Il Canto 28 del Paradiso segna un momento cruciale nel viaggio ultraterreno di Dante, presentando la visione dei nove cerchi angelici che ruotano attorno a Dio come punto luminoso. In questo canto della Divina Commedia si delinea la struttura mistica dell’universo, dove l’ordine celeste rispecchia perfettamente la gerarchia divina attraverso il sistema tolemaico.
Dante affronta qui il paradosso della corrispondenza invertita tra mondo fisico e spirituale, illustrando come la grandezza divina si manifesti in modo controintuitivo rispetto alle leggi terrestri.
Indice:
- Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 28 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 28 del Paradiso della Divina Commedia
- Temi principali del 28 canto del Paradiso della Divina Commedia
- Il Canto 28 della Paradiso in pillole
Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| Poscia che ‘ncontro a la vita presente d’i miseri mortali aperse ‘l vero quella che ‘mparadisa la mia mente, | Dopo che Beatrice, lei che porta in Paradiso il mio spirito, mi ebbe manifestato la verità a condanna dell’attuale modo di vivere degli uomini peccatori, |
| come in lo specchio fiamma di doppiero vede colui che se n’alluma retro, prima che l’abbia in vista o in pensiero, | come in uno specchio vede la duplice fiamma di una torcia a due bracci colui che ne è illuminato alle spalle, prima di averla vista direttamente o pensata, |
| e sé rivolge per veder se ‘l vetro li dice il vero, e vede ch’el s’accorda con esso come nota con suo metro; | e si gira per verificare se lo specchio riflette ciò che davvero c’è, e vede che ciò corrisponde con l’immagine riflessa come il canto con la musica; |
| così la mia memoria si ricorda ch’io feci riguardando ne’ belli occhi onde a pigliarmi fece Amor la corda. | così mi ricordo di aver fatto guardando in quegli occhi santi con i quali Amore tese il laccio per catturare il mio cuore. |
| E com’ io mi rivolsi e furon tocchi li miei da ciò che pare in quel volume, quandunque nel suo giro ben s’adocchi, | E come mi girai e il mio sguardo fu colpito da quello che appariva in quel cielo, ogni volta che si osservi a fondo il suo movimento circolare, |
| un punto vidi che raggiava lume acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca chiuder conviensi per lo forte acume; | vidi un punto che emetteva una luce così intensa, che è necessario che l’occhio che esso illumina si chiuda a causa della grande intensità di quella; |
| e quale stella par quinci più poca, parrebbe luna, locata con esso come stella con stella si collòca. | e ogni stella che dalla terra appare più piccola, sembrerebbe grande come la luna, locata vicino a quel punto come se si collocasse una stella vicino a un’altra. |
| Forse cotanto quanto pare appresso alo cigner la luce che ‘l dipigne quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso, | Lontano forse quanto un alone sembra cingere da vicino la fonte luminosa che lo crea quando l’aria umida che lo produce è più densa, |
| distante intorno al punto un cerchio d’igne si girava sì ratto, ch’avria vinto quel moto che più tosto il mondo cigne; | così intorno a quel punto luminoso girava un cerchio di fuoco così veloce da superare il moto di quel cielo che con maggior velocità gira intorno all’universo; |
| e questo era d’un altro circumcinto, e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto, dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. | e questo cerchio era circondato da un altro cerchio, e poi da un terzo, e il terzo da un quarto, il quarto da un quinto, e il quinto da un sesto. |
| Sopra seguiva il settimo sì sparto già di larghezza, che ‘l messo di Iuno intero a contenerlo sarebbe arto. | Poi veniva il settimo cerchio, tanto esteso in larghezza, che l’intero arcobaleno sarebbe troppo stretto per contenerlo. |
| Così l’ottavo e ‘l nono; e chiascheduno più tardo si movea, secondo ch’era in numero distante più da l’uno; | Quindi c’erano l’ottavo e il nono cerchio; e ognuno si muoveva più lento a seconda di quanto nell’ordine si trovasse più lontano dal primo; |
| e quello avea la fiamma più sincera cui men distava la favilla pura, credo, però che più di lei s’invera. | e aveva la luce più vivida quello che era meno distante dal punto di pura luce, ritengo perché più penetra nella sua verità. |
| La donna mia, che mi vedëa in cura forte sospeso, disse: «Da quel punto depende il cielo e tutta la natura. | La mia donna, che mi vedeva sospeso in un forte dubbio, mi disse: «L’universo e tutta la sua natura fisica dipendono da quell’unico punto. |
