Divina Commedia, Canto 28 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 28 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il Canto 28 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nell'itinerario spirituale della Divina Commedia, in cui Dante varca la soglia del Paradiso Terrestre.

Il Canto 28 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nell’itinerario spirituale della Divina Commedia, in cui Dante varca la soglia del Paradiso Terrestre collocato sulla sommità della montagna purgatoriale. Questo passaggio simbolico segna l’avvenuta purificazione del poeta pellegrino e la sua preparazione all’incontro con Beatrice, che sostituirà Virgilio come guida nell’ascesa al Paradiso. Il canto è caratterizzato da un’ambientazione edenica di straordinaria bellezza che contrasta con i paesaggi penitenziali delle cornici precedenti.

Nel nostro approfondimento esploreremo il testo originale, offriremo una parafrasi dettagliata e analizzeremo le numerose figure retoriche impiegate da Dante per descrivere la foresta divina e l’incontro con Matelda, figura femminile che simboleggia la felicità terrena nella sua forma più pura e incontaminata.

Nel Paradiso Terrestre Dante ritrova la condizione primigenia dell’umanità, un luogo di perfezione e armonia che anticipa le meraviglie celesti. Matelda, raccogliendo fiori in un paesaggio idilliaco, introduce il pellegrino ai misteri dei fiumi Lete ed Eunoé, elementi fondamentali per completare la purificazione dell’anima.

Indice:

Canto 28 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Vago già di cercar dentro e dintorno
la divina foresta spessa e viva,
ch’a li occhi temperava il novo giorno,
Desideroso ormai di esplorare dentro e intorno
la foresta divina, fitta e rigogliosa,
che mitigava agli occhi la luce del nuovo giorno,
sanza più aspettar, lasciai la riva
prendendo la campagna lento lento
su per lo suol che d’ogne parte auliva.
senza più aspettare, lasciai la riva
avanzando nella pianura molto lentamente
sul terreno che da ogni parte profumava.
Un’aura dolce, sanza mutamento
avere in sé, mi feria per la fronte
non di più colpo che soave vento;
Una brezza dolce, che non mutava
intensità, mi colpiva sulla fronte
non più forte di un vento leggero;
per cui le fronde, tremolando, pronte
tutte quante piegavano a la parte
u’ la prim’ombra gitta il santo monte;
a causa della quale le foglie, tremolando, prontamente
si piegavano tutte quante nella direzione
dove il monte sacro proietta la sua prima ombra (verso occidente);
non però dal loro esser dritto sparte
tanto, che li augelletti per le cime
lasciasser d’operare ogne lor arte;
non si allontanavano però dalla loro posizione eretta
così tanto da impedire agli uccellini tra le cime
di continuare ad esercitare la loro arte del canto;
ma con piena letizia l’ore prime,
cantando, ricevieno intra le foglie,
che tenevan bordone a le sue rime,
anzi con piena letizia le prime ore del giorno,
cantando, ricevevano tra le foglie,
che facevano da accompagnamento musicale ai loro versi,
tal qual di ramo in ramo si raccoglie
per la pineta in su ‘l lito di Chiassi,
quand’Eolo scilocco fuor discioglie.
proprio come (il rumore) si raccoglie di ramo in ramo
nella pineta sul lido di Classe (vicino a Ravenna),
quando Eolo libera fuori il vento di scirocco.
Già m’avean trasportato i lenti passi
dentro a la selva antica, tanto ch’io
non potea rivedere ond’io mi ‘ntrassi;
Già i miei lenti passi mi avevano portato
dentro l’antica selva, tanto che io
non potevo più vedere da dove fossi entrato;
ed ecco più andar mi tolse un rio,
che ‘nver’ sinistra con sue picciole onde
piegava l’erba che ‘n sua ripa uscìo.
ed ecco che un ruscello mi impedì di proseguire,
che verso sinistra con le sue piccole onde
piegava l’erba che cresceva sulla sua riva.
Tutte l’acque che son di qua più monde,
parrieno avere in sé mistura alcuna
verso di quella, che nulla nasconde,
Tutte le acque che sono di qua (sulla terra) più pure,
sembrerebbero avere in sé qualche impurità
rispetto a quella, che nulla nasconde,
avvegna che si mova bruna bruna
sotto l’ombra perpetua, che mai
raggiar non lascia sole ivi né luna.
benché scorra molto scura
sotto l’ombra perenne, che mai
lascia penetrare lì i raggi del sole né della luna.
Coi piè ristretti e con li occhi passai
di là dal fiumicello, per mirare
la gran variazion d’i freschi mai;
Con i piedi fermi e con gli occhi attraversai
al di là del fiumicello, per ammirare
la grande varietà di verdi fronde;
e là m’apparve, sì com’elli appare
subitamente cosa che disvia
per maraviglia tutto altro pensare,
e là mi apparve, così come appare
improvvisamente qualcosa che distoglie
per lo stupore ogni altro pensiero,
una donna soletta che si gia
e cantando e scegliendo fior da fiore
ond’era pinta tutta la sua via.
una donna sola che se ne andava
sia cantando che scegliendo fiore da fiore
di cui era colorato tutto il suo cammino.
«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore
ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti
che soglion esser testimon del core,
«Deh, bella donna, che ai raggi d’amore
ti riscaldi, se devo credere all’aspetto
che suole essere testimone del cuore,
vegnati in voglia di trarreti avanti»,
diss’io a lei, «verso questa rivera,
tanto ch’io possa intender che tu canti.
ti prego di venir avanti»,
dissi a lei, «verso questo fiume,
tanto che io possa capire ciò che canti.
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
la madre lei, ed ella primavera».
Tu mi fai ricordare dove e come era
Proserpina nel momento in cui perse
la madre lei, ed ella la primavera».
Come si volge, con le piante strette
a terra e intra sé, donna che balli,
e piede innanzi piede a pena mette,
Come si volta, con i piedi aderenti
al suolo e vicini tra loro, una donna che balli,
e mette appena un piede davanti all’altro,
volsesi in su i vermigli e in su i gialli
fioretti verso me, non altrimenti
che vergine che li occhi onesti avvalli;
così si volse, sui fiori vermigli e gialli,
verso di me, non diversamente
da una vergine che abbassi gli occhi per modestia;
e fece i prieghi miei esser contenti,
sì appressando sé, che ‘l dolce suono
veniva a me co’ suoi intendimenti.
e rese soddisfatte le mie preghiere,
avvicinandosi tanto che il dolce suono
giungeva a me insieme al suo significato.
Tosto che fu là dove l’erbe sono
bagnate già da l’onde del bel fiume,
di levar li occhi suoi mi fece dono.
Appena fu là dove le erbe sono
già bagnate dalle onde del bel fiume,
mi fece dono di alzare i suoi occhi.
Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
dal figlio fuor di tutto suo costume.
Non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia di Venere, trafitta
dal figlio (Cupido) contro ogni sua abitudine.
Ella ridea da l’altra riva dritta,
trattando più color con le sue mani,
che l’alta terra sanza seme gitta.
Ella sorrideva dall’altra riva eretta,
maneggiando più colori con le sue mani,
che l’alta terra produce spontaneamente senza seme.
Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Elesponto, là ‘ve passò Serse,
ancora freno a tutti orgogli umani,
Tre passi ci teneva lontani il fiume;
ma l’Ellesponto, là dove passò Serse,
ancora freno a tutti gli orgogli umani,
più odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto e Abido,
che quel da me perch’allor non s’aperse.
non ricevette più odio da Leandro
per il suo mare agitato tra Sesto e Abido,
