Divina Commedia, Canto 22 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 22 Paradiso: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XXII del Paradiso è una tappa fondamentale nel percorso ascensionale di Dante Alighieri attraverso la terza cantica della Divina Commedia.

Il Canto XXII del Paradiso rappresenta una tappa fondamentale nel percorso ascensionale di Dante Alighieri attraverso la terza cantica della Divina Commedia. Siamo nel cielo settimo, quello di Saturno, dove risiedono gli spiriti contemplativi. Questo canto si distingue per la presenza di San Benedetto da Norcia, fondatore dell’ordine benedettino e figura emblematica del monachesimo occidentale.

L’incontro con San Benedetto permette a Dante di riflettere sulla corruzione degli ordini monastici del suo tempo, contrapponendo l’ideale originario alla realtà contemporanea. Nel frattempo, Beatrice continua a guidare il poeta nel suo cammino spirituale, incarnando la teologia che lo conduce verso la visione divina.

Il canto segna anche un momento di transizione nell’itinerario paradisiaco, con l’ascesa al cielo delle Stelle Fisse e la visione della Terra come un’insignificante “aiuola”, ridimensionando così le ambizioni e i conflitti umani in una prospettiva cosmica.

Indice:

Canto 22 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Oppresso di stupore, a la mia guida
mi volsi, come parvol che ricorre
sempre colà dove più si confida;
Oppresso dallo stupore, mi rivolsi alla mia guida (Beatrice), come un bambino che ricorre sempre a colui nel quale ripone maggiore fiducia;
e quella, come madre che soccorre
sùbito al figlio palido e anelo
con la sua voce, che ‘l suol ben disporre,
e quella, come una madre che soccorre subito il figlio pallido e ansante con la sua voce, che è solita rassicurarlo,
mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo?
e non sai tu che ‘l cielo è tutto santo,
e ciò che ci si fa vien da buon zelo?
mi disse: «Non sai che sei in cielo? E non sai che il cielo è tutto santo, e ciò che qui si fa proviene da buone intenzioni?
Come t’avrebbe trasmutato il canto,
e io ridendo, mo pensar lo puoi,
poscia che ‘l grido t’ha mosso cotanto;
Come ti avrebbero trasformato il canto (dei beati) e il mio sorriso, ora puoi pensarlo, dal momento che il grido ti ha così tanto turbato;
nel qual, se ‘nteso avessi i prieghi suoi,
già ti sarebbe nota la vendetta
che tu vedrai innanzi che tu muoi.
in quel grido, se tu avessi compreso la sua preghiera, già ti sarebbe nota la vendetta che vedrai prima di morire.
La spada di qua sù non taglia in fretta
né tardo, ma’ ch’al parer di colui
che disïando o temendo l’aspetta.
La spada della giustizia divina non colpisce né in fretta né tardi, se non nell’apparenza di colui che l’attende desiderandola o temendola.
Ma rivolgiti omai inverso altrui;
ch’assai illustri spiriti vedrai,
se com’io dico l’aspetto redui».
Ma volgiti ora verso altri (spiriti); che vedrai spiriti molto illustri, se, come io dico, rivolgi lo sguardo (verso di loro)».
Come a lei piacque, li occhi ritornai,
e vidi cento sperule che ‘nsieme
più s’abbellivan con mutüi rai.
Come a lei piacque, rivolsi gli occhi altrove, e vidi cento piccole sfere (anime) che insieme si facevano più belle scambiandosi reciprocamente i raggi.
Io stava come quei che ‘n sé repreme
la punta del disio, e non s’attenta
di domandar, sì del troppo si teme;
Io stavo come colui che reprime in sé la punta del desiderio, e non osa domandare, tanto teme di apparire indiscreto;
e la maggiore e la più luculenta
di quelle margherite innanzi fessi,
per far di sé la mia voglia contenta.
e la più grande e la più lucente di quelle perle (anime) si fece avanti, per soddisfare il mio desiderio.
Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi
com’io la carità che tra noi arde,
li tuoi concetti sarebbero espressi.
Poi dentro di lei udii: «Se tu vedessi come io (vedo) l’amore che arde tra noi, i tuoi pensieri sarebbero espressi.
Ma perché tu, aspettando, non tarde
a l’alto fine, io ti farò risposta
pur al pensier, da che sì ti riguarde.
Ma affinché tu, aspettando, non ritardi il raggiungimento dell’alto fine (la tua ascesa al cielo), io risponderò proprio al tuo pensiero, dal momento che ti riguarda tanto.
Quel monte a cui Cassino è ne la costa
fu frequentato già in su la cima
da la gente ingannata e mal disposta;
Quel monte sul cui fianco si trova Cassino (Monte Cassino) fu un tempo frequentato sulla cima da gente ingannata e malvagia (pagani);
e quel son io che sù vi portai prima
lo nome di colui che ‘n terra addusse
