Il Canto 4 del Purgatorio rappresenta una tappa fondamentale nel percorso di redenzione spirituale intrapreso da Dante Alighieri nella sua Divina Commedia. Questo canto, ambientato nell’Antipurgatorio, descrive l’ascesa iniziale del poeta e della sua guida Virgilio verso la montagna del Purgatorio, introducendo importanti riflessioni sulla natura del pentimento e della purificazione.
Il Purgatorio, a differenza dell’Inferno, è il regno della speranza e della trasformazione spirituale, dove le anime si purificano dai peccati in attesa di ascendere al Paradiso.
La struttura del Purgatorio dantesco rappresenta un’invenzione originale del poeta, dal momento che mentre Inferno e Paradiso erano già ben definiti nell’immaginario medievale, il concetto di Purgatorio come montagna da scalare è una creazione peculiare di Dante. Nel Canto 4, Dante affronta le prime difficoltà dell’ascesa, sperimentando la fatica fisica e la crescente consapevolezza spirituale necessarie per intraprendere il cammino di purificazione.
Il contesto teologico di questo canto è profondamente radicato nella concezione medievale del peccato e della redenzione. A differenza dell’Inferno, dove le anime sono condannate eternamente, nel Purgatorio le anime sono destinate alla salvezza, ma devono prima purificarsi attraverso penitenze specifiche. Il Canto 4 introduce il lettore a questo regno di transizione, dove il tempo terreno mantiene ancora un significato e le anime, pur soffrendo, sono animate dalla speranza della futura beatitudine.
Indice:
- Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
- Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
- Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
- Analisi del Canto 4 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
- Figure retoriche nel Canto 4 del Purgatorio della Divina Commedia
- Temi principali del 4 canto del Purgatorio della Divina Commedia
- Il Canto 4 del Purgatorio in pillole
Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: testo completo e parafrasi
| Testo Originale | Parafrasi |
|---|---|
| Quando per dilettanze o ver per doglie, | Quando a causa di piaceri oppure di dolori, |
| che alcuna virtù nostra comprenda, | che coinvolgono qualche nostra facoltà, |
| l’anima bene ad essa si raccoglie, | l’anima si concentra completamente su di essa, |
| par ch’a nulla potenza più intenda; | sembra che non presti più attenzione a nessun’altra facoltà; |
| e questo è contra quello error che crede | e questo contraddice quell’errore che sostiene |
| ch’un’anima sovr’altra in noi s’accenda. | che in noi si accendano più anime, una sopra l’altra. |
| E perché, quando s’ode cosa o vede | Perciò, quando si sente o si vede qualcosa |
| che tegna forte a sé l’anima volta, | che attiri fortemente l’attenzione dell’anima, |
| vassene ‘l tempo, e l’uom non se n’avvede; | il tempo passa, e l’uomo non se ne accorge; |
| ch’altra potenza è quella che l’ascolta, | poiché una facoltà è quella che percepisce la cosa, |
| e altra è quella c’ha l’anima intera: | e un’altra è quella che mantiene integra l’anima: |
| questa è quasi legata, e quella è sciolta. | questa è quasi vincolata, e quella è libera. |
| Di ciò ebb’io esperienza vera, | Di ciò ebbi io esperienza concreta, |
| udendo quello spirto e ammirando; | ascoltando quello spirito e osservandolo con ammirazione; |
| ché ben cinquanta gradi salito era | poiché il sole era già salito di cinquanta gradi |
| lo sole, e io non m’era accorto, quando | e io non me n’ero accorto, quando |
| venimmo dove quell’anime ad una | giungemmo dove quelle anime all’unisono |
| gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». | gridarono a noi: «Qui è ciò che chiedete». |
| Maggiore aperta molte volte impruna | Un contadino chiude spesso una breccia più grande |
| con una forcatella di sue spine | con un fascetto delle sue spine |
| l’uom de la villa quando l’uva imbruna, | quando l’uva matura, |
| che non era la calla onde saline | di quanto non fosse l’apertura da cui salirono |
| lo duca mio, e io appresso, soli, | la mia guida, e io dietro, soli, |
| come da noi la schiera si partìne. | quando il gruppo di anime si allontanò da noi. |
| Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, | Si sale a San Leo e si scende a Noli, |
| montasi su in Bismantova e ‘n Cacume | si sale su Bismantova e sul Cacume |
| con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; | con i propri piedi; ma qui bisogna che l’uomo voli; |
| dico con l’ale snelle e con le piume | intendo con le ali agili e con le penne |
| del gran disio, di retro a quel condotto | del grande desiderio, seguendo quella guida |
| che speranza mi dava e facea lume. | che mi dava speranza e mi illuminava il cammino. |
| Noi salavam per entro ‘l sasso rotto, | Noi salivamo attraverso la roccia spaccata, |
| e d’ogne lato ne stringea lo stremo, | e da ogni lato lo spigolo ci stringeva, |
| e piedi e man volea il suol di sotto. | e il terreno sottostante richiedeva l’uso di piedi e mani. |
| Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo | Dopo che fummo sull’orlo più alto |
| de l’alta ripa, a la scoperta piaggia, | dell’alta parete rocciosa, sul pendio aperto, |
| «Maestro mio», diss’io, «che via faremo?». | «Maestro mio», dissi io, «che strada prenderemo?». |
| Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia; | Ed egli a me: «Non far scendere nessun tuo passo; |
| pur su al monte dietro a me acquista, | continua a salire il monte dietro di me, |
| fin che n’appaia alcuna scorta saggia». | finché non ci appaia qualche guida sapiente». |
| Lo sommo er’alto che vincea la vista, | La cima era tanto alta che superava la vista, |
| e la costa superba più assai | e il pendio era molto più ripido |
| che da mezzo quadrante a centro lista. | dell’inclinazione che va dal mezzo di un quadrante al centro. |
| Io era lasso, quando cominciai: | Io ero stanco, quando cominciai: |
| «O dolce padre, volgiti, e rimira | «O dolce padre, volgiti, e guarda |
| com’io rimango sol, se non restai». | come io resto solo, se tu non ti fermi». |
| «Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira», | «Figlio mio», disse, «trascinati fin qui», |
| additandomi un balzo poco in sùe | indicandomi un ripiano poco più in su |
| che da quel lato il poggio tutto gira. | che da quel lato circonda tutto il colle. |
| Sì mi spronaron le parole sue, | A tal punto mi spronarono le sue parole, |
| ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, | che mi sforzai di arrampicarmi carponi dietro di lui, |
| tanto che ‘l cinghio sotto i piè mi fue. | finché il ripiano si trovò sotto i miei piedi. |
| A seder ci ponemmo ivi ambedui | Ci mettemmo a sedere lì entrambi |
| vòlti a levante ond’eravam saliti, | rivolti a levante da dove eravamo saliti, |
| che suole a riguardar giovare altrui. | poiché guardare il cammino percorso suole giovare. |
| Li occhi prima drizzai ai bassi liti; | Gli occhi prima diressi alle basse spiagge; |
| poscia li alzai al sole, e ammirava | poi li alzai al sole, e mi meravigliavo |
| che da sinistra n’eravam feriti. | che da sinistra ne eravamo colpiti. |
| Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava | Si accorse bene il poeta che io stavo |
| stupido tutto al carro de la luce, | completamente stupito davanti al carro della luce, |
| ove tra noi e Aquilone intrava. | dove entrava tra noi e il nord. |
| Ond’elli a me: «Se Castore e Poluce | Per cui egli a me: «Se Castore e Polluce |
| fossero in compagnia di quello specchio | fossero in compagnia di quello specchio |
| che sù e giù del suo lume conduce, | che su e giù conduce la sua luce, |
| tu vedresti il Zodïaco rubecchio | tu vedresti lo Zodiaco rosseggiante |
| ancora a l’Orse più stretto rotare, | ruotare ancora più stretto alle Orse, |
| se non uscisse fuor del cammin vecchio. | se non uscisse fuori dal cammino abituale. |
| Come ciò sia, se ‘l vuoi poter pensare, | Come ciò avvenga, se vuoi poterlo capire, |
| dentro raccolto, imagina Sïòn | raccolto in te stesso, immagina Sion |
| con questo monte in su la terra stare | stare sulla terra con questo monte |
| sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn | in modo, che entrambi abbiano un unico orizzonte |
| e diversi emisperi; onde la strada | e diversi emisferi; per cui la strada |
| che mal non seppe carreggiar Fetòn, | che Fetonte non seppe percorrere bene, |