di quanto ne ricevette quello (il fiume) da me perché allora non si aprì.
«Voi siete nuovi, e forse perch’io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo eletto
a l’umana natura per suo nido,
«Voi siete nuovi (appena arrivati), e forse perché io rido»,
cominciò ella, «in questo luogo scelto
per essere dimora dell’umana natura,
maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
che puote disnebbiar vostro intelletto.
lo stupore vi tiene in qualche sospetto;
ma il salmo ‘Delectasti’ porta luce,
che può dissipare la nebbia dal vostro intelletto.
E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
ad ogne tua question tanto che basti».
E tu che sei davanti e mi hai pregato,
dimmi se vuoi ascoltare altro; poiché io venni pronta
a rispondere a ogni tua domanda tanto quanto basti».
«L’acqua», diss’io, «e ‘l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
di cosa ch’io udi’ contraria a questa».
«L’acqua», dissi io, «e il suono della foresta
contrastano dentro di me la nuova convinzione
riguardo a qualcosa che udii contraria a questa».
Ond’ella: «Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
e purgherò la nebbia che ti fiede.
Per cui ella: «Io ti spiegherò come avviene
per sua causa ciò che ti fa meravigliare,
e dissiperò la nebbia che ti offusca.
Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace,
fé l’uom buono e a bene, e questo loco
diede per arr’a lui d’etterna pace.
Il sommo Bene, che solo esso in sé trova compiacimento,
creò l’uomo buono e incline al bene, e questo luogo
gli diede come caparra di eterna pace.
Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto e in affanno
cambiò onesto riso e dolce gioco.
Per sua colpa qui dimorò poco;
per sua colpa in pianto e in affanno
mutò l’onesto sorriso e il dolce gioco.
Perché ‘l turbar che sotto da sé fanno
l’essalazion de l’acqua e de la terra,
che quanto posson dietro al calor vanno,
Affinché il turbamento che sotto di sé producono
le esalazioni dell’acqua e della terra,
che quanto possono seguono il calore,
a l’uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte salìo verso ‘l ciel tanto,
e libero n’è d’indi ove si serra.
all’uomo non facesse alcuna guerra,
questo monte si innalzò verso il cielo tanto,
ed è libero da esse dal punto in cui si chiude.
Or perché in circuito tutto quanto
l’aere si volge con la prima volta,
se non li è rotto il cerchio d’alcun canto,
Ora, poiché in circolo tutto quanto
l’aria si muove con il primo mobile (il cielo),
se non è interrotto il cerchio da qualche parte,
in questa altezza ch’è tutta disciolta
ne l’aere vivo, tal moto percuote,
e fa sonar la selva perch’è folta;
in questa altezza che è tutta libera
nell’aria pura, tale movimento colpisce,
e fa suonare la selva perché è folta;
e la percossa pianta tanto puote,
che de la sua virtute l’aura impregna
e quella poi, girando, intorno scuote;
e la pianta percossa ha tanto potere,
che della sua virtù impregna l’aria
e quella poi, girando, intorno scuote;
e l’altra terra, secondo ch’è degna
per sé e per suo ciel, concepe e figlia
di diverse virtù diverse legna.
e l’altra terra (quella abitata dagli uomini), secondo che è adatta
per natura e per il suo clima, concepisce e genera
piante di diverse proprietà.
Non parrebbe di là poi maraviglia,
udito questo, quando alcuna pianta
sanza seme palese vi s’appiglia.
Non sembrerebbe poi una meraviglia, laggiù,
udito questo, quando qualche pianta
vi attecchisce senza seme visibile.
E saper dei che la campagna santa
dove tu se’, d’ogne semenza è piena,
e frutto ha in sé che di là non si schianta.
E devi sapere che la pianura santa
dove tu sei, è piena di ogni tipo di seme,
e ha in sé frutti che di là (sulla terra) non si colgono.
L’acqua che vedi non surge di vena
che ristori vapor che gel converta,
come fiume ch’acquista e perde lena;
L’acqua che vedi non sgorga da sorgente
che reintegri vapore che il freddo condensa,
come un fiume che acquista e perde forza;
ma esce di fontana salda e certa,
che tanto dal voler di Dio riprende,
quant’ella versa da due parti aperta.
ma esce da una fontana stabile e sicura,
che tanto dalla volontà di Dio riprende,
quanto essa riversa aprendosi in due parti.
Da questa parte con virtù discende
che toglie altrui memoria del peccato;
da l’altra d’ogne ben fatto la rende.
Da questa parte scende con la virtù
che toglie altrui il ricordo del peccato;
dall’altra restituisce la memoria di ogni buona azione.
Quinci Letè; così da l’altro lato
Eunoè si chiama, e non adopra
se quinci e quindi pria non è gustato:
Da qui Lete; così dall’altro lato
Eunoè si chiama, e non ha effetto
se prima non si è bevuto da entrambi:
a tutti altri sapori esto è di sopra.
E avvegna ch’assai possa esser sazia
la sete tua perch’io più non ti scuopra,
questo è superiore a tutti gli altri sapori.
E benché possa essere molto soddisfatta
la tua sete perché non ti rivelo di più,
darotti un corollario ancor per grazia;
né credo che ‘l mio dir ti sia men caro,
se oltre promession teco si spazia.
ti darò ancora un’aggiunta per grazia;
né credo che il mio dire ti sia meno caro,
se si estende con te oltre quanto promesso.
Quelli ch’anticamente poetaro
l’età de l’oro e suo stato felice,
forse in Parnaso esto loco sognaro.
Quelli che anticamente cantarono in poesia
l’età dell’oro e la sua felice condizione,
forse sul Parnaso sognarono questo luogo.
Qui fu innocente l’umana radice;
qui primavera sempre e ogne frutto;
nettare è questo di che ciascun dice».
Qui fu innocente la stirpe umana;
qui è sempre primavera e ogni frutto;
questo è il nettare di cui ciascuno parla».
Io mi rivolsi ‘n dietro allora tutto
a’ miei poeti, e vidi che con riso
udito avean l’ultimo costrutto;
Io mi rivolsi indietro allora completamente
verso i miei poeti, e vidi che con un sorriso
avevano ascoltato l’ultima spiegazione;
poi a la bella donna torna’ il viso.poi rivolsi nuovamente lo sguardo alla bella donna.