la verità che tanto ci soblima;
e io sono colui che per primo vi portai il nome di colui (Cristo) che portò sulla terra la verità che tanto ci innalza;
e tanta grazia sopra me relusse,
ch’io ritrassi le ville circunstanti
da l’empio cólto che ‘l mondo sedusse.
e tanta grazia divina risplendette su di me, che distolsi i villaggi circostanti dal culto empio (pagano) che sedusse il mondo;
Questi altri fuochi tutti contemplanti
uomini fuoro, accesi di quel caldo
che fa nascere i fiori e ‘ frutti santi.
Questi altri spiriti luminosi furono tutti uomini contemplativi, accesi di quel calore (amore divino) che fa nascere i fiori e i frutti santi;
Qui è Maccario, qui è Romoaldo,
qui son li frati miei che dentro ai chiostri
fermar li piedi e tennero il cor saldo».
Qui è Macario, qui è Romualdo, qui sono i miei confratelli che nei monasteri fermarono i piedi e mantennero saldo il cuore (nella fede)».
E io a lui: «L’affetto che dimostri
meco parlando, e la buona sembianza
ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri,
E io a lui: «L’affetto che dimostri parlando con me, e la buona disposizione che vedo e noto in tutti i vostri spiriti ardenti,
così m’ha dilatata mia fidanza,
come ‘l sol fa la rosa quando aperta
tanto divien quant’ell’ha di possanza.
così ha dilatato la mia fiducia, come il sole fa con la rosa quando si apre tanto quanto è nelle sue possibilità.
Però ti priego, e tu, padre, m’accerta
s’io posso prender tanta grazia, ch’io
ti veggia con imagine scoverta».
Perciò ti prego, e tu, padre, assicurami se posso ricevere una grazia così grande, che io possa vederti con volto scoperto (senza la luce che ti avvolge)».
Ond’elli: «Frate, il tuo alto disio
s’adempierà in su l’ultima spera,
ove s’adempion tutti li altri e ‘l mio.
Onde egli: «Fratello, il tuo alto desiderio si compirà nell’Empireo, dove si adempiono tutti gli altri desideri e anche il mio.
Ivi è perfetta, matura e intera
ciascuna disïianza; in quella sola
è ogne parte là ove sempr’era,
Lì è perfetta, matura e completa ogni aspirazione; solo in quella (sfera) ogni parte è dove sempre è stata,
perché non è in loco e non s’impola;
e nostra scala infino ad essa varca,
onde così dal viso ti s’invola.
perché non è soggetta a luogo e non ha poli; e la nostra scala (della contemplazione) giunge fino ad essa, perciò così sparisce alla tua vista.
Infin là sù la vide il patriarca
Iacobbe porger la superna parte,
quando li apparve d’angeli sì carca.
Fino lassù la vide il patriarca Giacobbe innalzare la sua parte superiore, quando gli apparve così carica di angeli.
Ma, per salirla, mo nessun diparte
da terra i piedi, e la regola mia
rimasa è per danno de le carte.
Ma, per salirla, ora nessuno stacca i piedi da terra, e la mia regola è rimasta solo per sprecare carta.
Le mura che solieno esser badia
fatte sono spelonche, e le cocolle
sacca son piene di farina ria.
Le mura che un tempo erano abbazie sono diventate spelonche, e le tonache (dei monaci) sono sacchi pieni di farina cattiva.
Ma grave usura tanto non si tolle
contra ‘l piacer di Dio, quanto quel frutto
che fa il cor de’ monaci sì folle;
Ma la grave usura non va tanto contro il volere di Dio, quanto quel profitto (denaro) che rende il cuore dei monaci così folle;
ché quantunque la Chiesa guarda, tutto
è de la gente che per Dio dimanda;
non di parenti né d’altro più brutto.
poiché tutto ciò che la Chiesa custodisce appartiene alla gente che chiede per amor di Dio; non dei parenti (dei monaci) né di altri scopi più disonesti.
La carne d’i mortali è tanto blanda,
che giù non basta buon cominciamento
dal nascer de la quercia al far la ghianda.
La carne dei mortali è così debole, che sulla terra non è sufficiente un buon inizio dal nascere della quercia fino a quando fa la ghianda.
Pier cominciò sanz’oro e sanz’argento,
e io con orazione e con digiuno,
e Francesco umilmente il suo convento;
Pietro cominciò senza oro e senza argento, e io con preghiera e con digiuno, e Francesco umilmente il suo convento;
e se guardi ‘l principio di ciascuno,
poscia riguardi là dov’è trascorso,
tu vederai del bianco fatto bruno.
e se guardi all’inizio di ciascuno (ordine religioso), e poi guardi là dove è degenerato, tu vedrai il bianco diventato bruno.
Veramente Iordan vòlto retrorso
più fu, e ‘l mar fuggir, quando Dio volse,
mirabile a veder che qui ‘l soccorso».
Veramente il Giordano volto all’indietro e il mare che fuggì, quando Dio volle, furono più mirabili a vedersi che qui il soccorso (divino contro la corruzione)».
Così mi disse, e indi si raccolse