| vedrai come a costui convien che vada | vedrai come è necessario che vada rispetto a questo monte |
| da l’un, quando a colui da l’altro fianco, | da una parte, quando rispetto a Gerusalemme va dall’altra parte, |
| se lo ‘ntelletto tuo ben chiaro bada». | se il tuo intelletto osserva con chiarezza». |
| «Certo, maestro mio», diss’io, «unquanco | «Certamente, maestro mio», dissi io, «mai |
| non vid’io chiaro sì com’io discerno | io non vidi chiaro come ora discerno |
| là dove mio ingegno parea manco, | là dove il mio ingegno sembrava insufficiente, |
| che ‘l mezzo cerchio del moto superno, | che il mezzo cerchio del moto celeste, |
| che si chiama Equatore in alcun’arte, | che si chiama Equatore in qualche scienza, |
| e che sempre riman tra ‘l sole e ‘l verno, | e che rimane sempre tra il sole e l’inverno, |
| per la ragion che di’, quinci si parte | per la ragione che tu dici, da qui si allontana |
| verso settentrion, quanto li Ebrei | verso settentrione, quanto gli Ebrei |
| vedevan lui verso la calda parte. | lo vedevano verso la parte calda. |
| Ma se a te piace, volontier saprei | Ma se ti piace, vorrei sapere volentieri |
| quanto avemo ad andar; ché ‘l poggio sale | quanto dobbiamo ancora camminare; perché il colle sale |
| più che salir non posson li occhi miei». | più di quanto possano salire i miei occhi». |
| Ed elli a me: «Questa montagna è tale, | Ed egli a me: «Questa montagna è tale, |
| che sempre al cominciar di sotto è grave; | che sempre all’inizio dal basso è faticosa; |
| e quant’om più va sù, e men fa male. | e quanto più si va su, tanto meno fa fatica. |
| Però, quand’ella ti parrà soave | Perciò, quando essa ti sembrerà piacevole |
| tanto, che sù andar ti fia leggero | tanto, che l’andar su ti sarà leggero |
| com’a seconda giù andar per nave, | come l’andar giù per nave secondo la corrente, |
| allor sarai al fin d’esto sentiero; | allora sarai alla fine di questo sentiero; |
| quivi di riposar l’affanno aspetta. | lì aspetta di far riposare la fatica. |
| Più non rispondo, e questo so per vero». | Non rispondo altro, e questo so per certo». |
| E com’elli ebbe sua parola detta, | E appena ebbe pronunciato la sua parola, |
| una voce di presso sonò: «Forse | una voce vicino risuonò: «Forse |
| che di sedere in pria avrai distretta!». | prima di sedere avrai bisogno!». |
| Al suon di lei ciascun di noi si torse, | Al suono di essa ciascuno di noi si voltò, |
| e vedemmo a mancina un gran petrone, | e vedemmo a sinistra un grande masso, |
| del qual né io né ei prima s’accorse. | del quale né io né lui prima ci accorgemmo. |
| Là ci traemmo; e ivi eran persone | Là ci spostammo; e lì c’erano persone |
| che si stavano a l’ombra dietro al sasso | che se ne stavano all’ombra dietro al sasso |
| come l’uom per negghienza a star si pone. | come l’uomo si mette a stare per pigrizia. |
| E un di lor, che mi sembiava lasso, | E uno di loro, che mi sembrava stanco, |
| sedeva e abbracciava le ginocchia, | sedeva e abbracciava le ginocchia, |
| tenendo ‘l viso giù tra esse basso. | tenendo il viso giù tra esse basso. |
| «O dolce segnor mio», diss’io, «adocchia | «O dolce signore mio», dissi io, «osserva |
| colui che mostra sé più negligente | colui che si mostra più negligente |
| che se pigrizia fosse sua serocchia». | che se la pigrizia fosse sua sorella». |
| Allor si volse a noi e puose mente, | Allora si volse verso di noi e fece attenzione, |
| movendo ‘l viso pur su per la coscia, | muovendo il viso su lungo la coscia, |
| e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!». | e disse: «Ora va’ su tu, che sei valoroso!». |
| Conobbi allor chi era, e quella angoscia | Riconobbi allora chi era, e quella fatica |
| che m’avacciava un poco ancor la lena, | che mi affrettava un poco ancora il respiro, |
| non m’impedì l’andare a lui; e poscia | non mi impedì di andare da lui; e poi |
| ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena, | che giunsi da lui, alzò appena la testa, |
| dicendo: «Hai ben veduto come ‘l sole | dicendo: «Hai ben visto come il sole |
| da l’omero sinistro il carro mena?». | dall’omero sinistro guida il suo carro?». |
| Li atti suoi pigri e le corte parole | I suoi atti pigri e le brevi parole |
