Il Canto XXIV del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel percorso ascensionale di Dante Alighieri attraverso i cieli del regno celeste. Ambientato nel Cielo delle Stelle Fisse, il poeta affronta un rigoroso esame sulla virtù teologale della fede, interrogato da San Pietro stesso, primo depositario delle chiavi del regno dei cieli.
Questa tappa fondamentale si inserisce nella struttura didattico-allegorica della Divina Commedia come momento di verifica della preparazione spirituale del poeta prima di proseguire verso la visione di Dio. Il dialogo teologico che occupa gran parte del canto presenta Dante in una duplice veste: da un lato come esaminando, chiamato a dimostrare la propria conoscenza dottrinale; dall’altro come futuro testimone che dovrà riportare nel mondo quanto appreso durante il viaggio ultraterreno.
Indice:
- Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 24 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 24 del Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del 24 canto del Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 24 del Paradiso in pillole
Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| «O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena, | «O compagnia di beati eletti a partecipare all’ultima cena dell’Agnello benedetto (Cristo), che vi nutre in modo tale che il vostro desiderio è sempre soddisfatto, |
| se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba, | se per grazia di Dio costui (Dante) assaggia in anticipo ciò che cade dalla vostra mensa, prima che la morte gli ponga un limite di tempo, |
| ponete mente a l’affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». | prestate attenzione alla sua immensa passione e irroratelo un poco: voi bevete sempre dalla fonte (Dio) da cui proviene ciò che egli pensa». |
| Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, volte, a guisa di comete. | Così disse Beatrice; e quelle anime felici si trasformarono in sfere luminose su poli fissi, fiammeggiando mentre giravano, simili a comete. |
| E come cerchi in tempra d’oriuoli si giran sì, che ‘l primo a chi pon mente quïeto pare, e l’ultimo che voli; | E come le ruote negli ingranaggi degli orologi si muovono in modo che la prima, a chi la osserva, sembra ferma, mentre l’ultima sembra volare; |
| così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facíeno stimar, veloci e lente. | così quelle danze circolari, muovendosi a velocità diverse, mi facevano valutare la loro gioia, alcune veloci e altre lente. |
| Di quella ch’io notai di più carezza vid’ ïo uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; | Da quella che notai essere più splendente, vidi uscire una luce così radiosa che nessun’altra rimase con maggiore luminosità; |
| e tre fïate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. | e per tre volte girò intorno a Beatrice con un canto così divino, che la mia immaginazione non riesce a ricordarmelo. |
| Però salta la penna e non lo scrivo: ché l’imagine nostra a cotai pieghe, non che ‘l parlare, è troppo color vivo. | Perciò la mia penna salta e non lo scrivo: perché la nostra immaginazione è inadeguata a rappresentare tali sottigliezze, e tanto più lo è il linguaggio. |
| «O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe». | «O mia santa sorella che mi preghi con tanta devozione, per il tuo ardente affetto mi liberi da quella bella sfera». |
| Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com’ i’ ho detto. | Poi, fermatasi, quella luce benedetta rivolse il suo spirito verso la mia donna, e parlò così come ho appena riferito. |
| Ed ella: «O luce eterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, | E Beatrice rispose: «O luce eterna del grande uomo (San Pietro) a cui Nostro Signore lasciò le chiavi che portò sulla terra, di questa meravigliosa gioia celeste, |
| tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi. | metti alla prova costui su questioni semplici e difficili, come preferisci, riguardo alla fede, per la quale tu camminasti sul mare. |
| S’elli ama bene e bene spera e crede, non t’è occulto, perché ‘l viso hai quivi dov’ ogne cosa dipinta si vede; | Se egli ama bene e bene spera e crede, non ti è nascosto, perché hai lo sguardo rivolto là dove si vede riflessa ogni cosa; |
| ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a glorïarla, di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». | ma poiché questo regno ha accolto cittadini grazie alla vera fede, è bene che a lui tocchi parlarne per glorificarla». |
| Sì come il baccialier s’arma e non parla fin che ‘l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, | Come il baccelliere si prepara e non parla finché il maestro propone la questione, per argomentarla, non per risolverla definitivamente, |
