Nel Canto 31 dell’Inferno della Divina Commedia il poeta fiorentino ci conduce verso le profondità più estreme dell’abisso infernale, dove i giganti, creature mitologiche di proporzioni colossali, fungono da guardiani del nono cerchio. La transizione dall’ottavo cerchio, Malebolge, al nono, dove sono puniti i traditori, segna un momento cruciale nel viaggio dantesco, simboleggiando il passaggio verso il culmine della malvagità umana.
Indice:
- Canto 31 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 31 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 31 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 31 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 31 dell’Inferno della Divina Commedia
- Temi principali del 31 canto dell’Inferno della Divina Commedia
- Il Canto 31 dell’Inferno in pillole
Canto 31 Inferno della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
Testo originale | Parafrasi |
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Una medesma lingua pria mi morse, | Una medesma lingua prima mi punse, |
sì che mi tinse l’una e l’altra guancia, | tanto da farmi arrossire entrambe le guance, |
e poi la medicina mi riporse; | e poi mi offrì la medicina; |
così od’io che solea far la lancia | così ho sentito dire che faceva la lancia |
d’Achille e del suo padre esser cagione | di Achille e di suo padre Peleo, che era causa |
prima di trista e poi di buona mancia. | prima di triste e poi di buona ricompensa. |
Noi demmo il dosso al misero vallone | Noi voltammo le spalle alla misera vallata |
su per la ripa che ‘l cinge dintorno, | salendo per la riva che la circonda intorno, |
attraversando sanza alcun sermone. | attraversandola senza alcuna conversazione. |
Quiv’era men che notte e men che giorno, | Qui c’era meno che notte e meno che giorno, |
sì che ‘l viso m’andava innanzi poco; | cosicché il mio sguardo poteva spingersi poco avanti; |
ma io senti’ sonare un alto corno, | ma io sentii suonare un potente corno, |
tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco, | tanto che avrebbe reso debole ogni tuono, |
che, contra sé la sua via seguitando, | che, seguendo la sua via in direzione della sua origine, |
drizzò li occhi miei tutti ad un loco. | indirizzò i miei occhi tutti verso un unico punto. |
Dopo la dolorosa rotta, quando | Dopo la dolorosa sconfitta, quando |
Carlo Magno perdé la santa gesta, | Carlo Magno perse la sua santa schiera, |
non sonò sì terribilmente Orlando. | non suonò così terribilmente il corno Orlando. |
Poco portäi in là volta la testa, | Dopo aver voltato un poco la testa in quella direzione, |
che me parve veder molte alte torri; | mi parve di vedere molte alte torri; |
ond’io: «Maestro, dì, che terra è questa?». | per cui chiesi: «Maestro, dimmi, che città è questa?». |
Ed elli a me: «Però che tu trascorri | Ed egli a me: «Poiché tu corri con lo sguardo |
per le tenebre troppo da la lungi, | attraverso le tenebre troppo da lontano, |
avvien che poi nel maginare abborri. | avviene che poi ti inganni nell’immaginare. |
Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, | Tu vedrai bene, se ti avvicini là, |
quanto ‘l senso s’inganna di lontano; | quanto il senso della vista s’inganna da lontano; |
però alquanto più te stesso pungi». | perciò affrettati un po’ di più». |
Poi caramente mi prese per mano | Poi affettuosamente mi prese per mano |
e disse: «Pria che noi siam più avanti, | e disse: «Prima che procediamo oltre, |
acciò che ‘l fatto men ti paia strano, | affinché il fatto ti sembri meno strano, |
sappi che non son torri, ma giganti, | sappi che non sono torri, ma giganti, |
e son nel pozzo intorno da la ripa | e sono nel pozzo attorno alla riva |
da l’umbilico in giuso tutti quanti». | dall’ombelico in giù tutti quanti». |
Come quando la nebbia si dissipa, | Come quando la nebbia si dirada, |