al suo collegio, e ‘l collegio si strinse;
poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse.
Così mi disse, e quindi si raccolse al suo gruppo (di beati), e il gruppo si strinse; poi, come un turbine, tutto si avvolse verso l’alto.
La dolce donna dietro a lor mi pinse
con un sol cenno su per quella scala,
sì sua virtù la mia natura vinse;
La dolce donna (Beatrice) mi spinse dietro a loro con un solo cenno su per quella scala, così la sua virtù vinse la mia natura;
né mai qua giù dove si monta e cala
naturalmente, fu sì ratto moto
ch’agguagliar si potesse a la mia ala.
né mai quaggiù dove si sale e si scende naturalmente, ci fu un movimento così rapido che potesse uguagliare il mio volo.
S’io torni mai, lettore, a quel divoto
trïunfo per lo quale io piango spesso
le mie peccata e ‘l petto mi percuoto,
Se io mai ritorni, o lettore, a quel devoto trionfo (in Paradiso) per il quale io piango spesso i miei peccati e mi percuoto il petto,
tu non avresti in tanto tratto e messo
nel foco il dito, in quant’io vidi ‘l segno
che segue il Tauro e fui dentro da esso.
tu non avresti nel frattempo messo e tolto il dito nel fuoco, in quanto io vidi il segno (costellazione dei Gemelli) che segue il Toro e fui dentro di esso.
O glorïose stelle, o lume pregno
di gran virtù, dal quale io riconosco
tutto, qual che si sia, il mio ingegno,
O gloriose stelle, o lume pregno di grande virtù, dal quale io riconosco tutto il mio ingegno, quale che sia,
con voi nasceva e s’ascondeva vosco
quelli ch’è padre d’ogne mortal vita,
quand’io senti’ di prima l’aere tosco;
con voi nasceva e con voi tramontava colui che è padre di ogni vita mortale (il Sole), quando io respirai per la prima volta l’aria toscana;
e poi, quando mi fu grazia largita
d’entrar ne l’alta rota che vi gira,
la vostra regïon mi fu sortita.
e poi, quando mi fu concessa la grazia di entrare nell’alto cielo che vi fa girare, la vostra regione mi fu assegnata.
A voi divotamente ora sospira
l’anima mia, per acquistar virtute
al passo forte che a sé la tira.
A voi devotamente ora sospira l’anima mia, per acquisire forza per il difficile passaggio che la attira a sé.
«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
cominciò Bëatrice, «che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
«Tu sei così vicino all’ultima salvezza», cominciò Beatrice, «che tu devi avere gli occhi chiari e acuti;
e però, prima che tu più t’inlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
sotto li piedi già esser ti fei;
e perciò, prima che tu t’immedesimi maggiormente in Dio, guarda in giù, e vedi quanto mondo sotto i piedi già ti ho fatto essere;
sì che ‘l tuo cor, quantunque può, giocondo
s’appresenti a la turba trïunfante
che lieta vien per questo etera tondo».
affinché il tuo cuore, quanto più può, si presenti gioioso alla schiera trionfante che viene lieta per questo cielo sferico».
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
Con lo sguardo ritornai per tutti e sette i cieli, e vidi questo globo (la Terra) tale, che io sorrisi del suo vile aspetto;
e quel consiglio per migliore approbo
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
e approvo come migliore quel giudizio che lo stima poco; e chi pensa ad altro può veramente chiamarsi giusto.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell’ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
Vidi la figlia di Latona (la Luna) accesa senza quell’ombra che mi fu motivo per cui una volta credetti che fosse in parte rada e in parte densa.
L’aspetto del tuo nato, Iperïone,
quivi sostenni, e vidi com’si move
circa e vicino a lui Maia e Dïone.
L’aspetto del tuo figlio, Iperione (il Sole), lì sostenni, e vidi come si muovono intorno e vicino a lui Maia (Mercurio) e Dione (Venere).
Quindi m’apparve il temperar di Giove
tra ‘l padre e ‘l figlio; e quindi mi fu chiaro
il varïar che fanno di lor dove;
Quindi mi apparve la temperanza di Giove tra il padre (Saturno) e il figlio (Marte); e quindi mi fu chiaro il variare che fanno delle loro posizioni;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
e tutti e sette i pianeti mi dimostrarono quanto sono grandi e quanto sono veloci e come sono in distanti orbite.
L’aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom’io con li etterni Gemelli,
tutta m’apparve da’ colli a le foci;
L’aiuola (la Terra) che ci rende tanto feroci, mentre io mi volgevo con gli eterni Gemelli, mi apparve tutta dalle colline alle foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.poi rivolsi gli occhi agli occhi belli (di Beatrice).