| così m’armava io d’ogne ragione mentre ch’ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. | così io mi armavo di ogni argomentazione mentre ella parlava, per essere pronto a rispondere a un tale esaminatore e a una tale dichiarazione di fede. |
| «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond’ io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; | «Dimmi, buon cristiano, fatti conoscere: la fede che cos’è?». A queste parole io alzai lo sguardo verso quella luce da cui proveniva questa domanda; |
| poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch’ ïo spandessi l’acqua di fuor del mio interno fonte. | poi mi volsi a Beatrice, ed ella mi fece prontamente cenno che io diffondessi l’acqua dalla mia interna fonte di conoscenza. |
| «La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», comincia’ io, «da l’alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi». | «La Grazia che mi concede di confessarmi», cominciai, «davanti al sommo condottiero (San Pietro), faccia sì che i miei pensieri siano ben espressi». |
| E seguitai: «Come ‘l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, | E continuai: «Come il veritiero scritto di tuo fratello (San Paolo), che con te indirizzò Roma sulla retta via, ci ha tramandato, o padre, |
| fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate». | la fede è sostanza delle cose sperate e argomento delle cose non visibili; e questa mi sembra la sua essenza». |
| Allora udi’: «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripose tra le sustanze, e poi tra li argomenti». | Allora udii: «Il tuo sentimento è giusto, se comprendi bene perché San Paolo la collocò tra le sostanze, e poi tra gli argomenti». |
| E io appresso: «Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, | E io risposi: «Le profonde verità che qui mi si manifestano visibilmente, sono talmente nascoste agli occhi dei viventi sulla terra, |
| che l’esser loro v’è in sola credenza, sopra la qual si fonda l’alta spene; e però di sustanza prende intenza. | che la loro esistenza si basa solo sulla fede, sulla quale si fonda l’alta speranza; e perciò assume il concetto di sostanza. |
| E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz’ avere altra vista; però intenza d’argomento tene». | E da questa credenza ci è necessario trarre conclusioni logiche, senza avere altra evidenza; perciò ha valore di argomento». |
| Allora udi’: «Se quantunque s’acquista giù per dottrina, fosse così ‘nteso, non lì avria loco ingegno di sofista». | Allora udii: «Se tutto ciò che si apprende sulla terra attraverso lo studio fosse compreso così chiaramente, non ci sarebbe spazio per l’ingegno dei sofisti». |
| Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d’esta moneta già la lega e ‘l peso; | Così parlò quella luce accesa d’amore; poi aggiunse: «Hai ben esaminato la lega e il peso di questa moneta; |
| ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s’inforsa». | ma dimmi se tu l’hai nella tua borsa». Al che io risposi: «Sì, ce l’ho, così lucida e perfetta che non ho alcun dubbio sulla sua autenticità». |
| Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, | Poi uscì dalla luce profonda che lì splendeva questa domanda: «Questa cara gioia su cui si fonda ogni virtù, |
| onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch’è diffusa in su le vecchie e ‘n su le nuove cuoia, | da dove ti è venuta?». E io: «La generosa pioggia dello Spirito Santo, che è diffusa sulle antiche e sulle nuove pergamene (Antico e Nuovo Testamento), |
| è silogismo che la m’ha conchiusa acutamente sì, che ‘nverso d’ella ogne dimostrazion mi pare ottusa». | è il sillogismo che me l’ha dimostrata così chiaramente, che ogni altra dimostrazione mi sembra inefficace al confronto». |
| Io udi’ poi: «L’antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l’hai tu per divina favella?». | Udii poi: «L’antica e la nuova proposizione (Antico e Nuovo Testamento) che così ti convincono, perché le consideri parola divina?». |
| E io: «La prova che ‘l ver mi dischiude, son l’opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude». | E io risposi: «La prova che mi rivela la verità sono i miracoli seguiti, per i quali la natura non riscaldò mai ferro né batté mai incudine (cioè che superano le forze naturali)». |
| Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura che quell’opere fosser? Quel medesimo che vuol provarsi, non altri, il ti giura». | Mi fu risposto: «Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli siano avvenuti realmente? Proprio ciò che vuole essere provato, e nient’altro, te lo garantisce». |
| «Se ‘l mondo si rivolse al cristianesmo», diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno è tal, che li altri non sono il centesmo: | «Se il mondo si convertì al cristianesimo», dissi, «senza miracoli, questo fatto da solo è tale che gli altri miracoli non sono nemmeno la centesima parte: |
| ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno». | perché tu entrasti povero e digiuno nel campo, a seminare la buona pianta che un tempo era vite e ora è diventata spino». |
| Finito questo, l’alta corte santa risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ ne la melode che là sù si canta. | Finito questo, l’alta corte santa risuonò attraverso le sfere con un “Te Deum laudamus” nella melodia che lassù si canta. |
| E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m’avea, che a l’ultime fronde appressavamo, | E quel barone (San Pietro) che, esaminandomi di punto in punto, mi aveva già condotto a tal punto che ci avvicinavamo alle ultime questioni, |
| ricominciò: «La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t’aperse infino a qui come aprir si dovea, | ricominciò: «La Grazia, che conversa amorevolmente con la tua mente, ti ha aperto la bocca fino a questo punto come si doveva, |
| sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; ma or convien esprimer quel che credi, e onde a la credenza tua s’offerse». | così che io approvo ciò che hai espresso; ma ora conviene che tu esprima quello che credi, e da dove ti è giunta la tua credenza». |
| «O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver’ lo sepulcro più giovani piedi», | «O santo padre, o spirito che vedi ciò in cui credesti con tanta convinzione da vincere nella corsa verso il sepolcro piedi più giovani (quelli di Giovanni)», |
| comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti. | cominciai, «tu vuoi che io manifesti qui la forma della mia fede pronta, e mi hai chiesto anche la ragione di essa. |
| E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto ‘l ciel move, non moto, con amore e con disio; | E io rispondo: Io credo in un solo Dio eterno, che muove tutto il cielo, restando immobile, con amore e desiderio; |
| e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisiche, ma dalmi anche la verità che quinci piove | e per tale credenza non ho soltanto prove fisiche e metafisiche, ma mi è data anche la verità che piove da qui |
| e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. | e credo in tre persone eterne, e credo che queste siano un’essenza così una e trina che sopporta congiuntamente il singolare e il plurale (sono ed è). |
| De la profonda condizion divina ch’io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l’evangelica dottrina. | Della profonda condizione divina di cui parlo ora, la mente mi imprime più volte la dottrina evangelica. |
| Quest’ è ‘l principio, quest’ è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla». | Questo è il principio, questa è la scintilla che poi si dilata in fiamma vivace, e come una stella in cielo scintilla in me». |
| Come ‘l segnor ch’ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch’el si tace; | Come il signore che ascolta ciò che gli piace, e poi abbraccia il servo, rallegrandosi per la notizia, non appena quello finisce di parlare; |
| così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, l’appostolico lume al cui comando | così, benedicendomi cantando, tre volte mi avvolse, non appena tacqui, la luce apostolica al cui comando |
| io avea detto: sì nel dir li piacqui! | io avevo parlato: tanto nel mio parlare gli piacqui! |
Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il canto appartiene a un trittico significativo (canti XXIV-XXVI) dedicato all’esame sulle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Questo schema tripartito non è casuale ma rispecchia l’importanza che la teologia medievale attribuiva a queste virtù come fondamento del cammino spirituale cristiano. La maestria poetica di Dante riesce a trasformare un complesso dialogo dottrinale in un’esperienza poetica vibrante, dove la luce, il movimento delle anime beate e la solennità dell’interrogatorio creano un’atmosfera di straordinaria intensità.
Il ventiquattresimo canto del Paradiso si svolge nel Cielo delle Stelle Fisse, dove Dante incontra le anime dei beati che formano una luminosa corona intorno a lui e Beatrice. Il canto è interamente dedicato all’esame sulla fede che il poeta sostiene dinanzi a San Pietro, il primo degli apostoli e detentore delle chiavi del regno dei cieli.
Nei versi iniziali, Beatrice si rivolge alle anime beate paragonandole a un “sodalizio eletto alla gran cena del benedetto Agnello”, evocando l’immagine evangelica del banchetto celeste. La sua richiesta è che le anime esaudiscano la sete di conoscenza di Dante, presentato come un pellegrino che, per grazia divina, ha la possibilità di “pregustare” la sapienza celeste prima della morte.
La metafora alimentare prosegue quando Beatrice chiede alle anime di “rorare” (irrorare) Dante con la loro sapienza, sottolineando come esse attingano continuamente alla fonte divina del sapere.