| Mira quel cerchio che più li è congiunto; e sappi che ‘l suo muovere è sì tosto per l’affocato amore ond’ elli è punto». | Osserva il cerchio che gli sta più vicino; e sappi che il suo moto è tanto veloce a causa dell’ardente carità da cui è stimolato». |
| E io a lei: «Se ‘l mondo fosse posto con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; | Io le risposi: «Se l’universo fisico fosse disposto nell’ordine che io vedo in questi cerchi, ciò che mi è stato spiegato mi avrebbe saziato; |
| ma nel mondo sensibile si puote veder le volte tanto più divine, quant’ elle son dal centro più remote. | ma nel mondo fisico è facile notare che i cieli sono tanto più perfetti quanto più sono distanti dalla terra. |
| Onde, se ‘l mio disir dee aver fine in questo miro e angelico templo che solo amore e luce ha per confine, | Pertanto, se il mio desiderio deve essere soddisfatto in questo meraviglioso tempio che ha al suo esterno soltanto il cielo di amore e luce, |
| udir convienmi ancor come l’essemplo e l’esemplare non vanno d’un modo, ché io per me indarno a ciò contemplo». | devo sapere perché la copia e il modello perfetto dell’ordine celeste non si comportano nello stesso modo, poiché io da solo cerco invano di comprenderlo». |
| «Se li tuoi diti non sono a tal nodo sufficïenti, non è maraviglia: tanto, per non tentare, è fatto sodo!». | «Se le tue dita non riescono a sciogliere questo nodo, non c’è da stupirsi: così duro esso è diventato, perché nessuno ha provato a districarlo!». |
| Così la donna mia; poi disse: «Piglia quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; e intorno da esso t’assottiglia. | Così cominciò Beatrice; poi continuò: «Apprendi bene le cose che ora ti dirò, se vuoi soddisfare il tuo dubbio; e su di esse poi affina il tuo ragionamento. |
| Li cerchi corporai sono ampi e arti secondo il più e ‘l men de la virtute che si distende per tutte lor parti. | I cieli fisici sono grandi o stretti a seconda della maggiore o minore quantità di virtù che si diffonde nel loro spazio. |
| Maggior bontà vuol far maggior salute; maggior salute maggior corpo cape, s’elli ha le parti igualmente compiute. | Un bene maggiore produce maggiori influssi benefici; e un corpo più esteso ne contiene una maggior quantità, se ogni sua parte è perfetta. |
| Dunque costui che tutto quanto rape l’altro universo seco, corrisponde al cerchio che più ama e che più sape: | Dunque questo cielo che muove con sé tutte le parti dell’universo, coincide con quel cerchio angelico che più arde di carità e che più conosce Dio; |
| per che, se tu a la virtù circonde la tua misura, non a la parvenza de le sustanze che t’appaion tonde, | perciò, se tu limiti la tua misurazione alla quantità di virtù, non alle dimensioni di quelle sostanze angeliche che si presentano come cerchi, |
| tu vederai mirabil consequenza de maggio a più e di minore a meno, in ciascun cielo, a süa intelligenza». | comprenderai la mirabile corrispondenza, da maggior estensione a maggior virtù e da minore a più piccola, fra ogni cielo e la propria intelligenza angelica». |
| Come rimane splendido e sereno l’emisperio de l’aere, quando soffia Borea da quella guancia ond’ è più leno, | Come l’atmosfera torna luminosa e tersa, quando Borea soffia da quella direzione più moderata, |
| per che si purga e risolve la roffia che pria turbava, sì che ‘l ciel ne ride con le bellezze d’ogne sua paroffia; | per cui purifica e scioglie la nuvolaglia che prima l’offuscava, così che il cielo sorride con tutti gli splendori di ogni sua parte, |
| così fec’ïo, poi che mi provide la donna mia del suo risponder chiaro, e come stella in cielo il ver si vide. | così si fece la mia mente, dopo che Beatrice m’ebbe fornito della sua esauriente risposta, e vidi la verità come si vedono gli astri in un cielo sereno. |
| E poi che le parole sue restaro, non altrimenti ferro disfavilla che bolle, come i cerchi sfavillaro. | Non appena Beatrice finì di parlare, non diversamente dallo sfavillare del ferro incandescente, così i cerchi angelici si misero a scintillare. |
| L’incendio suo seguiva ogne scintilla; ed eran tante, che ‘l numero loro più che ‘l doppiar de li scacchi s’inmilla. | Ogni scintilla girava con il proprio cerchio infiammato, ed erano così numerose, che il loro numero superava le migliaia più del raddoppio della scacchiera. |
