Divina Commedia, Canto 29 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Divina Commedia, Canto 29 Purgatorio: testo, parafrasi e figure retoriche

Il ventinovesimo canto del Purgatorio segna un momento cruciale nel viaggio dantesco, rappresentando la transizione tra purificazione e ascesa al Paradiso.

Il ventinovesimo canto del Purgatorio segna un momento cruciale nel viaggio dantesco, collocandosi nel punto di transizione tra la purificazione dell’anima e l’ascesa al Paradiso. Nel Paradiso Terrestre, Dante testimonia una solenne processione allegorica che rappresenta la storia della Chiesa e l’avvento di Cristo, ricca di simbolismi teologici e riferimenti biblici.

La densità simbolica di questo canto della Divina Commedia, con i suoi personaggi emblematici e la maestosa processione, prepara il lettore alla rivelazione finale della verità divina che attende il poeta nell’ultima cantica.

Indice:

Canto 29 Paradiso della Divina Commedia: testo completo e parafrasi

Testo OriginaleParafrasi
Cantando come donna innamorata, / continuò col fin di sue parole: / ‘Beati quorum tecta sunt peccata!’.Cantando come una donna innamorata, continuò, subito dopo aver terminato le sue precedenti parole: ‘Beati coloro ai quali sono stati perdonati i peccati!’.
E come ninfe che si givan sole / per le salvatiche ombre, disiando / qual di veder, qual di fuggir lo sole,E come ninfe che andavano solitarie attraverso le ombrose selve, desiderando alcune di vedere il sole, altre di evitarlo,
allor si mosse contra ‘l fiume, andando / su per la riva; e io pari di lei, / picciol passo con picciol seguitando.allora si mosse contro la corrente del fiume, camminando lungo la riva; e io, al suo fianco, la seguivo con piccoli passi come i suoi.
Non eran cento tra ‘ suoi passi e ‘ miei, / quando le ripe igualmente dier volta, / per modo ch’a levante mi rendei.Non avevamo fatto insieme cento passi, quando le rive piegarono entrambe nella stessa direzione, in modo tale che mi ritrovai rivolto verso levante.
Né ancor fu così nostra via molta, / quando la donna tutta a me si torse, / dicendo: ‘Frate mio, guarda e ascolta’.E non avevamo percorso ancora molta strada in questa direzione, quando la donna si volse completamente verso di me, dicendo: ‘Fratello mio, guarda e ascolta‘.
Ed ecco un lustro sùbito trascorse / da tutte parti per la gran foresta, / tal che di balenar mi mise in forse.Ed ecco un bagliore improvviso attraversò da ogni parte la grande foresta, tanto che mi fece dubitare se fosse un lampo.
Ma perché ‘l balenar, come vien, resta, / e quel, durando, più e più splendeva, / nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’.Ma poiché il lampo scompare subito dopo essere apparso, mentre quella luce durava e diventava sempre più splendente, mi chiedevo nel mio pensiero: ‘Che cosa è mai questa?’.
E una melodia dolce correva / per l’aere luminoso; onde buon zelo / mi fé riprender l’ardimento d’Eva,E una dolce melodia si diffondeva nell’aria luminosa; perciò un giusto sdegno mi fece biasimare l’ardire di Eva,
che là dove ubidia la terra e ‘l cielo, / femmina, sola e pur testé formata, / non sofferse di star sotto alcun velo;che nel Paradiso Terrestre, dove la terra e il cielo erano sottomessi a Dio, lei, donna, sola e appena creata, non sopportò di restare sottomessa ad alcun limite;
sotto ‘l qual se divota fosse stata, / avrei quelle ineffabili delizie / sentite prima e più lunga fiata.se fosse rimasta obbediente a quel limite, avrei potuto godere di quelle ineffabili delizie prima e per un tempo molto più lungo.
Mentr’ io m’andava tra tante primizie / de l’eterno piacer tutto sospeso, / e disïoso ancora a più letizie,Mentre io camminavo completamente assorto tra tanti segni anticipatori dell’eterna beatitudine, e desideroso di godere di altre gioie ancora,
dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, / ci si fé l’aere sotto i verdi rami; / e ‘l dolce suon per canti era già inteso.davanti a noi, l’aria sotto i verdi rami divenne come un fuoco ardente; e il dolce suono fu già riconosciuto come formato da canti.
O sacrosante Vergini, se fami, / freddi o vigilie mai per voi soffersi, / cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami.O sacre Vergini (le Muse), se mai ho sofferto per voi fame, freddo o veglie (per dedicarmi alla poesia), ora ho motivo di chiedervi la grazia della vostra ispirazione.
Or convien che Elicona per me versi, / e Uranìe m’aiuti col suo coro / forti cose a pensar mettere in versi.Ora è necessario che l’Elicona (fonte sacra alle Muse) riversi su di me la sua ispirazione, e Urania (Musa dell’astronomia) mi aiuti con il suo coro a esprimere in versi concetti elevati e difficili.
