Divina Commedia, Canto 21 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 21 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 21 del Purgatorio rappresenta un momento fondamentale nel viaggio di Dante attraverso il regno della purificazione.

Il Canto 21 del Purgatorio rappresenta un momento fondamentale nel viaggio di Dante attraverso il regno della purificazione. Ambientato nella quinta cornice, dove si puniscono avari e prodighi, questo canto introduce l’incontro con il poeta latino Stazio, figura che crea un ponte simbolico tra cultura classica e fede cristiana.

La narrazione è arricchita da elementi soprannaturali come il terremoto della montagna, segno della liberazione di un’anima purificata, e da riflessioni profonde sul valore dell’arte poetica come strumento di elevazione spirituale.

Indice:

Canto 21 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
La sete natural che mai non saziaLa sete naturale di conoscenza che non è mai completamente appagata
se non con l’acqua onde la femminettase non con la verità, della quale la samaritana
samaritana domandò la grazia,chiese il dono a Gesù,
mi travagliava, e pungeami la frettami tormentava, e l’impazienza mi spingeva
per la ‘mpacciata via dietro al mio duca,a seguire la strada ingombrata di anime dietro la mia guida (Virgilio),
e condoleami a la giusta vendetta.e provavo compassione per la giusta punizione divina.
Ed ecco, sì come ne scrive LucaEd ecco, così come narra l’evangelista Luca
che Cristo apparve a’ due ch’erano in via,che Cristo apparve ai due discepoli che erano in cammino verso Emmaus,
già surto fuor de la sepulcral buca,dopo essere già risorto dal sepolcro,
ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa,ci apparve un’anima, e veniva dietro di noi,
dal piè guardando la turba che giace;osservando da sotto le anime distese a terra;
né ci addemmo di lei, sì parlò pria,e non ci accorgemmo di lei, finché non parlò per prima,
dicendo: “O frati miei, Dio vi dea pace”.dicendo: “O fratelli miei, Dio vi dia pace”.
Noi ci volgemmo sùbiti, e VirgilioNoi ci voltammo subito, e Virgilio
rendéli ‘l cenno ch’a ciò si conface.gli restituì il saluto che a ciò si addice.
Poi cominciò: “Nel beato concilioPoi iniziò: “Nel beato consesso celeste
ti ponga in pace la verace corteti ponga in pace la corte divina
che me rilega ne l’etterno essilio”.che confina me nell’eterno esilio”.
“Come!” diss’elli, e parte andavam forte:“Come!” disse quello, mentre continuavamo a camminare velocemente:
“se voi siete ombre che Dio sù non degni,“se voi siete anime che Dio non ritiene degne di salire in cielo,
chi v’ha per la sua scala tanto scorte?”chi vi ha guidato così in alto per la sua montagna?”
E ‘l dottor mio: “Se tu riguardi a’ segniE la mia guida: “Se osservi i segni
che questi porta e che l’angel profilò,che costui porta e che l’angelo tracciò,
ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni.ben vedrai che è destinato a regnare con i beati.
Ma perché lei che dì e notte filaMa poiché colei che fila giorno e notte
non li avea tratta ancora la conocchianon gli aveva ancora terminato di filare la conocchia
che Cloto impone a ciascuno e compila,che Cloto prepara e assegna a ciascuno,
l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia,la sua anima, che è sorella tua e mia,
venendo sù, non potea venir sola,salendo quassù, non poteva venire da sola,
però ch’al nostro modo non adocchia.perché non vede come noi.
Ond’io fui tratto fuor de l’ampia golaPerciò io fui tratto fuori dall’ampia gola
d’inferno per mostrarli, e mosterrollidell’inferno per fargli da guida, e glielo mostrerò