| mosser le labbra mie un poco a riso; | mossero le mie labbra un poco al riso; |
| poi cominciai: «Belacqua, a me non dole | poi cominciai: «Belacqua, a me non dispiace |
| di te omai; ma dimmi: perché assiso | di te ormai; ma dimmi: perché seduto |
| quiritto se’? attendi tu iscorta, | proprio qui sei? attendi una scorta, |
| o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?». | oppure hai ripreso il tuo solito modo di fare?». |
| Ed elli: «O frate, andar in sù che porta? | Ed egli: «O fratello, salire a che serve? |
| ché non mi lascerebbe ire a’ martìri | ché non mi lascerebbe andare ai tormenti |
| l’angel di Dio che siede in su la porta. | l’angelo di Dio che siede sulla porta. |
| Prima convien che tanto il ciel m’aggiri | Prima è necessario che tanto il cielo ruoti attorno a me |
| di fuor da essa, quanto fece in vita, | fuori da essa, quanto fece in vita, |
| perch’io ‘ndugiai al fine i buon sospiri, | perché io ritardai fino alla fine i buoni sospiri, |
| se orazione in prima non m’aita | se preghiera prima non mi aiuta |
| che surga sù di cuor che in grazia viva; | che sorga su da un cuore che viva in grazia; |
| l’altra che val, che ‘n ciel non è udita?». | l’altra che vale, che in cielo non è udita?». |
| E già il poeta innanzi mi saliva, | E già il poeta saliva davanti a me, |
| e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco | e diceva: «Vieni ormai; vedi che è toccato |
| meridïan dal sole, e a la riva | il meridiano dal sole, e sulla riva |
| cuopre la notte già col piè Morrocco». | la notte copre già col suo piede il Marocco». |
Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: riassunto e spiegazione
Il quarto canto del Purgatorio ha inizio con Dante assorto nell’ascolto del racconto dell’anima di Manfredi (incontrato nel canto precedente), tanto da perdere la cognizione del tempo. La concentrazione del poeta è così intensa che Virgilio deve richiamarlo alla realtà, sollecitandolo a riprendere il cammino verso una stretta fenditura nella roccia che rappresenta il passaggio per iniziare la vera ascesa della montagna purgatoriale.
La collocazione temporale è precisa: siamo all’alba del lunedì di Pasqua, 11 aprile 1300, secondo la cronologia interna del poema. Spazialmente, i due poeti si trovano nell’Antipurgatorio, la regione inferiore della montagna dove attendono le anime che hanno rinviato il pentimento fino agli ultimi istanti della loro vita terrena.
L’ascesa si rivela immediatamente ardua, tanto che Dante deve procedere usando sia le mani che i piedi in una sorta di arrampicata:
“Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ‘n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli”.
Dante paragona la difficoltà del percorso con luoghi impervi dell’Italia come San Leo, Noli, Bismantova e Cacume, affermando che, a confronto, qui sarebbe necessario volare. Questa fatica fisica rappresenta simbolicamente lo sforzo necessario per la purificazione dell’anima: l’ascesa materiale rispecchia l’elevazione spirituale, sottolineando come il cammino verso la redenzione richieda impegno e perseveranza.
Giunto esausto su una prima balza circolare della montagna, Dante si ferma a riposare e osserva con stupore che il sole, contrariamente alle sue aspettative, sorge alla sua sinistra anziché alla destra. Questo dettaglio astronomico offre a Virgilio l’occasione per una importante spiegazione: si trovano nell’emisfero australe, opposto a Gerusalemme, dove il sole segue un percorso diverso rispetto all’emisfero boreale.
Il disorientamento astronomico di Dante simboleggia magistralmente la necessità di abbandonare le certezze terrene e adottare una nuova prospettiva nel regno della purificazione.
Dopo la lezione astronomica di Virgilio, i due poeti odono una voce e scorgono un gruppo di anime sedute all’ombra di una roccia. Tra queste riconoscono Belacqua, un artigiano fiorentino noto a Dante per la sua straordinaria pigrizia. L’incontro è caratterizzato dall’ironia: Belacqua, seduto in un atteggiamento indolente con la testa china tra le ginocchia, saluta il poeta con parole sarcastiche:
“Allor si volse a noi e puose mente,
movendo ‘l viso pur su per la coscia,
e disse: ‘Or va tu sù, che se’ valente!'”.