Canto 28 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 28 del Purgatorio segna uno dei momenti più significativi del viaggio dantesco: l’ingresso nel Paradiso Terrestre. Situato sulla cima della montagna del Purgatorio, questo luogo rappresenta l’ultima tappa prima dell’ascesa al Paradiso vero e proprio. Dopo aver completato la purificazione attraverso le sette cornici, Dante si trova finalmente nel giardino edenico, simbolo della condizione umana prima del peccato originale.

Il canto si apre con la descrizione di una “divina foresta spessa e viva” che filtra la luce del mattino. Dante, desideroso di esplorare questo luogo meraviglioso, inizia a incamminarsi lentamente attraverso un terreno profumato. L’atmosfera è caratterizzata da un’aria dolce e costante che soffia sempre nella stessa direzione, facendo piegare le fronde degli alberi verso occidente. Questo vento rappresenta allegoricamente l’ordine divino che regola il cosmo, in netto contrasto con le perturbazioni atmosferiche del mondo terreno.

Mentre procede nella foresta, Dante si imbatte in un ruscello dall’acqua limpidissima che scorre sotto gli alberi. Questo corso d’acqua, che più avanti verrà identificato come il fiume Lete, impedisce a Dante di proseguire oltre. Sulla riva opposta, il poeta scorge una figura femminile solitaria che canta e raccoglie fiori: è Matelda, personaggio dalla forte valenza simbolica che rappresenta la felicità terrena nella sua forma più pura e incontaminata.

Incantato da questa visione, Dante si rivolge a Matelda supplicandola di avvicinarsi per poter udire meglio il suo canto. La donna si accosta alla riva del fiume, permettendo a Dante di osservare il suo volto luminoso. Inizia così un dialogo in cui il poeta esprime la sua meraviglia per quel luogo paradisiaco, facendo riferimento ai versi virgiliani che descrivevano l’età dell’oro.

Nella seconda parte del canto, Matelda assume il ruolo di guida didattica, spiegando a Dante la natura del Paradiso Terrestre. Innanzitutto, chiarisce che il vento che soffia nella foresta non è causato da fenomeni atmosferici, ma proviene dal movimento del Primo Mobile, il nono cielo che, secondo la cosmologia medievale, trasmette il movimento a tutte le sfere celesti inferiori.

