Divina Commedia, Canto 21 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 21 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XXI del Paradiso rappresenta una tappa fondamentale nel percorso mistico di Dante attraverso i cieli, esplorando ascesi spirituale e preghiera.

Il Canto XXI del Paradiso della Divina Commedia rappresenta una tappa fondamentale nel percorso mistico di Dante attraverso i cieli. Ambientato nel settimo cielo di Saturno, dimora degli spiriti contemplativi, questo canto esplora il tema dell’ascesi spirituale e della preghiera come via privilegiata verso Dio.

Indice:

Canto 21 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo originaleParafrasi
Già eran li occhi miei rifissi al volto
de la mia donna, e l’animo con essi,
e da ogne altro intento s’era tolto.
I miei occhi erano di nuovo fissi sul volto di Beatrice, e con essi anche la mia anima si era distolta da ogni altro interesse.
E quella non ridea; ma «S’io ridessi»,
mi cominciò, «tu ti faresti quale
fu Semelè quando di cener fessi:
E Beatrice non sorrideva; ma cominciò a dirmi: «Se io ridessi, tu diventeresti come Semele quando si ridusse in cenere:
ché la bellezza mia, che per le scale
de l’etterno palazzo più s’accende,
com’ hai veduto, quanto più si sale,
perché la mia bellezza, che si fa più splendente man mano che si sale per i gradini del regno celeste, come hai potuto constatare,
se non si temperasse, tanto splende,
che ‘l tuo mortal podere, al suo fulgore,
sarebbe fronda che trono scoscende.
se non fosse contenuta, risplende a tal punto che la tua capacità di resistenza, mortale come sei, di fronte al suo fulgore sarebbe come una foglia spezzata dal tuono.
Noi sem levati al settimo splendore,
che sotto ‘l petto del Leone ardente
raggia mo misto giù del suo valore.
Siamo saliti al settimo cielo (Saturno), che ora irradia verso il basso la sua influenza mista a quella della costellazione del Leone ardente, sotto il cui petto si trova.
Ficca di retro a li occhi tuoi la mente,
e fa di quelli specchi a la figura
che ‘n questo specchio ti sarà parvente».
Concentra il tuo intelletto dietro i tuoi occhi, e fa’ che essi siano come specchi per l’immagine che ti apparirà in questo cielo (che è anch’esso uno specchio in quanto riflette la luce divina)».
Chi sapesse qual era la pastura
del viso mio ne l’aspetto beato
quand’ io mi trasmutai ad altra cura,
Se qualcuno sapesse quale nutrimento era per i miei occhi la visione del volto beato di Beatrice quando distolsi da esso la mia attenzione per rivolgermi ad altro,
conoscerebbe quanto m’era a grato
ubidire a la mia celeste scorta,
contrapesando l’un con l’altro lato.
comprenderebbe quanto mi era gradito obbedire alla mia guida celeste, mettendo a confronto i due piaceri (quello di guardare Beatrice e quello di obbedirle).
Dentro al cristallo che ‘l vocabol porta,
cerchiando il mondo, del suo caro duce
sotto cui giacque ogne malizia morta,
All’interno del cielo cristallino di Saturno, che, girando intorno al mondo, porta il nome del suo caro governatore (Saturno) sotto il cui regno rimase morta ogni malvagità (l’età dell’oro),
di color d’oro in che raggio traluce
vid’ io uno scaleo eretto in suso
tanto, che nol seguiva la mia luce.
vidi una scala di colore dorato, che brillava ai raggi del sole, eretta verso l’alto, così elevata che la mia vista non riusciva a seguirla fino in cima.
Vidi anche per li gradi scender giuso
tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume
che par nel ciel, quindi fosse diffuso.
Vidi anche scendere giù per quei gradini tante anime luminose, che io pensai che ogni luce che appare in cielo fosse raccolta e diffusa da lì.
E come, per lo natural costume,
le pole insieme, al cominciar del giorno,
si movono a scaldar le fredde piume;
E come, secondo la loro naturale abitudine, le cornacchie all’inizio del giorno si muovono insieme per riscaldare le fredde piume;
poi altre vanno via sanza ritorno,
altre rivolgon sé onde son mosse,
e altre roteando fan soggiorno;
poi alcune volano via senza tornare, altre fanno ritorno da dove sono venute, e altre ancora restano a volteggiare in cerchio;
tal modo parve me che quivi fosse
in quello sfavillar che ‘nsieme venne,
sì come in certo grado si percosse.