| Io sentiva osannar di coro in coro al punto fisso che li tiene a li ubi, e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. | Io sentii cantare l’Osanna da un cerchio all’altro verso Dio, il punto centrale che li conserva e sempre li conserverà nei posti in cui sono sempre stati. |
| E quella che vedëa i pensier dubi ne la mia mente, disse: «I cerchi primi t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. | E Beatrice, colei che leggeva nel pensiero i miei dubbi, mi disse: «I primi due cerchi luminosi ti hanno fatto vedere i Serafini e i Cherubini. |
| Così veloci seguono i suoi vimi, per somigliarsi al punto quanto ponno; e posson quanto a veder son soblimi. | Essi seguono tanto velocemente i loro legami, per identificarsi a Dio quanto più possono; e lo possono per quanto sono perfetti nella loro visione di Dio. |
| Quelli altri amori che ‘ntorno li vonno, si chiaman Troni del divino aspetto, per che ‘l primo ternario terminonno; | Quegli altri angeli che girano intorno a loro, si chiamano Troni di Dio, e completano la prima triplice gerarchia celeste; |
| e dei saper che tutti hanno diletto quanto la sua veduta si profonda nel vero in che si queta ogne intelletto. | e devi sapere che tutti questi angeli godono di tanta beatitudine quanto la loro vista penetra a fondo in Dio, la verità nella quale ogni mente trova pace. |
| Quinci si può veder come si fonda l’esser beato ne l’atto che vede, non in quel ch’ama, che poscia seconda; | Da questo si può comprendere come la beatitudine si basa sulla visione, non sull’amore, che viene dopo; |
| e del vedere è misura mercede, che grazia partorisce e buona voglia: così di grado in grado si procede. | e la misura della visione dipende dai meriti, che la Grazia divina e la buona volontà generano; così si sale da un gradino all’altro della beatitudine. |
| L’altro ternaro, che così germoglia in questa primavera sempiterna che notturno Arïete non dispoglia, | La seconda triplice gerarchia angelica, che fiorisce rigogliosa in questa eterna primavera celeste che l’autunno non può far appassire, |
| perpetüalemente ‘Osanna’ sberna con tre melode, che suonano in tree ordini di letizia onde s’interna. | canta in eterno l’Osanna con tre dolci cori, che risuonano dai tre ordini di angeli felici di cui essa si compone. |
| In essa gerarcia son l’altre dee: prima Dominazioni, e poi Virtudi; l’ordine terzo di Podestadi èe. | In questa gerarchia ci sono gli altri angeli divini: prima le Dominazioni, poi le Virtù, e il terzo ordine è quello delle Potestà. |
| Poscia ne’ due penultimi tripudi Principati e Arcangeli si girano; l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. | Poi nei due penultimi cerchi trionfanti ruotano i Principati e gli Arcangeli; l’ultimo cerchio è composto dalla gioia degli Angeli. |
| Questi ordini di sù tutti s’ammirano, e di giù vincon sì, che verso Dio tutti tirati sono e tutti tirano. | Tutti questi ordini angelici tendono con ammirazione verso l’alto, e verso il basso esercitano le loro influenze, così che tutti sono attirati e attirano verso Dio. |
| E Dïonisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise, che li nomò e distinse com’ io. | E Dionigi l’Areopagita iniziò con tale desiderio di conoscenza a studiare questi ordini angelici che li chiamò e li suddivise come ho fatto io. |
| Ma Gregorio da lui poi si divise; onde, sì tosto come li occhi aperse in questo ciel, di sé medesmo rise. | Poi Gregorio Magno dissentì dalle sue opinioni, per cui, non appena vide la verità in Paradiso sorrise della sua stessa teoria. |
| E se tanto secreto ver proferse mortale in terra, non voglio ch’ammiri: ché chi ‘l vide qua sù gliel discoperse con altro assai del ver di questi giri». | E non voglio che tu ti stupisca, se una verità tanto sublime poté annunciare un uomo mortale nel mondo terreno, poiché glielo rivelò san Paolo, colui che vide qui in cielo tale verità insieme a tante altre di queste sfere celesti». |
Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Nel Canto 28 del Paradiso, Dante e Beatrice raggiungono il Nono Cielo, l’Empireo, dove il poeta contempla la vera essenza del Paradiso. Dopo aver attraversato i cieli precedenti, Dante osserva finalmente il Punto Luminoso che rappresenta Dio, circondato da nove cerchi concentrici di luce sempre più ampi man mano che ci si allontana dal centro. Questi cerchi sono le gerarchie angeliche che ruotano intorno al punto divino con velocità inversamente proporzionale alla loro distanza: più sono vicini a Dio, più velocemente si muovono.