Matelda prosegue la sua spiegazione illustrando l’origine e la funzione dei due fiumi che attraversano l’Eden: il Lete, che ha il potere di cancellare la memoria dei peccati commessi, e l’Eunoè, che rafforza invece il ricordo delle buone azioni. Entrambi sgorgano da un’unica fonte per volontà divina. Questi fiumi rappresentano l’ultima fase di purificazione necessaria prima dell’ascesa al Paradiso.

Particolarmente significativo è il passaggio in cui Matelda ricorda come questo luogo rappresenti lo stato originario dell’umanità prima della caduta: “Lo sommo ben, che solo esso a sé piace, / fece l’uom buono e a bene, e questo loco / diede per arra a lui d’etterna pace”. Il Paradiso Terrestre fu dunque concesso all’uomo come “caparra” della felicità eterna, ma venne perduto a causa del peccato originale.

Il canto si conclude con un riferimento ai poeti dell’antichità che cantarono l’età dell’oro: secondo Matelda, essi potrebbero aver sognato proprio questo luogo sul monte Parnaso, sede delle Muse. Questo collegamento tra la tradizione classica e la rivelazione cristiana sottolinea la tendenza di Dante a integrare il sapere pagano all’interno di una visione teologica cristiana.

In sintesi, il Canto 28 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale di transizione nel viaggio dantesco: dopo aver completato il percorso di purificazione, Dante si trova ora nel luogo che prepara l’incontro con Beatrice, simbolo della rivelazione divina che lo guiderà attraverso i cieli del Paradiso. Il Paradiso Terrestre, con la sua perfezione naturale e i suoi fiumi purificatori, costituisce così l’anticamera necessaria alla contemplazione di Dio.

Canto 28 Purgatorio del Divina Commedia: i personaggi

Nel Canto 28 del Purgatorio, i personaggi sono pochi ma estremamente significativi. Il protagonista principale è naturalmente Dante pellegrino, che ha appena concluso il suo percorso attraverso le sette cornici del Purgatorio e raggiunge finalmente il Paradiso Terrestre, simbolo dell’innocenza primigenia dell’umanità.

Il poeta si trova in uno stato di meraviglia contemplativa, vagando attraverso una foresta lussureggiante che rappresenta la perfezione della natura incontaminata. La sua reazione emotiva al paesaggio edenico è caratterizzata da stupore e ammirazione, sentimenti che rivelano come egli stia gradualmente preparandosi all’incontro con Beatrice nei canti successivi.

L’altro personaggio centrale del canto è Matelda, una figura femminile che Dante incontra mentre raccoglie fiori sulle rive di un ruscello. La sua apparizione è descritta con immagini di straordinaria bellezza:

“E là m’apparve, sì com’elli appare / subitamente cosa che disvia / per maraviglia tutto altro pensare, / una donna soletta che si gia / e cantando e scegliendo fior da fiore / ond’era pinta tutta la sua via”

Matelda rappresenta l’allegoria della felicità terrena nella sua forma più pura e innocente. La sua bellezza e la sua armonia con la natura riflettono la condizione umana prima del peccato originale. È significativo che sia proprio lei a introdurre Dante ai misteri del Paradiso Terrestre, spiegandogli l’origine e il significato dei due fiumi Lete ed Eunoè.

Sebbene non fisicamente presenti nel canto, si avverte l’imminente commiato da Virgilio, che ha guidato Dante fino a questo punto ma non potrà accompagnarlo oltre, e l’attesa di Beatrice, che comparirà nel canto successivo come rappresentante della rivelazione divina.

Il rapporto tra Dante e Matelda è caratterizzato da un profondo rispetto e da una curiosità intellettuale. Il poeta si rivolge a lei con reverenza, chiamandola “bella donna” e chiedendole spiegazioni sugli elementi misteriosi del Paradiso Terrestre. Matelda risponde con gentilezza e saggezza, chiarendo i dubbi di Dante e preparandolo spiritualmente al suo prossimo incontro con Beatrice.

Questo dialogo tra Dante e Matelda rappresenta un momento cruciale nella trasformazione interiore del protagonista, poiché segna il passaggio dalla guida razionale di Virgilio alla rivelazione divina che Beatrice incarnerà. Matelda funge quindi da intermediaria tra due mondi e due guide, simboleggiando la transizione dalla purificazione purgatoriale alla beatitudine paradisiaca.