allo stesso modo mi sembrò che si comportassero quelle anime splendenti che si raccolsero insieme, quando si fermarono a un determinato gradino della scala.
E quel che presso più ci si ritenne,
si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando:
«Io veggio ben l’amor che tu m’accenne.
E l’anima che si fermò più vicino a noi divenne così luminosa che io dicevo dentro di me: «Vedo bene l’amore che mi dimostri.
Ma quella ond’ io aspetto il come e ‘l quando
del dire e del tacer, si sta; ond’ io,
contra ‘l disio, fo ben ch’io non dimando».
Ma Beatrice, da cui attendo indicazioni su quando e come parlare o tacere, rimane ferma; perciò, contro il mio desiderio, faccio bene a non domandare nulla».
Per ch’ella, che vedëa il tacer mio
nel veder di colui che tutto vede,
mi disse: «Solvi il tuo caldo disio».
Perciò lei, che vedeva il mio silenzio nella visione di Dio che tutto vede, mi disse: «Libera il tuo ardente desiderio».
E io incominciai: «La mia mercede
non mi fa degno de la tua risposta;
ma, per colei che ‘l chieder mi concede,
E io cominciai: «Il mio merito non mi rende degno della tua risposta; ma, per intercessione di Beatrice che mi concede di interrogarti,
vita beata che ti stai nascosta
dentro a la tua letizia, fammi nota
la cagion che sì presso mi t’ha posta;
o anima beata che ti nascondi dentro il tuo splendore di gioia, fammi conoscere il motivo per cui ti sei posta così vicino a me;
e dì perché si tace in questa rota
la dolce sinfonia di paradiso,
che giù per l’altre suona sì divota».
e dimmi perché in questo cielo tace la dolce armonia del paradiso, che invece nelle sfere sottostanti suona così devotamente».
«Tu hai l’udir mortal sì come il viso»,
rispuose a me; «onde qui non si canta
per quel che Bëatrice non ha riso.
«Il tuo udito è mortale così come la tua vista», mi rispose; «perciò qui non si canta per lo stesso motivo per cui Beatrice non ha sorriso.
Giù per li gradi de la scala santa
discesi tanto sol per farti festa
col dire e con la luce che mi ammanta;
Sono sceso lungo i gradini della santa scala solo per farti festa con le mie parole e con la luce che mi avvolge;
né più amor mi fece esser più presta,
ché più e tanto amor quinci sù ferve,
sì come il fiammeggiar ti manifesta.
non è stato un amore maggiore a rendermi più rapido nel venire, perché qui in alto arde un amore pari e anche maggiore, come ti dimostra il fiammeggiare delle altre anime.
Ma l’alta carità, che ci fa serve
pronte al consiglio che ‘l mondo governa,
sorteggia qui sì come tu osserve».
Ma l’alta carità, che ci rende serve pronte alla volontà divina che governa il mondo, assegna qui a ciascuno il proprio compito come tu puoi osservare».
«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna,
come libero amore in questa corte
basta a seguir la provedenza etterna;
«Io comprendo bene», dissi, «o sacra luce, come in questa corte celeste il libero amore basta a seguire la provvidenza eterna;
ma questo è quel ch’a cerner mi par forte,
perché predestinata fosti sola
a questo officio tra le tue consorte».
ma ciò che mi risulta difficile da capire è perché tu sola sia stata predestinata a questo compito tra le tue compagne anime beate».
Né venni prima a l’ultima parola,
che del suo mezzo fece il lume centro,
girando sé come veloce mola;
Non avevo ancora finito di parlare, che l’anima luminosa fece centro del suo corpo il proprio centro, ruotando su sé stessa come una rapida ruota di mulino;
poi rispuose l’amor che v’era dentro:
«Luce divina sopra me s’appunta,
penetrando per questa in ch’io m’inventro,
poi rispose l’amore che era dentro quell’anima: «La luce divina si dirige su di me, penetrando attraverso questa luce in cui mi trovo racchiuso,
la cui virtù, col mio veder congiunta,
mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio
la somma essenza de la quale è munta.
la cui virtù, unita alla mia vista, mi eleva sopra me stesso a tal punto che io vedo l’essenza suprema dalla quale essa deriva.
Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio;
perch’ a la vista mia, quant’ ella è chiara,
la chiarità de la fiamma pareggio.
Da qui deriva la gioia per cui io fiammeggio; perché alla mia vista, per quanto essa è chiara, adeguo la chiarezza della mia fiamma.
Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara,
quel serafin che ‘n Dio più l’occhio ha fisso,