Canto 22 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 22 del Paradiso si sviluppa in 154 versi, articolati in tre sequenze principali che segnano tappe fondamentali nell’ascensione di Dante. Siamo nel settimo cielo, quello di Saturno, dove risiedono gli spiriti contemplativi prima di continuare l’ascesa verso le Stelle Fisse.

Il canto si apre con Dante che, sopraffatto dalla visione delle anime beate manifestate come luci splendenti, si rivolge a Beatrice in cerca di rassicurazione. La sua guida lo conforta, paragonabile a una madre che soccorre il figlio impaurito, invitandolo a prestare attenzione alle “amorose fiamme” che stanno per manifestarsi. Tra queste anime si fa avanti una luce particolarmente intensa: è l’anima di San Benedetto da Norcia, fondatore del monachesimo occidentale.

Nel dialogo che segue, San Benedetto si presenta a Dante identificandosi come colui che fondò l’abbazia di Montecassino, portando la verità di Cristo in terra. Questo incontro rappresenta un momento significativo nella progressione spirituale di Dante, poiché il santo incarna l’ideale ascetico e contemplativo che costituisce uno degli ultimi gradini verso la visione divina.

La parte centrale del canto è dominata dalla severa critica che San Benedetto muove contro la degenerazione degli ordini monastici del suo tempo. Con parole accorate, il santo denuncia come le istituzioni da lui fondate siano ormai corrotte dall’avidità e dall’accumulo di ricchezze, tradendo lo spirito originario della regola benedettina basata su preghiera, lavoro e povertà. “Le mura che solieno esser badia / fatte sono spelonche, e le cocolle / sacca son piene di farina ria”, afferma con amarezza, descrivendo i monasteri come spelonche e gli abiti monastici come sacchi pieni di farina corrotta.

San Benedetto indica poi a Dante altre anime luminose presenti nel cielo di Saturno, tra cui San Macario, asceta egiziano, e San Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, tutti rappresentanti dell’ideale contemplativo.

Nella parte finale, Beatrice invita Dante a proseguire il suo viaggio ascensionale, salendo al cielo delle Stelle Fisse, specificamente nella costellazione dei Gemelli, segno zodiacale sotto cui Dante era nato. Durante questa ascesa, il poeta si volta a guardare verso il basso e contempla il cammino percorso, osservando i pianeti attraversati. In questo momento cruciale, Dante vede la Terra come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, sottolineando la piccolezza e l’insignificanza delle vicende umane rispetto alla grandezza del disegno divino.

Questa visione cosmica rappresenta un momento di profonda consapevolezza: Dante comprende la vanità delle ambizioni terrene e la necessità di elevarsi spiritualmente. La Terra appare come un “vil sembiante”, mentre il suo sguardo si volge verso la costellazione dei Gemelli, preannunciando l’ingresso in una dimensione ancora più elevata del Paradiso, più vicina alla visione ultima di Dio.