Analisi del Canto 28 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto 28 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel viaggio dantesco, fungendo da ponte tra la purificazione purgatoriale e la beatitudine paradisiaca. La narrazione si svolge interamente nell’Eden, il Paradiso Terrestre, luogo simbolico che racchiude molteplici significati teologici e filosofici.

Il tema dominante è il ritorno alla condizione edenica primigenia, dove l’uomo viveva in perfetta armonia con la natura prima del peccato originale. Dante descrive un paesaggio di straordinaria bellezza, dove ogni elemento naturale riflette l’ordine divino: una foresta rigogliosa, un’aria dolce e costante, uccelli che cantano tra le fronde. Questa rappresentazione idilliaca contrasta volutamente con la condizione decaduta dell’umanità e le sofferenze incontrate nelle precedenti tappe del viaggio.

Particolarmente significativo è il contrasto tra natura selvaggia e natura ordinata dal divino. A differenza delle selve oscure e minacciose dell’Inferno, la “divina foresta spessa e viva” dell’Eden è illuminata, accogliente, e manifesta visibilmente l’impronta del Creatore. Attraverso questa contrapposizione, Dante illustra come la natura, quando indirizzata dalla grazia divina, diventi strumento di elevazione spirituale anziché di smarrimento.

La struttura narrativa del canto ruota attorno all’incontro con Matelda, figura misteriosa che incarna la felicità terrena nella sua forma più pura. Il dialogo tra Dante e Matelda costituisce l’elemento centrale attraverso cui il poeta apprende la natura teologica del luogo e la funzione dei due fiumi che lo attraversano: il Lete, che cancella la memoria dei peccati, e l’Eunoè, che ravviva il ricordo delle buone azioni. Questi fiumi rappresentano simbolicamente il completamento del processo di purificazione, necessario prima dell’ascesa al Paradiso.

Particolarmente rilevante è il tema della preparazione all’incontro con Beatrice. L’intero canto può essere interpretato come un momento di transizione in cui Dante si prepara spiritualmente all’incontro con la sua guida celeste, che avverrà nei canti successivi. La bellezza e la purezza di Matelda prefigurano l’apparizione di Beatrice, segnalando l’imminente passaggio dalla guida razionale di Virgilio a quella teologica di Beatrice.

Il libero arbitrio e la grazia divina emergono come elementi tematici fondamentali. Matelda spiega a Dante che il Paradiso Terrestre fu creato “per arra d’etterna pace” (come pegno di pace eterna), evidenziando la benevolenza di Dio verso l’umanità e la possibilità di redenzione attraverso il corretto uso della libertà donata all’uomo.

Dal punto di vista della progressione narrativa, il Canto 28 segna definitivamente il termine del percorso purgatoriale e preannuncia la definitiva purificazione del poeta, che nei canti successivi sarà degno di accedere alla visione beatifica.

Figure retoriche nel Canto 28 del Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 28 del Purgatorio presenta una ricchezza straordinaria di figure retoriche, attraverso le quali Dante riesce a creare l’atmosfera edenica del Paradiso Terrestre, luogo di transizione fondamentale nel viaggio ultraterreno.

La similitudine è una delle figure più frequenti nel canto, utilizzata per rendere immediatamente comprensibili concetti complessi. Nei versi iniziali, la brezza del Paradiso Terrestre viene paragonata a un “soave vento” (v. 9) che colpisce delicatamente la fronte del poeta. Particolarmente significativa è la similitudine che descrive l’apparizione di Matelda: “E là m’apparve, sì com’elli appare / subitamente cosa che disvia / per maraviglia tutto altro pensare” (vv. 37-39), dove lo stupore di Dante viene paragonato alla meraviglia che distoglie da ogni altro pensiero.

Numerose sono le metafore che permeano il testo, come la “divina foresta spessa e viva” (v. 2), immagine della natura perfetta e non corrotta, o il termine “pinta” riferito alla via cosparsa di fiori (v. 42), che suggerisce un cammino letteralmente “dipinto” dalla natura. La metafora della “nebbia che ti fiede” (v. 90) rappresenta efficacemente l’ignoranza che offusca la mente del pellegrino.

