Divina Commedia, Canto 26 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 26 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto XXVI del Purgatorio rappresenta una tappa fondamentale nel viaggio dantesco, situato nella settima cornice dove si purificano le anime dei lussuriosi.

Il Canto XXVI del Purgatorio rappresenta una tappa fondamentale nel viaggio dantesco, situato nella settima cornice dove si purificano le anime dei lussuriosi attraverso le fiamme. Qui Dante incontra due figure cruciali della poesia medievale: Guido Guinizelli, padre del dolce stil novo, e Arnaut Daniel, maestro della poesia provenzale.

Attraverso questi incontri e la rappresentazione della lussuria come eccesso d’amore naturale, Dante elabora una profonda riflessione sulla purificazione del desiderio e sull’evoluzione della tradizione poetica.

Indice:

Canto 26 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, / ce n’andavamo, e spesso il buon maestro / diceami: “Guarda: giovi ch’io ti scaltro”;Mentre così procedevamo lungo il bordo della cornice, uno dietro l’altro, spesso il mio buon maestro Virgilio mi diceva: “Guarda: è utile che io ti avverta”;
feriami il sole in su l’omero destro, / che già, raggiando, tutto l’occidente / mutava in bianco aspetto di cilestro;il sole mi colpiva sulla spalla destra, e già con i suoi raggi trasformava tutto il cielo occidentale da azzurro in bianco;
e io facea con l’ombra più rovente / parere la fiamma; e pur a tanto indizio / vidi molt’ombre, andando, poner mente.e io con la mia ombra facevo sembrare più ardente la fiamma; e proprio a questo indizio vidi, mentre camminavamo, molte anime prestare attenzione.
Questa fu la cagion che diede inizio / loro a parlar di me; e cominciarsi / a dir: “Colui non par corpo fittizio”;Questa fu la causa che diede loro motivo di parlare di me; e cominciarono a dire: “Quello non sembra un corpo illusorio”;
poi verso me, quanto potean farsi, / certi si fero, sempre con riguardo / di non uscir dove non fosser arsi.poi verso di me, quanto potevano avvicinarsi, alcuni si fecero avanti, sempre con l’attenzione di non uscire dal fuoco dove sarebbero stati bruciati.
“O tu che vai, non per esser più tardo, / ma forse reverente, a li altri dopo, / rispondi a me che ‘n sete e ‘n foco ardo.“O tu che procedi, non per essere più lento, ma forse per rispetto, dietro agli altri, rispondi a me che ardo nella sete e nel fuoco.
Né solo a me la tua risposta è uopo; / ché tutti questi n’hanno maggior sete / che d’acqua fredda Indo o Etïopo.Non solo a me è necessaria la tua risposta; perché tutti questi hanno maggior sete di essa che di acqua fredda un indiano o un etiope.
Dinne com’ è che fai di te parete / al sol, pur come tu non fossi ancora / di morte intrato dentro da la rete”.Dicci come fai a fare da ostacolo al sole, proprio come se tu non fossi ancora stato catturato dalla rete della morte”.
Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora / già manifesto, s’io non fossi atteso / ad altra novità ch’apparve allora;Così mi parlava uno di essi; e io mi sarei già manifestato, se non fossi stato attratto da un’altra novità che apparve in quel momento;
ché per lo mezzo del cammino acceso / venne gente col viso incontro a questa, / la qual mi fece a rimirar sospeso.perché attraverso il centro del cammino infuocato venne un gruppo di anime con il viso rivolto verso queste, la cui vista mi rese incerto e sospeso.
Lì veggio d’ogne parte farsi presta / ciascun’ombra e basciarsi una con una / sanza restar, contente a brieve festa;Lì vedo da ogni parte affrettarsi ciascun’anima e baciarsi l’una con l’altra senza fermarsi, contente di quel breve incontro;
così per entro loro schiera bruna / s’ammusa l’una con l’altra formica, / forse a spïar lor via e lor fortuna.così all’interno della loro schiera scura si incontrano le une con le altre come formiche, forse per scambiarsi notizie sulla loro via e sulla loro condizione.
Tosto che parton l’accoglienza amica, / prima che ‘l primo passo lì trascorra, / sopragridar ciascuna s’affatica:Appena terminano l’amichevole incontro, prima di riprendere il cammino, ciascuna si sforza di gridare più forte dell’altra:
la nova gente: “Soddoma e Gomorra”; / e l’altra: “Ne la vacca entra Pasife, / perché ‘l torello a sua lussuria corra”.il nuovo gruppo grida: “Soddoma e Gomorra”; e l’altro: “Nella vacca di legno entra Pasifae, perché il toro corra alla sua lussuria”.