oltre, quanto ‘l potrà menar mia scola.oltre, fin dove potrà condurlo il mio insegnamento.
Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolliMa dimmi, se lo sai, perché tali scosse
diè dianzi ‘l monte, e perché tutto ad unaha dato poc’anzi il monte, e perché tutto insieme
parve gridare infino a’ suoi piè molli?”.sembrava gridare fino alle sue pendici bagnate dal mare?”.
Sì mi diè, dimandando, per la crunaCosì, con la sua domanda, centrò
del mio disio, che pur con la speranzail punto centrale del mio desiderio, che solo con la speranza
si fece la mia sete men digiuna.la mia sete si fece meno intensa.
Quei cominciò: “Cosa non è che sanzaQuello cominciò: “Nulla avviene senza
ordine senta la religioneun ordine sentito dalla santa regola
de la montagna, o che sia fuor d’usanza.della montagna, o che sia fuori della consuetudine.
Libero è qui da ogne alterazione:Questo luogo è libero da ogni mutamento:
di quel che ‘l ciel da sé in sé ricevepuò essere modificato solo da ciò che il cielo riceve da sé stesso
esser ci puote, e non d’altro, cagione.e non da altre cause.
Per che non pioggia, non grando, non neve,Perciò né pioggia, né grandine, né neve,
non rugiada, non brina più sù cadené rugiada, né brina cadono più in alto
che la scaletta di tre gradi breve;della breve scaletta di tre gradini;
nuvole spesse non paion né rade,non appaiono nuvole né dense né rade,
né coruscar, né figlia di Taumante,né lampi, né Iride figlia di Taumante,
che di là cangia sovente contrade;che sulla terra muta spesso posizione;
secco vapor non surge più avanteil vapore secco (causa di terremoti) non sale più in alto
ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai,del sommo dei tre gradini di cui ho parlato,
ov’ha ‘l vicario di Pietro le piante.dove l’angelo custode della porta del purgatorio tiene i piedi.
Trema forse più giù poco o assai;Forse trema più in basso poco o molto;
ma per vento che ‘n terra si nasconda,ma per vento che si nasconda nella terra,
non so come, qua sù non tremò mai.non so come, quassù non tremò mai.
Tremaci quando alcuna anima mondaQui trema quando qualche anima purificata
sentesi, sì che surga o che si movasi sente pronta, così che si alza o si muove
per salir sù; e tal grido seconda.per salire in cielo; e tale grido accompagna il terremoto.
De la mondizia sol voler fa prova,Della purificazione solo la volontà dà prova,
che, tutto libero a mutar convento,che, del tutto libera di cambiare dimora,
l’alma sorprende, e di voler le giova.sorprende l’anima, e la volontà l’aiuta.
Prima vuol ben, ma non lascia il talentoPrima vuole il bene, ma non abbandona il desiderio
che divina giustizia, contra voglia,che la giustizia divina, contro la volontà dell’anima,
come fu al peccar, pone al tormento.come fu al momento del peccato, pone al tormento.
E io, che son giaciuto a questa dogliaE io, che sono stato disteso in questa pena
cinquecent’anni e più, pur mo sentiiper più di cinquecento anni, proprio ora ho sentito
libera volontà di migliorar soglia:libera volontà di salire a miglior soglia:
però sentisti il tremoto e li piiperciò hai sentito il terremoto e i pii
spiriti per lo monte render lodespiriti per il monte rendere lode
a quel Segnor, che tosto sù li ‘nvii”.a quel Signore, affinché presto li invii su in cielo”.
Così ne disse; e perché ch’el si godeCosì ci disse; e poiché si gode
tanto del ber quant’è grande la sete,tanto del bere quanto è grande la sete,
non saprei dir quant’el mi fece prode.non saprei dire quanto mi giovò.
E ‘l savio duca: “Omai veggio la reteE la saggia guida: “Ormai vedo la rete