A questo punto, dalla corona di beati si stacca uno spirito luminosissimo, che compie tre giri attorno a Beatrice. È San Pietro, che viene descritto attraverso una perifrasi che ne ricorda il ruolo nella Chiesa. Il santo apostolo inizia il suo esame chiedendo a Dante: “Fede che è?”, invitandolo a definire l’essenza di questa virtù teologale.
Dopo un momento di trepidazione, in cui cerca conferma nello sguardo incoraggiante di Beatrice, Dante risponde citando la definizione paolina contenuta nell’Epistola agli Ebrei: “Fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi”. Secondo questa definizione, la fede è “sostanza” in quanto dà fondamento e concretezza alle cose che si sperano per il futuro, ed è “argomento” (prova) delle realtà invisibili.
L’esame prosegue con San Pietro che chiede a Dante di approfondire questa definizione. Il poeta spiega che le verità divine, manifeste nel Paradiso, sono invece nascoste agli occhi terreni e possono essere conosciute solo attraverso la fede. È proprio questa credenza che fonda la speranza cristiana, e per questo la fede può essere definita “sostanza”.
Inoltre, partendo da questa credenza si può ragionare per sillogismi senza bisogno di altre evidenze, e per questo la fede è anche “argomento”.
San Pietro, soddisfatto della risposta, chiede poi perché Paolo collochi la fede tra le sostanze e gli argomenti. Dante risponde che le profonde verità visibili in cielo sono così nascoste sulla terra che possono essere percepite solo attraverso la fede, sulla quale si fonda anche la speranza. Da questa fede deriva poi la possibilità di sillogizzare senza altre evidenze visibili.
L’apostolo interroga successivamente Dante sull’oggetto della fede. Il poeta risponde che la sua fede si fonda nell’Antico e Nuovo Testamento, nelle parole dei profeti e degli evangelisti, ispirati dallo Spirito Santo. Dante recita poi la sua professione di fede trinitaria: “Credo in un Dio solo ed eterno, che muove tutto il cielo senz’essere mosso, con amore e desiderio”.
Prosegue affermando di credere nella Trinità divina, “tre persone eterne” che sono tuttavia “un’essenza così una e trina” da ammettere contemporaneamente il singolare e il plurale (“sono” ed “è”).
Il canto si conclude con l’approvazione solenne di San Pietro, che gira tre volte attorno a Dante cantando un inno celeste di benedizione, simboleggiando così l’accoglienza del poeta nella comunità dei credenti autentici. L’apostolo riconosce che la grazia divina ha aperto la bocca di Dante “come doveva essere aperta” e approva pienamente le sue risposte.
Questo canto rappresenta un momento fondamentale nel percorso di Dante attraverso il Paradiso, poiché l’esame sulla fede costituisce il primo dei tre esami sulle virtù teologali (fede, speranza e carità) che il poeta dovrà superare prima di giungere alla visione di Dio. La struttura dialogica del canto, con le domande di San Pietro e le risposte di Dante, riflette il metodo scolastico medievale, mentre l’autorità dell’apostolo conferisce legittimità teologica al viaggio ultraterreno del poeta.
Canto 24 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto XXIV del Paradiso, Dante costruisce una straordinaria interazione tra tre figure principali che incarnano diversi livelli di significato teologico e allegorico.
Dante, personaggio protagonista, occupa il ruolo di discepolo sottoposto all’esame sulla fede. Rappresenta l’umanità in cammino verso la salvezza e la conoscenza divina. La sua duplice condizione, quella di pellegrino e di teologo, traspare nella sua risposta alla domanda «fede che è?» con la citazione di san Paolo. Il suo timore reverenziale nei confronti di San Pietro evidenzia umiltà e consapevolezza della solennità del momento.
Beatrice, invece, si configura quale guida spirituale e mediatrice, colmando il divario tra l’umano e il divino. Il suo ruolo di sostegno e incoraggiamento è fondamentale, poiché prima di rispondere Dante si volge a lei in cerca di conferma.
San Pietro, come esaminatore, incarna l’autorità apostolica e la tradizione della Chiesa. La sua presenza, simbolizzata dalla luce crescente, porta legittimazione alla fede di Dante, preparandolo per la visione futura.