Poi, come grue ch’a le montagne Rife / volasser parte, e parte inver’ l’arene, / queste del gel, quelle del sole schife,Poi, come gru che volassero in parte verso i monti Rifei e in parte verso le sabbie del deserto, queste schivando il gelo, quelle il sole,
l’una gente sen va, l’altra sen vene; / e tornan, lagrimando, a’ primi canti / e al gridar che più lor si convene;un gruppo se ne va, l’altro viene; e tornano, piangendo, ai primi canti e alle grida che più si addicono a loro;
e raccostansi a me, come davanti, / essi medesmi che m’avean pregato, / attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti.e si riavvicinano a me, come prima, gli stessi che mi avevano pregato, attenti ad ascoltare nei loro aspetti.
Io, che due volte havia visto lor grato, / incominciai: “O anime sicure / d’aver, quando che sia, di pace stato,Io, che due volte avevo visto il loro desiderio, cominciai: “O anime sicure di avere, prima o poi, uno stato di pace,
non son rimase acerbe né mature / le membra mie di là, ma son qui meco / col sangue suo e con le sue giunture.le mie membra non sono rimaste acerbe né mature sulla terra, ma sono qui con me con il loro sangue e le loro articolazioni.
Quinci sù vo per non esser più cieco; / donna è di sopra che m’acquista grazia, / per che ‘l mortal per vostro mondo reco.Vado su per non essere più cieco; c’è una donna lassù che mi ottiene la grazia, per cui porto il corpo mortale attraverso il vostro mondo.
Ma se la vostra maggior voglia sazia / tosto divegna, sì che ‘l ciel v’alberghi / ch’è pien d’amore e più ampio si spazia,Ma se il vostro maggiore desiderio venga presto soddisfatto, così che il cielo vi accolga, quel cielo che è pieno d’amore e si estende più ampiamente,
ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, / chi siete voi, e chi è quella turba / che se ne va di retro a’ vostri terghi”.ditemi, affinché io ne scriva ancora, chi siete voi, e chi è quella folla che se ne va dietro alle vostre spalle”.
Non altrimenti stupido si turba / lo montanaro, e rimirando ammuta, / quando rozzo e salvatico s’inurba,Non diversamente stupito si turba il montanaro, e guardando ammutolisce, quando rozzo e selvatico entra in città,
che ciascun’ombra fece in sua paruta; / ma poi che furon di stupore scarche, / lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta,di quanto ciascun’ombra fece nel suo aspetto; ma dopo che furono liberate dallo stupore, il quale nei cuori nobili presto si placa,
“Beato te, che de le nostre marche”, / ricominciò colei che pria m’inchiese, / “per morir meglio, esperïenza imbarche!“Beato te, che dalle nostre regioni”, ricominciò colei che prima mi aveva interrogato, “per morire meglio, fai esperienza!
La gente che non vien con noi, offese / di ciò per che già Cesar, trïunfando, / ‘Regina’ contra sé chiamar s’intese:La gente che non viene con noi, peccò di ciò per cui già Cesare, durante il suo trionfo, si sentì chiamare ‘Regina’ contro di lui:
però si parton ‘Soddoma’ gridando, / rimproverando a sé com’ hai udito, / e aiutan l’arsura vergognando.perciò se ne vanno gridando ‘Soddoma’, rimproverando a sé come hai udito, e aumentano il loro ardore vergognandosi.
Nostro peccato fu ermafrodito; / ma perché non servammo umana legge, / seguendo come bestie l’appetito,Il nostro peccato fu di tipo eterosessuale; ma poiché non osservammo la legge umana, seguendo come bestie l’istinto,
in obbrobrio di noi, per noi si legge, / quando partinchi, il nome di colei / che s’imbestiò ne le ‘mbestiate schegge.a nostra vergogna, da noi si pronuncia, quando ci separiamo, il nome di colei che si trasformò in bestia nell’involucro bestiale di legno.
Or sai nostri atti e di che fummo rei: / se forse a nome vuo’ saper chi semo, / tempo non è di dire, e non saprei.Ora conosci le nostre azioni e di quali colpe fummo rei: se per caso vuoi sapere i nostri nomi, non è il momento di dirlo, e non saprei.
Farotti ben di me volere scemo: / son Guido Guinizzelli, e già mi purgo / per ben dolermi prima ch’a lo stremo”.Ti dirò ben volentieri chi sono io: sono Guido Guinizzelli, e già mi purgo per essermi pentito prima della morte”.