Attraverso questo personaggio, Dante introduce il tema centrale della negligenza e del pentimento tardivo. Belacqua, infatti, dovrà attendere nell’Antipurgatorio per un tempo pari alla durata della sua vita terrena, poiché ha rimandato il pentimento fino agli ultimi istanti. La sua condizione illustra una legge fondamentale del Purgatorio dantesco: chi ha rinviato la conversione in vita deve attendere prima di poter iniziare la vera purificazione, a meno che preghiere di persone pie non abbrevino questa attesa.
Il dialogo con Belacqua permette a Dante di esplorare anche il tema del tempo nel Purgatorio, evidenziando come nell’aldilà esso assuma un significato diverso rispetto alla vita terrena. Le anime, pur soffrendo, sono animate dalla speranza della futura beatitudine, a differenza di quelle infernali condannate eternamente.
La struttura dell’Antipurgatorio rappresenta un’invenzione originale di Dante, poiché mentre Inferno e Paradiso erano già ben definiti nell’immaginario medievale, il concetto di Purgatorio come montagna da scalare è una creazione peculiare del poeta. In questo spazio liminale, le anime dei negligenti attendono il momento di iniziare il vero processo di purificazione, insegnando il valore dell’attesa paziente e le conseguenze della pigrizia spirituale.
Il canto si conclude con Dante che comprende come ogni ritardo nel pentimento comporti conseguenze anche nell’aldilà, rafforzando il messaggio morale dell’importanza di non rimandare la conversione e l’impegno spirituale durante la vita terrena.
Canto 4 Purgatorio della Divina Commedia: i personaggi
Nel Canto 4 del Purgatorio emergono tre figure principali che interagiscono in un delicato equilibrio narrativo e simbolico: Dante stesso in duplice veste, Virgilio come guida sapiente, e Belacqua come emblema della negligenza.
Dante: pellegrino e poeta
La complessa duplicità di Dante si manifesta chiaramente in questo canto attraverso due distinte identità:
Dante personaggio si presenta come un pellegrino affaticato dall’ardua salita, costretto a fermarsi per riprendere fiato («Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira» v. 46). Questa sua debolezza fisica simboleggia la condizione umana di chi intraprende il cammino di purificazione spirituale. Il suo stupore di fronte all’anomalia astronomica del sole che sorge a sinistra invece che a destra rivela la limitatezza della percezione umana e la necessità di rivedere le proprie certezze nel percorso verso la salvezza.
Dante autore, invece, emerge nelle riflessioni filosofiche sull’unitarietà dell’anima (vv. 1-12) e nella sapiente costruzione simbolica del canto. È la voce matura che ha già completato il viaggio e può guidare il lettore, spiegando con autorevolezza fenomeni astronomici e verità teologiche.
Questa scissione tra l’«io narrante» e l’«io narrato» permette al poeta di rappresentare contemporaneamente l’inesperienza di chi è in cammino e la sapienza di chi ha già raggiunto la meta.
Virgilio: ragione e conoscenza
In questo canto, Virgilio incarna pienamente il suo ruolo di maestro della ragione umana. La sua funzione si articola su più livelli:
Guida fisica: orienta Dante nel difficile percorso attraverso la stretta apertura nella roccia, indicandogli la direzione da seguire («Or chi sa da qual man la costa cala» v. 42).
Maestro intellettuale: fornisce una dettagliata spiegazione astronomica sul diverso percorso del sole nell’emisfero australe, dimostrando come la conoscenza razionale possa correggere false percezioni.
Mentore morale: esorta costantemente Dante a non perdere tempo e a proseguire con determinazione, incarnando la virtù della perseveranza opposta alla negligenza di Belacqua.
Virgilio rappresenta quindi il massimo della ragione umana non illuminata dalla fede, essenziale ma non sufficiente per completare l’intero percorso verso la beatitudine celeste.
Belacqua: la negligenza e il pentimento tardivo
Figura storicamente attestata come un artigiano fiorentino costruttore di strumenti musicali, Belacqua emerge nel canto come perfetta incarnazione della negligenza spirituale:
«O dolce signor mio», diss’io, «adocchia
colui che mostra sé più negligente
che se Pigrizia fosse sua serocchia» (vv. 109-111)
La sua postura fisica – seduto all’ombra, con le braccia attorno alle ginocchia e la testa bassa – è una potente rappresentazione visiva dell’accidia. Il suo atteggiamento ironico e sprezzante («Or va tu sù, che se’ valente!» v. 114) contrasta nettamente con l’ardore di Dante.