Il canto si apre con Beatrice che invita Dante a contemplare il riflesso della divina realtà nello specchio di lei. Il poeta vede un punto luminosissimo (Dio) circondato da nove cerchi di fuoco (i cori angelici) che ruotano. Beatrice spiega al poeta che questa è l’immagine reale del cosmo: il punto centrale rappresenta Dio e i cerchi sono le gerarchie angeliche che muovono i cieli. Questa visione costituisce una rivelazione fondamentale per Dante, poiché gli fa comprendere la vera struttura dell’universo, opposta a quella apparente.
Nei versi 10-39, Dante descrive lo stupore provato di fronte a questa meravigliosa visione, utilizzando un’elaborata similitudine con Latona (madre di Apollo e Diana) per spiegare l’intensità della luce divina. Il poeta nota che i cerchi più vicini al punto luminoso sono quelli che ruotano più velocemente, contrariamente a quanto accade nel mondo fisico, dove gli oggetti più lontani dal centro sembrano muoversi più rapidamente. Questa inversione simboleggia la differenza tra la realtà celeste e quella terrena.
Beatrice, comprendendo lo stupore di Dante, gli spiega nei versi 40-78 la struttura del Paradiso e il rapporto tra i cerchi angelici e i cieli astronomici. Chiarisce che la velocità dei cerchi angelici è direttamente proporzionale alla loro vicinanza a Dio e all’intensità del loro amore per Lui. Più l’angelo è vicino a Dio, maggiore è la sua conoscenza e il suo amore, e di conseguenza maggiore è la sua velocità di rotazione. Questa spiegazione ribalta la concezione aristotelico-tolemaica dell’universo che Dante conosceva, dove i cieli più esterni ruotavano più velocemente di quelli interni.
Nei versi 79-139, Beatrice illustra la corrispondenza tra le nove gerarchie angeliche e i nove cieli. Spiega che i Serafini, i più vicini a Dio, corrispondono al Primo Mobile, mentre i Cherubini al cielo delle Stelle Fisse. Seguono poi i Troni (cielo di Saturno), le Dominazioni (cielo di Giove), le Virtù (cielo di Marte), le Potestà (cielo del Sole), i Principati (cielo di Venere), gli Arcangeli (cielo di Mercurio) e gli Angeli (cielo della Luna). Questa corrispondenza rivela l’ordine divino che regola l’universo.
Beatrice prosegue evidenziando come San Gregorio Magno avesse proposto un diverso ordinamento delle gerarchie angeliche, ma come lui stesso, una volta giunto in Paradiso, abbia sorriso del proprio errore. Questo passaggio sottolinea l’impossibilità per la mente umana di comprendere pienamente le verità divine mentre è ancora legata alla dimensione terrena.
La parte conclusiva del canto, versi 130-139, contiene una riflessione sulla conoscenza umana e sulla sua limitatezza rispetto alla verità divina. Dante sottolinea come Dionigi l’Areopagita avesse invece intuito correttamente l’ordinamento delle gerarchie angeliche, avendo appreso la verità direttamente da San Paolo, che a sua volta l’aveva conosciuta durante il suo rapimento al terzo cielo.
Questo canto rappresenta un momento fondamentale nel viaggio di Dante, poiché gli permette di contemplare la vera struttura dell’universo, rivelando la relazione diretta tra Dio, gli angeli e i cieli astronomici. La visione dell’ordine cosmico che Dante riceve è perfettamente coerente con la concezione medievale dell’universo, dove ogni elemento ha un posto preciso nel disegno divino e dove tutto converge verso Dio come principio e fine ultimo.
Canto 28 Paradiso della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto 28 del Paradiso, i personaggi che incontriamo sono pochi ma di straordinaria importanza simbolica e teologica. Questo canto si distingue infatti per la rappresentazione della gerarchia celeste e delle intelligenze angeliche, piuttosto che per un’ampia galleria di figure individuali.