Quali ne la tristizia di Ligurgo / si fer due figli a riveder la madre, / tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo,Come nella tristezza di Licurgo si fecero i due figli nel rivedere la madre, così feci io, ma non mi spingo a tanto,
quand’ io odo nomar sé stesso il padre / mio e de li altri miei miglior che mai / rime d’amor usar dolci e leggiadre;quando sento nominare sé stesso il padre mio e degli altri miei migliori che mai usarono rime d’amore dolci e leggiadre;
e sanza udire e dir pensoso andai / lunga fïata rimirando lui, / né, per lo foco, in là più m’appressai.e senza udire e dire andai pensoso per lungo tempo guardandolo, né, a causa del fuoco, mi avvicinai più a lui.
Poi che di riguardar pasciuto fui, / tutto m’offersi pronto al suo servigio / con l’affermar che fa credere altrui.Dopo che fui sazio di guardarlo, mi offersi tutto pronto al suo servizio con quell’affermare che fa credere all’altro.
Ed elli a me: “Tu lasci tal vestigio, / per quel ch’i’ odo, in me e tanto chiaro, / che Letè nol può tòrre né far bigio.Ed egli a me: “Tu lasci tale impronta, per quello che sento, in me e tanto chiara, che il Lete non può toglierla né renderla indistinta.
Ma se le tue parole or ver giuraro, / dimmi che è cagion per che dimostri / nel dire e nel guardar d’avermi caro”.Ma se le tue parole ora giurarono il vero, dimmi qual è la ragione per cui dimostri nel parlare e nel guardare di avermi caro”.
E io a lui: “Li dolci detti vostri, / che, quanto durerà l’uso moderno, / faranno cari ancora i loro incostri”.E io a lui: “I vostri dolci componimenti, che, finché durerà l’uso moderno, renderanno preziosi ancora i loro inchiostri”.
“O frate”, disse, “questi ch’io ti cerno / col dito”, e additò un spirto innanzi, / “fu miglior fabbro del parlar materno.“O fratello”, disse, “questi che io ti distinguo col dito”, e indicò uno spirto davanti, “fu miglior artefice della lingua materna.
Versi d’amore e prose di romanzi / soverchiò tutti; e lascia dir li stolti / che quel di Lemosì credon ch’avanzi.Superò tutti nei versi d’amore e nelle prose di romanzi; e lascia dire gli stolti che credono che quello di Limoges sia migliore.
A voce più ch’al ver drizzan li volti, / e così ferman sua oppinïone / prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti.Rivolgono lo sguardo più alla fama che alla verità, e così fissano la loro opinione prima che l’arte o la ragione sia da loro ascoltata.
Così fer molti antichi di Guittone, / di grido in grido pur lui dando pregio, / fin che l’ha vinto il ver con più persone.Così fecero molti antichi di Guittone, di fama in fama dando pregio solo a lui, finché la verità l’ha vinto con più persone.
Or se tu hai sì ampio privilegio, / che licito ti sia l’andare al chiostro / nel quale è Cristo abate del collegio,Ora se tu hai un così ampio privilegio, che ti sia lecito andare al chiostro nel quale Cristo è abate del collegio,
falli per me un dir d’un paternostro, / quanto bisogna a noi di questo mondo, / dove poter peccar non è più nostro”.recita per me un paternostro, quanto basta a noi di questo mondo, dove non abbiamo più la possibilità di peccare”.
Poi, forse per dar luogo altrui secondo / che presso avea, disparve per lo foco, / come per l’acqua il pesce andando al fondo.Poi, forse per dare posto a un altro che aveva vicino, scomparve attraverso il fuoco, come il pesce va al fondo attraverso l’acqua.
Io mi fei al mostrato innanzi un poco, / e dissi ch’al suo nome il mio disire / apparecchiava grazïoso loco.Io mi feci un po’ avanti verso colui che mi era stato indicato, e dissi che al suo nome il mio desiderio preparava un luogo pieno di gratitudine.
El cominciò liberamente a dire: / “Tan m’abellis vostre cortes deman, / qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire.Egli cominciò a dire liberamente: “Tanto mi piace la vostra cortese domanda, che io non posso né voglio nascondermi a voi.
Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; / consiros vei la pasada folor, / e vei jausen lo joi qu’esper, denan.Io sono Arnaut, che piango e vado cantando; addolorato vedo la passata follia, e vedo gioioso la gioia che spero, davanti a me.
Ara vos prec, per aquella valor / que vos guida al som de l’escalina, / sovenha vos a temps de ma dolor!”.Ora vi prego, per quel valore che vi guida alla sommità della scalinata, ricordatevi a tempo del mio dolore!”.
Poi s’ascose nel foco che li affina.Poi si nascose nel fuoco che li purifica.