che qui vi ‘mpiglia e come si scalappia,che qui vi impiglia e come ci si libera,
perché ci trema e di che congaudete.perché qui trema e di che cosa vi rallegrate.
Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia,Ora chi fosti, piacciati che io sappia,
e perché tanti secoli giaciutoe perché sei rimasto disteso tanti secoli
qui se’, ne le parole tue mi cappia”.qui, possa comprendere dalle tue parole”.
“Nel tempo che ‘l buon Tito, con l’aiuto“Nel tempo in cui il buon Tito, con l’aiuto
del sommo rege, vendicò le fóradel sommo re, vendicò le ferite
ond’uscì ‘l sangue per Giuda venduto,da cui uscì il sangue venduto da Giuda,
col nome che più dura e più onoracon il nome che più dura e più onora (poeta)
era io di là”, rispuose quello spirto,ero io sulla terra”, rispose quello spirito,
“famoso assai, ma non con fede ancora.“assai famoso, ma non ancora credente.
Tanto fu dolce mio vocale spirto,Tanto fu dolce il mio talento poetico,
che, tolosano, a sé mi trasse Roma,che, pur essendo di Tolosa, Roma mi attirò a sé,
dove mertai le tempie ornar di mirto.dove meritai di cingere le tempie con il mirto.
Stazio la gente ancor di là mi noma:La gente sulla terra mi chiama ancora Stazio:
cantai di Tebe, e poi del grande Achille;cantai di Tebe, e poi del grande Achille;
ma caddi in via con la seconda soma.ma caddi per via con il secondo fardello (l’Achilleide incompiuta).
Al mio ardor fuor seme le faville,Al mio ardore poetico furono seme le scintille,
che mi scaldar, de la divina fiammache mi riscaldarono, della divina fiamma
onde sono allumati più di mille;da cui sono illuminati più di mille poeti;
de l’Eneïda dico, la qual mammadell’Eneide dico, la quale madre
fummi e fummi nutrice poetando:mi fu e mi fu nutrice nel poetare:
sanz’essa non fermai peso di dramma.senza di essa non creai opera di alcun valore.
E per esser vivuto di là quandoE per essere vissuto sulla terra quando
visse Virgilio, assentirei un solevisse Virgilio, accetterei di rimanere
più che non deggio al mio uscir di bando”.un anno in più di quanto dovrei nel mio esilio dal paradiso”.
Volser Virgilio a me queste paroleQueste parole fecero volgere Virgilio verso di me
con viso che, tacendo, disse ‘Taci’;con un’espressione che, pur tacendo, diceva ‘Taci’;
ma non può tutto la virtù che vole;ma non può tutto la virtù che vuole;
ché riso e pianto son tanto seguaciperché riso e pianto seguono tanto
a la passion di che ciascun si spicca,alla passione da cui ciascuno di essi scaturisce,
che men seguon voler ne’ più veraci.che meno seguono la volontà nelle persone più sincere.
Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca;Io sorrisi appena come chi fa l’occhiolino;
per che l’ombra si tacque, e riguardommiper cui l’ombra si zittì, e mi guardò
ne li occhi ove ‘l sembiante più si ficca;negli occhi dove l’espressione meglio si manifesta;
e “Se tanto labore in bene assommi”,e “Se tanto sforzo tu possa concludere bene”,
disse, “perché la tua faccia testesodisse, “perché il tuo viso poco fa
un lampeggiar di riso dimostrommi?”.mi mostrò un lampo di sorriso?”.
Or son io d’una parte e d’altra preso:Ora sono io preso da una parte e dall’altra:
l’una mi fa tacer, l’altra scongiural’una (Virgilio) mi fa tacere, l’altra (Stazio) mi scongiura
ch’io dica; ond’io sospiro, e sono intesoche io parli; per cui io sospiro, e sono compreso
dal mio maestro, e “Non aver paura”,dal mio maestro, e “Non aver paura”,
mi dice, “di parlar; ma parla e diglimi dice, “di parlare; ma parla e digli
quel ch’e’ dimanda con cotanta cura”.quello che ti chiede con tanta premura”.

