolarmente importante come mediatore e protettore. Di fronte all’aggressività dei Malebranche, il poeta latino mostra fermezza e autorevolezza, ricordando ai demoni che il viaggio è voluto dal Cielo e quindi non può essere ostacolato. La sua capacità di gestire la situazione pericolosa rappresenta allegoricamente il potere della ragione illuminata dalla grazia divina, capace di attraversare anche le zone più oscure dell’esistenza umana senza soccombere al male.

Analisi del Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia: elementi tematici e narrativi

Il canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia rappresenta uno degli episodi più dinamici e teatrali dell’intero poema dantesco, caratterizzato da un equilibrio peculiare tra elementi grotteschi e profonda critica sociale. Quest’episodio si distingue per la sua straordinaria vivacità narrativa e per l’utilizzo di toni che oscillano tra il comico e il terrificante, creando un impatto emotivo particolarmente efficace sul lettore.

La corruzione politica emerge come tema dominante attraverso la rappresentazione dei barattieri, funzionari pubblici che hanno venduto cariche e favori per denaro, accostandosi così al tradimento della fiducia pubblica e alla perversione della giustizia. La pece nera, in cui le anime vengono immerse, diventa il simbolo della condizione viscosa e opprimente della corruzione, dove tutto è reso torbido e irrecuperabile.

Un elemento narrativo centrale è il contrasto tra autorità legittime e illegittime. I Malebranche, con il loro comportamento violento e ingannevole, rappresentano un’autorità pervertita che si oppone a quella divina e razionale incarnata da Virgilio. Quest’ultimo, pur nella sua condizione umana e limitata, dimostra una forza simbolica e morale in grado di guidare Dante attraverso un ambiente dominato dal caos e dall’oscurità.

Il canto presenta una struttura temporale complessa, evidenziata dall’inganno di Malacoda riguardo all’esistenza di un ponte sicuro, un espediente narrativo che genera suspense e anticipa gli eventi dei canti successivi. Questa manipolazione del tempo e dello spazio serve a rafforzare il senso d’inganno che permea l’intera bolgia.

Infine, il contrasto stilistico tra un linguaggio elevato e toni popolarmente crudi enfatizza la degradazione morale dei peccatori e dei loro carnefici, creando una tensione che amplifica il messaggio morale del canto e invita a una riflessione sulla natura duplice della giustizia.

Figure retoriche nel Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia

Il Canto XXI dell’Inferno si distingue per la sua ricchezza stilistica e per l’uso magistrale di figure retoriche che contribuiscono a creare un’atmosfera vivace e dinamica, in netto contrasto con il tono generalmente più solenne del poema.

La similitudine estesa rappresenta una delle figure retoriche più significative di questo canto. Nei versi 7-18, Dante paragona la pece bollente della quinta bolgia all’Arsenale di Venezia durante l’inverno:

Quale ne l’arzanà de’ Viniziani
bolle l’inverno la tenace pece
a rimpalmare i legni lor non sani…

Questa elaborata similitudine trasporta il lettore dal regno ultraterreno a un ambiente concreto e familiare, rendendo tangibile l’immagine della punizione infernale. La descrizione dettagliata dell’attività febbrile dell’arsenale veneziano crea un parallelo efficace con il tumulto della bolgia.

Particolarmente rilevante è anche l’uso delle onomatopee, presenti sia nei nomi stessi dei demoni (come “Barbariccia” e “Scarmiglione”), sia in espressioni che riproducono suoni, come nel verso finale del canto: “ed elli avea del cul fatto trombetta”. Queste figure sonore conferiscono immediatezza e concretezza alla narrazione, immergendo il lettore nell’ambiente caotico della bolgia.

Il canto è ricco di metafore che rafforzano la caratterizzazione dell’ambiente infernale. La pece che “appiastriccia” i dannati simboleggia la corruzione morale, mentre i demoni armati di uncini rappresentano strumenti di una giustizia divina deformata e crudele.