Canto 26 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 26 del Purgatorio si svolge nella settima e ultima cornice della montagna purgatoriale, dove si purificano le anime dei lussuriosi. Questo girone rappresenta l’ultima tappa del percorso di Dante prima di accedere al Paradiso Terrestre collocato sulla cima. Qui, i penitenti sono immersi in fiamme purificatrici che rappresentano sia la passione che li consumò in vita sia lo strumento della loro redenzione.

Questo canto della Divina Commedia si apre con Dante, Virgilio e Stazio che proseguono il loro cammino lungo la cornice. Mentre procedono sul bordo esterno del sentiero per evitare le fiamme, Dante nota che le anime dei lussuriosi sono divise in due schiere che si muovono in direzioni opposte attorno alla montagna. Queste anime, quando si incontrano, si scambiano brevi baci fraterni e gridano esempi di virtù prima di proseguire il loro cammino purificatorio.

La prima schiera comprende coloro che in vita peccarono di lussuria eterosessuale, mentre la seconda include chi peccò di lussuria omosessuale. Quando si incontrano, la prima grida “Sodoma e Gomorra”, ricordando la punizione biblica delle città peccatrici, mentre la seconda evoca il mito di Pasifae, che per soddisfare la propria lussuria si unì a un toro. Questi richiami non sono espressioni di disprezzo, ma consapevole riconoscimento della natura dei propri peccati.

Dante osserva attentamente i lussuriosi e nota che si salutano con grande affetto attraverso rapidi baci. Il poeta utilizza una potente similitudine paragonandoli alle formiche che “s’ammusa l’una con l’altra” (v. 35), ovvero si toccano con il muso per scambiarsi informazioni. L’immagine naturalistica enfatizza l’umiltà e la comunione delle anime nel processo di purificazione.

Le anime si mostrano curiose alla vista di Dante, riconoscendo dalla sua ombra che è ancora vivo, e una schiera si avvicina per interrogarlo. Quando Dante spiega la natura del suo viaggio, le anime si meravigliano e una di esse si presenta: è Guido Guinizelli, il fondatore del “dolce stil novo”, che Dante riconosce come “padre” della nuova poesia italiana.

In questo canto, Dante rielabora la sua visione della lussuria rispetto a quanto aveva mostrato nell’Inferno. Se nei canti 15-16 dell’Inferno la sodomia era considerata un peccato di violenza contro natura, nel Purgatorio diventa una variante del comportamento sessuale umano, analoga all’eterosessualità. Come ogni forma di sessualità, può essere eccessiva e quindi richiedere purificazione, ma non viene più stigmatizzata come innaturale.

La collocazione del peccato di lussuria nell’ultima cornice purgatoriale, proprio prima dell’ingresso al Paradiso Terrestre, suggerisce che si tratti del vizio più vicino alla natura umana e quindi il più facilmente purificabile. Non è un’assenza di amore, ma un amore naturale potenzialmente buono che viene distorto per eccesso o per direzione inappropriata.

Il fuoco che avvolge i penitenti rappresenta il principio del “contrappasso”: la stessa passione ardente che in vita portava al peccato diventa ora strumento di purificazione. Le fiamme non distruggono, ma trasformano la concupiscenza in amore spirituale, completando il percorso di redenzione delle anime.