a la dimanda tua non satisfara,
Ma quell’anima nel cielo che più si illumina, quel serafino che tiene lo sguardo più fisso in Dio, non potrebbe soddisfare la tua domanda,
però che sì s’innoltra ne lo abisso
de l’etterno statuto quel che chiedi,
che da ogne creata vista è scisso.
perché ciò che chiedi si addentra così profondamente nell’abisso dell’eterno decreto divino, che è separato da ogni vista creata.
E al mondo mortal, quando tu riedi,
questo rapporta, sì che non presumma
a tanto segno più mover li piedi.
E quando tornerai nel mondo mortale, riporta questo, affinché l’uomo non presuma più di dirigere i suoi passi verso un obiettivo così elevato.
La mente, che qui luce, in terra fumma;
onde riguarda come può là giùe
quel che non pote perché ‘l ciel l’assumma».
La mente, che qui in cielo risplende, sulla terra è offuscata; perciò considera come possa comprendere laggiù ciò che non può capire nemmeno quando il cielo la eleva a sé».
Sì mi prescrisser le parole sue,
ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi
a dimandarla umilemente chi fue.
Le sue parole mi limitarono a tal punto che io abbandonai la questione e mi ridussi a chiederle umilmente chi fosse.
«Tra ‘ due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ‘ troni assai suonan più bassi,
«Tra le due coste d’Italia (Tirreno e Adriatico) sorgono monti (gli Appennini), e non molto distanti dalla tua patria Firenze, tanto elevati che i tuoni rimbombano molto più in basso,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria».
e formano una gobba che si chiama Catria, ai piedi della quale è consacrato un eremo (Fonte Avellana), che suole essere dedicato esclusivamente al culto di Dio».
Così ricominciommi il terzo sermo;
e poi, continüando, disse: «Quivi
al servigio di Dio mi fe’ sì fermo,
Così ricominciò il suo terzo discorso; e poi, continuando, disse: «Lì mi dedicai con tale fermezza al servizio di Dio,
che pur con cibi di liquor d’ulivi
lievemente passava caldi e geli,
contento ne’ pensier contemplativi.
che, nutrendomi solo con cibi conditi con olio d’oliva, sopportavo facilmente il caldo e il freddo, soddisfatto nei miei pensieri contemplativi.
Render solea quel chiostro a questi cieli
fertilemente; e ora è fatto vano,
sì che tosto convien che si riveli.
Quel monastero soleva offrire a questi cieli un ricco contributo di anime; ma ora è diventato sterile, così che presto dovrà rivelarsi la decadenza.
In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
e Pietro Peccator fu’ ne la casa
di Nostra Donna in sul lito adriano.
In quel luogo io fui Pietro Damiano, e Pietro Peccatore fui nel monastero di Santa Maria in Porto sul lido adriatico presso Ravenna.
Poca vita mortal m’era rimasa,
quando fui chiesto e tratto a quel cappello,
che pur di male in peggio si travasa.
Mi rimaneva poca vita mortale quando fui richiesto e costretto ad accettare quel cappello cardinalizio, che di norma passa da un cattivo possessore a uno peggiore.
Venne Cefàs e venne il gran vasello
de lo Spirito Santo, magri e scalzi,
prendendo il cibo da qualunque ostello.
Venne Pietro (Cefa) e venne il grande vaso dello Spirito Santo (Paolo), magri e scalzi, accettando il cibo in qualunque ospizio.
Or voglion quinci e quindi chi rincalzi
li moderni pastori e chi li meni,
tanto son gravi, e chi di rietro li alzi.
Ora i moderni pastori (prelati) vogliono chi li aiuti da una parte e dall’altra e chi li conduca, tanto sono appesantiti, e chi li sostenga da dietro.
Cuopron de’ manti loro i palafreni,
sì che due bestie van sott’ una pelle:
oh pazïenza che tanto sostieni!».
Coprono i loro cavalli con i propri mantelli, così che due bestie vanno sotto una sola pelle: oh pazienza divina che tanto sopporti!».
A questa voce vid’ io più fiammelle
di grado in grado scendere e girarsi,
e ogne giro le facea più belle.
A queste parole io vidi più anime luminose scendere di gradino in gradino e ruotare, e ogni giro le rendeva più splendenti.
Dintorno a questa vennero e fermarsi,
e fero un grido di sì alto suono,
che non potrebbe qui assomigliarsi;
Intorno a quest’anima di Pietro Damiano vennero e si fermarono, ed emisero un grido di un suono così potente che non potrebbe essere paragonato a nulla sulla terra;
né io lo ‘ntesi, sì mi vinse il tuono.né io lo compresi, tanto mi sopraffece il tuono.