Il canto è ricco di allitterazioni che contribuiscono a creare una musicalità evocativa dell’armonia edenica: “foresta spessa” (v. 2), “lento lento” (v. 5), “dolce dir” (v. 85). Questi artifici fonetici riproducono l’atmosfera di pace e serenità caratteristica del luogo.

L’iperbato e l’anastrofe, figure che alterano la normale disposizione sintattica, sono frequentemente utilizzati per creare effetti di sospensione e attesa: “la divina foresta spessa e viva” (v. 2) o “d’ogne parte auliva” (v. 6), contribuendo al tono elevato e solenne della narrazione.

Particolarmente efficace è l’uso della sinestesia, che combina diverse percezioni sensoriali, come nel verso in cui si dice che il suolo “d’ogne parte auliva” (v. 6), unendo la dimensione visiva a quella olfattiva. Anche la descrizione del “suon de la foresta” (v. 85) che “impugna” la fede di Dante crea una sovrapposizione tra percezione uditiva e tattile.

L’anafora è presente nei versi in cui Matelda spiega i fenomeni naturali dell’Eden: “Da questa parte… da l’altra parte” (vv. 121-124), enfatizzando la duplicità dei fiumi Lete ed Eunoè e la loro funzione complementare.

Da notare anche la presenza di personificazioni, come la brezza che “feria per la fronte” (v. 8) o il monte che “gitta l’ombra” (v. 12), che attribuiscono qualità umane a elementi naturali, sottolineando la vitalità dell’Eden.

Il chiasmo appare nei versi che descrivono il canto degli uccelli: “con piena letizia l’ore prime, / cantando, ricevieno intra le foglie, / che tenevan bordone a le sue rime” (vv. 16-18), dove la struttura incrociata evidenzia l’armonia tra gli elementi naturali.

L’enjambement è utilizzato abbondantemente per mantenere la fluidità narrativa pur rispettando la struttura metrica in terzine, come nei versi: “un’aura dolce, sanza mutamento / avere in sé” (vv. 7-8), dove la pausa sintattica non coincide con quella metrica.

Queste figure retoriche non sono mero ornamento, ma strumenti essenziali attraverso cui Dante riesce a comunicare la perfezione del Paradiso Terrestre e la sua funzione di spazio di transizione tra la vita terrena e quella celeste. La ricchezza formale del testo riflette la complessità teologica e filosofica sottostante, creando un’esperienza di lettura che coinvolge simultaneamente intelletto ed emozione, preparando il lettore, come il pellegrino, all’ascesa verso il divino.

Temi principali del 28 canto della Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 28 del Purgatorio si distingue per la ricchezza di temi fondamentali che costituiscono un punto di svolta nel viaggio dantesco. Questi temi, intrecciati con maestria poetica, illuminano il significato profondo dell’esperienza di Dante nel Paradiso Terrestre.

Il primo e più evidente tema è il ritorno all’innocenza originaria. L’Eden rappresenta la condizione primigenia dell’umanità, prima della caduta causata dal peccato originale. Dante descrive un luogo di perfezione dove la natura, incontaminata, rispecchia l’ordine divino. Questa dimensione di purezza è simboleggiata dalla foresta “divina spessa e viva” e dalla bellezza dei fiori che Matelda raccoglie. Il poeta, attraversando questo giardino, compie un viaggio a ritroso nel tempo, verso l’origine dell’umanità, simboleggiando la possibilità di recuperare, attraverso la purificazione, quella condizione di felicità perduta.

L’armonia tra natura e divino emerge come secondo tema cruciale. Nel Paradiso Terrestre, tutti gli elementi naturali seguono un ordine perfetto: il vento soffia costante, i fiumi scorrono limpidi, la vegetazione è rigogliosa. Questa armonia contrasta nettamente con il caos e la corruzione del mondo terreno. Come spiega Matelda, qui la natura non è soggetta alle perturbazioni atmosferiche della terra abitata dall’uomo, ma rispecchia la perfezione voluta da Dio. Il poeta sottolinea questa condizione attraverso i versi: “Un’aura dolce, sanza mutamento / avere in sé, mi feria per la fronte / non di più colpo che soave vento”.