Particolarmente significativo è il fatto che le due schiere procedano in direzioni opposte ma si incontrino periodicamente, simboleggiando come diverse esperienze umane, pur nella loro diversità, condividano la stessa natura essenziale e lo stesso destino di redenzione.

Canto 26 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Nel settimo girone del Purgatorio, Dante incontra diverse anime che stanno espiando il peccato della lussuria, immerse nelle fiamme purificatrici. Tra queste, spiccano due figure centrali che rappresentano l’eccellenza della tradizione poetica: Guido Guinizelli e Arnaut Daniel.

Le anime dei lussuriosi sono divise in due schiere distinte che si muovono in direzioni opposte attorno alla montagna. La prima schiera comprende coloro che in vita peccarono di lussuria eterosessuale, mentre la seconda include chi peccò di lussuria omosessuale. Quando queste schiere si incontrano, si scambiano brevi baci fraterni e gridano esempi di virtù: la prima schiera grida “Sodoma e Gomorra”, ricordando la punizione biblica delle città peccatrici, mentre la seconda esclama “Nella vacca entra Pasife”, alludendo al mito di Pasifae che, per soddisfare la propria lussuria, si unì a un toro.

È significativo notare come in questo canto Dante reclassifichi la sodomia rispetto a come l’aveva trattata nell’Inferno. Se nei canti 15-16 dell’Inferno essa era considerata un peccato di violenza contro natura, nel Purgatorio diventa una variante del comportamento sessuale umano, analoga all’eterosessualità ma comunque bisognosa di purificazione quando vissuta in eccesso.

Tra le anime penitenti, Dante riconosce Guido Guinizelli, poeta bolognese vissuto tra il 1230 e il 1276, considerato il fondatore del “dolce stil novo”. Questo incontro rappresenta un momento fondamentale non solo per la narrazione della Commedia, ma anche per la riflessione di Dante sulla tradizione poetica italiana. Quando lo definisce “padre”, Dante riconosce esplicitamente il suo ruolo di precursore e maestro. La poesia di Guinizelli aveva introdotto una nuova concezione dell’amore, più spiritualizzata e legata alla nobiltà d’animo (la “gentilezza”), che si distaccava dalla tradizione cortese per avvicinarsi a una visione più cristiana dell’amore.

L’ammirazione di Dante per Guinizelli è sincera e profonda, tanto che giura solennemente di non dimenticare i suoi “dolci detti”. Tuttavia, la collocazione di Guinizelli tra i lussuriosi del Purgatorio suggerisce una riflessione complessa: anche il più nobile dei poeti può cadere nell’eccesso di passione carnale, dimostrando come l’elevazione poetica non garantisca automaticamente la perfezione morale.

Proprio Guinizelli segnala a Dante un’altra anima che definisce “miglior fabbro del parlar materno”: Arnaut Daniel, celebre trovatore provenzale attivo tra il 1180 e il 1200. La presenza di Arnaut nel canto amplia ulteriormente l’orizzonte culturale della Commedia, connettendola alla grande tradizione trobadorica che aveva influenzato tutta la poesia europea medievale. Arnaut era famoso per il suo “trobar clus”, uno stile poetico ricercato, complesso e ricco di artifici formali.

La particolarità dell’incontro con Arnaut risiede nel fatto che egli risponde a Dante in lingua provenzale, creando un momento di straordinaria innovazione linguistica. Nei versi 140-148, infatti, Dante fa parlare Arnaut nella sua lingua madre, nel passaggio più celebre del canto e nell’unico passaggio della Divina Commedia non scritto in italiano. Questo espediente serve a enfatizzare l’eccellenza di Arnaut come “fabbro” della parola poetica nella sua lingua d’origine.

Nel suo discorso, Arnaut si presenta umilmente e chiede a Dante di ricordarlo nelle sue preghiere quando sarà giunto in Paradiso. Egli confessa il suo peccato di lussuria e la necessità della purificazione attraverso il fuoco, terminando con le parole “Sovegna vos a temps de ma dolor” (“Ricordatevi a tempo del mio dolore”), un’accorata richiesta di suffragio.