Poco più oltre, sette alberi d’oro / falsava nel parere il lungo tratto / del mezzo ch’era ancor tra noi e loro;Poco più avanti, la lunga distanza che ancora ci separava da loro faceva apparire falsamente come sette alberi d’oro quello che vedevamo;
ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto, / che l’obietto comun, che ‘l senso inganna, / non perdea per distanza alcun suo atto,ma quando mi fui avvicinato tanto a loro che l’apparenza generale, che inganna i sensi, non perdeva più per la distanza alcun dettaglio della sua vera natura,
la virtù ch’a ragion discorso ammanna, / sì com’ elli eran candelabri apprese, / e ne le voci del cantare ‘Osanna’.la facoltà intellettiva che fornisce materia alla ragione riconobbe che erano candelabri, e nel canto distingueva le parole ‘Osanna‘.
Di sopra fiammeggiava il bello arnese / più chiaro assai che luna per sereno / di mezza notte nel suo mezzo mese.Al di sopra fiammeggiava il bell’oggetto, molto più luminoso della luna nel cielo sereno a mezzanotte durante il plenilunio.
Io mi rivolsi d’ammirazion pieno / al buon Virgilio, ed esso mi rispuose / con vista carca di stupor non meno.Io mi voltai pieno di ammirazione verso il buon Virgilio, ed egli mi rispose con uno sguardo carico di non minore stupore.
Indi rendei l’aspetto a l’alte cose / che si movieno incontr’ a noi sì tardi, / che foran vinte da novelle spose.Quindi rivolsi nuovamente lo sguardo alle alte cose (i candelabri) che si muovevano incontro a noi così lentamente, che sarebbero state superate (nella lentezza) anche dalle novelle spose (che procedono lentamente verso l’altare).
La donna mi sgridò: ‘Perché pur ardi / sì ne l’affetto de le vive luci, / e ciò che vien di retro a lor non guardi?’.La donna mi rimproverò: ‘Perché bruci tanto nel desiderio di contemplare queste luci viventi, e non guardi ciò che viene dietro di loro?’.
Genti vid’ io allor, come a lor duci, / venire appresso, vestite di bianco; / e tal candor di qua già mai non fuci.Allora vidi delle persone, come al seguito delle loro guide (i candelabri), venire appresso, vestite di bianco; e tale splendore quaggiù non ci fu mai.
L’acqua imprendea dal sinistro fianco, / e rendea me la mia sinistra costa, / s’io riguardava in lei, come specchio anco.L’acqua brillava sul lato sinistro, e mi restituiva la mia parte sinistra, se guardavo in essa, come fa uno specchio.
Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta, / che solo il fiume mi facea distante, / per veder meglio ai passi diedi sosta,Quando dalla mia riva ebbi una posizione tale che solo il fiume mi separava (dalla processione), per vedere meglio mi fermai,
e vidi le fiammelle andar davante, / lasciando dietro a sé l’aere dipinto, / e di tratti pennelli avean sembiante;e vidi le fiammelle procedere lasciando dietro di sé l’aria colorata, e sembravano pennelli in movimento;
sì che lì sopra rimanea distinto / di sette liste, tutte in quei colori / onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto.così che lassù l’aria rimaneva segnata da sette strisce, tutte di quei colori di cui il Sole fa l’arcobaleno e la luna (Delia) il suo alone.
Questi ostendali in dietro eran maggiori / che la mia vista; e, quanto a mio avviso, / dieci passi distavan quei di fori.Questi stendardi dietro (i candelabri) erano più lunghi della mia capacità visiva; e, a quanto potevo giudicare, distavano dieci passi l’uno dall’altro quelli più esterni.
Sotto così bel ciel com’ io diviso, / ventiquattro seniori, a due a due, / coronati venien di fiordaliso.Sotto un cielo così bello come quello che ho descritto, ventiquattro anziani, a due a due, coronati di gigli, avanzavano.
Tutti cantavan: ‘Benedicta tue / ne le figlie d’Adamo, e benedette / sieno in etterno le bellezze tue!’.Tutti cantavano: ‘Benedetta tu fra le figlie di Adamo, e siano benedette in eterno le tue bellezze!‘.
Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette / a rimpetto di me da l’altra sponda / libere fuor da quelle genti elette,Dopo che i fiori e le altre erbe fresche sulla sponda opposta a me furono lasciate libere da quelle genti elette,
sì come luce luce in ciel seconda, / vennero appresso lor quattro animali, / coronati ciascun di verde fronda.così come in cielo una stella segue un’altra, vennero appresso a loro quattro animali (i simboli degli Evangelisti), ciascuno coronato di fronde verdi.
Ognuno era pennuto di sei ali; / le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, / se fosser vivi, sarebber cotali.Ognuno aveva sei ali; le penne erano piene di occhi; e gli occhi di Argo, se fossero vivi, sarebbero simili a questi.
A descriver lor forme più non spargo / rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, / tanto ch’a questa non posso esser largo;Per descrivere il loro aspetto non spendo più versi, o lettore; poiché sono costretto ad altre necessità narrative che mi impediscono di dilungarmi in questa descrizione;