Il protagonista principale rimane Dante pellegrino, che osserva con meraviglia la struttura dei cieli e delle gerarchie angeliche. Accanto a lui troviamo Beatrice, che continua a svolgere il ruolo fondamentale di guida spirituale e teologica. È lei che spiega al poeta la disposizione delle intelligenze angeliche e la loro funzione nell’ordine cosmico. In questo canto, Beatrice assume pienamente il ruolo di interprete della sapienza divina, rivelando a Dante i segreti dell’ordinamento celeste con chiarezza didascalica e precisione dottrinale.
La figura di Beatrice si carica di un forte valore allegorico: non è più soltanto la donna amata dal poeta, ma l’incarnazione della Teologia e della Rivelazione divina, capace di condurre l’anima umana alla contemplazione delle verità supreme. Quando Dante si volge verso di lei, scorge nei suoi occhi il riflesso del punto luminoso e dei nove cerchi di fuoco, simbolo dell’ordine divino. Questa immagine riflessa negli occhi di Beatrice sottolinea ulteriormente il suo ruolo di mediatrice tra l’umano e il divino.
“Sì come io del suo raggio resplendo,\ncosì, riguardando ne li occhi belli,\ndi lei lo mio s’inluia; e fassi tale,\nche ciò che pare in ciel, quindi si vede” (vv. 10-13)
Oltre a Dante e Beatrice, nel Canto 28 non compaiono personaggi individuali in senso stretto, ma entità collettive rappresentate dalle gerarchie angeliche. I nove cori angelici sono organizzati in tre triadi: la prima formata da Serafini, Cherubini e Troni; la seconda da Dominazioni, Virtù e Potestà; la terza da Principati, Arcangeli e Angeli. Ciascun coro ha una funzione specifica nell’amministrazione dell’ordine divino.
I Serafini, descritti come le creature più vicine a Dio, sono caratterizzati dall’ardore della carità e dell’amore divino. I Cherubini, invece, rappresentano la pienezza della conoscenza divina. I Troni sono i portatori della giustizia divina, e così via per ciascun ordine angelico. Pur non essendo personaggi in senso tradizionale, questi cori angelici assumono un ruolo attivo nella narrazione come mediatori tra Dio e il creato, trasmettendo il movimento e l’influenza divina alle sfere celesti e, attraverso queste, al mondo terreno.
Un’assenza significativa in questo canto è quella di Dio stesso, che viene rappresentato solo come un punto luminosissimo attorno al quale ruotano i nove cerchi di fuoco. Questa scelta narrativa sottolinea l’inafferrabilità dell’essenza divina, che può essere percepita solo attraverso i suoi effetti sull’ordine cosmico e sulle gerarchie celesti.
Va notato che, sebbene non compaiano come personaggi veri e propri, Dante fa riferimento a figure della tradizione filosofica e teologica, come Dionigi l’Areopagita, Gregorio Magno e il filosofo pagano “che pon cura” (probabilmente Aristotele). Questi riferimenti servono a posizionare la visione dantesca all’interno della tradizione filosofica e teologica medievale, mostrando come il poeta integri e a volte corregga le interpretazioni precedenti.
“E Dionisio con tanto disio\na contemplar questi ordini si mise,\nche li nomò e distinse com’io” (vv. 130-132)
In conclusione, i personaggi del Canto 28 del Paradiso sono funzionali alla rappresentazione dell’ordine cosmico e della gerarchia celeste. Dante e Beatrice, con i loro ruoli di discepolo e maestra, permettono al lettore di accedere alla contemplazione delle verità ultime, mentre i cori angelici, pur non essendo personaggi individuali, assumono un ruolo collettivo fondamentale nella trasmissione dell’influenza divina attraverso l’universo. L’intero canto si configura così come una complessa allegoria in cui ciascuna figura contribuisce alla rappresentazione della perfezione dell’ordine divino e della sua manifestazione nel cosmo.
Analisi del Canto 28 del Paradiso: elementi tematici e narrativi
Nel Canto 28 del Paradiso, Dante sviluppa una complessa architettura tematica e narrativa che rappresenta il culmine della sua visione cosmologica. Il poeta, giunto nel Cielo Cristallino o Primo Mobile, contempla finalmente l’ordinamento celeste nella sua forma più pura, osservando i nove cerchi angelici che ruotano intorno a un punto luminoso, simbolo della divinità.