Oltre a questi personaggi principali, nel Canto 26 compaiono anche Virgilio e Stazio, che accompagnano Dante nel suo percorso. Virgilio mantiene il suo ruolo di guida spirituale, spiegando a Dante il meccanismo della pena e guidandolo nella comprensione delle dinamiche purgatoriali, mentre Stazio, poeta convertito al cristianesimo, rappresenta il ponte ideale tra la cultura classica e quella cristiana.

Analisi del Canto 26 Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto 26 del Purgatorio si distingue per la ricchezza dei suoi elementi tematici e la complessità della sua struttura narrativa, rappresentando uno dei momenti più significativi del percorso di purificazione dantesco.

La concezione teologica della lussuria viene presentata in modo profondamente innovativo rispetto all’Inferno. Nella settima cornice, Dante non condanna più questo peccato come una colpa imperdonabile, ma lo inquadra come un eccesso di un sentimento naturale e potenzialmente buono. La lussuria rappresenta un amore sregolato, un’emozione umana che, sebbene deviata dal suo fine naturale, può essere purificata e reindirizzata verso il bene. Quest’evoluzione nel pensiero teologico dantesco è particolarmente evidente nel trattamento della sodomia, non più classificata come violenza contro natura (come nell’Inferno), ma come variante della lussuria umana, suscettibile di redenzione.

Il simbolismo del fuoco domina l’intero canto e materializza il processo di purificazione. Le fiamme che avvolgono i penitenti rappresentano simultaneamente il peccato carnale che li ha contaminati in vita e lo strumento della loro espiazione. Questo dualismo riflette perfettamente il principio del contrappasso dantesco: ciò che causò il peccato diventa mezzo di redenzione. Il fuoco trasforma l’ardore della passione carnale in calore purificatore, sublimando il desiderio fisico in amore spirituale, in un processo che prepara le anime all’incontro con Dio.

Particolarmente significativa è la struttura narrativa che vede le due schiere di lussuriosi procedere in direzioni opposte ma incontrarsi periodicamente. Questo movimento ciclico rispecchia la complementarità delle esperienze umane: percorsi diversi che condividono la stessa natura e lo stesso destino di purificazione. Quando le anime si scambiano rapidi baci e gridano esempi di castità o di eccessi carnali, mettono in atto un processo di educazione morale reciproca, fondamentale per la loro ascesa spirituale.

Gli incontri con Guido Guinizelli e Arnaut Daniel rappresentano il culmine narrativo del canto, introducendo una profonda riflessione sul rapporto tra arte, moralità e salvezza. Attraverso questi dialoghi, Dante esplora il tema della fama poetica e della sua relatività rispetto alla salvezza eterna. L’eccellenza artistica, per quanto straordinaria, non esime dal giudizio morale divino. Questa tesi viene illustrata dalla stessa presenza dei due grandi poeti tra i lussuriosi: nonostante la loro raffinatezza intellettuale, anch’essi hanno ceduto agli eccessi della carne.

Allo stesso tempo, però, Dante suggerisce che la poesia possa essere uno strumento di elevazione spirituale. La lirica amorosa di Guinizelli, con la sua spiritualizzazione del sentimento, rappresenta un tentativo di sublimazione della passione carnale. Non è casuale che entrambi i poeti si mostrino umili e consapevoli della propria condizione: la loro arte è ormai al servizio di un percorso di purificazione che li condurrà alla salvezza.

L’unicità del discorso in provenzale di Arnaut Daniel amplifica il valore simbolico dell’incontro, trasformandolo in un momento di straordinaria apertura culturale. Dante riconosce l’universalità del cammino spirituale, che trascende barriere linguistiche e culturali, unendo in un comune destino di redenzione tradizioni poetiche diverse.

La progressiva ascesa di Dante pellegrino verso il Paradiso Terrestre si riflette nella crescente complessità del suo percorso interiore. La necessità di attraversare il fuoco prima di completare il cammino purgatoriale suggerisce che anche il poeta dovrà purificare il proprio desiderio, trasformando la passione terrena (simboleggiata dall’amore giovanile per Beatrice) in contemplazione spirituale. Il fuoco diventa così metafora del processo di maturazione spirituale che conduce alla beatitudine.