lo sguardo a poco a poco raffigura | lo sguardo a poco a poco distingue |
ciò che cela ‘l vapor che l’aere stipa, | ciò che nasconde il vapore che l’aria addensa, |
così forando l’aura grossa e scura, | così penetrando l’aria densa e scura, |
più e più appressando ver’ la sponda, | sempre più avvicinandomi al bordo, |
fuggiemi errore e cresciemi paura; | mi si allontanava l’errore e mi cresceva la paura; |
però che, come su la cerchia tonda | perché, come sulla circonferenza rotonda |
Montereggion di torri si corona, | Monteriggioni si corona di torri, |
così la proda che ‘l pozzo circonda | così la riva che circonda il pozzo |
torreggiavan di mezza la persona | torreggiavano con metà della persona |
li orribili giganti, cui minaccia | gli orribili giganti, che minacciano |
Giove del cielo ancora quando tuona. | Giove dal cielo ancora quando tuona. |
E io scorgeva già d’alcun la faccia, | E io scorgevo già di qualcuno il volto, |
le spalle e ‘l petto e del ventre gran parte, | le spalle e il petto e del ventre gran parte, |
e per le coste giù ambo le braccia. | e lungo i fianchi giù entrambe le braccia. |
Natura certo, quando lasciò l’arte | La natura certamente, quando abbandonò l’arte |
di sì fatti animali, assai fé bene | di produrre simili creature, fece molto bene |
per tòrre tali essecutori a Marte. | a togliere tali esecutori a Marte. |
E s’ella d’elefanti e di balene | E se essa non si pentì degli elefanti e delle balene |
non si pente, chi guarda sottilmente, | (la natura), chi osserva attentamente, |
più giusta e più discreta la ne tene; | la considera più giusta e più saggia; |
ché dove l’argomento de la mente | perché dove la capacità razionale della mente |
s’aggiugne al mal volere e a la possa, | si aggiunge alla malvagità e alla forza fisica, |
nessun riparo vi può far la gente. | nessuna difesa può opporre l’umanità. |
La faccia sua mi parea lunga e grossa | Il suo volto mi sembrava lungo e grosso |
come la pina di San Pietro a Roma, | come la pigna di San Pietro a Roma, |
e a sua proporzione eran l’altre ossa; | e in proporzione erano le altre ossa; |
sì che la ripa, ch’era perizoma | così che la riva, che era una cintura |
dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto | dalla metà in giù, ne mostrava ben tanta parte |
di sovra, che di giugnere a la chioma | al di sopra, che per arrivare alla chioma |
tre Frison s’averien dato mal vanto; | tre Frisoni si sarebbero vantati invano; |
però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi | poiché io ne vedevo trenta grandi palmi |
dal loco in giù dov’omo affibbia ‘l manto. | dal punto in giù dove l’uomo aggancia il mantello. |
«Raphèl maì amècche zabì almi», | «Raphèl maì amècche zabì almi», |
cominciò a gridar la fiera bocca, | cominciò a gridare la feroce bocca, |
cui non si convenia più dolci salmi. | alla quale non si addicevano più dolci salmi. |
E ‘l duca mio ver’ lui: «Anima scioccha, | E la mia guida a lui: «Anima sciocca, |
tienti col corno, e con quel ti disfoga | attienti al corno, e con quello sfogati |
quand’ira o altra passïon ti tocca! | quando l’ira o altra passione ti prende! |
Cèrcati al collo, e troverai la soga | Cercati al collo, e troverai la corda |
che ‘l tien legato, o anima confusa, | che ti tiene legato, o anima confusa, |
e vedi lui che ‘l gran petto ti doga». | e vedi come essa ti stringe il grande petto». |
Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa; | Poi disse a me: «Egli stesso si accusa; |
questi è Nembrotto per lo cui mal coto | questi è Nembrot per il cui malvagio pensiero |
pur un linguaggio nel mondo non s’usa. | non si usa più un solo linguaggio nel mondo. |
Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; | Lasciamolo stare e non parliamo inutilmente; |
ché così è a lui ciascun linguaggio | perché così è per lui ciascun linguaggio |
come ‘l suo ad altrui, ch’a nullo è noto». | come il suo per gli altri, che a nessuno è comprensibile». |