ma leggi Ezechïel, che li dipigne / come li vide da la fredda parte / venir con vento e con nube e con igne;ma leggi Ezechiele, che li descrive come li vide venire da settentrione con vento, nube e fuoco;
e quali i troverai ne le sue carte, / tali eran quivi, salvo ch’a le penne / Giovanni è meco e da lui si diparte.e come li troverai descritti nelle sue pagine, così erano qui, salvo che riguardo alle ali Giovanni (nell’Apocalisse) è d’accordo con me e si discosta da lui (Ezechiele).
Lo spazio dentro a lor quattro contenne / un carro, in su due rote, trïunfale, / ch’al collo d’un grifon tirato venne.Lo spazio tra i quattro animali conteneva un carro trionfale, su due ruote, che era trainato dal collo di un grifone.
Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale / tra la mezzana e le tre e tre liste, / sì ch’a nulla, fendendo, facea male.Esso stendeva in alto una e l’altra ala tra la striscia centrale e le tre strisce da una parte e le tre dall’altra, così che, fendendo l’aria, non danneggiava nessuna delle strisce.
Tanto salivan che non eran viste; / le membra d’oro avea quant’ era uccello, / e bianche l’altre, di vermiglio miste.Le ali si alzavano tanto che non erano visibili; aveva le membra d’oro in quanto era uccello, e le altre (quelle di leone) bianche, miste a rosso.
Non che Roma di carro così bello / rallegrasse Affricano, o vero Augusto, / ma quel del Sol saria pover con ello;Non solo Roma non rallegrò mai Scipione l’Africano, o Augusto, con un carro così bello, ma persino il carro del Sole (di Apollo) sarebbe povero in confronto a questo;
quel del Sol che, svïando, fu combusto / per l’orazion de la Terra devota, / quando fu Giove arcanamente giusto.quel carro del Sole che, deviando dalla sua rotta, fu incendiato per la preghiera della Terra devota, quando Giove fu misteriosamente giusto (allusione al mito di Fetonte).
Tre donne in giro da la destra rota / venian danzando; l’una tanto rossa / ch’a pena fora dentro al foco nota;Tre donne venivano danzando in cerchio dalla parte della ruota destra; una così rossa che a stento sarebbe stata notata dentro il fuoco;
l’altr’ era come se le carni e l’ossa / fossero state di smeraldo fatte; / la terza parea neve testé mossa;l’altra era come se le carni e le ossa fossero state fatte di smeraldo; la terza sembrava neve appena caduta;
e or parëan da la bianca tratte, / or da la rossa; e dal canto di questa / l’altre toglien l’andare e tarde e ratte.e ora sembravano guidate dalla bianca, ora dalla rossa; e dal canto di questa le altre prendevano il passo, ora lento ora veloce.
Da la sinistra quattro facean festa, / in porpore vestite, dietro al modo / d’una di lor ch’avea tre occhi in testa.Dalla parte sinistra quattro donne facevano festa, vestite di porpora, seguendo il ritmo di una di loro che aveva tre occhi in testa.
Appresso tutto il pertrattato nodo / vidi due vecchi in abito dispari, / ma pari in atto e onesto e sodo.Dietro tutto il gruppo già descritto vidi due vecchi in abito differente, ma simili nell’atteggiamento dignitoso e solenne.
L’un si mostrava alcun de’ famigliari / di quel sommo Ipocràte che natura / a li animali fé ch’ell’ ha più cari;Uno si mostrava come uno dei discepoli di quel sommo Ippocrate, che la natura creò per gli esseri che le sono più cari (gli uomini);
mostrava l’altro la contraria cura / con una spada lucida e aguta, / tal che di qua dal rio mi fé paura.l’altro mostrava il compito opposto (quello di punire) con una spada lucida e affilata, tale che al di qua dal fiume mi fece paura.
Poi vidi quattro in umile paruta; / e di retro da tutti un vecchio solo / venir, dormendo, con la faccia arguta.Poi vidi quattro con aspetto umile; e dietro a tutti un vecchio solitario venire, con aspetto di dormiente ma con il volto attento.
E questi sette col primaio stuolo / erano abitüati, ma di gigli / dintorno al capo non facëan brolo,E questi sette erano vestiti come il primo gruppo (i ventiquattro anziani), ma non avevano una corona di gigli intorno al capo,
anzi di rose e d’altri fior vermigli; / giurato avria poco lontano aspetto / che tutti ardesser di sopra da’ cigli.bensì di rose e di altri fiori rossi; a guardarli da poco lontano si sarebbe giurato che tutti ardessero sopra le ciglia.
E quando il carro a me fu a rimpetto, / un tuon s’udì, e quelle genti degne / parvero aver l’andar più interdetto, / fermandosi ivi con le prime insegne.E quando il carro fu di fronte a me, si udì un tuono, e quelle degne persone sembrarono interrompere il loro cammino, fermandosi lì insieme alle prime insegne (i candelabri).