Questa trasformazione dell’amore costituisce il nucleo tematico fondamentale del canto. Dante suggerisce che l’amore umano, anche nelle sue manifestazioni più fisiche, contiene il seme dell’amore divino. La purificazione non consiste nell’eliminazione del desiderio, ma nella sua elevazione e nel suo orientamento verso il bene supremo. Così, la presenza dei poeti d’amore tra i lussuriosi non è tanto una condanna della poesia erotica, quanto un’affermazione della possibilità di redimere anche le passioni più terrene attraverso la grazia divina.

Figure retoriche nel Canto 26 Purgatorio della Divina Commedia

Dante arricchisce il Canto 26 del Purgatorio con un prezioso tessuto retorico che amplifica i significati teologici e poetici dell’opera. La similitudine delle formiche ai versi 34-36 («come le formiche […] s’ammusa l’una con l’altra») rappresenta una delle figure più significative: paragona il movimento delle anime lussuriose all’incontrarsi delle formiche che si scambiano informazioni toccandosi con il muso. Questa immagine naturalistica illumina la condizione delle anime, evidenziando sia la loro umiltà che la comunione fraterna nel cammino di espiazione.

Le metafore impreziosiscono il linguaggio poetico del canto, come nell’espressione «miglior fabbro del parlar materno» (v. 117) con cui Guinizelli indica Arnaut Daniel. La figura del poeta come artigiano che forgia la lingua comunica efficacemente la concezione dantesca dell’arte poetica come abilità tecnica e creazione ispirata. Analogamente, la descrizione del «fuoco che li affina» (v. 148) metaforizza il processo di purificazione attraverso le fiamme.

Le antitesi strutturano il canto, evidenti nel contrasto tra le due schiere di anime che procedono in direzioni opposte pur condividendo lo stesso peccato. Questo dualismo visivo rinforza il messaggio morale della complementarità delle esperienze umane. Particolarmente efficace è l’antitesi tra il ricordo del peccato («Soddoma e Gomorra») e gli esempi di castità che le anime si gridano a vicenda, rappresentando la tensione tra natura carnale e aspirazione spirituale.

Il canto abbonda di perifrasi, come nei versi in cui Dante si riferisce a Guinizelli come «padre / mio e de li altri miei miglior» (vv. 97-98), evidenziando il suo ruolo nella tradizione stilnovista senza nominarlo direttamente. Questa figura consente a Dante di arricchire la caratterizzazione dei personaggi, amplificandone il valore simbolico.

L’apostrofe assume particolare intensità quando Dante si rivolge direttamente a Guido Guinizelli: «O frate […] questi ch’io ti cerno / col dito» (vv. 115-117), creando un momento di intima connessione che eleva il dialogo oltre il semplice scambio informativo.

Il climax si manifesta nell’intensificazione emotiva che culmina nel discorso di Arnaut Daniel in provenzale, unico momento della Commedia in cui compare una lingua diversa dall’italiano. Questa scelta retorica rappresenta l’apice espressivo del canto e sottolinea l’eccezionalità dell’incontro.

Le allitterazioni («che plor e vau cantan», v. 142) nel discorso di Arnaut intensificano la musicalità del provenzale, mentre l’anafora nell’espressione «Per morir meglio, esperienza imbarche!» (v. 75) enfatizza il concetto della vita come preparazione alla morte.

Queste figure retoriche non sono semplici abbellimenti: costituiscono il tessuto connettivo che lega l’esperienza sensoriale alla riflessione teologica, rendendo il messaggio morale più accessibile attraverso immagini concrete che illuminano l’astrazione concettuale.

Temi principali del Canto 26 Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 26 del Purgatorio presenta numerosi temi fondamentali che si intrecciano nel tessuto narrativo e simbolico creato da Dante. Al centro vi è la purificazione attraverso il fuoco, elemento che permea l’intera cornice dei lussuriosi. Le fiamme non sono solo strumenti di punizione, ma veri e propri agenti di trasformazione spirituale che convertono la passione carnale in amore divino. Questo processo rappresenta perfettamente il concetto di contrappasso dantesco: lo stesso ardore che in vita spingeva al peccato diventa ora il mezzo della purificazione.