Facemmo adunque più lungo vïaggio, | Facemmo dunque un viaggio più lungo, |
vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro | voltati a sinistra; e alla distanza di un tiro di balestra |
trovammo l’altro assai più fero e maggio. | trovammo l’altro gigante molto più feroce e grande. |
A cinger lui qual che fosse ‘l maestro, | Per incatenarlo, quale che fosse il maestro, |
non so io dir, ma el tenea soccinto | non so dire, ma egli teneva cinta |
dinanzi l’altro e dietro il braccio destro | davanti l’altra e dietro il braccio destro |
d’una catena che ‘l tenea avvinto | da una catena che lo teneva legato |
dal collo in giù, sì che ‘n su lo scoperto | dal collo in giù, così che sulla parte scoperta |
si ravvolgëa infino al giro quinto. | si avvolgeva fino al quinto giro. |
«Questo superbo volle esser esperto | «Questo superbo volle sperimentare |
di sua potenza contra ‘l sommo Giove», | la sua potenza contro il sommo Giove», |
disse ‘l mio duca, «ond’elli ha cotal merto. | disse la mia guida, «per cui egli ha tale punizione. |
Fïalte ha nome, e fece le gran prove | Fialte è il suo nome, e fece le grandi prove |
quando i giganti fer paura a’ dèi; | quando i giganti fecero paura agli dei; |
le braccia ch’el menò, già mai non move». | le braccia che allora mosse, non le muove mai più». |
E io a lui: «S’esser puote, io vorrei | E io a lui: «Se è possibile, vorrei |
che de lo smisurato Brïareo | che dello smisurato Briareo |
esperïenza avesser li occhi miei». | avessero esperienza i miei occhi». |
Ond’ei rispuose: «Tu vedrai Anteo | Per cui egli rispose: «Tu vedrai Anteo |
presso di qui che parla ed è disciolto, | vicino a qui che parla ed è libero, |
che ne porrà nel fondo d’ogne reo. | che ci porrà nel fondo di ogni malvagità. |
Quel che tu vuo’ veder, più là è molto | Quello che tu vuoi vedere, è molto più lontano |
ed è legato e fatto come questo, | ed è legato e fatto come questo, |
salvo che più feroce par nel volto». | salvo che sembra più feroce nell’aspetto». |
Non fu tremoto già tanto rubesto, | Non ci fu mai un terremoto così violento, |
che scotesse una torre così forte, | che scuotesse una torre così fortemente, |
come Fïalte a scuotersi fu presto. | come Fialte fu rapido a scuotersi. |
Allor temett’io più che mai la morte, | Allora io temetti più che mai la morte, |
e non v’era mestier più che la dotta, | e non vi sarebbe stato bisogno più che della paura, |
s’io non avessi vuesse le ritorte. | se io non avessi visto le catene. |
Noi procedemmo più avante allotta, | Noi procedemmo più avanti allora, |
e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle, | e venimmo ad Anteo, che ben cinque braccia, |
sanza la testa, uscia fuor de la grotta. | senza la testa, usciva fuori dalla roccia. |
«O tu che ne la fortunata valle | «O tu che nella fortunata valle |
che fece Scipïon di gloria reda, | che rese Scipione erede di gloria, |
quand’Anibàl co’ suoi diede le spalle, | quando Annibale con i suoi soldati volse le spalle, |
recasti già mille leon per preda, | portasti già mille leoni come preda, |
e che, se fossi stato a l’alta guerra | e che, se fossi stato all’alta guerra |
de’tuoi fratelli, ancor par che si creda | dei tuoi fratelli, ancora sembra che si creda |
ch’avrebber vinto i figli de la terra: | che avrebbero vinto i figli della terra: |
mettine giù, e non ten venga schifo, | mettici giù, e non ti venga disgusto, |
dove Cocito la freddura serra. | dove Cocito chiude il tutto col freddo. |
Non ci fare ire a Tizio né a Tifo: | Non farci andare da Tizio né da Tifeo: |
questi può dar di quel che qui si brama; | costui può darci ciò che qui si brama; |
però ti china e non torcer lo grifo. | perciò chinati e non torcere il muso. |
Ancor ti può nel mondo render fama, | Egli può ancora renderti fama nel mondo, |
ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta | poiché egli vive, e lunga vita ancora aspetta |
se ‘nnanzi tempo grazia a sé nol chiama». | se prima del tempo la grazia divina non lo chiama a sé». |
Così disse ‘l maestro; e quelli in fretta | Così disse il maestro; e quello in fretta |
le man distese, e prese ‘l duca mio, | le mani distese, e prese la mia guida, |
ond’Ercule sentì già grande stretta. | per cui Ercole sentì già grande stretta. |
Virgilio, quando prender si sentio, | Virgilio, quando si sentì prendere, |
disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»; | disse a me: «Fatti qua, affinché io ti prenda»; |
poi fece sì ch’un fascio era elli e io. | poi fece in modo che fossimo un fascio lui ed io. |
Qual pare a riguardar la Carisenda | Come appare a guardare la Carisenda |
sotto ‘l chinato, quando un nuvol vada | sotto la sua pendenza, quando una nuvola passa |
sovr’essa sì, ched ella incontro penda: | sopra di essa, per cui sembra piegarsi in senso opposto: |
tal parve Antëo a me che stava a bada | tale sembrò Anteo a me che stavo ad aspettare |
di vederlo chinare, e fu tal ora | di vederlo chinare, e fu tale momento |
ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. | che avrei voluto andare per un’altra strada. |
Ma lievemente al fondo che divora | Ma leggermente al fondo che divora |
Lucifero con Giuda, ci sposò; | Lucifero con Giuda, ci posò; |
né, sì chinato, lì fece dimora, | né, così chinato, fece indugio là, |
e come albero in nave si levò. | e come albero in nave si rialzò. |
Canto 31 Inferno della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Questo canto si colloca in una posizione strategica all’interno dell’architettura infernale: Dante e Virgilio hanno appena terminato l’esplorazione delle dieci Malebolge con le loro frodi, e si apprestano a scendere verso l’ultimo e più terribile cerchio. La presenza dei giganti, figure ibride che combinano elementi della tradizione biblica e della mitologia classica, illustra perfettamente come Dante reinterpreti il patrimonio culturale antico in una prospettiva cristiana, trasformando queste creature in simboli di ribellione contro l’ordine divino.
Il Canto 31 dell’Inferno della Divina Commedia si apre con un riferimento alla “lingua pungente” di Virgilio che, dopo aver rimproverato Dante per il suo interesse verso le liti dei dannati nel canto precedente, ora lo consola. I due poeti proseguono il loro cammino verso il pozzo centrale dell’Inferno, e Dante scorge in lontananza quello che inizialmente scambia per torri di una città fortificata.
Virgilio chiarisce presto l’equivoco: quelle che sembrano torri sono in realtà giganti che circondano il pozzo del nono cerchio. Questa rivelazione introduce un elemento visivamente spettacolare e simbolicamente potente nell’architettura infernale. Come descrive Dante, la percezione si chiarisce gradualmente, simile alla nebbia che si dirada: “Come quando la nebbia si dissipa, lo sguardo a poco a poco raffigura ciò che cela ‘l vapor che l’aere stipa”.
L’errore percettivo di Dante – scambiare esseri viventi per strutture architettoniche – ha un profondo significato allegorico: rappresenta la difficoltà di distinguere la vera natura del male nelle sue forme più estreme. I giganti, creature a metà tra umano e mostruoso, simboleggiano la ribellione contro l’ordine divino, anticipando il tema del tradimento che dominerà il nono cerchio.
Il primo gigante che i poeti incontrano è Nembrot, il costruttore della Torre di Babele secondo la tradizione biblica. La sua punizione è emblematica: condannato all’incomprensibilità, pronuncia parole senza senso (“Raphèl maì amècche zabì almi”), riflettendo la confusione delle lingue che Dio impose agli uomini per punire la loro superbia. Virgilio lo identifica e spiega a Dante: “Elli stessi s’accusa; questi è Nembrotto per lo cui mal coto pur un linguaggio nel mondo non s’usa”.