Belacqua non è però un’anima dannata, ma un’anima destinata alla salvezza, rappresentando così il tema centrale del pentimento tardivo: chi ha rinviato la conversione fino agli ultimi momenti della vita deve attendere nell’Antipurgatorio per un tempo pari alla durata della propria esistenza terrena.
Attraverso questi personaggi, Dante costruisce un’efficace triangolazione simbolica: il pellegrino che cerca, la ragione che guida, e la negligenza che ammonisce. Ognuno contribuisce a sviluppare la riflessione sul valore del tempo e sull’importanza dell’impegno attivo nel cammino di purificazione spirituale, elementi centrali dell’intera concezione purgatoriale dantesca.
Analisi del Canto 4 del Purgatorio: elementi tematici e narrativi
Il quarto canto del Purgatorio sviluppa una serie di tematiche fondamentali che si intrecciano con la narrazione dell’ascesa di Dante e Virgilio. La fatica dell’ascesa spirituale rappresenta il nucleo concettuale del canto, materializzata nella difficoltà fisica che il poeta incontra mentre affronta il ripido sentiero. Questa fatica non è soltanto corporea, ma simboleggia lo sforzo necessario per intraprendere il cammino di purificazione morale.
Nei versi iniziali, Dante descrive lo stato di completo assorbimento in cui si trova dopo aver ascoltato l’anima di Manfredi (incontrato nel canto precedente), introducendo una riflessione filosofica sull’unitarietà dell’anima umana e contestando la teoria averroista della sua pluralità. Questa digressione non è un mero sfoggio di erudizione, ma serve a sottolineare come l’anima, quando completamente assorbita da un’esperienza intensa, perda temporaneamente la percezione di tutto il resto, compreso il tempo che scorre.
Il pentimento tardivo emerge come tema centrale attraverso l’incontro con le anime dell’Antipurgatorio, in particolare con Belacqua. Queste anime, che hanno rimandato la loro conversione fino agli ultimi istanti di vita, devono ora attendere prima di iniziare la vera purificazione. La loro condizione riflette una legge di contrappasso: chi ha sprecato tempo in vita deve ora attendere nel tempo dell’eternità. Dante elabora così una profonda riflessione sul valore del tempo nella vita terrena e sulle conseguenze eterne delle scelte compiute.
Particolarmente significativo è il momento in cui Dante nota che il sole sorge alla sua sinistra anziché alla destra. Questa anomalia astronomica diventa occasione per una lezione cosmologica di Virgilio, che spiega come nel Purgatorio, situato nell’emisfero australe, i fenomeni celesti appaiano rovesciati rispetto all’emisfero boreale. Al di là dell’aspetto scientifico, questo elemento narrativo simboleggia il rovesciamento di prospettiva necessario nel cammino di purificazione: ciò che sembrava giusto nel mondo terreno può apparire diverso nella dimensione spirituale.
Il dialogo tra Dante e Virgilio sulla difficoltà del cammino introduce un’altra tematica fondamentale: il rapporto tra sforzo e progresso spirituale. Quando Dante, affaticato, chiede quale direzione prendere, Virgilio risponde indicando sempre verso l’alto, chiarendo che la via della purificazione richiede un continuo innalzamento. In questo contesto, la guida latina spiega anche che più si sale, minore diventa la fatica, poiché l’anima progressivamente si alleggerisce dal peso dei peccati – una perfetta fusione tra narrazione fisica e significato teologico.
L’elemento narrativo dell’apertura stretta nella roccia, attraverso cui Dante e Virgilio devono passare per iniziare l’ascesa, richiama la “porta stretta” evangelica che conduce alla salvezza. Questa immagine enfatizza come il cammino di redenzione richieda inizialmente uno sforzo considerevole, simboleggiato dal passaggio angusto che costringe Dante a usare sia le mani che i piedi per procedere.
L’incontro con Belacqua nella parte finale del canto costituisce uno snodo narrativo cruciale. Il dialogo tra i due, caratterizzato da toni ironici e sarcastici, permette a Dante di esplorare le conseguenze della negligenza spirituale. Belacqua, seduto all’ombra di una roccia in atteggiamento indolente, rappresenta l’antitesi dello zelo dimostrato da Dante nel suo cammino. La sua presenza serve a illustrare concretamente il contrasto tra pigrizia e ardore spirituale, tra rinuncia e impegno attivo.