La lussuria viene presentata con una complessità che supera la semplice condanna morale. Dante evolve significativamente la sua concezione rispetto all’Inferno, mostrando come questo peccato derivi da un amore naturale divenuto eccessivo o mal diretto. La divisione delle anime in due schiere – coloro che peccarono di lussuria eterosessuale e coloro che peccarono di lussuria omosessuale – evidenzia come entrambe le forme siano considerate varianti dello stesso eccesso, meritevoli dello stesso percorso purificatorio. Questa visione rappresenta un’importante evoluzione teologica nel pensiero dantesco.

Il tema del pentimento emerge con particolare intensità nei discorsi delle anime, specialmente in quello di Arnaut Daniel. Le parole “consiros vei la passada folor” (pentito vedo la follia passata) rivelano la piena consapevolezza del peccato e l’accettazione volontaria della pena. Questa consapevolezza è il primo passo verso la redenzione e dimostra come il pentimento sincero sia fondamentale nel processo di salvezza.

Particolarmente significativo è anche il tema della sublimazione dell’amore carnale. Le anime dei lussuriosi, attraverso il fuoco purificatore, vedono trasformarsi la loro passione terrena in amore spirituale. Questo processo rispecchia la concezione stilnovista dell’amore come forza che, opportunamente guidata, può elevare l’animo umano verso Dio, anziché degradarlo.

Gli incontri con Guido Guinizelli e Arnaut Daniel introducono il tema della tradizione poetica e dell’eredità culturale. Quando Dante riconosce in Guinizelli il “padre” del nuovo stile poetico e viene da lui indirizzato verso Arnaut come “miglior fabbro del parlar materno”, assistiamo a una riflessione sulla continuità e sull’evoluzione della poesia. Questi incontri suggeriscono che l’arte poetica possa essere uno strumento di elevazione spirituale, capace di sublimare la passione in espressione artistica e, infine, in contemplazione divina.

Il multilinguismo, rappresentato dall’uso del provenzale nel discorso di Arnaut, evidenzia un altro tema fondamentale: l’universalità dell’esperienza umana e della ricerca spirituale che trascende le barriere linguistiche e culturali. Dante suggerisce che, nonostante le differenze di lingua e tradizione, tutti gli esseri umani condividono lo stesso percorso di caduta e redenzione.

Infine, il canto esplora il tema dell’umiltà intellettuale. Anche i grandi poeti, ammirati da Dante, devono riconoscere i propri errori e sottoporsi al processo di purificazione. Questo dimostra che nessuna grandezza terrena, nemmeno quella artistica, esime dal giudizio morale e dalla necessità di purificazione, insegnamento fondamentale nell’economia morale della Commedia.

Il Canto 26 Purgatorio in pillole

AspettoDettaglioNote
CollocazioneSettima cornice del PurgatorioUltima cornice prima del Paradiso Terrestre, dedicata ai lussuriosi
AmbientazioneLe anime corrono attraverso le fiammeIl fuoco simboleggia sia il peccato della lussuria che lo strumento di purificazione
Struttura narrativaIncontro con i lussuriosi e dialogo con due poeti illustriIl canto segna la conclusione del percorso attraverso i sette peccati capitali
Personaggi principaliGuido Guinizelli, Arnaut DanielFigure centrali della tradizione poetica italiana e provenzale
Gruppi di animeDue schiere di lussuriosi (eterosessuali e omosessuali)Si muovono in direzioni opposte ma si scambiano esempi di virtù quando si incontrano
Peculiarità linguisticaDiscorso di Arnaut Daniel in provenzaleUnico caso nella Commedia in cui un personaggio si esprime in una lingua diversa dall’italiano
Figure retoricheSimilitudine delle formiche, metafora del “fabbro”, perifrasi, antitesiArricchiscono il tessuto poetico creando immagini vivide e suggestive
Temi principaliPurificazione, sublimazione dell’amore carnale, evoluzione della visione della lussuriaLa lussuria è presentata come eccesso di un sentimento naturale che può essere corretto
SimbolismoFuoco purificatore, baci scambiati tra le animeRappresentano rispettivamente la trasformazione della passione in amore spirituale e il riconoscimento della comune natura umana
Rapporto con l’InfernoRidefinizione della sodomia come forma di lussuriaNell’Inferno era considerata violenza contro natura, qui è equiparata alla lussuria eterosessuale
Elemento salvificoPentimento e consapevolezza del peccatoLe anime accettano volontariamente la purificazione per accedere al Paradiso

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