Canto 22 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi

Nel Canto XXII del Paradiso, Dante presenta una galleria di personaggi significativi che incarnano ideali spirituali e contribuiscono al percorso ascensionale del poeta. I protagonisti principali sono tre: Dante pellegrino, Beatrice e San Benedetto da Norcia, ciascuno con un ruolo ben definito all’interno della narrazione.

Dante appare in questo canto nella duplice veste di protagonista e narratore. Come personaggio, rappresenta l’umanità in cammino verso la perfezione spirituale, mostrando reazioni autenticamente umane: lo stupore di fronte alla visione delle anime beate e il timore reverenziale che lo spinge a cercare conforto in Beatrice. Nei primi versi, infatti, si descrive come “oppresso di stupore”, paragonandosi a un bambino che cerca rifugio nella figura materna. Questa vulnerabilità evidenzia il suo essere ancora in transizione, seppur avanzata, verso la piena comprensione divina. Particolarmente significativo è il momento in cui, contemplando la Terra dall’alto, Dante raggiunge una nuova consapevolezza della vanità delle preoccupazioni terrene, segnando un’importante evoluzione spirituale.

Beatrice continua a svolgere la funzione fondamentale di guida teologica e spirituale. Nel canto, è paragonata a una madre premurosa che rassicura il figlio spaventato (“come madre che soccorre / sùbito al figlio palido e anelo”), sottolineando il suo ruolo protettivo e illuminante. È lei che orienta Dante verso le anime contemplative e lo incoraggia all’ascesa verso il cielo delle Stelle Fisse, gestendo con sapienza il progressivo avvicinamento del poeta alla visione divina. In questo canto, Beatrice appare ancora più luminosa e trasfigurata, segno della prossimità al regno celeste. Il suo ruolo muta sottilmente: non è più solo interprete della realtà paradisiaca, ma diventa sempre più tramite diretto verso la luce divina.

San Benedetto da Norcia (480-547) emerge come figura centrale del canto, rappresentando l’ideale monastico nella sua purezza originaria. Fondatore dell’ordine benedettino e autore della celebre Regola basata sul motto “ora et labora”, appare a Dante come una luce splendente nel cielo di Saturno. La sua autopresentazione è semplice e umile: “Quel monte a cui Cassino è ne la costa / fu frequentato già in su la cima / da la gente ingannata e mal disposta”, ricordando la sua opera di evangelizzazione a Montecassino. San Benedetto incarna l’ideale contemplativo e ascetico che costituisce uno degli ultimi gradini prima della visione di Dio. Significativamente, è attraverso la sua voce che Dante esprime la critica più severa alla corruzione degli ordini monastici, conferendo autorevolezza alla denuncia.

Oltre a questi tre protagonisti principali, il canto presenta altri spiriti contemplativi che San Benedetto indica a Dante. Tra questi spiccano San Macario, asceta egiziano e figura emblematica del monachesimo orientale, e San Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, che rappresenta il rinnovamento dell’ideale eremitico in Occidente. Questi personaggi secondari, descritti come “altri spiriti che fuor contemplanti”, non interagiscono direttamente con Dante ma completano il quadro della spiritualità contemplativa, simboleggiando diverse tradizioni ascetiche unite dall’ideale della ricerca della perfezione attraverso la meditazione e la preghiera.

I personaggi di questo canto sono portatori di un messaggio morale e spirituale che trascende il loro significato storico. San Benedetto, incarnando l’ideale monastico originario, diventa simbolo della necessità di una riforma spirituale della Chiesa. Beatrice rappresenta la teologia illuminata dalla grazia che guida l’anima verso Dio. Dante stesso simboleggia il percorso di elevazione dell’umanità che, attraverso la contemplazione e il distacco dalle preoccupazioni terrene, può avvicinarsi alla visione divina.

Analisi del Canto 22 Paradiso: elementi tematici e narrativi

Il Canto 22 del Paradiso si distingue per la ricchezza di elementi tematici e narrativi che contribuiscono all’evoluzione spirituale del viaggio dantesco. L’architettura del canto rivela una struttura tripartita che riflette il progressivo allontanamento dalla dimensione terrena verso quella divina.