Canto 21 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il ventunesimo canto del Purgatorio si apre con Dante che esprime una profonda sete, sia fisica che spirituale. Questa sete viene paragonata a quella della donna samaritana che incontrò Gesù al pozzo, creando un parallelo biblico che enfatizza il desiderio di conoscenza e verità del poeta.

Mentre Dante e Virgilio procedono lungo il cammino della quinta cornice, dove si purificano le anime degli avari e dei prodigi, il poeta si mostra impaziente di proseguire, spinto dal desiderio di comprendere i misteri divini.

Improvvisamente, la montagna del Purgatorio trema con violenza e tutte le anime gridano all’unisono “Gloria in excelsis Deo”. Questo fenomeno soprannaturale, paragonabile al terremoto che accompagnò la resurrezione di Cristo, lascia Dante sbigottito e pieno di interrogativi. I due poeti restano immobili e incerti, proprio come i pastori che udirono per la prima volta l’annuncio della nascita di Gesù, fin quando non incontrano un’anima che si avvicina a loro.

Questa apparizione viene descritta con una potente similitudine evangelica: come Cristo apparve ai discepoli sulla via di Emmaus dopo la resurrezione, così un’ombra si manifesta ai due poeti. È l’anima del poeta latino Stazio che, avendo completato la sua purificazione, è pronta per ascendere al Paradiso.

Il tremito della montagna, come Stazio stesso spiegherà, è un fenomeno che si verifica ogni volta che un’anima si sente purificata e libera di salire verso il cielo.

Stazio spiega che il Purgatorio è libero da perturbazioni atmosferiche naturali: non vi cadono pioggia, grandine o neve. Ciò che vi accade è causato unicamente dall’influenza divina, non da fattori naturali. Quando un’anima sente di essere purificata, nasce in lei la volontà di salire e questa volontà coincide con il suo effettivo liberarsi.

Prima di tale momento, l’anima è trattenuta dal desiderio stesso di soffrire, poiché la giustizia divina trasforma la pena in desiderio di espiazione.

La parte centrale del canto è occupata dal dialogo tra Stazio e Virgilio. Quest’ultimo, incuriosito dall’identità del nuovo arrivato, gli chiede spiegazioni sulla sua permanenza nel Purgatorio. Stazio rivela di essere stato un poeta latino vissuto dopo Virgilio, autore della “Tebaide” e dell’incompiuta “Achilleide”. Confessa di aver trascorso più di cinquecento anni nel Purgatorio: quattrocento nella quarta cornice, quella degli accidiosi, e oltre cento in quella degli avari e prodighi.

Stazio spiega che il suo peccato non era l’avarizia, ma piuttosto il suo opposto, la prodigalità. Fu proprio la lettura dei versi virgiliani contro l’avidità nell'”Eneide” (“Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames?”) che lo salvò dall’eccesso opposto. In questo modo, Dante sottolinea come gli estremi del vizio si tocchino e come la moderazione sia la virtù che li equilibra.

Il momento più toccante del canto avviene quando Stazio, ignaro dell’identità del compagno di Dante, esprime quanto avrebbe desiderato vivere al tempo di Virgilio, dichiarando che sarebbe disposto a trascorrere un altro anno nel Purgatorio per avere tale privilegio. Quando Dante, con un sorriso, gli rivela che il suo accompagnatore è proprio Virgilio, Stazio si china per abbracciargli i piedi in un gesto di venerazione. Virgilio lo ferma, ricordandogli che entrambi sono solo ombre.

Questo episodio, carico di emozione e simbolismo, evidenzia il rispetto di Dante per la tradizione classica e il ruolo fondamentale che attribuisce alla poesia come veicolo di verità spirituali. Il dialogo tra i tre poeti rappresenta un ponte tra la saggezza pagana e la rivelazione cristiana, tema centrale nell’intero poema dantesco.

Canto 21 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Il ventunesimo canto del Purgatorio mette in scena una triade di personaggi che incarnano tre diverse dimensioni dell’esperienza poetica e spirituale: Stazio, Virgilio e Dante stesso. Questa configurazione rappresenta un momento cruciale nella progressione narrativa e simbolica dell’opera.

Stazio: il ponte tra due mondi

Publio Papinio Stazio (45-96 d.C.) è la figura che domina questo canto. Poeta latino autore della Tebaide e dell’incompiuta Achilleide, rappresenta il perfetto intermediario tra cultura classica pagana e rivelazione cristiana. La sua funzione nel disegno dantesco è multilaterale: innanzitutto, incarna la possibilità di redenzione attraverso l’arte e la poesia, come testimoniato dalla sua conversione al cristianesimo grazie alla lettura della quarta Ecloga di Virgilio.

“Per te poeta fui, per te cristiano”: queste parole rivelano il profondo legame tra ispirazione letteraria e illuminazione spirituale. Stazio ha trascorso oltre cinquecento anni nel Purgatorio, segnando il passaggio dall’accidia all’avarizia, fino alla liberazione simboleggiata dal terremoto della montagna.

Virgilio: il maestro inconsapevole

Nel canto, Virgilio emerge come guida la cui lanterna, portata alle spalle, illumina il cammino degli altri pur restando nell’ombra. Questo paradosso evidenzia la tragica condizione del poeta pagano, il quale, pur guidando altri verso la verità, rimane escluso dalla salvezza.