Proseguendo, i due poeti incontrano Fialte, un altro gigante incatenato, la cui figura, distesa in forma di croce, suscita meraviglia persino in Virgilio. Infine, l’ultimo gigante, Anteo, non incatenato perché non partecipò alla guerra contro gli dei, accetta di aiutare i poeti depositandoli nel nono cerchio, in un movimento descritto con la celebre similitudine della torre Garisenda di Bologna.
Canto 31 Inferno della Divina Commedia: i personaggi
Nel trentunesimo canto dell’Inferno, Dante introduce figure monumentali: Nembrot, che con il linguaggio confuso simboleggia la superbia, Fialte (o Efialte) incatenato che incarna la ribellione, Anteo il gigante libero che diventa strumento del viaggio, Virgilio, guida e interprete, e Dante stesso, che manifesta le sue paure umane.
Analisi del Canto 31 dell’Inferno: elementi tematici e narrativi
Il canto si articola come una progressiva rivelazione visiva che riflette il percorso conoscitivo di Dante. I giganti, disposti in cerchio attorno al pozzo d’accesso al nono cerchio, fungono da colonne viventi simbolizzanti la rottura dell’ordine divino, mentre il linguaggio corrotto di Nembrot è metafora della disgregazione morale causata dalla superbia. Il movimento discendente, culminante nella discesa sul palmo di Anteo, prepara l’incontro con il tradimento incarnato da Lucifero.
Figure retoriche nel Canto 31 dell’Inferno della Divina Commedia
Dante impiega numerose figure retoriche per intensificare l’effetto drammatico del canto: similitudini (dalla nebbia che si dissipa alla torre pendente di Garisenda), iperboli (nella descrizione della testa di Nembrot), onomatopee (nel verso incomprensibile di Nembrot) e antitesi, che evidenziano il contrasto tra apparenza e realtà, tra grandezza fisica e miseria morale.
Temi principali del 31 canto dell’Inferno della Divina Commedia
Il canto 31 dell’Inferno della Divina Commedia approfondisce temi quali la superbia, la ribellione contro l’ordine divino, la confusione del linguaggio e il potere comunicativo, nonché la tensione tra mito pagano e cristianesimo. Il contrasto tra la grandezza materiale dei giganti e la loro misera statura morale e la funzione liminale dei giganti come ponte verso il tradimento culminante offrono una complessa lettura allegorica del peccato.
Il Canto 31 dell’Inferno in pillole
Aspetto | Descrizione |
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Posizione | Transizione tra l’ottavo e il nono cerchio dell’Inferno |
Ambientazione | Il pozzo che conduce al nono cerchio, circondato dai Giganti |
Protagonisti | Dante, Virgilio, Nembrot, Fialte, Efialte, Anteo |
Evento iniziale | Dante scorge in lontananza quello che crede siano torri di una città |
Rivelazione | Le presunte torri sono in realtà i Giganti che circondano il pozzo centrale |
Nembrot | Costruttore della Torre di Babele, pronuncia parole incomprensibili: «Raphèl maì amècche zabì almi» |
Fialte | Gigante incatenato che tentò di assalire gli dei; il suo scuotersi provoca un terremoto |
Anteo | Gigante libero da catene che aiuta Dante e Virgilio a scendere nel nono cerchio |
Elementi simbolici | La confusione linguistica, la ribellione contro Dio, la superbia punita |
Riferimenti culturali | Fusione di mitologia classica (giganti greci) e tradizione biblica (Nembrot) |
Figure retoriche | Similitudini (nebbia che si dirada, torre Garisenda), iperboli, metafore |
Tema principale | La ribellione contro l’ordine divino e le sue conseguenze |
Funzione narrativa | Preparazione all’incontro con Lucifero e i traditori nel nono cerchio |
Contrappasso | I Giganti, che sfidarono gli dei con la loro statura, sono ora immobilizzati e ridotti all’impotenza |
Ruolo di Virgilio | Interprete che spiega la natura dei Giganti e mediatore che convince Anteo ad aiutarli |
Momento culminante | Anteo prende Dante e Virgilio e li depone sul fondo del nono cerchio |
Verso finale | «e come albero in nave si levò» (Anteo si rialza come l’albero di una nave) |
Collegamento al canto successivo | Preparazione all’incontro con i traditori confinati nel ghiaccio di Cocito |