Il contrasto tra idealità e realtà costituisce uno dei temi fondamentali del canto. Da un lato troviamo la purezza degli spiriti contemplativi, rappresentati da San Benedetto e dagli altri beati che risiedono nel cielo di Saturno; dall’altro emerge la corruzione degli ordini monastici contemporanei a Dante. Questa opposizione si esprime nelle parole severe di San Benedetto: “Le mura che solieno esser badia / fatte sono spelonche, e le cocolle / sacca son piene di farina ria”. La denuncia della decadenza spirituale degli ordini religiosi assume particolare autorevolezza proprio perché pronunciata dal fondatore del monachesimo occidentale, amplificando la portata della critica dantesca alla Chiesa del suo tempo.

La progressione narrativa si sviluppa attraverso tre momenti distinti: il dialogo iniziale tra Dante e Beatrice, caratterizzato dal timore reverenziale del poeta dinanzi alle “amorose fiamme”; l’incontro con San Benedetto, dove predomina il tono didascalico e la denuncia morale; infine l’ascesa verso il cielo delle Stelle Fisse, contraddistinta da un registro più contemplativo e cosmico.

Particolarmente significativo è il passaggio dall’ambito morale a quello cosmologico. Dante, salendo verso la costellazione dei Gemelli (suo segno zodiacale natale), acquisisce una prospettiva universale che gli permette di vedere la Terra come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Questa visione cosmica trasforma la critica sociale in una riflessione ontologica sulla piccolezza umana e sull’insignificanza delle contese terrene rispetto alla grandezza del disegno divino.

Il simbolismo astronomico arricchisce la struttura narrativa con significati teologici profondi. Il settimo cielo di Saturno, tradizionalmente associato alla contemplazione e alla vita ascetica, rappresenta l’ultimo gradino della scala planetaria prima dell’ingresso nella dimensione propriamente celeste. La scala che Dante scorge elevarsi verso l’alto richiama esplicitamente la scala di Giacobbe biblica, simbolo del percorso ascensionale verso Dio e della comunicazione tra cielo e terra. Questo elemento visivo concretizza l’idea del progressivo avvicinamento alla divinità che caratterizza tutto il Paradiso.

L’ingresso nel cielo delle Stelle Fisse segna un momento di transizione fondamentale nell’itinerario spirituale dantesco: il poeta sta abbandonando la mutevolezza dei cieli planetari per entrare nella dimensione immutabile e eterna. Non è casuale che questo passaggio avvenga proprio dopo l’incontro con San Benedetto, incarnazione dell’ideale contemplativo che costituisce la preparazione necessaria alla visione di Dio.

Al livello narrativo, il canto si caratterizza per un sapiente alternarsi di dialogo e descrizione. Se la prima parte è dominata dallo scambio tra Dante e San Benedetto, la seconda si concentra maggiormente sulla rappresentazione visiva dell’ascesa e sulla contemplazione cosmica. Questo cambio di registro stilistico accompagna il passaggio dalla dimensione etica e storica (la critica agli ordini monastici) a quella cosmologica e metafisica (la visione della Terra dall’alto).

La prospettiva verticale che Dante acquisisce guardando verso il basso ha anche una funzione metanarrativa: rappresenta simbolicamente il percorso compiuto dal poeta-personaggio attraverso i regni ultraterreni e preannuncia la prossimità alla meta finale del viaggio. L’esperienza di vedere tutti i pianeti visitati in precedenza diventa occasione per misurare la distanza spirituale ormai raggiunta rispetto alla condizione umana ordinaria.

Il motivo del distacco dalla dimensione terrena si intreccia con quello dell’elevazione spirituale, creando una tensione dinamica che attraversa tutto il canto. Questo movimento ascensionale non è solo fisico ma anche interiore: Dante sperimenta una progressiva purificazione che lo prepara alla visione divina dei canti finali.

Figure retoriche nel Canto 22 del Paradiso della Divina Commedia

Il Canto 22 del Paradiso si distingue per la ricchezza delle figure retoriche impiegate da Dante per esprimere concetti teologici complessi e per rendere visivamente la sublime esperienza paradisiaca. Queste figure contribuiscono alla straordinaria efficacia comunicativa del testo, elevando il messaggio spirituale attraverso la bellezza formale.