Le iperboli abbondano nelle descrizioni della ferocia dei Malebranche e nella violenza dei loro gesti, enfatizzando l’eccesso e l’assurdità della punizione. L’uso di un linguaggio scurrile e comico rappresenta un’anomalia stilistica rispetto all’elevazione tipica del poema, sottolineando la degradazione morale dei colpevoli.

L’ironia emerge nel dialogo tra Virgilio e Malacoda, dove il doppio senso delle parole rivela l’inganno intrinseco del demone, mentre il contrasto tra la solennità della missione e il tono grottesco amplifica l’effetto emotivo sul lettore.

Temi principali del 21 canto dell’Inferno della Divina Commedia

Il Canto 21 dell’Inferno della Divina Commedia si distingue per la ricchezza dei suoi temi, che riflettono sia la visione morale di Dante sia la sua critica alla società contemporanea. Analizzando questo canto emergono diversi nuclei tematici fondamentali.

Il tema della corruzione politica domina l’intero episodio. I barattieri, funzionari che hanno venduto cariche pubbliche o favori per denaro, rappresentano per Dante uno dei peggiori cancri della società medievale. La loro collocazione nell’ottavo cerchio, tra i fraudolenti, sottolinea la gravità di un peccato che mina le fondamenta della fiducia pubblica e della giustizia.

La giustizia divina si manifesta attraverso il contrappasso: chi ha operato nell’oscurità della corruzione è ora immerso in una pece nera e vischiosa, simbolo della segretezza e dell’opacità delle sue azioni. I Malebranche, impietosi nel punire anche il minimo tentativo di evasione, incarnano questa legge inesorabile.

Il tema dell’inganno e della menzogna si riflette nella condotta di Malacoda, il quale inganna i poeti con false indicazioni, riproponendo l’inganno come un elemento centrale della realtà infernale.

Il contrasto tonale è un altro aspetto fondamentale: Dante alterna registri comici-grotteschi a momenti di alta tensione morale, enfatizzando così la degradazione sia dei peccatori che dei loro carnefici. Inoltre, il confronto tra l’autorità infernale (dei demoni) e quella divina (incarnata da Virgilio) evidenzia la lotta tra ordine e caos, tra giustizia autentica e corrotta.

Infine, il dialogo con il Canto XXII, che costituisce un dittico con il XXI, rafforza l’importanza della denuncia alla corruzione politica, trasformando l’allegoria in una critica specifica delle realtà italiane del tempo.

Il Canto 21 dell’Inferno in pillole

ElementoDescrizione
CollocazioneQuinta bolgia dell’ottavo cerchio (Malebolge), dedicata ai barattieri
AmbientazioneFossato riempito di pece nera bollente, simbolo della corruzione e della segretezza degli affari illeciti
PenaI barattieri sono immersi nella pece bollente; se tentano di emergere, vengono uncinati e straziati dai diavoli
Personaggi principaliMalacoda (capo dei demoni), Barbariccia, Scarmiglione, Alichino, Calcabrina, Cagnazzo, Libicocco, Draghignazzo, Ciriatto, Graffiacane, Farfarello, Rubicante e un barattiere lucchese
Similitudine principaleParagone tra la pece bollente e l’Arsenale di Venezia in inverno (vv. 7-18)
Figure retoricheSimilitudini estese, onomatopee, metafore, iperboli, linguaggio comico e scurrile
Temi centraliCorruzione politica, degradazione morale, inganno, contrasto tra autorità infernale e protezione divina
Episodi principaliArrivo alla bolgia, paragone con l’Arsenale, cattura del barattiere, dialogo tra Virgilio e Malacoda, formazione della scorta demoniaca
Tono narrativoComico-realistico, con elementi grotteschi e satirici, in forte contrasto con lo stile solenne di altri canti
Significato allegoricoLa pece rappresenta la viscosità del peccato e l’oscurità morale; i diavoli simboleggiano l’amministrazione corrotta della giustizia
Episodio finaleUn diavolo compie un gesto osceno, anticipando l’inganno che si rivelerà nel canto successivo

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