Canto 21 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Nel settimo cielo di Saturno, dimora degli spiriti contemplativi, Dante prosegue il suo viaggio ultraterreno. Questo cielo rappresenta un punto di svolta nella narrazione paradisiaca, contraddistinto da un’atmosfera di solenne raccoglimento che segna una differenza sostanziale rispetto ai cieli precedenti.

Il canto 21 del Paradiso si apre con Dante completamente assorto nella contemplazione di Beatrice, la sua guida che però, a differenza dei canti precedenti, non sorride. La donna stessa spiega questa insolita severità: “Se io ridessi – dice a Dante – la mia bellezza diventerebbe così abbagliante che i tuoi sensi mortali ne sarebbero inceneriti, proprio come accadde a Semele quando volle vedere Giove in tutto il suo splendore divino”. Questa precauzione sottolinea l’intensificarsi dell’esperienza spirituale man mano che Dante si avvicina alla visione di Dio.

L’assenza del sorriso di Beatrice è accompagnata anche dalla mancanza dei canti angelici che avevano caratterizzato i cieli precedenti. Il silenzio mistico che permea il cielo di Saturno serve a proteggere Dante dal soverchiante splendore divino, inadatto ai suoi sensi ancora umani. Questo elemento narrativo sottolinea il tema centrale del canto: i limiti della percezione umana di fronte alla grandezza divina.

L’elemento simbolico più rilevante è l’apparizione della scala d’oro, che si erge verso l’alto fino a scomparire alla vista. Questo straordinario oggetto celeste riprende la visione biblica della scala di Giacobbe e rappresenta il percorso di ascesa contemplativa verso Dio. Dante descrive questa scala come un fiume di luce dorata su cui scendono e salgono innumerevoli spiriti luminosi, simili a sciami di scintille.

Mentre Dante osserva questo spettacolo meraviglioso, uno degli spiriti si avvicina e il poeta, autorizzato da Beatrice, gli chiede perché proprio lui si sia avvicinato e perché in questo cielo non risuonino i canti che aveva sentito negli altri cieli. Lo spirito risponde che l’udito mortale di Dante non potrebbe sopportare la musica celeste di Saturno, per lo stesso motivo per cui Beatrice non sorride: lo splendore sarebbe troppo intenso per essere sostenuto da un essere ancora legato alla condizione terrena.

Lo spirito che si rivolge a Dante si rivela essere Pietro Damiani, monaco benedettino e cardinale vissuto nell’XI secolo, noto per il suo rigore ascetico e per la dura critica alla corruzione ecclesiastica. Pietro Damiani racconta la sua vita terrena, descrivendo il suo ritiro sul monte Catria, presso il monastero di Santa Croce di Fonte Avellana, dove si dedicò alla contemplazione e alla preghiera.

Il santo esprime anche una severa condanna verso la decadenza morale della Chiesa contemporanea a Dante, denunciando l’avidità e la mondanità dei prelati.

L’indignazione di Pietro Damiani raggiunge l’apice quando descrive i moderni pastori della Chiesa, appesantiti dalle vesti sontuose, talmente pesanti che necessitano di aiuto per montare a cavallo, e così ampi che sotto un unico mantello trovano posto sia il prelato sia la sua cavalcatura – un’immagine sarcastica che sottolinea l’eccessivo lusso in cui vivevano i rappresentanti di quella Chiesa che avrebbe dovuto seguire l’esempio di povertà di Cristo.

La veemenza della sua critica è tale che gli altri spiriti contemplativi accorrono intorno a lui, unendosi in un grido collettivo che risuona come un tuono attraverso le sfere celesti. Dante, spaventato da questa manifestazione di indignazione celeste, si stringe a Beatrice come un bambino cerca protezione nella madre.