La metafora della luce è predominante in questo canto, come in tutto il Paradiso. Le anime beate sono rappresentate come splendori luminosi la cui intensità riflette il loro grado di beatitudine. San Benedetto stesso appare come una luce particolarmente intensa che simboleggia la sua elevata condizione spirituale. Nei versi iniziali, il poeta descrive gli spiriti contemplativi come “amorose fiamme”, unendo la dimensione affettiva e quella luminosa in un’unica potente immagine.

Particolarmente significativa è la similitudine che paragona l’anima di Dante che si apre alla fiducia a una rosa che si schiude al sole: “come ‘l sol fa la rosa quando aperta / tanto divien quant’ell’ha di possanza”. Questa figura non solo crea un’immagine di delicata bellezza, ma illustra perfettamente il processo di crescita spirituale che caratterizza l’intero viaggio paradisiaco.

L’antitesi viene utilizzata efficacemente per evidenziare il contrasto tra l’ideale spirituale e la realtà degradata. Questo appare chiaramente nell’invettiva di San Benedetto contro la corruzione degli ordini monastici, dove l’opposizione tra la purezza originaria e la decadenza contemporanea viene accentuata attraverso contrapposizioni verbali che intensificano il messaggio morale.

L’anastrofe, o inversione nell’ordine naturale delle parole, caratterizza l’incipit del canto: “Oppresso di stupore, a la mia guida / mi volsi”. Questa figura retorica sottolinea lo smarrimento di Dante di fronte alla grandiosa visione paradisiaca e alla rivelazione divina.

Particolarmente incisiva è la metafora delle “spelonche” usata da San Benedetto per descrivere i monasteri corrotti: “Le mura che solieno esser badia / fatte sono spelonche”. Il termine richiama direttamente le parole evangeliche di Cristo sui mercanti nel tempio, conferendo all’invettiva un’autorità scritturale che ne amplifica la forza condannatoria.

Ad essa si accompagna l’immagine della “farina ria” che riempie le cocolle (i mantelli monastici) trasformate in “sacca”. Questa metafora rappresenta in modo tangibile la corruzione spirituale che ha contaminato gli ordini religiosi, traducendo un concetto astratto in un’immagine concreta e immediata.

La personificazione si manifesta quando Dante attribuisce qualità morali al cielo (“‘l cielo è tutto santo”), creando un legame tra la perfezione della struttura cosmica e l’ordine morale divino.

Infine, la metafora dell'”aiuola” utilizzata per descrivere la Terra vista dall’alto: “l’aiuola che ci fa tanto feroci”. Questa potente immagine minimizzante racchiude una profonda riflessione filosofica sulla vanità delle ambizioni umane e sull’insignificanza delle vicende terrene rispetto alla grandezza del disegno divino.

L’intreccio di queste figure retoriche non è un mero ornamento stilistico, ma un elemento strutturale che permette a Dante di tradurre l’ineffabile esperienza mistica in linguaggio umano, rendendo accessibili concetti teologici complessi attraverso immagini visive, emotive e concrete che risuonano nell’immaginazione del lettore, accompagnandolo nel percorso di elevazione spirituale che caratterizza l’intero Paradiso.

Temi principali del 22 canto del Paradiso della Divina Commedia

Il Canto XXII del Paradiso presenta diversi temi fondamentali che si intrecciano nella struttura teologica e narrativa della Divina Commedia. Questi temi riflettono la visione dantesca del rapporto tra spiritualità e corruzione terrena, tra l’ascesa mistica e il distacco dal mondo materiale.

La critica alla corruzione ecclesiastica emerge con forza attraverso le parole di San Benedetto, che denuncia come gli ordini monastici, fondati su ideali di povertà e contemplazione, siano stati corrotti dall’avidità e dall’accumulo di ricchezze. Quando il santo afferma che “le mura che solieno esser badia / fatte sono spelonche” e che le cocolle monastiche sono diventate “sacca son piene di farina ria”, esprime una condanna che rispecchia la più ampia critica dantesca alla degenerazione della Chiesa. Questa critica non è rivolta all’istituzione in sé, ma alla deviazione dai principi originari, evidenziando la necessità di una riforma spirituale.

Il tema della ricerca della perfezione spirituale attraverso la vita contemplativa rappresenta un altro cardine del canto. San Benedetto incarna l’ideale della vita monastica basata sulla preghiera e sull’ascesi. Il cielo di Saturno, dove risiedono gli spiriti contemplativi, simboleggia proprio questa ricerca di perfezione attraverso la meditazione e il distacco dai beni terreni. La presenza di anime come quelle di San Macario e San Romualdo rafforza l’importanza che Dante attribuisce alla dimensione contemplativa come via privilegiata di avvicinamento a Dio.