Il tema dominante del canto è la riflessione sul rapporto tra l’ordine divino e la percezione umana. Dante affronta questo concetto attraverso il paradosso della visione speculare: ciò che nel mondo fisico appare più grande (le sfere celesti), nella realtà divina risulta più piccolo, mentre ciò che appare come un punto infinitesimale (Dio) è in realtà l’immensità che tutto contiene. Questo rovesciamento prospettico costituisce un importante elemento narrativo che sottolinea come la verità divina sia spesso l’opposto dell’apparenza sensibile.
Particolarmente significativa è la struttura narrativa che si articola in tre momenti principali: inizialmente la visione del punto luminoso e dei cerchi angelici, poi il dialogo chiarificatore con Beatrice, infine la spiegazione dell’ordinamento delle gerarchie angeliche. Questa progressione rispecchia il percorso conoscitivo di Dante che procede dalla meraviglia alla comprensione attraverso un processo di illuminazione guidata.
L’elemento tematico della corrispondenza tra macrocosmo e microcosmo emerge con particolare forza in questo canto. I nove cerchi angelici corrispondono ai nove cieli attraversati nel viaggio paradisiaco, creando un’armonia strutturale che riflette l’ordine divino dell’universo. Questo parallelismo, tipico della visione medievale, viene però rielaborato da Dante in chiave originale, introducendo l’elemento della velocità e dell’ardore come misure della vicinanza a Dio.
Rispetto agli altri canti del Paradiso, il 28 presenta una marcata dimensione didascalica che si esprime attraverso un dialogo più intenso con Beatrice. La guida celeste assume qui il ruolo specifico di chiarire un dubbio teologico-filosofico, diventando mediatrice tra l’ineffabile realtà divina e la limitata capacità comprensiva di Dante. Questo aspetto didattico si distingue dalla contemplazione estatica più tipica di altri canti paradisiaci.
Un ulteriore elemento narrativo degno di nota è il richiamo alla tradizione filosofica attraverso la menzione di Dionigi l’Areopagita e Gregorio Magno, autori di trattati sulle gerarchie angeliche. Dante costruisce un dialogo con la tradizione teologica precedente, inserendosi in essa e proponendo anche un giudizio critico. Questo procedimento è tipico del Paradiso, ma qui assume particolare rilevanza perché tocca direttamente l’ordinamento cosmologico rappresentato.
L’aspetto più innovativo della narrazione risiede nel modo in cui Dante riesce a rendere visivamente percepibile l’astratto concetto dell’ordinamento angelico. Attraverso l’immagine dei cerchi concentrici di luce, il poeta trasforma un complesso sistema teologico in una visione poetica accessibile anche al lettore contemporaneo, dimostrando la sua straordinaria capacità di fondere teologia, filosofia e poesia.
In sintesi, il Canto 28 rappresenta un capolavoro di equilibrio tra narrazione e didascalia, tra visione estatica e spiegazione razionale, riuscendo a tradurre in forma poetica alcune delle più complesse questioni cosmologiche e teologiche del pensiero medievale.
Figure retoriche nel Canto 28 del Paradiso della Divina Commedia
Nel Canto 28 del Paradiso, Dante impiega un ricco apparato retorico per rendere accessibili ai lettori le complesse visioni celestiali e i concetti teologici che caratterizzano questa parte dell’opera. La sofisticata costruzione stilistica permette al poeta di tradurre in parole l’ineffabile esperienza della contemplazione divina.
La similitudine è una delle figure più utilizzate nel canto, come dimostra il celebre paragone iniziale: “come in vetro, in ambra od in cristallo / raggio resplende sì” (vv. 4-5). Qui Dante paragona il punto luminosissimo che vede riflesso negli occhi di Beatrice a un raggio di luce che attraversa vetro, ambra o cristallo, creando un’immagine visiva immediata per rappresentare la luce divina.
Particolarmente significativa è anche la similitudine dei cerchi concentrici: “così parlar conviensi al vostro ingegno, / però che solo da sensato apprende / ciò che fa poscia d’intelletto degno” (vv. 40-42). In questi versi, Dante giustifica l’uso stesso della similitudine come strumento necessario per rendere comprensibile all’intelletto umano, attraverso i sensi, realtà che trascendono l’esperienza sensibile.
L’antitesi è un’altra figura retorica fondamentale che permette a Dante di esprimere la paradossale inversione tra mondo materiale e spirituale. Si nota infatti nei versi: “e questo era d’un altro circumcinto, / e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto” (vv. 25-26), dove il poeta evidenzia come nel regno celeste, contrariamente al mondo fisico, i cerchi sono tanto più veloci e luminosi quanto più sono vicini al centro divino.