Canto 29 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione

Il Canto 29 del Purgatorio si articola in tre momenti fondamentali che segnano il culmine del percorso di purificazione di Dante prima del suo ingresso in Paradiso. Questa struttura tripartita rappresenta le tappe conclusive della trasformazione spirituale del poeta, conducendolo attraverso visioni sempre più complesse e cariche di simbolismo.

Il canto si apre con l’incontro con Matelda (vv. 1-12), figura femminile che incarna la felicità terrena nell’Eden. Matelda canta come “donna innamorata” il Salmo 31: “Beati coloro le cui colpe sono perdonate”. Questo momento rappresenta la gioia dell’anima che, dopo la confessione e la penitenza, si trova finalmente in uno stato di purezza originaria.

La dolcezza del canto di Matelda si unisce all’armonia del paesaggio edenico, creando un’atmosfera di serenità che prelude alla visione mistica che seguirà. La descrizione poetica di Matelda richiama la tradizione stilnovistica, fondendo l’amore terreno con quello divino in una sintesi perfetta.

La seconda e più estesa sezione (vv. 13-154) presenta la processione mistica, momento centrale del canto e culmine simbolico del Purgatorio. Dante scorge innanzitutto sette candelabri d’oro, simbolo dei doni dello Spirito Santo, che lasciano nell’aria scie luminose paragonabili all’arcobaleno. Seguono ventiquattro vegliardi vestiti di bianco, che rappresentano i libri dell’Antico Testamento, coronati da gigli.

La processione prosegue con quattro creature alate, simbolo dei quattro Vangeli, che circondano un carro trionfale trainato da un grifone. Quest’ultimo, essere metà aquila e metà leone, simboleggia la duplice natura di Cristo, umana e divina.

Il carro è accompagnato da sette figure femminili: tre a destra (le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità) e quattro a sinistra (le virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza). Seguono altri personaggi che completano la rappresentazione della Chiesa e della Rivelazione divina. Ogni elemento della processione è minuziosamente descritto da Dante, che utilizza un linguaggio fortemente evocativo e ricco di riferimenti biblici, in particolare all’Apocalisse di Giovanni.

La parafrasi di alcuni versi emblematici può aiutare a comprendere la densità simbolica del passaggio. Ad esempio, quando Dante scrive: “Poco più oltre, sette alberi d’oro / falsava nel parere il lungo tratto / del mezzo ch’era ancor tra noi e loro” (vv. 43-45), sta descrivendo come i sette candelabri sembrassero inizialmente sette alberi d’oro a causa della distanza. Questa illusione ottica sottolinea come la percezione umana possa essere ingannata quando si avvicina ai misteri divini.

Particolarmente significativa è la descrizione del grifone: “Le membra d’oro avea quant’era uccello, / e bianche l’altre, di vermiglio miste” (vv. 112-113). La parte aquila (simbolo della divinità) è d’oro, mentre la parte leone (simbolo dell’umanità) è bianca con striature rosse, a rappresentare il sangue della Passione. Questo simbolismo cristologico è centrale per comprendere il messaggio teologico dell’intero canto.

La terza e conclusiva parte (vv. 155-160) presenta l’apparizione del carro e dell’aquila. Il carro, simbolo della Chiesa, viene colpito dall’aquila, che rappresenta l’Impero Romano. Questa visione prefigura le persecuzioni subite dalla Chiesa primitiva e allude alle future difficoltà che essa incontrerà nel corso della storia. L’aquila che piomba sul carro anticipa le vicende che verranno descritte nel canto successivo, creando un collegamento narrativo essenziale.

Questo momento profetico è fondamentale per comprendere la concezione dantesca della storia umana come intreccio tra potere temporale e spirituale. La visione allegorica del carro attaccato dall’aquila rappresenta infatti la storia della Chiesa nella sua dimensione terrena e nelle sue relazioni con il potere imperiale.

Tale rappresentazione si inserisce nella più ampia riflessione dantesca sui rapporti tra Impero e Papato, tema centrale del pensiero politico dell’autore.