L’ascensione e la visione cosmica costituiscono un tema centrale nella progressione spirituale di Dante. L’ascesa al cielo delle Stelle Fisse rappresenta un momento decisivo nel percorso paradisiaco, segnando il superamento della dimensione planetaria e l’ingresso in una sfera cosmica superiore. Quando il poeta, a seguito dell’invito di Beatrice, si volta a guardare il cammino percorso e vede la Terra come un'”aiuola”, questa prospettiva cosmica gli permette di comprendere l’insignificanza delle vicende terrene rispetto alla grandezza del disegno divino. Questa visione dall’alto rappresenta una tappa fondamentale nel distacco progressivo dalla dimensione materiale.

Il dualismo tra realtà terrena e ideale divino permea l’intero canto, manifestandosi nel contrasto tra la corruzione degli ordini religiosi e la purezza degli spiriti contemplativi. Questo dualismo si riflette anche nel passaggio di Dante al segno dei Gemelli, sua costellazione natale, che simboleggia la dualità dell’essere umano diviso tra natura terrena e aspirazione divina. L’ascesa al cielo delle Stelle Fisse rappresenta il progressivo superamento di questa dualità in favore di una sempre maggiore vicinanza alla visione unitaria di Dio.

Il simbolismo numerico e astronomico riveste un’importanza particolare in questo canto. Il settimo cielo corrisponde a Saturno, pianeta tradizionalmente associato alla contemplazione e alla vita ascetica, in perfetta coerenza con la presenza degli spiriti contemplativi. La scala che Dante vede elevarsi verso l’alto richiama la scala di Giacobbe biblica, simbolo del percorso ascensionale verso Dio. Il passaggio alla costellazione dei Gemelli, oltre al significato personale per Dante (nato sotto questo segno), rappresenta anche l’ingresso in una dimensione cosmica immutabile, opposta alla mutevolezza dei cieli planetari.

Il tema del progressivo distacco dalla dimensione terrena si manifesta chiaramente nel momento in cui Dante, guardando verso il basso, contempla il percorso compiuto e vede la Terra come un’insignificante “aiuola”. Questo cambio di prospettiva simboleggia l’abbandono delle preoccupazioni mondane e l’acquisizione di una visione più elevata e spirituale della realtà. La Terra, descritta come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”, appare minuscola e insignificante di fronte all’immensità del cosmo, relativizzando così le ambizioni e i conflitti umani.

Il Canto 22 del Paradiso in pillole

AspettoDettagli
CollocazioneSettimo cielo (Saturno), ascesa verso il cielo delle Stelle Fisse
Riassunto NarrativoIncontro con San Benedetto, dialogo sulla corruzione degli ordini monastici, ascesa alle Stelle Fisse, contemplazione della Terra come “aiuola”
Personaggi PrincipaliDante (protagonista e narratore), Beatrice (guida spirituale e teologica), San Benedetto da Norcia (fondatore del monachesimo occidentale), altri spiriti contemplativi (San Macario, San Romualdo)
Elementi Strutturali154 versi divisi in tre sequenze: dialogo con San Benedetto (vv. 1-99), ascesa ai Gemelli (vv. 100-129), visione della Terra (vv. 130-154)
Figure RetoricheMetafore della luce (anime come luci splendenti), similitudine madre-figlio (Beatrice che rassicura Dante), metafora della rosa che si apre al sole (l’anima che si apre alla grazia), metafora dell'”aiuola” (la Terra vista dall’alto)
Temi PrincipaliCritica alla corruzione degli ordini monastici, contrapposizione tra ideale spirituale e realtà degradata, progressivo distacco dalla dimensione terrena, insignificanza delle vicende umane rispetto al disegno divino
Elementi SimboliciLa scala verso l’alto (percorso ascensionale verso Dio), la costellazione dei Gemelli (legata alla nascita di Dante), la Terra come “aiuola” (piccolezza delle ambizioni umane)
Significato nel percorsoTappa cruciale nell’itinerario spirituale di Dante, preparazione alla visione del trionfo di Cristo e della Vergine nel cielo delle Stelle Fisse

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