Dante: osservatore e testimone

Dante, con la sua “sete natural”, assiste al dialogo che rivela la potenza trasformatrice della poesia, apprendendo una lezione fondamentale per il suo percorso di purificazione.

Analisi del Canto 21 della Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il canto si articola attorno all’arsura spirituale di Dante, all’apparizione miracolosa di Stazio e al dialogo rivelatore tra i protagonisti. La sete, evocata con il riferimento alla Samaritana, diviene metafora del desiderio incessante di verità e purificazione. Il terremoto che scuote la montagna annuncia la liberazione dell’anima, segno della trasformazione interiore raggiunta nel cammino purgatoriale.

Il dialogo, attraverso il racconto della conversione di Stazio grazie alla lettura della quarta Ecloga, esalta il potere della poesia come strumento di illuminazione e redenzione, fondendo il percorso interiore con il viaggio fisico verso il Paradiso.

Figure retoriche nel Canto 21 della Purgatorio della Divina Commedia

Dante impiega un ricco ventaglio di figure retoriche per valorizzare il significato profondo del canto. Le similitudini bibliche ed evangeliche, come quella che paragona la sete a quella della Samaritana, rafforzano il legame tra esperienza personale e verità divina.

La potente metafora della lanterna evidenzia il ruolo di Virgilio, guida inconsapevole che illumina il cammino altrui nonostante resti nell’ombra. L’uso di antitesi, anafore e ripetizioni enfatizza i contrasti tra il tangibile e lo spirituale, creando una tensione emotiva che arricchisce la narrazione.

Questi elementi retorici, insieme ai simbolismi e alle allegorie, rendono il canto un autentico inno alla trasformazione spirituale e alla continuità tra cultura classica e rivelazione cristiana.

Temi principali del 21 canto della Purgatorio della Divina Commedia

Il canto affronta temi fondamentali quali la provvidenza divina, il processo di purificazione attraverso un terremoto simbolico e il potere trasformativo della poesia. La conversione di Stazio, guidata in modo inconsapevole dalla lettura della poesia virgiliana, incarna il legame tra tradizione classica e verità cristiana.

La sete di conoscenza, inizialmente rappresentata attraverso il richiamo biblico alla Samaritana, diventa la metafora del desiderio interiore di salvezza e della ricerca inesorabile della verità. Questi temi, intrecciati con il percorso spirituale e fisico dei personaggi, conferiscono al canto una dimensione universale e rivelatrice, in cui ogni elemento contribuisce a delineare il cammino verso l’elevazione dell’anima.

Il Canto 21 della Purgatorio in pillole

AspettoDescrizione
AmbientazioneQuinta cornice del Purgatorio, dedicata alla purificazione degli avari e prodighi
Evento inizialeTerremoto e grido di gioia delle anime, segno che un’anima ha completato la purificazione
Incontro principaleApparizione di Stazio, poeta latino che ha completato la sua pena
Similitudine evangelicaApparizione di Stazio paragonata a quella di Cristo risorto ai discepoli di Emmaus
Tematica centraleLa conversione di Stazio al Cristianesimo grazie all’influenza inconsapevole della poesia virgiliana
Metafora chiaveVirgilio come colui che porta il lume dietro di sé: illumina gli altri verso la verità senza vederla
Riferimento poeticoLa quarta Ecloga di Virgilio, interpretata come profezia cristiana
Momento emotivoStazio tenta di abbracciare i piedi di Virgilio, dimenticando di essere solo un’ombra
Durata della pena di StazioOltre cinquecento anni (quattrocento per l’accidia, più di cento per l’avarizia)
Simbologia della seteDesiderio di conoscenza spirituale, riferimento alla Samaritana del Vangelo
Funzione strutturaleIntroduzione di un nuovo personaggio-guida per le cornici successive
Aspetto meta-poeticoRiflessione sul valore della poesia come strumento di elevazione spirituale
Tema teologicoArmonia tra cultura classica e verità cristiana, con la Provvidenza divina che opera anche attraverso i pagani
Significato nel percorsoMomento di transizione verso la completa purificazione, con una riflessione sul ruolo dell’arte nella salvezza
Figura retorica dominanteSimilitudini e metafore che collegano esperienza personale e tradizione cristiana

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