Dante utilizza sapientemente le digressioni filosofiche e astronomiche per approfondire il messaggio teologico del canto. La spiegazione del movimento solare e la discussione sull’unitarietà dell’anima non sono mere parentesi erudite, ma si integrano perfettamente con il percorso narrativo, arricchendolo di significati più profondi. Queste digressioni permettono al poeta di elevare l’esperienza personale a insegnamento universale, trasformando il viaggio individuale in un paradigma del cammino umano verso la redenzione.
Il tema dell’attesa paziente emerge con forza attraverso le anime negligenti che devono sostare nell’Antipurgatorio. Questo periodo di attesa non è una punizione fine a se stessa, ma un tempo necessario per prepararsi alla vera purificazione. In questo senso, anche l’attesa diventa parte integrante del processo di redenzione, insegnando il valore della pazienza e dell’accettazione della giustizia divina.
La struttura narrativa del canto, che alterna momenti di intenso sforzo fisico a pause di riflessione e dialogo, rispecchia perfettamente il ritmo del processo di purificazione: un cammino fatto di progressi faticosi e momenti di pausa necessari per assimilare gli insegnamenti ricevuti e prepararsi alle prove successive.
Figure retoriche nel Canto 4 del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto 4 del Purgatorio si distingue per l’elegante tessitura retorica con cui Dante arricchisce la narrazione, conferendo profondità simbolica e potenza espressiva alla rappresentazione dell’ascesa purgatoriale.
Similitudini
Le similitudini rappresentano uno degli strumenti retorici più efficaci impiegati da Dante per rendere comprensibili concetti astratti o situazioni inusuali. Emblematica è quella nei versi iniziali, dove il poeta paragona la stretta apertura nella roccia a quelle che i contadini chiudono con spine per proteggere le vigne:
Maggiore aperta molte volte impruna
con una forcatella di sue spine
l’uom de la villa quando l’uva imbruna
Questa similitudine rurale rende immediatamente percepibile la difficoltà del passaggio attraverso un’immagine familiare al lettore medievale. Altrettanto efficace è il paragone con luoghi impervi della geografia italiana:
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ‘n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli
Attraverso questa similitudine geografica, Dante enfatizza come l’ascesa spirituale richieda uno sforzo sovrumano, superiore persino a quello necessario per scalare i monti più ardui dell’Italia medievale.
Metafore
L’intero canto è costruito attorno alla metafora centrale dell’ascesa fisica come rappresentazione del percorso di purificazione spirituale. Il “volare” necessario per superare l’ardua salita (v. 27) diventa potente metafora della trascendenza richiesta per il perfezionamento morale.
Altrettanto significativa è la metafora astronomica del “carro della luce” per indicare il sole, che richiama il mito classico di Fetonte e nobilita il discorso scientifico con un’elegante patina letteraria.
La fatica dell’arrampicata, descritta con precisione tecnica, funziona come metafora continuata dello sforzo necessario per liberarsi dal peso dei peccati:
Però, quando ella ti parrà soave
tanto, che sù andar ti fia leggero
com’a seconda giù andar per nave
Personificazioni
Dante ricorre abilmente alla personificazione per rendere più immediate e concrete le virtù e i vizi. La Pigrizia viene personificata come “serocchia” (sorella) di Belacqua, incarnazione vivente della negligenza.
Il sole viene presentato non solo come astro fisico, ma come rappresentazione della grazia divina e della giustizia. Dante lo descrive mentre “feriva” il monte del Purgatorio con i suoi raggi, simboleggiando l’azione purificatrice della grazia divina sulle anime purganti.
Attraverso le anime dei negligenti (coloro che tardarono a pentirsi), Dante personifica il concetto di negligenza spirituale. Queste anime sono costrette a sostare alla base del monte, rappresentando il ritardo nel cammino di purificazione causato dalla loro precedente trascuratezza verso la salvezza.
Il Monte del Purgatorio stesso funziona come personificazione del cammino di purificazione dell’anima. La sua struttura fisica – ripido e difficile da scalare – simboleggia le difficoltà del percorso spirituale verso la redenzione.