La metafora dei nove cerchi concentrici per rappresentare le gerarchie angeliche costituisce l’impalcatura retorica dell’intero canto: “Io vidi più fulgor vivi e vincenti / far di noi centro e di sé far corona” (vv. 10-11). Questa metafora estesa attraversa tutto il canto e consente al poeta di visualizzare l’ordinamento cosmico secondo la visione medievale.
L’ossimoro appare in passi come “sustanze che ti paron tonde” (v. 74), dove Dante gioca sulla percezione visiva degli angeli che appaiono come cerchi pur essendo sostanze spirituali, creando una tensione linguistica che riflette la difficoltà di descrivere entità divine con termini umani.
Particolarmente potente è l’uso dell’iperbole quando Dante tenta di descrivere la luminosità dei cerchi angelici: “un punto vidi che raggiava lume / acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca / chiuder conviensi per lo forte acume” (vv. 16-18). L’intensità della luce è talmente elevata che costringe l’occhio a chiudersi, sottolineando la trascendenza dell’esperienza.
La sinestesia compare quando Dante fonde percezioni sensoriali diverse: “io sentiva osannar di coro in coro” (v. 94), dove l’esperienza visiva dei cerchi angelici si unisce all’esperienza uditiva del loro canto, creando un’impressione multisensoriale dell’esperienza paradisiaca.
Nel canto è frequente l’uso dell’anafora, come nei versi: “Così veloci seguono i suoi vimi, / così distinti nell’ordine ch’io dico” (vv. 133-134), dove la ripetizione di “così” enfatizza il parallelismo tra velocità e ordine gerarchico degli angeli.
Da segnalare è anche la perifrasi usata per indicare Dio: “il punto che mi vinse, / parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude” (vv. 41-42). Invece di nominare direttamente la divinità, Dante utilizza una circonlocuzione che ne sottolinea il paradosso: il punto che contiene tutto pur sembrando contenuto.
L’allitterazione arricchisce la musicalità del verso in passi come “le menti tutte nel suo lieto aspetto” (v. 106), dove la ripetizione dei suoni “t” e “l” crea un effetto fonico che sviluppa armonia e fluidità, riflettendo musicalmente l’ordine celeste descritto.
Anche il climax ascendente è presente quando Dante elenca le gerarchie angeliche in ordine crescente di importanza e vicinanza a Dio: “Troni, Dominazioni, Principati e Potestà, Virtù, Cherubini e Serafini”, costruendo una progressione che culmina con i Serafini, gli angeli più vicini a Dio.
L’interrogazione retorica emerge nei versi in cui Beatrice sollecita Dante: “Ma dimmi: i cerchi corporai son tanto / più divini, quant’e’ son dal centro più remoti” (vv. 49-51), strumento usato non per ottenere informazioni ma per indurre una riflessione sull’ordine cosmico.
Infine, merita menzione l’apostrofe con cui Dante si rivolge direttamente al lettore: “O voi che siete in piccioletta barca” (Paradiso, II, v. 1), figura che, pur non essendo presente in questo canto specifico, è caratteristica dello stile dantesco e serve a stabilire un dialogo diretto con il pubblico.
Queste figure retoriche non sono meri ornamenti stilistici, ma strumenti essenziali attraverso cui Dante riesce a rendere concreto e comunicabile ciò che per definizione sfugge alla comprensione umana: la visione del divino e l’ordinamento celeste.
Temi principali del 28 canto del Paradiso della Divina Commedia
Il Canto 28 del Paradiso rappresenta un momento cruciale nel viaggio dantesco, in cui il poeta affronta alcuni dei temi più elevati e complessi dell’intera Commedia. Questi temi si intrecciano in una visione armonica che riflette la struttura stessa dell’universo secondo la concezione medievale.
Il primo tema fondamentale è la visione della struttura gerarchica dell’universo. Dante ci presenta un sistema cosmologico in cui i nove cieli concentrici ruotano intorno a un punto luminoso, Dio, con velocità proporzionale alla loro vicinanza a tale centro. Questa rappresentazione ribalta l’immagine tradizionale tolemaica, dove la Terra è al centro e i cieli le ruotano attorno. Nel modello dantesco, invece, Dio è il centro immobile e i cori angelici gli ruotano intorno con velocità crescente quanto più sono vicini al centro divino. Questo rovesciamento prospettico è emblematico della visione teologica dell’epoca: ciò che appare più lontano nella realtà fisica è in verità più vicino alla realtà spirituale.