La struttura complessiva del canto, con il suo crescendo di simboli e visioni, prepara il lettore all’incontro con Beatrice che avverrà nel canto successivo. Il percorso di purificazione di Dante è ormai completo: attraverso la processione allegorica, il poeta ha contemplato il mistero della Rivelazione e della storia sacra, prerequisito necessario per accedere alla dimensione paradisiaca.

Canto 29 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi

Il Canto 29 del Purgatorio presenta una complessa galleria di figure allegoriche, ciascuna delle quali riveste un ruolo fondamentale nel tessuto simbolico della narrazione dantesca.

Matelda

Apre il canto Matelda, figura femminile che incarna la felicità umana nello stato di innocenza originaria. Introdotta nei canti precedenti mentre raccoglieva fiori, appare ora mentre canta il Salmo 31: “Beati quorum tecta sunt peccata” (Beati coloro le cui colpe sono perdonate). La sua rappresentazione come “donna innamorata” fonde armoniosamente tradizione lirica stilnovistica e spiritualità biblica.

Matelda simboleggia la condizione edenica prima del peccato originale e funge da guida nella transizione tra purificazione e beatitudine. Il suo canto non è solo un momento lirico, ma un’anticipazione teologica: annuncia infatti la remissione dei peccati che Dante ha ormai completato nel suo viaggio purgatoriale.

I ventiquattro seniori

Nella processione mistica, i primi ad apparire sono ventiquattro anziani coronati di gigli, che simboleggiano i ventiquattro libri dell’Antico Testamento secondo la classificazione di San Girolamo. Questi vegliardi, vestiti di bianco, rappresentano la sapienza veterotestamentaria che prefigura e prepara l’avvento di Cristo. La loro disposizione ordinata e solenne enfatizza il carattere rituale della processione e il rispetto della tradizione scritturale.

Le quattro creature alate

Segue un gruppo di quattro creature alate, ciascuna coronata di fronde verdi, che rappresentano i quattro Vangeli. Queste figure, ispirate alla visione di Ezechiele e all’Apocalisse di Giovanni, combinano elementi umani e animaleschi: il leone (Marco), il toro (Luca), l’aquila (Giovanni) e l’uomo (Matteo).

Con sei ali ornate di occhi, simboleggiano l’onniscienza evangelica e la capacità di scrutare il passato e il futuro nella prospettiva della Rivelazione.

Il carro trionfale e il grifone

Centrale nella processione è il carro trionfale, simbolo della Chiesa, trainato da un grifone, creatura mitologica metà aquila e metà leone che rappresenta Cristo nella sua duplice natura: divina (l’aquila che vola verso il cielo) e umana (il leone che cammina sulla terra). Le ali del grifone si estendono invisibili oltre i candelabri, raffigurando l’ineffabilità del mistero divino.

Il carro stesso è decorato riccamente, con le sue ruote ornate di fronde rosse che alludono al sangue dei martiri su cui si è edificata la Chiesa.

Le sette donne

Attorno al carro danzano sette figure femminili, divise in due gruppi: tre a destra (le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità) vestite rispettivamente di bianco, verde e rosso; quattro a sinistra (le virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza). Queste ultime sono guidate dalla Prudenza, rappresentata con tre occhi per simboleggiare la capacità di contemplare passato, presente e futuro.

Le loro danze rappresentano l’armonia delle virtù nella vita cristiana.

I sette candelabri

Precedono l’intera processione sette candelabri d’oro che simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio. Le loro fiamme creano nel cielo scie luminose che ricordano l’arcobaleno, segno dell’alleanza tra Dio e l’umanità. Questa luce soprannaturale guida l’intera processione, illuminando il cammino della Chiesa nella storia.

L’aquila

Nell’ultima parte del canto appare brevemente l’aquila, simbolo dell’Impero Romano, che colpisce il carro. Questa immagine profetica allude alle persecuzioni storiche subite dalla Chiesa primitiva, anticipando la complessa visione storico-politica che sarà sviluppata nei canti successivi.

Ciascun personaggio di questo teatro allegorico contribuisce a costruire una complessa rappresentazione della storia della salvezza e dell’istituzione ecclesiastica, fondendo tradizione biblica, storia e teologia in un’unica, grandiosa visione della Rivelazione.

Analisi del Canto 29 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi

Il Canto 29 del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nel viaggio dantesco, caratterizzandosi come punto di transizione tra l’esperienza purgatoriale e l’ascesa al Paradiso. Questa posizione liminare conferisce al canto una particolare ricchezza tematica e simbolica, che si sviluppa attraverso un tessuto narrativo di straordinaria complessità.