Temi principali del 4 canto del Purgatorio della Divina Commedia
Il Canto IV del Purgatorio si apre con Dante e Virgilio che affrontano la difficile salita lungo il monte del Purgatorio. Questa ascesa rappresenta il tema centrale dell’intero cantico: il percorso di purificazione dell’anima verso la redenzione. La fatica fisica che Dante sperimenta durante la salita – il sudore, l’affanno, la necessità di riposare – simboleggia la difficoltà del cammino spirituale. Dante sottolinea come il monte diventi sempre più ripido man mano che si sale, metafora eloquente di come il progresso morale richieda uno sforzo crescente e una determinazione sempre maggiore.
Un tema filosofico fondamentale emerge attraverso la riflessione sulla natura dell’attenzione umana. Dante illustra come l’anima, quando è completamente assorbita da una facoltà (in questo caso l’udito, mentre ascoltava Casella cantare), dimentichi le altre. Questa osservazione rivela la concezione medievale dell’unità sostanziale tra anima e corpo: l’essere umano è un’entità integrata in cui le facoltà spirituali e fisiche sono intimamente connesse. La teoria aristotelica dell’anima unica, che Dante abbraccia contro le teorie platoniche delle anime multiple, emerge chiaramente in questa riflessione.
L’incontro con Belacqua introduce una tensione cruciale tra la contemplazione passiva e l’azione necessaria per il progresso spirituale. Belacqua rappresenta l’accidia, la pigrizia spirituale di chi rimanda continuamente l’impegno verso la salvezza. Il suo atteggiamento rilassato e la sua tendenza a procrastinare contrastano nettamente con l’urgenza del cammino dantesco. Attraverso questo personaggio, Dante esplora il pericolo della contemplazione fine a se stessa, che può diventare una forma di fuga dalla responsabilità morale e dall’impegno attivo verso la purificazione.
La rivelazione che Belacqua deve attendere nell’Antipurgatorio per un periodo uguale alla durata della sua vita terrena introduce il tema della giustizia temporale divina. Questo meccanismo di attesa proporzionale alla colpa commessa rivela una concezione precisa della giustizia divina: misericordiosa ma anche rigorosamente equilibrata. Il tempo diventa così una dimensione etica, dove ogni momento di negligenza terrena corrisponde a un momento di attesa nell’aldilà. Tuttavia, Dante introduce anche il tema della solidarietà cristiana attraverso il potere delle preghiere dei vivi, che possono abbreviare questo tempo di attesa.
Il Canto si conclude con importanti considerazioni astronomiche e geografiche che rivelano la dimensione cosmologica del viaggio dantesco. La spiegazione di Virgilio sui movimenti del sole nell’emisfero australe non è meramente descrittiva, ma simbolica: rappresenta un nuovo ordine cosmico in cui Dante deve imparare a orientarsi. L’inversione delle coordinate celesti rispetto all’emisfero nord simboleggia la necessità di un nuovo modo di intendere la realtà spirituale. La menzione della vicinanza alle costellazioni dello Zodiaco australe suggerisce inoltre l’imminenza di una rivelazione superiore, preparando il lettore ai grandi incontri che caratterizzeranno il prosieguo del viaggio verso la vetta del Purgatorio.
Il Canto 4 del Purgatorio in pillole
Ecco il Canto IV del Purgatorio in pillole:
- Inizio: Dante e Virgilio affrontano la salita al monte. La fatica è grande, e Dante riflette su come l’anima, assorta in pensieri, possa dimenticare il corpo e le sue fatiche.
- Riflessione: Dante paragona lo sforzo della salita alle prove morali e spirituali necessarie per purificarsi.
- Incontro: giunti a una terrazza, incontrano l’anima di Belacqua, un fiorentino conosciuto da Dante, noto per la sua pigrizia. È seduto e si lamenta della sua condizione: dovrà aspettare fuori dalle cornici del monte un tempo pari alla sua vita terrena prima di iniziare la purificazione.
- Tema centrale: il canto mette in luce il tema dell’accidia e della lentezza spirituale. Belacqua diventa simbolo di chi, in vita, ha rimandato continuamente il pentimento.
- Conclusione: Dante mostra compassione per Belacqua, ma Virgilio lo esorta a non perdere tempo e a proseguire il cammino verso l’alto.
In breve: la salita faticosa, la riflessione sul rapporto tra corpo e anima e l’incontro con Belacqua illustrano quanto la lentezza e l’indugio possano pesare sul percorso di salvezza.