Strettamente collegato è il tema della purificazione dell’anima, simboleggiata dai due fiumi del Paradiso Terrestre: il Lete e l’Eunoè. Il primo cancella la memoria dei peccati commessi, mentre il secondo rafforza il ricordo delle buone azioni. Questo duplice processo purificatorio rappresenta la condizione necessaria per l’ascesa al Paradiso: l’anima deve dimenticare il male e conservare solo la memoria del bene. La purificazione non è quindi una semplice cancellazione, ma una trasformazione profonda che prepara Dante all’incontro con Beatrice.

Il superamento della guida razionale costituisce un altro tema fondamentale. Nel Paradiso Terrestre, Dante si appresta a prendere congedo da Virgilio, simbolo della ragione umana, per accogliere Beatrice, rappresentante della rivelazione divina. Questo passaggio simboleggia il limite della conoscenza razionale e la necessità della fede per accedere alle verità più elevate. Matelda, figura intermediaria tra Virgilio e Beatrice, prepara questa transizione e indica a Dante la strada verso una comprensione più profonda.

La dialettica tra libero arbitrio e grazia divina pervade tutto il canto. L’Eden è un dono di Dio all’uomo, come spiega Matelda: “Lo sommo ben, che solo esso a sé piace, / fé l’uom buono e a bene, e questo loco / diè per arra a lui d’etterna pace”. Tuttavia, è stato l’esercizio errato del libero arbitrio a provocare la caduta dell’umanità. Il ritorno a questa condizione originaria richiede sia lo sforzo personale (rappresentato dal percorso di purificazione nel Purgatorio) sia l’intervento della grazia divina (simboleggiato dall’immersione nei fiumi purificatori).

Infine, il tema della nostalgia edenica permea l’intero canto. Dante evoca, attraverso la descrizione del Paradiso Terrestre, la nostalgia per una condizione perduta ma non irrecuperabile. Questo sentimento non è solo individuale, ma universale, come suggerito dal riferimento ai poeti classici che “sognarono” questo luogo sul Parnaso. L’Eden diventa così non solo un luogo fisico o teologico, ma uno spazio dell’anima, un ideale di perfezione a cui l’umanità intera aspira attraverso i secoli.

Il Canto 28 del Purgatorio in pillole

AspettoDescrizione sintetica
AmbientazioneParadiso Terrestre, sulla cima del monte Purgatorio, caratterizzato da una foresta rigogliosa, aria pura e clima perfetto.
Struttura narrativaIngresso di Dante nell’Eden, esplorazione del paesaggio edenico, incontro con Matelda e dialogo esplicativo sulla natura del luogo.
Personaggi principaliDante pellegrino che scopre le meraviglie edeniche; Matelda, misteriosa figura femminile che rappresenta la felicità terrena nella sua forma più pura.
Elementi simboliciLa foresta divina come simbolo della perfezione originaria; i fiumi Lete ed Eunoè che rappresentano rispettivamente l’oblio dei peccati e il ricordo del bene.
Tematiche centraliRitorno all’innocenza primigenia, purificazione finale prima dell’ascesa al Paradiso, armonia tra natura e ordine divino.
Figure retoricheRicca presenza di similitudini, metafore, allitterazioni che evocano la bellezza e l’armonia del luogo.
Elementi stilisticiDescrizioni sensoriali vivide (vista, udito, olfatto), linguaggio elevato e armonioso che riflette la perfezione del luogo.
Significato allegoricoL’Eden rappresenta lo stato di felicità terrena raggiungibile attraverso la purificazione completa dai peccati.
Funzione strutturaleCerniera tra il regno della purificazione (Purgatorio) e quello della beatitudine (Paradiso), preparazione all’incontro con Beatrice.
Riferimenti culturaliRichiami alla tradizione biblica dell’Eden e alla poesia classica dell’età dell’oro.

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