La transizione dalla dimensione penitenziale a quella paradisiaca è forse l’elemento tematico più evidente del canto. Dante, avendo completato la purificazione attraverso i sette gironi del Purgatorio, si trova ora nel Paradiso Terrestre, luogo emblematico di perfezione umana prima della caduta. Il passaggio attraverso i fiumi Lete ed Eunoè rappresenta l’ultimo stadio purificatorio: il primo cancella la memoria del peccato, il secondo ravviva il ricordo delle buone opere.

Questa purificazione finale prepara il poeta all’ascesa al regno celeste, segnando il completamento della sua metamorfosi spirituale.

Particolarmente significativa è la fusione di elementi provenienti da tradizioni diverse che Dante opera magistralmente. Il linguaggio visionario del canto intreccia riferimenti biblici (i ventiquattro seniori dell’Apocalisse), classici (il richiamo alle ninfe, la figura di Argo) e lirici (il canto di Matelda, che riecheggia la tradizione stilnovista).

Questa sintesi culturale è tipica dell’approccio enciclopedico dantesco, che riesce a trasformare elementi di varia provenienza in un sistema simbolico unitario e coerente, dove sacro e profano dialogano senza contraddizioni.

Il cuore tematico del canto risiede nella processione allegorica, vera e propria rappresentazione in movimento della storia sacra. Gli elementi che la compongono – i sette candelabri, i ventiquattro seniori, le quattro creature alate, il carro trainato dal grifone, le sette donne – costituiscono un microcosmo che racchiude la storia della Rivelazione e della Chiesa.

Questa complessa allegoria non è un mero esercizio intellettuale, ma rappresenta la visione dantesca dell’evoluzione spirituale dell’umanità, guidata dalla Provvidenza divina attraverso le Scritture e i Sacramenti.

Il contesto storico-teologico del canto è profondamente radicato nelle preoccupazioni contemporanee di Dante. L’immagine dell’aquila che colpisce il carro allude alle persecuzioni subite dalla Chiesa primitiva da parte dell’Impero Romano, ma contiene anche riferimenti alle successive interferenze del potere imperiale negli affari ecclesiastici.

Questa lettura storica della relazione tra potere temporale e spirituale riflette la visione politica dantesca, che auspica una distinzione di ruoli tra Impero e Chiesa, pur all’interno di un unico disegno provvidenziale.

Il tema della redenzione percorre l’intero canto, stabilendo un parallelo tra la condizione di Eva prima della caduta e la possibilità di purificazione offerta da Cristo. Il riferimento a Eva (“e veggio quel d’Eva”, v. 24) evoca non solo la colpa originale, ma anche la possibilità del suo superamento attraverso il sacrificio di Cristo, simboleggiato dal grifone.

Il giardino dell’Eden, teatro della colpa primordiale, diventa ora scenario della riconciliazione, enfatizzando la circolarità del disegno divino.

Particolarmente interessante è l’atmosfera di attesa messianica che pervade l’intera scena. La processione prefigura l’apparizione di Beatrice, che avverrà nel canto successivo, creando una tensione narrativa che riflette la dinamica dell’attesa della rivelazione divina.

L’invocazione “Veni, sponsa, de Libano” (v. 30) richiama il Cantico dei Cantici, arricchendo il testo di risonanze bibliche che enfatizzano la dimensione mistica dell’incontro imminente.

La luminosità che pervade il canto – dai sette candelabri che lasciano scie luminose nell’aria alle vesti bianche dei ventiquattro seniori – rimanda al tema della rivelazione come illuminazione. La luce, simbolo tradizionale della conoscenza divina, assume qui una dimensione dinamica: non è statica contemplazione, ma processione, movimento verso una comprensione sempre più profonda del mistero divino.

L’analisi letteraria rivela infine una sapiente costruzione narrativa che alterna momenti descrittivi a riflessioni personali del poeta. Le esclamazioni di meraviglia (“e quanto a me si squadra”, v. 43) e i richiami all’attenzione del lettore creano un ritmo che riflette l’emozione e lo stupore di Dante di fronte alla magnificenza della visione, coinvolgendo il lettore nell’esperienza estatica della contemplazione.

Figure retoriche nel Canto 29 del Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto 29 del Purgatorio si distingue per la sua ricchezza stilistica e la molteplicità di figure retoriche che Dante impiega per costruire il suo universo simbolico e allegorico. Questo apparato retorico non è meramente decorativo, ma funzionale alla rappresentazione della sacralità della processione e alla preparazione del passaggio al Paradiso.

Similitudini

Le similitudini rappresentano uno degli strumenti retorici più efficaci utilizzati da Dante in questo canto. Particolarmente significativo è il paragone tra Matelda e le ninfe dei boschi:

E come ninfe che si givan sole / per le salvatiche ombre, disiando / qual di veder, qual di fuggir lo sole

Questa similitudine ha una duplice valenza: da un lato colloca Matelda nella tradizione classica, evocando le figure mitologiche che abitano i luoghi incontaminati; dall’altro, sottolinea la grazia naturale e la purezza della donna, essenziali per il suo ruolo di guida nel Paradiso Terrestre.