Il canto si chiude con questa potente immagine sonora, che contrasta paradossalmente con il silenzio iniziale del cielo di Saturno e prepara il passaggio al cielo delle Stelle Fisse. L’improvviso fragore rappresenta simbolicamente la reazione divina alla corruzione ecclesiastica, tema caro a Dante e ricorrente in tutta la Commedia.

La struttura narrativa del Canto 21 si sviluppa dunque attraverso tre momenti principali: l’arrivo nel cielo silenzioso di Saturno e la visione della scala d’oro, l’incontro e il dialogo con Pietro Damiani, e infine la veemente critica alla corruzione ecclesiastica che culmina nel grido collettivo degli spiriti contemplativi. Questa progressione riflette il percorso spirituale di Dante, che attraverso l’esperienza del silenzio e della contemplazione giunge a una più profonda comprensione dell’ordine divino e del contrasto tra questo e la corruzione mondana.

Canto 21 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi

Nel settimo cielo di Saturno, Dante incontra figure emblematiche che rappresentano la vita contemplativa e introducono riflessioni fondamentali sulla Chiesa e sul percorso spirituale. Due sono i personaggi principali che dominano la scena: Beatrice, guida costante del poeta, e Pietro Damiani, spirito contemplativo che discende dalla scala d’oro.

Beatrice

In questo canto, Beatrice assume un ruolo particolarmente severo e protettivo. A differenza dei cieli precedenti, qui non sorride al poeta, mantenendo un contegno austero che riflette la solennità del cielo di Saturno. Questo atteggiamento non è segno di distacco, ma piuttosto un atto di protezione verso Dante: come lei stessa spiega, il suo sorriso in questo luogo sarebbe talmente abbagliante da risultare insostenibile per il poeta, paragonando l’effetto a quello di Semele che venne incenerita dal fulgore divino quando chiese a Giove di mostrarsi in tutta la sua potenza.

  • Funzione protettiva: Beatrice calibra la sua luminosità in base alle capacità ricettive di Dante, dimostrando come l’amore divino si adatti alle possibilità umane
  • Simbolo di autorità: Nel cielo degli spiriti contemplativi, la sua espressione seria enfatizza l’importanza della riflessione e dell’ascesi
  • Mediazione: Autorizza Dante a comunicare con Pietro Damiani, continuando a facilitare il percorso di conoscenza del poeta

Pietro Damiani

Figura storica di grande rilievo, Pietro Damiani (1007-1072) fu monaco, teologo, riformatore e cardinale. Nel contesto del canto, rappresenta l’ideale della vita contemplativa e della purezza spirituale. La sua presenza nel cielo di Saturno non è casuale: in vita, Damiani alternò periodi di intensa contemplazione nell’eremo di Fonte Avellana a momenti di attivo impegno nella riforma ecclesiastica.

  • Manifestazione luminosa: Si presenta come fiamma ardente che testimonia la grazia divina ricevuta attraverso la preghiera e la contemplazione
  • Disponibilità al dialogo: Il suo avvicinarsi spontaneo simboleggia come l’amore divino non conosca rigide gerarchie ma si diffonda liberamente
  • Duplice identità: Si presenta con i due nomi che ebbe in vita (Pietro Damiani e Pietro Peccatore), riflettendo la complessità del suo percorso terreno tra eremo e impegno cardinalizio

L’aspetto più incisivo del personaggio è la sua critica alla corruzione ecclesiastica, evidenziata dalla denuncia dei “moderni pastori”. Dante ascolta con riverenza, rappresentando l’umanità che si apre all’insegnamento divino.

Analisi del Canto 21 del Paradiso: elementi tematici e narrativi

Nel Canto 21 del Paradiso, Dante sviluppa una narrazione strutturata attorno alla progressione verticale del viaggio ultraterreno, segnando un momento cruciale nell’ascesa spirituale del poeta. Il settimo cielo di Saturno costituisce un punto di svolta nella narrazione: qui l’elemento contemplativo diventa predominante e i sensi mortali di Dante vengono messi alla prova di fronte alla crescente intensità della luce divina.

La struttura narrativa si articola attraverso tre momenti fondamentali: l’arrivo nel cielo di Saturno, la visione della scala d’oro e l’incontro con Pietro Damiani. Questo schema riflette il processo graduale di elevazione spirituale che Dante deve attraversare per avvicinarsi alla visione beatifica.