Il canto si apre con un’elegante cornice descrittiva, che utilizza l’immagine del banchetto celeste per preparare l’incontro dottrinale. La struttura narrativa si articola in tre momenti: la definizione della fede, l’esposizione del suo contenuto e la testimonianza personale di Dante.
La forma dialogica, ispirata alle disputationes medievali, ha San Pietro come esaminatore e Beatrice come mediatrice. Sul piano tematico, il canto indaga la fede come fondamento della speranza futura e come prova razionale delle realtà invisibili, collegando la conoscenza sensibile alla visione beatifica.
Infine, la struttura circolare del canto, simboleggiata dal movimento di San Pietro, rappresenta la perfezione dell’itinerario spirituale compiuto da Dante.
Analisi del Canto 24 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Nel Canto XXIV del Paradiso, Dante si trova nel cielo delle Stelle Fisse, dove avviene il primo dei tre “esami” che deve sostenere per accedere alla visione finale di Dio. In questa cantica, San Pietro lo interroga sulla fede, chiedendogli di definirla e di spiegare la fonte della sua certezza. La scena è solenne e ricca di simbolismo: Dante risponde con precisione teologica, citando l’epistola agli Ebrei e dimostrando di aver compreso profondamente la dottrina cristiana. L’atmosfera è quella di un tribunale celeste, in cui l’anima del poeta viene messa alla prova non solo sul piano intellettuale, ma anche spirituale, a testimonianza del suo percorso di purificazione e conoscenza.
Figure retoriche nel Canto 24 del Paradiso della Divina Commedia
Dante adotta numerose figure retoriche per elevare il discorso teologico. Metafore centrali, come quella del banchetto divino e dell’acqua della sapienza, accompagnano le similitudini che paragonano il movimento delle anime e la luce di San Pietro a elementi naturali. La perifrasi e l’antitesi, insieme alle allitterazioni e ai latinismi, arricchiscono il testo, rendendolo adeguato alla complessità del pensiero medievale.
Temi principali del 24 canto del Paradiso della Divina Commedia
I temi centrali del canto ruotano intorno alla fede come virtù teologale e fondamento della salvezza. Dante la descrive non come cieca accettazione, ma come adesione consapevole alla verità rivelata, sostenuta dalla grazia e dalla ragione. Un altro tema rilevante è quello della luce divina, simbolo della conoscenza e della presenza di Dio, che avvolge i beati e illumina l’intelletto del poeta. Il canto affronta anche il rapporto tra ragione e rivelazione, mostrando come la fede non si opponga al pensiero razionale, ma lo compia. Infine, emerge la dimensione pedagogica dell’interrogatorio: Dante non è più solo discepolo, ma testimone di una verità che ha fatto propria, pronto a comunicare al mondo la sua esperienza di fede.
Il Canto 24 del Paradiso in pillole
| Elemento | Dettaglio |
|---|---|
| Ambientazione | Cielo delle Stelle Fisse, dove Dante è circondato da una corona di anime beate |
| Personaggi principali | • Dante: protagonista sottoposto all’esame sulla fede • Beatrice: guida spirituale e teologica che incoraggia Dante • San Pietro: esaminatore della fede, simbolo dell’autorità apostolica |
| Struttura narrativa | • Invocazione iniziale ai beati • Esame sulla natura della fede • Professione di fede personale di Dante • Approvazione finale e benedizione di San Pietro |
| Definizione di fede | “Fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi” (citazione dalla Lettera agli Ebrei) |
| Figure retoriche | • Metafora del banchetto (“gran cena del benedetto Agnello”) • Similitudine della corona di beati • Metafora della luce come sapienza divina • Metafora dell’acqua come conoscenza teologica |
| Elementi simbolici | • La triplice rotazione di San Pietro: simbolo trinitario • La corona di beati: comunione dei santi • Il movimento circolare: perfezione divina • La luce crescente: intensificarsi della beatitudine |
| Temi teologici | • Fede come virtù teologale fondamentale • Rapporto tra fede e ragione • Autorità delle Scritture e della Tradizione apostolica • Importanza della testimonianza personale |
| Significato allegorico | • Livello personale: maturazione spirituale di Dante • Livello ecclesiologico: legame con la tradizione apostolica • Livello universale: percorso del credente verso la contemplazione divina |
| Collegamento con l’opera | Primo dei tre canti dedicati alle virtù teologali (fede, speranza e carità) che preparano Dante alla visione di Dio |