La commistione tra elementi pagani e cristiani è tipica del sincretismo dantesco.

Altro esempio notevole è la similitudine astronomica:

Non che Roma di carro così bello / rallegrasse Affricano, o vero Augusto, / ma quel del Sol saria pover con ello

Qui Dante paragona il carro della processione ai carri trionfali romani, superandoli in magnificenza, e addirittura al carro del Sole, affermando che persino quest’ultimo sarebbe “povero” al confronto. È un chiaro esempio di amplificatio retorica che esalta la dimensione sovrannaturale della visione.

Metafore

Di straordinaria efficacia è la metafora degli “occhi d’Argo” (v. 96), riferita alle virtù che accompagnano il carro:

e queste furon cima / delle cose create, e occhi d’Argo

Il riferimento al mitologico Argo dai cento occhi conferisce alle virtù la capacità di onniscienza e vigilanza costante, necessaria per guidare il fedele nel cammino spirituale. La fusione di mitologia classica e dottrina cristiana è un esempio della sintesi culturale operata da Dante.

Anafora

La ripetizione anaforica della congiunzione “e” nei versi 85-87 crea un ritmo solenne e cadenzato, perfettamente adatto alla maestosità della processione:

e le fiammelle andavan loro avanti, / e di tratti pennelli avean sembiante; / e ciascuna distintamente ornata

Questa anafora conferisce al testo un andamento processionale che mima foneticamente l’avanzare lento e solenne del corteo, rendendo quasi percepibile al lettore il movimento ritmico degli elementi sacri.

Allegoria

L’intero canto è costruito su un sistema allegorico complesso. L’allegoria più potente è quella del grifone (vv. 108-120), creatura ibrida con corpo di leone e testa di aquila, che rappresenta la duplice natura di Cristo, umana e divina:

Lo spazio dentro a lor quattro contenne / un carro, in su due rote, trïonfale, / ch’al collo d’un grifon tirato venne

Il grifone traina il carro della Chiesa: la sua natura composita simboleggia perfettamente il mistero teologico dell’incarnazione, dove l’umano e il divino coesistono senza fondersi. La parte leonina (terrena) e quella aquilina (celeste) visualizzano il dogma cristologico.

Sinestesia

Dante utilizza anche la sinestesia, mescolando percezioni sensoriali diverse per rendere l’esperienza trascendente:

E lo spirito mio, che già cotanto / tempo era stato ch’a la sua presenza / non era di stupor, tremando, affranto

Qui la vista della processione produce un effetto che va oltre la semplice percezione visiva, generando uno stato emotivo e fisico che coinvolge tutto l’essere del poeta.

Iperbole

L’iperbole è frequente nelle descrizioni della luce soprannaturale:

vidi una luce che vincea la lampa / del sol di notte

Questa esagerazione retorica comunica l’impossibilità di rappresentare adeguatamente la luminosità divina con parametri terreni, suggerendo una dimensione che trascende l’esperienza umana.

Le figure retoriche nel Canto 29 non sono dunque meri ornamenti, ma strumenti essenziali attraverso cui Dante riesce a rendere visibile l’invisibile, a rappresentare l’ineffabile, e a costruire un complesso sistema allegorico che riflette la sua visione teologica della storia umana e della rivelazione divina.

Temi principali del 29 canto del Purgatorio della Divina Commedia

Il Canto XXIX del Purgatorio rappresenta un momento cruciale nell’opera dantesca, ricco di tematiche simboliche che intrecciano visione teologica e riflessione storica. Un’analisi attenta rivela cinque temi fondamentali che sostengono l’architettura narrativa e spirituale del canto.

Il tema della redenzione e del perdono emerge immediatamente nei versi iniziali con il canto di Matelda: “Beati quorum tecta sunt peccata!”. Questa citazione dal Salmo 31 evidenzia il percorso di purificazione che Dante sta completando, ricordando come il perdono divino ricopra le colpe umane.

La beatitudine cantata da Matelda segna il passaggio dall’esperienza penitenziale alla condizione di innocenza recuperata, indispensabile per accedere al Paradiso. Il riferimento a Eva nei versi 24-30 amplifica questa dimensione: la prima donna viene evocata come simbolo della colpa originaria che ha privato l’umanità della felicità edenica. L’intero apparato simbolico del canto si configura come celebrazione della possibilità di redenzione offerta all’uomo nonostante il peso del peccato originale.