L’assenza di musica e del sorriso di Beatrice segnalano immediatamente il carattere eccezionale di questo cielo. “Perché la faccia mia sì t’innamora, / che tu non ti rivolgi al bel giardino / che sotto i raggi di Cristo s’infiora?” invoca Beatrice per incentivare il distacco dai supporti sensibili.

Un forte contrasto emerge tra la percezione umana e la realtà divina, illustrato dai versi in cui il sorriso di Beatrice avrebbe potuto annientare Dante come il fulmine di Giove annientò Semele. La scala d’oro, che si perde alla vista, simboleggia il percorso mistico e graduale verso il divino, richiamando alla mente la scala di Giacobbe e la Scala Paradisi di Giovanni Climaco.

Il silenzio nel cielo di Saturno, che in realtà è una pienezza protettiva, preserva Dante dall’intensità della gioia divina. L’incontro con Pietro Damiani introduce il dialogo come mezzo per trasmettere un insegnamento di carità e critica morale, culminando nella denuncia della corruzione ecclesiastica.

Figure retoriche nel Canto 21 del Paradiso della Divina Commedia

Il Canto 21 del Paradiso si distingue per un uso magistrale di figure retoriche che arricchiscono il tessuto linguistico e potenziano l’espressività poetica di Dante. Queste figure non sono semplici ornamenti, ma strumenti essenziali per comunicare l’ineffabile esperienza del divino attraverso il linguaggio umano.

La similitudine è impiegata con particolare efficacia, paragonando il sorriso di Beatrice al fulmine di Giove che ridusse in cenere Semele, evidenziando il contrasto tra la fragilità umana e la potenza divina.

La metafora della «scala d’oro» evoca il percorso mistico verso la contemplazione, richiamando immagini bibliche e medievali.

La perifrasi arricchisce il linguaggio astronomico, mentre l’antitesi enfatizza il divario tra il “udir mortal” di Dante e la “sinfonia di paradiso”. Inoltre, l’apostrofe rivolta ai “moderni pastori” accentua la critica morale, supportata da iperboli, sineddochi e allitterazioni che scandiscono il cammino ascensionale.

Temi principali del 21° canto del Paradiso della Divina Commedia

Nel Canto XXI del Paradiso, Dante intreccia temi teologici e spirituali che definiscono il percorso verso l’elevazione divina. Il tema della limitatezza della percezione umana si esprime nel dialogo in cui si sottolinea come i sensi terrestri non possano cogliere appieno la realtà celeste, evidenziato dall’assenza del sorriso di Beatrice e dal fragile “udir mortal” di Dante.

Il silenzio del settimo cielo, invece di essere un vuoto, rivela una pienezza protettiva, permettendo una contemplazione più intima e rarefatta della gioia divina. La critica alla corruzione ecclesiastica, espressa tramite le parole di Pietro Damiani, contrappone l’austerità dei beati alla mondanità dei prelati, enfatizzando il valore della povertà evangelica.

Il simbolismo astrologico di Saturno, associato alla meditazione e all’ascetismo, rafforza l’atmosfera sobria e raccolta del cielo di Saturno, mentre la scala d’oro emerge come metafora del percorso graduale verso la perfezione divina.

Il Canto 21 del Paradiso in pillole

ElementoDescrizione
AmbientazioneSettimo cielo di Saturno, dove risiedono gli spiriti contemplativi, caratterizzato da silenzio e assenza di sorriso in Beatrice per proteggere Dante dall’eccessiva luce divina
Simbolo centraleScala d’oro che si estende verso l’infinito, rappresentazione della via contemplativa e dell’ascesa spirituale verso Dio
Personaggi principaliPietro Damiani: monaco e cardinale dell’XI secolo, critico della corruzione ecclesiastica; Beatrice: guida che adatta la sua luminosità per non sopraffare Dante
Eventi chiaveDante fissa lo sguardo su Beatrice; appare la scala dorata e discende Pietro Damiani; conversazione sulla corruzione del clero moderno
Figure retoricheSimilitudine (sorriso come fulmine); metafora (scala d’oro); perifrasi (riferimenti astronomici); antitesi (sensibilità mortale vs perfezione divina)
Temi fondamentaliLimiti della percezione umana; critica alla Chiesa corrotta; valore della contemplazione; inadeguatezza dei sensi terreni di fronte alla realtà divina
Significato strutturalePonte tra la sfera umana e quella angelica, preparazione agli ultimi tre cieli dove Dante affronterà le virtù teologali e la visione beatifica

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