Un secondo tema centrale è la corrispondenza tra ordine cosmico e ordine angelico. Dante stabilisce una precisa correlazione tra i nove cieli astronomici e i nove ordini angelici che li muovono: Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli e Angeli. Questa corrispondenza non è casuale ma riflette la visione neoplatonica e tomistica dell’universo come sistema perfettamente ordinato in cui ogni elemento ha una precisa collocazione e funzione. Attraverso questa struttura, Dante evidenzia come l’ordine materiale sia specchio dell’ordine spirituale.
La contemplazione dell’armonia universale emerge come terzo tema significativo. Il poeta esprime meraviglia di fronte alla perfezione dell’ordine cosmico, che riflette la sapienza divina. La descrizione dei cerchi angelici che ruotano intorno al punto luminoso con velocità diverse ma in perfetta armonia simboleggia la concordia universale voluta da Dio. Questa armonia non è solo estetica ma ontologica: rappresenta la perfezione dell’essere che deriva dal suo partecipare al disegno divino.
Il quarto tema è il rapporto tra conoscenza umana e verità divina. Nel dialogo con Beatrice, Dante affronta il problema della discrepanza tra ciò che appare ai sensi e la realtà metafisica. La confusione iniziale del poeta di fronte al rovesciamento del modello cosmico simboleggia i limiti della conoscenza umana quando si confronta con le verità più elevate. Solo attraverso la guida della teologia, personificata da Beatrice, l’intelletto umano può superare le apparenze e cogliere la verità più profonda.
Di particolare rilevanza è anche il tema della luce come manifestazione del divino. Il punto luminosissimo che Dante contempla è rappresentazione di Dio come fonte di ogni luce intellettuale e spirituale. I cerchi angelici risplendono di questa luce in misura proporzionale alla loro vicinanza alla fonte. La metafora della luce, ricorrente in tutto il Paradiso, raggiunge qui una delle sue espressioni più intense, mostrando come la conoscenza vera sia illuminazione che viene dall’alto.
Infine, il canto affronta il tema dell’amore come principio cosmico. Il movimento circolare degli ordini angelici è mosso dall’amore per Dio, un amore che è tanto più intenso quanto più l’essere è vicino al centro divino. Questa concezione dell’amore come forza cosmica che muove l’universo è profondamente radicata nella tradizione filosofica medievale, da Aristotele a San Tommaso, e trova nel Canto 28 una delle sue più alte espressioni poetiche.
Questi temi si intrecciano in una visione unitaria che rappresenta una sintesi magistrale della cosmologia, dell’angelologia e della teologia medievale, resa accessibile attraverso l’impareggiabile arte poetica dantesca.
Il Canto 28 della Paradiso in pillole
| Elemento Analizzato | Descrizione Sintetica | Punti Chiave |
|---|---|---|
| Ambientazione | Nono cielo (Primo Mobile) | Dante osserva il punto luminosissimo (Dio) circondato da nove cerchi angelici |
| Struttura cosmologica | Visione dei nove cori angelici disposti in cerchi concentrici | Inversione rispetto al mondo fisico: i cerchi più vicini a Dio sono più veloci e più piccoli |
| Gerarchia angelica | Nove cori angelici divisi in tre triadi | Prima triade: Serafini, Cherubini, Troni; Seconda triade: Dominazioni, Virtù, Potestà; Terza triade: Principati, Arcangeli, Angeli |
| Spiegazione di Beatrice | Chiarimento sulla relazione tra mondo fisico e mondo spirituale | I cieli materiali sono governati dai cori angelici; velocità e grandezza sono proporzionali alla virtù |
| Corrispondenze | Ogni cielo è governato da un coro angelico | Primo Mobile-Serafini, Stellato-Cherubini, Saturno-Troni, ecc. |
| Confronto con teorie precedenti | Riferimento al sistema tolemaico e alla gerarchia angelica di Dionigi Areopagita | Dante integra cosmologia aristotelico-tolemaica con angelologia cristiana |
| Simbologia numerica | Centralità del numero nove | Nove cerchi angelici, nove cieli, simbolo di perfezione e trinità |
| Aspetti stilistici | Elevazione del linguaggio poetico | Uso di metafore luminose, riferimenti astronomici, lessico teologico-filosofico |