La rappresentazione simbolica della Chiesa costituisce il nucleo tematico più complesso ed elaborato del canto. La maestosa processione allegorica offre una visione della Chiesa nella sua dimensione mistica e storica. I ventiquattro anziani rappresentano i libri dell’Antico Testamento, fondamento scritturale della fede; le quattro creature alate simboleggiano i Vangeli; le sette virtù (tre teologali e quattro cardinali) raffigurano le qualità necessarie per la salvezza; i sette candelabri evocano i doni dello Spirito Santo.

Questo complesso sistema simbolico non è mero sfoggio erudito: Dante costruisce un’immagine della Chiesa come organismo vivente, depositaria della Rivelazione e strumento di salvezza. Il carro trionfale, centro della processione, rappresenta la Chiesa come istituzione terrena, mentre il grifone che lo traina simboleggia Cristo nella sua doppia natura, umana e divina, vero motore della storia della salvezza.

Il rapporto tra storia sacra e storia umana emerge con particolare evidenza nell’episodio dell’aquila che colpisce il carro. Questa immagine prefigura le persecuzioni subite dalla Chiesa primitiva sotto l’Impero Romano, ma più ampiamente allude al complesso rapporto tra potere spirituale e potere temporale – tema centrale nell’intera Commedia.

La visione dantesca non è mai astrattamente teologica: la redenzione si realizza nella concretezza della storia e nelle istituzioni umane. La processione, con il suo ordine rigoroso, rappresenta il piano divino che si manifesta attraverso eventi storici, nonostante le resistenze e i conflitti.

Il tema della trasformazione spirituale attraversa tutto il canto, riflettendo il percorso personale di Dante. La transizione dal Purgatorio al Paradiso Terrestre, e di qui al Paradiso vero e proprio, simboleggia il passaggio dall’espiazione alla beatitudine recuperata.

Le immagini di luce – particolarmente i candelabri con le loro fiammelle che lasciano nell’aria strisce luminose – rappresentano la progressiva illuminazione dell’anima che si avvicina alla verità divina. Il protagonista stesso sperimenta questa trasformazione: la sua capacità di sostenere la visione della processione mistica, pur nella sua abbagliante magnificenza, dimostra l’avvenuta purificazione dei suoi sensi e del suo intelletto.

L’armonia cosmica e l’ordine divino costituiscono infine un tema cruciale che unifica gli elementi precedenti. La processione si muove secondo un ritmo solenne, accompagnata da canti e melodie celestiali che richiamano l’armonia delle sfere.

L’ordinamento gerarchico delle figure simboliche riflette la visione medievale di un cosmo strutturato secondo un disegno intelligibile, in cui ogni elemento occupa il posto assegnatogli dalla sapienza divina. Questa armonia contrasta con il disordine morale descritto nell’Inferno e con il faticoso cammino di riordinamento delle passioni rappresentato nel Purgatorio. Nel Paradiso Terrestre, Dante intravede finalmente quell’ordine perfetto che governa la creazione e che sarà pienamente contemplato nel Paradiso.

Questa complessa stratificazione tematica conferma il carattere enciclopedico della Divina Commedia: attraverso simboli, allegorie e visioni, Dante intreccia teologia, storia, politica e psicologia in una sintesi che ambisce a rappresentare la totalità dell’esperienza umana nel suo rapporto con il divino.

Il Canto 29 del Purgatorio in pillole

ElementoDescrizione
AmbientazioneParadiso Terrestre, dove Dante è guidato da Matelda lungo il fiume Lete
Incontro con MateldaFigura femminile che canta «Beati quorum tecta sunt peccata!», simbolo della felicità umana innocente che unisce tradizione lirica e biblica
Processione misticaSolenne corteo allegorico composto da 24 seniori (libri dell’Antico Testamento), 4 creature alate (i Vangeli), 7 candelabri (doni dello Spirito Santo), carro trionfale trainato da grifone (Cristo) e 7 donne (virtù teologali e cardinali)
Simbolismo del carroRappresenta la Chiesa nella sua dimensione storica e istituzionale; l’attacco dell’aquila prefigura le persecuzioni subite dalla Chiesa nel corso della storia
Il grifoneCreatura mitologica con corpo di leone e testa d’aquila, simboleggia la duplice natura di Cristo: umana (leone) e divina (aquila)
Figure retoricheSimilitudine: paragone tra Matelda e le ninfe; Metafora: “occhi d’Argo”; Anafora: ripetizione di “e”; Allegoria: processione come rappresentazione della storia della Chiesa
Temi principaliRedenzione e perdono; contrasto tra Eva (colpa originale) e la purificazione; rappresentazione allegorica della Chiesa militante; transizione verso il Paradiso
Struttura del cantoTripartito: incontro con Matelda (vv. 1-12), processione mistica (vv. 13-154), apparizione del carro e dell’aquila (vv. 155-160)
Rilevanza nell’operaPunto di svolta nell’itinerario spirituale di Dante, conclusione della purificazione e preparazione per l’ascesa al Paradiso

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